La Russia, primo esportatore di Grano Tenero, ha adottato strategie che limitano l’esportazione di tale prodotto, quali un prezzo minimo, tasse all’export e limitazioni di quantità vendibili da parte di società straniere. Tale scelta è mirata a contrastare l’inflazione interna che colpisce farina e pane, spinta dalle scarse produzioni (-10,4% nella stagione 2024-25), dalla forte domanda estera e dagli elevati costi militari. Questa dinamica, insieme alla scarsa disponibilità di Grano di buona qualità in Francia, sprona i prezzi internazionali verso l’alto e favorisce le esportazioni Ucraine, che diventano ora maggiormente convenienti. Tuttavia, è atteso che anche l’Ucraina fisserà un prezzo minimo per le esportazioni di Grano a partire da inizio dicembre.
Nel panorama globale si evidenziano d’altra parte anche forze ribassiste nel mercato. Si sta avvicinando il periodo di raccolta nell’Emisfero Sud e le prospettive sono di buone quantità in Australia, ma soprattutto in Argentina, che dovrebbe realizzare la seconda produzione record consecutiva. Anche in Ucraina le aspettative per il futuro raccolto sono di crescita, dato l’aumento delle aree seminate rispetto all’anno scorso. Quanto al Nord America, la semina negli USA procede ad un buon ritmo: più dell’80% del Grano è già stato seminato, e circa il 40% si trova in buone o ottime condizioni. Le previsioni meteo dei prossimi giorni lasciano sperare in condizioni climatiche positive, in particolare nello stato chiave del Kansas.
Le forze in gioco appaiono dunque in equilibrio, suggerendo prospettive di sostanziale stabilità dei prezzi del Grano Tenero per i prossimi mesi.
Quali previsioni per la suinicoltura a livello mondiale? Secondo USDA, nel 2025 la produzione globale di Carne Suine dovrebbe essere in calo (-0,8%), raggiungendo 115,13 milioni di tonnellate.
Sono previsti cali produttivi, in particolare, in UE-27 (-1,6% tendenziale, che potrebbe essere un rallentamento più consistente, fino al -2%) e in Cina (-2,2%), che si conferma il primo produttore mondiale, nonostante l’arretramento dei volumi già nel terzo trimestre di quest’anno (-0,8%), dovuti a politiche di contenimento della mandria anche per la flessione dei consumi in seguito alla crisi dell’economia cinese.
Parallelamente, sono in crescita le produzioni di carne suina in USA (+2%), Brasile (+1,2%) e Vietnam (+3%, trainata dall’espansione degli allevamenti e dal miglioramento delle operazioni di contrasto alla Peste suina africana). Stimata in aumento anche la produzione di carne di maiale in Russia (+3,4%), una crescita che potrebbe orientare una parte delle produzioni verso la Cina, che potrebbe intensificare i rapporti commerciali con Mosca e saldare ulteriormente la vicinanza politica ed economica.
La Russia è storicamente tra i principali produttori ed esportatori di Grano Tenero, Mais, Orzo e Girasole (Semi e derivati). Dall’inizio della guerra in Ucraina le informazioni relative alle esportazioni del Paese si sono ridotte, ma la sua importanza sui mercati internazionali è ancora rilevante, soprattutto se si pensa ai mercati asiatici.
Secondo i dati USDA, la stagione 2022/23 ha visto produzioni Russe da record per Frumento, Orzo e Girasole, grazie a maggiori aree coltivate e condizioni climatiche ottimali. A questo si aggiungono gli stock elevati, accumulati per effetto delle restrizioni all’export rafforzate nel 2021. La combinazione di queste due dinamiche ha portato ad un’elevata disponibilità di Cereali e Semi Oleosi in Russia.
Di conseguenza, nel 2022 le restrizioni autoimposte dalla Russia sono state alleggerite e le esportazioni sono aumentate, soprattutto verso Medio Oriente e Africa, i cui Paesi non hanno imposto sanzioni alla Russia.
Le esportazioni di Cereali e Semi Oleosi dalla Russia avrebbero quindi raggiunto volumi record, facilitate anche dai prezzi competitivi e dalle difficoltà che caratterizzano l’Ucraina, principale concorrente. In particolare, le quantità di Frumento esportate dalla Russia per la stagione 2022/23 è stimato a 45 milioni di tonnellate, in crescita del 34,8% rispetto alla stagione precedente. Questo sarebbe decisamente superiore alle quantità esportate dall’UE, le cui stime indicano 35 Milioni di tonnellate.
Tra i partner commerciali della Russia la Turchia sta giocando un ruolo chiave, sia come intermediario nelle contrattazioni per la Black Sea Initiative sia come acquirente. Infatti, tra Gennaio e Aprile 2023 le importazioni di Cereali del Paese dalla Russia sono aumentate del 78,4% rispetto allo stesso periodo del 2022.
Particolare attenzione va data anche alla Cina, con cui i rapporti si stanno rafforzando su diversi settori, tra i quali quello agro-alimentare.
Per la stagione 2023/24 USDA stima produzioni Russe in leggero ridimensionamento per il Frumento e l’Orzo, mentre dovrebbero aumentare sia la produzione che l’export di Mais e di Farina e Olio di Girasole.
“Mi scusi, ero in riunione per risolvere alcuni problemi di entrata ed uscita merci.” Inizia così, con due tentativi a vuoto, l’intervista a Stefano Spagni, direttore commerciale di Progeo Mangimi. Ma non c’è bisogno di scusarsi, perché la concitazione in questa fase non la vive solamente Progeo Mangimi, è una situazione abbastanza diffusa nel settore agroalimentare e non solo.
“Abbiamo dovuto rivedere per la
terza volta le tariffe degli autotrasportatori, per una situazione di rincari
che non è solamente correlata al carburante, ma a tutto ciò che serve per
viaggiare dagli additivi, i cui costi sono quintuplicati, alle spese per i pneumatici
ecc, siamo in un frangente davvero complesso”, spiega Spagni.
Progeo conta oltre 300 soci conferenti e 3.500 soci prestatori ed è una realtà che fattura circa 296 milioni di euro l’anno. I dipendenti sono 258 e le attività di business comprendono tanto l’attività molitoria quanto quella mangimistica e dei conferimenti. La fase, come è noto, è delicata per il settore. Anche per chi, come Progeo Mangimi, gestisce una banca dati con le previsioni di semina e le effettive operazioni in campo, così da avere un quadro sempre aggiornato delle produzioni, dei fabbisogni, dell’andamento meteo-climatico e delle possibili rese in campo, consegne e ritiri.
Come state affrontando questa
ondata di rincari?
“Da un lato abbiamo adeguato le
tariffe, per rispondere agli aumenti subiti da operatori, padroncini, gruppi
privati per i trasporti, accollandoci aumenti dei costi che per noi non
riguardano solo l’energia, ma anche il carburante, il materiale per l’insacco,
i bancali, le stesse provvigioni degli agenti legate al prezzo di vendita e
quant’ altro.
Quanto pesano per voi i rialzi
delle materie prime?
Abbiamo avuto un aumento dei costi delle materie prime del 45-55%
“Complessivamente abbiamo avuto
un aumento del 45%-55% e inevitabilmente, abbiamo dovuto ritoccare i nostri
listini, consapevoli che per gli allevatori l’aumento dei costi di produzione
non è stato supportato dall’ aumento della carne o del latte. Forse in questo
contesto riescono a sostenere i costi i produttori di latte destinato alla
produzione di Parmigiano Reggiano. Per tutti gli altri lo scenario è molto complicato”.
Avete riorganizzato il sistema
dei pagamenti a monte e a valle (cioè verso i vostri fornitori e verso gli allevatori),
attraverso dilazioni o altre soluzioni?
“Per ora non c’è stata la
necessità di farlo e non c’è nemmeno stata la richiesta di farlo. Abbiamo aumentato
l’attenzione per la parte del credito, incrementando il controllo su posizioni
un po’ in sofferenza. Direi che per ora la situazione è lineare, come lo era
7-8 mesi fa. Anche noi come mangimificio siamo rimasti allineati ai pagamenti come
prima”.
Chi sono i vostri fornitori? Importate
anche dalle zone “calde”?
Oltre il 50% del nostro fabbisogno arriva dall’estero
“L’elenco dei nomi sarebbe lungo, abbiamo fornitori esteri e nazionali. Indicativamente il nostro import da zone ‘calde’ proviene per il 15% dall’Ucraina, per il 10% dalla Russia, per un 20% dall’Ungheria e per il 3% dalla Serbia. Oltre il 50% del nostro fabbisogno totale arriva dall’estero e qualche problema inevitabilmente, lo abbiamo avuto. Avevamo contratti con fornitori importatori che originano merce dall’ Ungheria che hanno ritardato in maniera esponenziale le consegne. Dalla Russia attendevamo prodotti che non sono mai partiti, le navi in arrivo a Ravenna erano in navigazione nel Mar Nero prima che scoppiasse la guerra. Difficilmente le semine in Ucraina saranno portate a termine, credo che in questa fase sarà un bacino di approvvigionamento che si andrà ad azzerare e si ridurrà inevitabilmente insieme a quello Russo.
Il mondo zootecnico sta
chiedendo formulati differenti e meno costosi o glieli fornite voi?
Cambiare le formule dei mangimi è controproducente
“Il mercato lo sta chiedendo, ma
non tutti sono d’accordo. Cito il caso di Progeo: noi facciamo 5,5 milioni di
quintali di mangimi, di cui 2,5 milioni sono destinati nell’area di produzione
del Parmigiano Reggiano. Cambiare le formule dei mangimi è controproducente. Stiamo
ricevendo qualche richiesta da parte di produttori di latte alimentare di
rivedere le formule della razione alimentare per inserire materie prime
differenti, magari utilizzando qualche sottoprodotto così da spendere meno”.
La possibilità approvata dalla Commissione UE di eliminare il set-aside e le proposte di incrementare le colture proteiche possono essere una soluzione efficace o solo un provvedimento tampone?
“Bisogna fare una premessa: i terreni tenuti a set-aside sono stati la decisione più fuori dal tempo che potessimo avere. Non ho l’idea se incrementare le semine per 9,1 milioni di ettari in UE, ammesso che vengano seminati tutti i terreni incolti, possa risolvere le esigenze di cereali e proteici. Sicuramente è un provvedimento che ci può aiutare, purché vi sia un percorso per ridurre l’import e incentivare la produzione agricola partendo dall’agronomia”.
Quanto resteranno i prezzi
così elevati per cereali e semi oleosi?
“Non saprei. Se la guerra dovesse
finire, probabilmente potremmo assistere a una riapertura dell’export da parte
di alcuni Paesi che oggi hanno adottato politiche protezionistiche, con una
ripresa dei commerci, potremmo assistere a un calmieramento dei prezzi, ad un
calo speculativo e di conseguenza ad una riduzione dei costi sia dei cereali
che dell’energia. Di certo non rivedremo i prezzi dell’agosto dell’anno scorso,
continueremo a posizionarci su valori più elevati”.
Come operate sul fronte
ricerca e sviluppo?
“La nostra posizione è diversa
dai nostri concorrenti. Se consideriamo la filiera del Parmigiano Reggiano, il
90% delle nostre produzioni sono legate a disciplinari / capitolati.
Dal 1984, inoltre, Progeo ha formulato e prodotto mangime biologico quando ancora non esisteva il regolamento comunitario e, per seguire dei parametri oggettivi e costanti, aveva preso a modello un regolamento francese. Oggi possiamo pensare di essere leader in Italia nella produzione di mangime bio.
Le sfide future saranno legate anche per l’ufficio Ricerca e Sviluppo ad una attenzione all’ ambiente, al green, ed alla riduzione / assenza di utilizzo di antibiotico, tema sicuramente importante per la salute del consumatore”.
Come immaginate le nuove
frontiere della mangimistica?
“Penso che tutti i mangimifici debbano
guardare al futuro, puntando a ridurre l’impatto ambientale, perché è
strategico come alimentiamo gli animali e come alleviamo. Questo non significa
ritornare a modelli di allevamento non intensivi, perché dobbiamo tenere presente
che la popolazione mondiale cresce e chiede proteine animali di qualità. Bisogna
però sapere che serve un nuovo approccio culturale per la filiera”.
Sarà necessario riorientare gli
scambi mondiali per calmierare i prezzi di cereali e semi oleosi?
“Nel 2021 le materie prime avevano
subito un aumento consistente, in quanto la Cina stava acquistando in maniera
importante da tutte le parti del mondo sia cereali che proteici. Un accumulo dettato
prevalentemente dalla ripresa della suinicoltura, dopo la peste suina africana,
che aveva ridotto sensibilmente la mandria di maiali. Non so indicare se dietro
l’import massiccio di Pechino vi fossero altre ragioni, come qualcuno ha paventato.
Vi sono questioni da affrontare di natura politica
Comunque, più che rivedere forzatamente le rotte internazionali, sarebbe opportuno che Europa e Nord America rivedessero le politiche agronomiche. Vi sono anche questioni da affrontare di natura politica. Ad esempio: come incrementare l’autosufficienza dell’Unione Europea in termini di mais e soia? Come risolvere il nodo degli OGM, coltivati negli Stati Uniti e non permessi in Italia? A che punto siamo con le Tea, le Tecnologie di evoluzione assistita? Se la Cina continuerà ad acquistare e la Russia bloccherà le esportazioni verso gli Stati che considera ‘non amici’, come dovremo comportarci?”.
Il grano, insieme a mais e riso, è uno dei tre cereali che sfamano il mondo. Numerosi studi collegano i disordini sociali agli aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari nei paesi che dipendono dalle importazioni di alimenti di base, in particolare del grano. L’uso diffuso del grano e la sua versatilità lo rendono un alimento di base da cui dipendono soprattutto i più vulnerabili. Per eliminare la fame entro il 2030 come indicato dal secondo obiettivo ONU per lo sviluppo sostenibile, occorre innanzitutto che il grano sia disponibile in misura sufficiente ed a prezzi abbordabili a livello mondiale. La realtà che si sta profilando sembra invece essere ben diversa, con i problemi collegati alla pandemia, ai costi energetici ed ora al conflitto esploso in Ucraina.
I minori raccolti nel 2021, insieme alla forte domanda dei paesi importatori di grano, hanno reso i mercati globali del grano più rigidi del solito, il che si traduce in una maggiore vulnerabilità a qualsiasi – anche potenziale – shock di approvvigionamento.
Se Cina ed India sono i paesi che coltivano la maggior quantità di grano, seguite da Russia, USA, Francia ed Ucraina, il maggior esportatore è la Russia, seguita da Canada, USA, Francia ed Ucraina, mentre i maggiori importatori sono Egitto, Indonesia, Turchia, Cina, Nigeria ed Italia.
Tuttavia la risoluzione del conflitto, se anche avvenisse nel più breve tempo possibile, non risolverà il problema, dato che comunque la produzione di grano è a rischio a causa dei cambiamenti climatici.
Secondo la FAO, nel caso di uno scenario ad alte emissioni con crescita delle temperature medie mondiali, la produzione di grano aumenterebbe in Argentina, Australia, Canada, Cile ed Eurasia settentrionale, mentre diminuirebbe nella maggior parte dell’Africa centrale e in parti del Brasile, dell’Asia centrale e dell’India.
Il tutto con una popolazione mondiale prevista in aumento ad 8,5 miliardi di abitanti entro il 2030.
Pertanto, nell’immediato, si può solo sperare che un abbondante raccolto di grano locale salvi i paesi più vulnerabili da una maggiore instabilità alimentare.
La produzione mangimistica russa è in costante crescita da oltre vent’anni, una tendenza che si prevede possa continuare anche in futuro grazie ai consistenti contributi del governo federale al settore agroindustriale, che tra il 2019 ed il 2025 ammonteranno a 44,6 miliardi di €, cioè il triplo di quelli stanziati fra il 2012 ed l 2018. Non per nulla la Russia ha già raggiunto l’obiettivo di garantire oltre il 90% di autosufficienza per carne e latte.
Questo sostegno alla produzione ha anche lo scopo di stimolare l’export di carne e lattiero-caseari invece che di soli cereali e materie prime agricole, soprattutto verso le destinazioni strategiche in Medio oriente ed Asia, aumentando così il valore aggiunto. Il problema però sono i costi di produzione che restano ancora elevati rispetto a quelli dei paesi concorrenti. Di conseguenza, i contributi pubblici consisteranno in aiuti diretti agli agricoltori anche per l’acquisto di mangimi, che rappresentano circa il 70% dei costi di produzione per la carne.
Previste 40Mio tdi mangimiprodotte in Russia al 2025
Se nel 2017 in Russia si calcola che siano stati prodotte 31-33 milioni di tonnellate di mangimi, con prezzi in calo per la prima volta da 15 anni grazie ai buoni raccolti, nel 2025 si dovrebbe arrivare a produrne 38-40 milioni di tonnellate. Si dovrà però risolvere il problema della scarsità di proteine ed altri ingredienti, che riducono l’indice di conversione dei mangimi russi rispetto a quelli prodotti nella UE e negli altri paesi industrializzati.
Significativo l’esempio della soia: anche se la produzione nel 2017 ha raggiunto 3,7 milioni di tonnellate rispetto a 200 mila tonnellate nel 2013, l’industria mangimistica ne richiede ben 7 milioni di tonnellate. Altro passo verso l’aumento dell’efficienza del sistema è la ristrutturazione del settore molitorio, con la costituzione di grandi conglomerati in grado di produrre oltre un milione di tonnellate di mangimi all’anno.
La competitività della Russia potrà derivare dalla produzione biologica
La competitività della Russia potrà poi derivare dalla produzione biologica, considerato che si tratta del solo grande paese produttore OGM free, in grado di coprire il 25% della richiesta mondiale di cereali e materie prime agricole per l’industria mangimistica con questa certificazione. Mancano però ancora unità produttiva per vitamine, aminoacidi, enzimi ed altri additivi indispensabili per produrre mangimi di qualità, il che rende il paese ancora dipendente dal mercato mondiale.
La Russia, oltre che essere tornata a rappresentare il granaio d’Europa, ha ora anche l’aspirazione e la potenzialità per divenire uno dei maggiori player mondiali.
Il mese di novembre 2014 ha fatto registrare, con 2.388 capi venduti, il secondo maggiore dato semestrale di vendite all’estero per vacche da latte. Questo è stato determinato dagli acquisti da parte della Russia che è tornata in modo significativo ad affacciarsi sul mercato internazionale dopo due mesi di assenza, importando 1.300 capi e divenendo così il primo paese di destinazione, seguita dal Messico che a novembre ha importato 818 capi e dal Canada che ne ha importati 143.
Il valore totale di tali esportazioni è pari a 4,7 milioni di Dollari.
Si calcola che negli undici mesi del 2014 gli USA abbiano esportato 31.300 vacche da latte, con un notevole calo rispetto all’anno precedente, ma anche il livello più basso dal 2009. L’elevato prezzo del latte dello scorso anno può spiegare questo andamento.
Su base annuale, il Messico resta la prima destinazione per la vendita di vacche da latte con 12.366 capi, seguito dalla Russia con 9.809 capi.
Per facilitare l’esportazione di bestiame USA, bovini, suini e ovi-caprini, è stata decisa la realizzazione per il 2016 di uno specifico terminal cargo all’aeroporto Kennedy di New York, che opererà 24 ore ogni giorno ed avrà tutte le strutture di controllo, ricovero e sosta conseguenti alle operazioni di carico e scarico degli animali.