Allevamento da latte, fonte di cibo ed energia
23 Agosto 2022

È opinione diffusa che gli allevamenti intensivi creino gravi problemi ambientali, senza possibili soluzioni al riguardo. In realtà, il metano prodotto dalle mandrie non impatta sul riscaldamento globale, ma fa parte di un ciclo biogenico e viene riciclato attraverso la fotosintesi.

Dagli allevamenti bovini derivano molti benefici per l’uomo: il latte è fondamentale per un’alimentazione salutare, per lo sviluppo cognitivo e la cultura culinaria. Inoltre, proprio le vacche possono ridurre la dipendenza della nostra società dai combustibili fossili, ritenuti tra i principali responsabili dell’accelerazione dei cambiamenti climatici in atto.

Attraverso il trattamento dei rifiuti organici generati dagli allevamenti è possibile ottenere biogas, prodotto dalla fermentazione anaerobica dei reflui. In questo modo, i liquami non sono più uno scarto da smaltire, ma diventano un sottoprodotto utile per generare energia.

Non solo l’energia prodotta dall’impianto di biogas di un’azienda agricola può essere utilizzata dalla stessa per ridurre il proprio fabbisogno energetico, ma la produzione di biogas riduce anche le emissioni di elementi inquinanti: è possibile ottenere metano che, se ricavato da una fonte rinnovabile e biologica e in seguito bruciato, ha impronta di carbonio pari a zero.

Produrre e consumare latte significa essere attenti alla natura e al benessere animale, capace di fornire non solo cibo, ma anche energia.

TESEO.clal.it – Italia: Patrimonio zootecnico (Bovini da Latte)

Fonte: eDairyNews

L’estate Romagnola ha il sapore del cocomero di Sermide [Intervista]
22 Agosto 2022

Luca e Lorenzo Vicenzi – Imprenditori Agricoli

Luca e Lorenzo Vicenzi
Caposotto di Sermide, Mantova – ITALIA

“Siamo più conosciuti a Rimini che a Sermide, perché la gran parte dei nostri cocomeri, circa il 70% della produzione, prende la direzione del mare”. Parola di Luca Vicenzi di Caposotto di Sermide, imprenditore agricolo che gestisce, insieme al fratello Lorenzo, 400 ettari di terreno.

L’attività di contoterzismo, ereditata dal papà, per scelta imprenditoriale si è ridimensionata, pur rimanendo all’avanguardia per tecnologie adottate, sistemi digitali e soluzioni di mappatura dei terreni che consentono di ridurre gli input e migliorare impatto ambientale e redditività.

La scelta di avere solo una decina di clienti “amici”

“Oggi abbiamo una decina di clienti della zona con i quali abbiamo anche un rapporto di amicizia – racconta Lorenzo, impegnatissimo anche a impartire ordini e ad accertarsi che tutto funzioni, in una giornata di infinito lavoro come solo quelle di chi coltiva cocomero d’estate conosce -. Oggi con i rincari che ci sono stati, a partire dal gasolio agricolo che in dodici mesi è schizzato da 60 centesimi a 1,40 euro al litro, starci dentro è difficile. Che tariffa dovrei chiedere ai clienti con simili rincari?”.

Ecco allora la scelta, ormai da alcuni anni, di non rincorrere pagamenti di fatture e clienti morosi, ma di prestare servizi altamente professionali a quella decina di clienti che, essendo anche amici, di bidoni non ne tirano e sconti sul prezzo non ne chiedono.

Dal papà hanno acquisito anche la forza di volontà e lo spirito di sacrificio, che li ha portati – uniti – a mettere insieme un’azienda agricola che si estende su 400 ettari e una produzione di 45.000 quintali di cocomeri, commercializzati all’ingrosso e confezionati in scatole (destinati ai mercati di Firenze, Padova, Verona) e beans, che alimentano i mercati generali del Nord e Centro Italia, con una forte attenzione alla Riviera Romagnola, col mercato generale di Rimini punto di smistamento verso hotel, ristoranti, ma anche supermercati e ombrelloni, dove arriva affettata (ma da terzi). Insomma, l’estate romagnola ha anche il sapore del cocomero di Sermide, varietà “Top Gun”, dove la qualità porta il nome di film che sono entrati, fra il 1986 e il 2022, nel mito della pellicola.

Il mercato quest’anno è in altalena, spiega Vicenzi. “È partito bene, grazie alla qualità, alla equilibrata disponibilità di prodotto e alla temperatura decisamente estiva, che ha aiutato a tenere alti i listini – afferma – poi c’è stata una flessione verso la fine di giugno e l’inizio di luglio, per poi riprendersi di nuovo, complice una scarsità di prodotto a causa del caldo”.

Se la siccità e l’assenza di precipitazioni per diversi mesi che hanno colpito l’Italia non hanno più di tanto impensierito l’azienda agricola dei fratelli Vicenzi, dotati di pozzi dai quali attingere acqua, il caldo invece ha influito sull’allegagione dei frutti, penalizzando le produzioni.

Ogni stagione ha una storia a sé

Ogni stagione, sono abituati ormai i Vicenzi da oltre 20 anni di attività professionale nel segmento della coltivazione di angurie, ha una storia a sé. Resta comune al passare del tempo una missione, che è d’altronde la vocazione di famiglia: “Lavorare sodo”.

La famiglia, riferimento per l’azienda da latte
4 Agosto 2022

Sebbene le aziende da latte si concentrino ed aumentino di dimensione, sarebbe un errore pensare che il modello di azienda famigliare, su cui da sempre si è basato l’allevamento, sia superato. Descrivere il declino dell’azienda agricola a conduzione familiare e l’ascesa dell’azienda agricola di tipo manageriale non è un quadro accurato della realtà.

Aziende da latte USA, il97% è a conduzione familiare

Questo anche negli USA dove, sebbene il numero di aziende da latte sia diminuito, rimane il predominio di quelle a conduzione familiare. Delle 39.442 aziende agricole con vacche da latte di tutte le dimensioni, secondo i dati dell’USDA più di 38.200 sono a conduzione familiare. Si tratta di ben il 97%, una percentuale consolidata. Ad esempio, nel 2016 le aziende da latte erano oltre 48.000, di cui il 97,3% a conduzione familiare.

La dimensione media di una stalla da latte USA è oggi di 300 vacche, rispetto a 50 nel 1990. Quindi, anche con una dimensione maggiore che richiede nuove professionalità e grandi finanziamenti, l’azienda familiare rimane il fondamento dell’allevamento da latte.

É la realtà di tutti i grandi paesi tradizionalmente produttori di latte, purtroppo sottaciuta.

Se è giusto parlare di imprenditoria, date le competenze richieste a chi conduce l’azienda da latte, è indispensabile parlare di familiarità con tutta l’attenzione per il valore soprattutto sociale, oltre che economico, che la famiglia trasmette alle comunità in cui opera.

TESEO.clal.it – USA: Costi e ricavi delle Aziende da Latte

Fonte: Hoosier

Siccità: agire subito per contrastare il cambiamento climatico
1 Agosto 2022

Secondo un rapporto pubblicato dal Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione europea, il 44% del territorio dell’UE e del Regno Unito si trova ad un livello siccità di allarme, mentre un altro 9% definito di allerta, una situazione che i ricercatori definiscono sconcertante.

L’indice di allarme è definito dal deficit di umidità del suolo, mentre quello di  allerta si riferisce allo stress idrico della vegetazione.

Il rischio siccità è aumentato negli ultimi mesi in territori che comprendono la Francia, la Germania occidentale, la Romania e diverse regioni mediterranee fra cui parti dell’Italia, ma ne risentono anche Polonia, Ungheria, Slovenia e Croazia.

In cinque regioni italiane è stata dichiarata l’emergenza siccità e l’insufficiente disponibilità di acqua ha portato a molteplici restrizioni d’uso nei comuni. In Francia sono state adottate misure simili a quelle delle regioni italiane per limitare l’uso dell’acqua; in Spagna, i volumi idrici immagazzinati negli invasi sono attualmente inferiori del 31% rispetto alla media decennale, mentre In Portogallo, l’energia idroelettrica ottenibile negli invasi è la metà della media degli ultimi sette anni. Il JRC avverte poi che nel prossimo futuro, tra luglio e settembre ci saranno condizioni climatiche molto più secche del normale in 14 Paesi, dall’Irlanda alla Romania settentrionale. Queste previsioni, se confermate, aggraveranno l’impatto della siccità non solo sull’agricoltura e gli approvvigionamenti alimentari, ma anche sull’energia e per tutti gli usi civili ed industriali.

Se diventa estremamente importante adottare con urgenza delle strategie di mitigazione della siccità, è invece imperativo affrontare la causa alla radice del problema: il cambiamento climatico e la sua alterazione del ciclo dell’acqua a livello globale. Sono necessari ulteriori sforzi anche per adattarsi preventivamente al cambiamento dei modelli meteorologici, rendendo le risorse e gli usi energetici compatibili col clima, ed applicando soluzioni sostenibili in agricoltura.

Andamento dell'indice di Siccità (SPI-3) nelle regioni del Nord Italia
TESEO.clal.it – Andamento dell’indice di Siccità nelle regioni del Nord Italia

Fonte: European Drought Observatory

Una OP che coltiva dolcezza [Intervista]
18 Luglio 2022

Francesca Nadalini
Santa Croce di Sermide, Mantova – ITALIA

Francesca Nadalini – Nadalini Soc. Agr. S.S.

Chi pensa che il terroir sia un’espressione da addetti alle degustazioni e solo riferito ai vini non ha ancora parlato con Francesca Nadalini, imprenditrice ortofrutticola di Santa Croce di Sermide e vicepresidente della Op Sermide Ortofruit (una realtà con 42 soci e un fatturato di 26 milioni di euro), e forse non ha ancora sentito parlare del marchio “Valli Salse”, brand dietro cui sta naturalmente la Op sermidese e che caratterizza un’area specifica di circa 1.500 ettari che la Op ha saputo individuare e valorizzare. E proprio qui si troverebbe una composizione specifica del terreno, con una particolare salinità (anticamente l’area era coperta dal mare), caratteristiche minerali uniche, composizione argillosa che permette alle radici di trarre nutrienti da quello che si può appunto definire – esattamente come per il vino – il terroir.

Usciamo dai tradizionali canoni di intervista (non parliamo di lattiero caseario e nemmeno di suini o cereali) per celebrare uno dei frutti simbolo dell’estate – il melone, ma arriverà anche l’anguria sotto i riflettori di Teseo – e per raccontare il grado di innovazione che sta alla base di un prodotto che è per molti altri aspetti ancora tradizionale. Almeno così lo interpreta Francesca Nadalini, famiglia di tradizione agricola proprio nel settore del melone, del cocomero e della zucca.

I numeri attuali dicono che l’azienda coltiva 330 ettari, dei quali circa 220 proprio con le tre colture orticole simbolo del territorio e, per la rotazione, un centinaio di ettari di grano, “che lascia il terreno secco e lo libera presto”.

Partiamo dalla cronaca. In occasione di un recente incontro di TESEO abbiamo assaggiato i suoi meloni fantastici. Come sta andando la stagione?

“Quest’anno abbiamo dovuto fare i conti con una stagione siccitosa, particolarmente calda, con l’ultima fase senza grande escursione termica con la notte. Questo ha fatto sì che ci sia stata una concentrazione del prodotto, seguita in alcune fasi, come quella attuale, da scarsità produttiva. Il melone è indubbiamente di qualità, ma l’accalcamento delle produzioni ha portato a una concentrazione dell’offerta, con prezzi che erano partiti molto bene e che oggi sono decisamente più contenuti. Ma con i cambiamenti climatici, dalla siccità alla grandine, temo che purtroppo dovremo farci i conti sempre più spesso”.

Come vi organizzate contro i rischi climatici?

“Abbiamo cercato di fare impianti solidi come serre, coperture, costruzioni e anche in campo aperto coltiviamo nelle migliori condizioni perché tutto proceda per il meglio, ma non basta. E con le assicurazioni non sempre si trova un punto di incontro, perché le nostre valutazioni sono anche di tipo qualitativo”.

Che tipo di investimenti ha fatto negli ultimi anni e quali nuove tecnologie ha introdotto?

“Negli ultimi anni abbiamo investito su attrezzature 4.0, dai macchinari semoventi per i trattamenti in campo dotati di tracciatura digitale e la guida satellitare, fino ai droni per rilevare la temperatura interna alle serre e ai sensori che servono calibrare l’irrigazione, che è a goccia per ottimizzarne l’utilizzo in campo.

Inoltre, abbiamo investito per l’ampliamento strutturale del magazzino, allargando la zona di servizio per i dipendenti e inserendo un’area specifica per la lavorazione di prima gamma evoluta del cocomero, così da poter tagliare il prodotto a fette e confezionarlo”.

Sul cocomero avete scelto di mantenere le pezzature giganti. Come mai?

“Il mercato è cambiato negli anni. Si sono affacciate le angurie medie, che noi non coltiviamo perché ad oggi riteniamo non essere ancora soddisfacenti a livello qualitativo. Poi sono arrivate le mini-angurie, che abbiamo voluto provare, ma che hanno costi di produzione elevati che raramente il mercato riconosce. Per cui abbiamo continuato a valorizzare le angurie grandi, del peso dai 12 ai 20 kg e abbiamo promosso la tradizione, ma con la possibilità per il consumatore di scegliere la versione già tagliata a fette.”

Che cosa ha fatto la differenza in questi anni?

Innovazione tecnologica mantenendo la tradizione

“Sembrerà banale ma la marcia in più è arrivata dalla coniugazione della tradizione con l’innovazione: andare avanti ma mantenere le cose buone dell’esperienza già avuta. Vale a dire l’innovazione tecnologica, introducendo strumenti come la lettura automatica del grado zuccherino, i sensori in campo, l’utilizzo dei droni per visionare impianti con altri occhi. Ma allo stesso tempo mantenere le tradizioni dal punto di vista colturale, per rispettare la caratteristica e la fisiologia delle piante, gli impianti, la coltivazione, tutto per non stravolgere l’evoluzione del frutto. Paradossalmente, un intervento eccessivo in alcune fasi di coltivazione cambia gusto, retrogusto e peculiarità del prodotto, penalizzandoci sul mercato. Aver mantenuto la tradizione in questo ambito è stata, per le aziende di Sermide, un’arma vincente.

Un altro aspetto che ha fatto la differenza è stato il gruppo, con la nascita del consorzio e del marchio del melone mantovano IGP, ma anche la costituzione della Op Sermide, alla quale aderiscono tutti imprenditori di lungo corso, insieme alle nuove generazioni. Rimanere in rete ci permettere di condividere un percorso, di migliorare sul fronte della specializzazione e di rimanere coesi, perché senza il gruppo non si può evolvere”.

A livello di tecnica colturale utilizzate fertilizzanti organici?

“Quando lo troviamo disponibile utilizziamo ancora il letame, ma per lo più utilizziamo compost da umido organico in un’ottica di economia circolare, che rappresenta una fonte di sostanza organica e perché è la texture ottimale per l’apparato radicale. Rende più soffice il terreno e aiuta la partenza delle radici, che sono la chiave della naturalità della pianta. Se la pianta non radica bene, infatti, non riusciamo a portare a compimento la fruttificazione”.

Ha problemi di manodopera?

“Certo, come tutti, purtroppo. Ormai per tenere i dipendenti di anno in anno non devi solamente garantire un salario più alto, ma devi creare un rapporto personale che va oltre e che ti porta, talvolta, a svolgere funzioni di assistenza e consulenza che dovrebbero essere proprie di altri soggetti. In questo modo abbiamo ridotto moltissimo il turnover e così evitiamo con la formazione di ripartire da zero ogni anno. Ma ci sentiamo come Don Chisciotte contro i mulini a vento, il nostro settore è davvero poco considerato come opportunità professionale”.

Quali sono i vantaggi di una Op?

Nella OP mettiamo in comune interessi e opportunità

“La nostra Organizzazione di Produttori porta numerosi vantaggi, a volte non immediatamente percepiti, ma nel tempo sicuramente quantificabili, perché mette in comune interessi e opportunità a vantaggio degli imprenditori. Si possono fare acquisti di gruppo e ridurre i costi e insieme si ha più forza per garantire un servizio a vantaggio dei clienti e viceversa, perché grazie alla quantità riusciamo a dare continuità alle vendite. Inoltre il confronto tra di noi è fondamentale per leggere ed interpretare rischi e opportunità della produzione e del mercato”.

Molti agricoltori sono spaventati dagli effetti dei cambiamenti climatici, dalle incognite di mercato, dalla scarsa reperibilità della manodopera. Cosa è cambiato rispetto al passato?

I rischi dell’effetto domino

“Tutto, ma non voglio tornare sui problemi. Certo è che tutti questi fattori hanno ridotto la visione a noi imprenditori. Prima immaginavo un futuro a lunga gittata, adesso ci sono troppe incognite e ci si rende conto sempre di più che siamo tutti interconnessi nei vari settori produttivi, quindi l’effetto domino può avere conseguenze impressionanti (come sta succedendo per le criticità sulle materie prime)”.

Quale futuro immagina per il melone mantovano?

“Il Melone Mantovano IGP, quindi la produzione che si svolge nelle province di Mantova, Cremona, Bologna, Ferrara e Modena, ha sicuramente prospettive di crescita, a partire dalle zone Centro-Sud dove ancora non è molto conosciuto. In questi giorni è uscito uno spot sulle reti televisive nazionali prodotto dal Consorzio di Valorizzazione e Tutela, che serve per traghettare il messaggio che la dolcezza ha molti volti, ma un solo nome: quella del melone mantovano IGP”.

Conduzione aziendale ed effetti sull’impronta idrica
12 Luglio 2022

In una società molto sensibile ai temi ambientali e vista la necessità di una immagine positiva all’export per il settore del latte che rappresenta un assetto vitale per la Nuova Zelanda, anche la qualità delle acque diventa un fattore rilevante.

Prendendo a riferimento l’impronta idrica (water footprint), l’università di Wellington ha effettuato uno studio nella zona di Canterbury, area ad alta densità dell’allevamento neozelandese con oltre un milione di vacche da latte, per misurare la componente definita “acqua grigia” cioè  il volume di acqua necessario a diluire gli inquinanti; questo per trovare un indice di riferimento atto a misurare la sostenibilità dell’attività zootecnica. 

Dalla ricerca risulta che per produrre un litro di latte occorrono da 400 ad 11 mila litri di acqua, con una variabilità molto ampia che dipende da fattori di conduzione aziendale come razione alimentare e concimazioni, operazioni queste ultime che comportano residui come i livelli di nitrati nel sistema acqua/terreno.

Nella regione dove sono state condotte le misurazioni è stata rilevata una correlazione fra l’elevato uso di concentrati nella razione, di fertilizzanti chimici, le ridotte precipitazioni ed i tenori di nitrati nelle acque superficiali di falda. Queste arrivano a contenere fino a 21 mg/litro, cioè quasi il doppio del limite di potabilità pari a 11,3 mg/litro, il che significa che il sistema ambientale non è più in grado di neutralizzare gli inquinanti che vi si riversano.
É stato poi calcolato che per riportare la situazione entro parametri accettabili occorrerebbe o moltiplicare per dodici le precipitazioni  o ridurre di dodici volte il numero di animali allevati. A parte tali scenari catastrofici, diventa comunque inderogabile ridurre drasticamente gli apporti di sostanze azotate al terreno.

Non si tratta più dunque solamente di affrontare la percezione del mercato ma di rendere la produzione compatibile con la tutela della salute, delle persone e dell’ambiente.

TESEO.clal.it – Acqua & Energia: Impronta Idrica | Mappa interattiva

Fonte: Taylor & Francis Online

Rigenerativa: nuova parola chiave per la produzione alimentare
16 Maggio 2022

Insieme a sostenibile, un altro termine che si va diffondendo è rigenerativo. Le tecniche di agricoltura rigenerativa o conservativa si vanno diffondendo, in modo da rendere le produzioni più resilienti (altro termine in uso). Adesso si comincia a parlare anche di produzione lattiera rigenerativa come mezzo per  contribuire a riequilibrare gli ecosistemi ed ottenere alimenti di alta qualità.

In tal senso si inserisce il progetto Regen Dairy, che intende ridefinire il legame dei prodotti lattiero-caseari rigenerativi lungo la filiera dalla produzione agricola al prodotto finale, dal basso verso l’alto e attraverso le catene di approvvigionamento.

Coinvolgere tutta la catena di approvvigionamento del latte

Si propone di coinvolgere gli allevatori e le imprese alimentari intorno al comune obiettivo di rendere il settore lattiero-caseario proficuo per tutta la filiera e che nel contempo ripristini anche il suo rapporto con l’ambiente. Nelle intenzioni, l’iniziativa partita nel Regno Unito e presente in nord e sud America ha una prospettiva globale ma le soluzioni che mira ad individuare saranno locali, per tener conto delle differenze nelle condizioni produttive dei vari contesti geografici. Vuole essere una dinamica dal basso verso l’alto lungo le catene di approvvigionamento del latte, un prodotto che unisce paesi e realtà economiche, sociali e geografiche mondiali. Non a caso vi collaborano una serie di aziende alimentari multinazionali quali Unilever ed Arla Foods.

Ricucire lo stretto rapporto tra produzione di latte e territorio

Bisogna ricucire lo stretto rapporto fra produzione di latte e territorio, dando rilievo alla circolarità del sistema che parte dalle coltivazioni ed attraverso la vacca produce alimenti nobili ma anche sostanza organica che immessa nel terreno ne aumenta la fertilità. Si tratta di dare risalto ad una collaborazione virtuosa fra i componenti della filiera in modo da cambiare la percezione della produzione lattiero-casearia: dal limitare i danni della sua attività, a divenire veramente benefica e virtuosa. Come per l’agricoltura rigenerativa, tutto questo non è qualcosa che può essere realizzato da un giorno all’altro e non c’è un modello unico che vada bene per tutti.

Si tratta di costruire sistemi collaborativi che siano meno dipendenti dagli input e dalle volatilità del mercato, diventando resilienti, cioè adattabili al variare delle condizioni, ma duraturi.

TESEO.clal.it – L’autosufficienza dei prodotti agricoli in Italia

Fonte: Regen Dairy

Come invertire il degrado del suolo in Africa?
9 Maggio 2022

Suolo, acqua e biodiversità: questi tre elementi insieme costituiscono la base per i mezzi di sussistenza ed anche per una convivenza pacifica tra i popoli della terra.

Un problema ambientale urgente

Il degrado del suolo comporta la riduzione o la perdita della capacità produttiva delle terre coltivate e questa è una sfida globale che colpisce tutti attraverso l’insicurezza alimentare, i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità. Sta avvenendo ad un ritmo allarmante ed è uno dei problemi ambientali più urgenti, che peggiorerà senza delle rapide azioni correttive.

Secondo l’ONU, fattori quali la deforestazione, lo sfruttamento eccessivo dei suoli, l’urbanizzazione ed i cambiamenti climatici, hanno degradato il 40% dei terreni colpendo 3 miliardi di persone soprattutto nelle regioni più povere, come in Africa. Qui, ad esempio, le recenti piogge senza precedenti sulla costa orientale del Sudafrica hanno determinato inondazioni improvvise che hanno spazzato via i raccolti, distrutto case e strade, uccidendo più di 430 persone. Invece in Kenya il disboscamento delle foreste pluviali ha ridotto la portata dei fiumi, limitando l’irrigazione col conseguente crollo dei raccolti. Questo determina una spirale di povertà che porta ad un ulteriore degrado dei terreni per la necessità di produrre cibo  e ad accentuare la scarsità idrica. Sempre secondo l’ONU più della metà del PIL mondiale, pari ad un valore di 44 trilioni di dollari, è a rischio a causa di questo fenomeno che è anche uno dei principali motori del cambiamento climatico, dato che la sola deforestazione tropicale contribuisce a circa il 10% di tutte le emissioni di gas serra delle attività umane.

Il degrado del terreno determina poi il  rilascio di carbonio immagazzinato nel sottosuolo, con una spirale catastrofica. Al ritmo attuale, entro il 2050 verranno degradati oltre 16 milioni di chilometri quadrati di terreni. La più colpita sarebbe l’Africa sub sahariana, con le conseguenti carestie e migrazioni. Il fenomeno dell’accaparramento dei terreni (land grabbing) così acuto in Africa per la produzione di materie prime e di biocarburanti da esportare, determina un rapido degrado dei terreni, particolarmente nelle zone tropicali.

Esempi virtuosi per invertire la tendenza

Però invertire la tendenza è possibile, ad esempio applicando le buone pratiche agronomiche di cura del suolo, estendendo la copertura vegetale con tecniche come l’agroforesteria e con una migliore gestione dei pascoli. Esempi virtuosi esistono: dalla costruzione di piccole dighe con l’irrigazione di precisione e la coltivazione di varietà arido-resistenti in Etiopia, all’intercoltura di una leguminosa col mais per aumentare la fertilità del suolo in Malawi, al contrasto della desertificazione in Burkina-Faso costruendo argini di pietra per frenare l’erosione, all’uso dei droni in Kenia per individuare meglio i parassiti ed intervenire prontamente con le tecniche di difesa fitosanitaria aumentando le rese di raccolti.

L’agricoltura moderna ha alterato la faccia del pianeta. Occorre ripensare urgentemente ai sistemi alimentari mondiali ed intervenire con i mezzi che la scienza e la tecnica mettono a disposizione. Il tutto con una pianificazione organica che tenga conto delle specifiche realtà geografiche, socio-culturali ed economiche.

TESEO.clal.it – Aree coltivate a Cereali nel Mondo

Fonte: Reuters

Il Mondo chiede proteine animali di qualità [Intervista]
14 Aprile 2022

Stefano Spagni
Masone, Reggio Emilia – ITALIA

Stefano Spagni – Direttore Commerciale di Progeo Mangimi

“Mi scusi, ero in riunione per risolvere alcuni problemi di entrata ed uscita merci.” Inizia così, con due tentativi a vuoto, l’intervista a Stefano Spagni, direttore commerciale di Progeo Mangimi. Ma non c’è bisogno di scusarsi, perché la concitazione in questa fase non la vive solamente Progeo Mangimi, è una situazione abbastanza diffusa nel settore agroalimentare e non solo.

“Abbiamo dovuto rivedere per la terza volta le tariffe degli autotrasportatori, per una situazione di rincari che non è solamente correlata al carburante, ma a tutto ciò che serve per viaggiare dagli additivi, i cui costi sono quintuplicati, alle spese per i pneumatici ecc, siamo in un frangente davvero complesso”, spiega Spagni.

Progeo conta oltre 300 soci conferenti e 3.500 soci prestatori ed è una realtà che fattura circa 296 milioni di euro l’anno. I dipendenti sono 258 e le attività di business comprendono tanto l’attività molitoria quanto quella mangimistica e dei conferimenti. La fase, come è noto, è delicata per il settore. Anche per chi, come Progeo Mangimi, gestisce una banca dati con le previsioni di semina e le effettive operazioni in campo, così da avere un quadro sempre aggiornato delle produzioni, dei fabbisogni, dell’andamento meteo-climatico e delle possibili rese in campo, consegne e ritiri.

Come state affrontando questa ondata di rincari?

“Da un lato abbiamo adeguato le tariffe, per rispondere agli aumenti subiti da operatori, padroncini, gruppi privati per i trasporti, accollandoci aumenti dei costi che per noi non riguardano solo l’energia, ma anche il carburante, il materiale per l’insacco, i bancali, le stesse provvigioni degli agenti legate al prezzo di vendita e quant’ altro.

Quanto pesano per voi i rialzi delle materie prime?

Abbiamo avuto un aumento dei costi delle materie prime del 45-55%

“Complessivamente abbiamo avuto un aumento del 45%-55% e inevitabilmente, abbiamo dovuto ritoccare i nostri listini, consapevoli che per gli allevatori l’aumento dei costi di produzione non è stato supportato dall’ aumento della carne o del latte. Forse in questo contesto riescono a sostenere i costi i produttori di latte destinato alla produzione di Parmigiano Reggiano. Per tutti gli altri lo scenario è molto complicato”.

Avete riorganizzato il sistema dei pagamenti a monte e a valle (cioè verso i vostri fornitori e verso gli allevatori), attraverso dilazioni o altre soluzioni?

“Per ora non c’è stata la necessità di farlo e non c’è nemmeno stata la richiesta di farlo. Abbiamo aumentato l’attenzione per la parte del credito, incrementando il controllo su posizioni un po’ in sofferenza. Direi che per ora la situazione è lineare, come lo era 7-8 mesi fa. Anche noi come mangimificio siamo rimasti allineati ai pagamenti come prima”.

Chi sono i vostri fornitori? Importate anche dalle zone “calde”?

Oltre il 50% del nostro fabbisogno arriva dall’estero

“L’elenco dei nomi sarebbe lungo, abbiamo fornitori esteri e nazionali. Indicativamente il nostro import da zone ‘calde’ proviene per il 15% dall’Ucraina, per il 10% dalla Russia, per un 20% dall’Ungheria e per il 3% dalla Serbia. Oltre il 50% del nostro fabbisogno totale arriva dall’estero e qualche problema inevitabilmente, lo abbiamo avuto. Avevamo contratti con fornitori importatori che originano merce dall’ Ungheria che hanno ritardato in maniera esponenziale le consegne. Dalla Russia attendevamo prodotti che non sono mai partiti, le navi in arrivo a Ravenna erano in navigazione nel Mar Nero prima che scoppiasse la guerra. Difficilmente le semine in Ucraina saranno portate a termine, credo che in questa fase sarà un bacino di approvvigionamento che si andrà ad azzerare e si ridurrà inevitabilmente insieme a quello Russo.

Il mondo zootecnico sta chiedendo formulati differenti e meno costosi o glieli fornite voi?

Cambiare le formule dei mangimi è controproducente

“Il mercato lo sta chiedendo, ma non tutti sono d’accordo. Cito il caso di Progeo: noi facciamo 5,5 milioni di quintali di mangimi, di cui 2,5 milioni sono destinati nell’area di produzione del Parmigiano Reggiano. Cambiare le formule dei mangimi è controproducente. Stiamo ricevendo qualche richiesta da parte di produttori di latte alimentare di rivedere le formule della razione alimentare per inserire materie prime differenti, magari utilizzando qualche sottoprodotto così da spendere meno”.

La possibilità approvata dalla Commissione UE di eliminare il set-aside e le proposte di incrementare le colture proteiche possono essere una soluzione efficace o solo un provvedimento tampone?

“Bisogna fare una premessa: i terreni tenuti a set-aside sono stati la decisione più fuori dal tempo che potessimo avere. Non ho l’idea se incrementare le semine per 9,1 milioni di ettari in UE, ammesso che vengano seminati tutti i terreni incolti, possa risolvere le esigenze di cereali e proteici. Sicuramente è un provvedimento che ci può aiutare, purché vi sia un percorso per ridurre l’import e incentivare la produzione agricola partendo dall’agronomia”.

Quanto resteranno i prezzi così elevati per cereali e semi oleosi?

“Non saprei. Se la guerra dovesse finire, probabilmente potremmo assistere a una riapertura dell’export da parte di alcuni Paesi che oggi hanno adottato politiche protezionistiche, con una ripresa dei commerci, potremmo assistere a un calmieramento dei prezzi, ad un calo speculativo e di conseguenza ad una riduzione dei costi sia dei cereali che dell’energia. Di certo non rivedremo i prezzi dell’agosto dell’anno scorso, continueremo a posizionarci su valori più elevati”.

Come operate sul fronte ricerca e sviluppo?

“La nostra posizione è diversa dai nostri concorrenti. Se consideriamo la filiera del Parmigiano Reggiano, il 90% delle nostre produzioni sono legate a disciplinari / capitolati.

Dal 1984, inoltre, Progeo ha formulato e prodotto mangime biologico quando ancora non esisteva il regolamento comunitario e, per seguire dei parametri oggettivi e costanti, aveva preso a modello un regolamento francese. Oggi possiamo pensare di essere leader in Italia nella produzione di mangime bio.

Le sfide future saranno legate anche per l’ufficio Ricerca e Sviluppo ad una attenzione all’ ambiente, al green, ed alla riduzione / assenza di utilizzo di antibiotico, tema sicuramente importante per la salute del consumatore”.  

Come immaginate le nuove frontiere della mangimistica?

“Penso che tutti i mangimifici debbano guardare al futuro, puntando a ridurre l’impatto ambientale, perché è strategico come alimentiamo gli animali e come alleviamo. Questo non significa ritornare a modelli di allevamento non intensivi, perché dobbiamo tenere presente che la popolazione mondiale cresce e chiede proteine animali di qualità. Bisogna però sapere che serve un nuovo approccio culturale per la filiera”.

Sarà necessario riorientare gli scambi mondiali per calmierare i prezzi di cereali e semi oleosi?

“Nel 2021 le materie prime avevano subito un aumento consistente, in quanto la Cina stava acquistando in maniera importante da tutte le parti del mondo sia cereali che proteici. Un accumulo dettato prevalentemente dalla ripresa della suinicoltura, dopo la peste suina africana, che aveva ridotto sensibilmente la mandria di maiali. Non so indicare se dietro l’import massiccio di Pechino vi fossero altre ragioni, come qualcuno ha paventato.

Vi sono questioni da affrontare di natura politica

Comunque, più che rivedere forzatamente le rotte internazionali, sarebbe opportuno che Europa e Nord America rivedessero le politiche agronomiche. Vi sono anche questioni da affrontare di natura politica. Ad esempio: come incrementare l’autosufficienza dell’Unione Europea in termini di mais e soia? Come risolvere il nodo degli OGM, coltivati negli Stati Uniti e non permessi in Italia? A che punto siamo con le Tea, le Tecnologie di evoluzione assistita? Se la Cina continuerà ad acquistare e la Russia bloccherà le esportazioni verso gli Stati che considera ‘non amici’, come dovremo comportarci?”.

Prezzo del grano, sicurezza alimentare e stabilità
22 Marzo 2022

Il grano, insieme a mais e riso, è uno dei tre cereali che sfamano il mondo. Numerosi studi collegano i disordini sociali agli aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari nei paesi che dipendono dalle importazioni di alimenti di base, in particolare del grano. L’uso diffuso del grano e la sua versatilità lo rendono un alimento di base da cui dipendono soprattutto i più vulnerabili. Per eliminare la fame entro il 2030 come indicato dal secondo obiettivo ONU per lo sviluppo sostenibile, occorre innanzitutto che il grano sia disponibile in misura sufficiente ed a prezzi abbordabili a livello mondiale. La realtà che si sta profilando sembra invece essere ben diversa, con i problemi collegati alla pandemia, ai costi energetici ed ora al conflitto esploso in Ucraina.  

I minori  raccolti nel 2021, insieme alla forte domanda dei paesi importatori di grano, hanno reso i mercati globali del grano più rigidi del solito, il che si traduce in una maggiore vulnerabilità a qualsiasi – anche potenziale – shock di approvvigionamento.

Se Cina ed India sono i paesi che coltivano la maggior quantità di grano, seguite da Russia, USA, Francia ed Ucraina, il maggior esportatore è la Russia, seguita da Canada, USA, Francia ed Ucraina, mentre i maggiori importatori sono Egitto, Indonesia, Turchia, Cina, Nigeria ed Italia.

Tuttavia la risoluzione del conflitto, se anche avvenisse nel più breve tempo possibile, non risolverà  il problema, dato che comunque la produzione di grano è a rischio a causa dei cambiamenti climatici.

Secondo la FAO, nel caso di uno scenario ad alte emissioni con crescita delle temperature medie mondiali, la produzione di grano aumenterebbe in Argentina, Australia, Canada, Cile ed Eurasia settentrionale, mentre diminuirebbe nella maggior parte dell’Africa centrale e in parti del Brasile, dell’Asia centrale e dell’India.

Il tutto con una popolazione mondiale prevista in aumento ad 8,5 miliardi di abitanti entro il 2030.

Pertanto, nell’immediato, si  può solo sperare che un abbondante raccolto di grano locale salvi i paesi più vulnerabili da una maggiore instabilità alimentare.

TESEO.clal.it – Mappa mondiale dell’autosufficienza del Frumento

Fonte: Investment Monitor