Fabiano Luppi
Gonzaga, Mantova – ITALIA
Azienda Agricola Soc. Agr. Luppi S.S.
Capi allevati: 130 | 60 in lattazione.
Ettari coltivati 60.
Destinazione del latte: Parmigiano Reggiano DOP (Latteria Agricola Venera Vecchia).
Fabiano Luppi, 36 anni, è un allevatore di 130 bovine da latte e di 1.400 suini all’ingrasso tra Gonzaga (area milk) e Pegognaga (maiali). La destinazione del prodotto la dice lunga sulla sua filosofia, fortemente ispirata alla cooperazione.
Il latte viene conferito alla latteria Venera Vecchia di Bondeno di Gonzaga, per la produzione di Parmigiano-Reggiano; i suini sono commercializzati tramite Opas, la organizzazione di produttori che ha ampliato i propri orizzonti, affittando il macello Italcarni e stringendo alleanze interessanti con altri player per valorizzare il prodotto.
Gli ettari coltivati dalla famiglia Luppi sono 60, con le coltivazioni classiche per la zootecnia del distretto del Parmigiano-Reggiano: erba medica, mais, erbaio di graminacee e frumento.
Crede molto alla cooperazione. Qual è il valore aggiunto?
“Essere sul mercato uniti come allevatori permette di fare una discreta massa critica e a non soccombere di fronte alle decisioni degli industriali. I vantaggi della cooperazione riguardano anche altri aspetti, come ad esempio mantenere spese più basse. Essere uniti fa la differenza, e vale anche per le stalle di grandi dimensioni, non solo per i più piccoli”.
Un’alleanza tra cooperazione e industria, secondo lei è fattibile?
“Sì, a patto che ci siano obiettivi comuni. Oggi ci confrontiamo con il mondo e dobbiamo allargare gli orizzonti, ma credo che si possa collaborare esclusivamente se c’è unità di intenti”.
Il Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano nei giorni scorsi ha annunciato l’operazione di valorizzazione del prodotto di montagna. Pensa sia una scelta positiva?
“Certamente, perché oggi è indispensabile avere una propria connotazione sul mercato. Non opero in montagna, ma nel Basso Mantovano e, sullo stesso principio del prodotto di montagna, che deve essere controllato e certificato, sono convinto che anche Mantova debba perseguire la strada della caratterizzazione produttiva, lanciando un modello di Parmigiano-Reggiano di pianura o identificato con il distretto di Mantova. La maggior parte delle persone non sa che anche nella parte di Lombardia che sta sulla riva destra del Po si produce Parmigiano-Reggiano. Dobbiamo comunicarlo e valorizzare il più possibile il prodotto. La promozione ormai è parte integrante dell’attività”.
Parlando di alleanze, ritiene auspicabile un’intesa tra Grana Padano e Parmigiano-Reggiano per la commercializzazione, magari anche all’estero?
“Iniziare una formula efficace di collaborazione sui mercati non è male. Se pensiamo che gli industriali già lo fanno, non vedo perché non si possa fare anche nella cooperazione o tra consorzi di tutela. La mia latteria, la Venera Vecchia di Bondeno, conferisce le forme al Virgilio, che commercializza sia il Grana Padano che il Parmigiano-Reggiano. La strada è quella, si può anche accorpare più realtà”.
Cosa pensa del fenomeno dei formaggi “bianchi”?
“Se il disciplinare non vieta le produzioni, si può fare. E credo che il Parmigiano-Reggiano non debba avere paura della concorrenza dei formaggi bianchi, perché è altro: più valore, più storia, qualità migliore. Ma bisogna essere bravi a farlo sapere, perché se pensiamo che basti il blasone per vendere a un prezzo soddisfacente, siamo finiti”.
Qual è l’identikit del futuro presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano?
“Dovrà essere un presidente di unione. Con questo non voglio assolutamente dire che Alai non lo fosse. Le nostre sfide sono continuare a produrre di qualità e su questo versante non si deve cedere. Le ultime norme del consorzio sul grasso e sulla localizzazione delle vacche tutelano di più la qualità del prodotto, dobbiamo farcelo pagare per quello che vale”.
Qual è la prima voce di costo dell’azienda?
“L’alimentazione delle bovine, che incide per circa 25 euro al quintale. Non possiamo, per i vincoli imposti dal disciplinare, comprimere i costi. Inoltre, bisogna anche fare una scelta di campo: per ottenere la qualità serve la qualità degli alimenti. Se mi limitassi a inseguire ogni mese i costi della razione alimentare la dovrei cambiare costantemente, fallendo l’obiettivo della continuità. La flessibilità non deve essere anarchia”.
La sua azienda adotta metodi per ridurre il consumo idrico o energetico?
“Siamo abbastanza attenti ai costi e cerchiamo di contenerli con diverse azioni. Siamo soci della cooperativa San Lorenzo di Pegognaga e ci affidiamo al servizio di separazione dei reflui: la parte liquida viene usata come fertirrigazione dei terreni, con conseguente risparmio della spesa per i concimi chimici. La parte di scarto viene valorizzata nei digestori per la produzione di biogas.
La lotta alla piralide del mais viene fatta in maniera biologica, attraverso il drone. I risultati sono i medesimi del trattamento chimico, ma è più sostenibile e in due anni che seguo tale metodo non ho rilevato controindicazioni.
Sul versante della sostenibilità idrica ho aderito al progetto del consorzio di bonifica Terre dei Gonzaga, grazie al quale riusciamo a sapere qual è il momento migliore per irrigare”.