Fosforo, fattore limitante la produzione nel post quote
15 Ottobre 2015

Uno dei fattori che possono limitare la crescita della produzione conseguente all’abolizione delle quote latte, è il residuo di fosforo (P) nel terreno. L’inquinamento da P delle acque superficiali in Europa è una importante causa di eutrofizzazione e le perdite nell’ambiente conseguenti all’attività agricola debbono essere ridotte.

CLAL.it – Produzioni di Latte nei principali player esportatori
CLAL.it – Produzioni di Latte nei principali player esportatori

Come avvenuto per la direttiva nitrati, alcuni Paesi pongono dei limiti alla dispersione di P, il che può rappresentare un fattore limitante per l’ampliamento dell’attività zootecnica. Le perdite ambientali del P derivante dalle concimazioni ma anche dalle additivazioni nell’alimentazione animale, possono essere ridotte migliorando l’utilizzo da parte delle colture del P accumulato nel suolo. Occorre anche attuare il riciclo di questo elemento, attraverso una oculata gestione dei reflui. I residui solidi ottenuti dalla separazione delle deiezioni e le conseguenti tecniche di biodigestione con produzione di gas, ma anche di incinerazione o di pirolisi, potrebbero permettere un completo recupero del fosforo.

Questi interventi di mitigazione potrebbero però essere influenzati negativamente dai fenomeni dei cambiamenti climatici, che aumentano le perdite degli elementi nutritivi dal terreno verso le acque di superficie, aumentandone l’inquinamento.

Dunque, vincerà la sfida per la produzione di latte chi saprà migliorare la performance attraverso una efficienza produttiva che tenga sempre più conto dell’impatto ambientale dell’allevamento.

Fonte: PubMed

 

Sosteniblità ambientale e mercato del latte
8 Luglio 2015

Anche per il mercato di latte e derivati si accenna sempre più frequentemente agli effetti derivanti dal cambiamento climatico, a causa delle conseguenze che questi eventi potrebbero avere sulle produzioni e dunque sui prezzi.

Tali fenomeni vanno però distinti fra il riscaldamento mondiale, che significa l’aumento nella temperatura della superficie terrestre, ed il cambiamento del clima, che comprende anche gli effetti secondari del riscaldamento, come scioglimento dei ghiacciai, precipitazioni intense o siccità prolungate. Quindi, l’aumento delle temperature è uno dei sintomi del cambiamento climatico, che può derivare da fattori naturali, come le glaciazioni, oppure dalle conseguenze dell’attività umana con l’aumento del tasso di anidride carbonica ed altri gas effetto serra (Greenhouse gases-GHG). Oltre che dalla combustione delle sostanze fossili e delle sostanze inquinanti, i GHG sono anche la diretta conseguenza anche dell’attività agricola.

Nella lunga storia del pianeta, la terra ha avuto cambiamenti climatici, alternando periodi glaciali con altri periodi caldi “interglaciali”, in cicli di circa 100 mila anni. Si ritiene che l’ultimo di questi cicli di basse temperature si sia concluso con l’inizio del ventesimo secolo. Mentre nelle ultime cinque decadi i fattori naturali avrebbero comportato una scarsa diminuzione delle temperature della superficie terrestre, si capisce come il fenomeno dell’attuale riscaldamento terrestre sia probabilmente il più rapido fra quelli di ogni era interglaciale. Inoltre, le osservazioni di indicatori naturali come gli anelli di crescita degli alberi, i coralli ed i coni dei ghiacciai, dimostrano che negli ultimi due mila anni ci sono state sì oscillazioni climatiche, ma mai in modo così intenso e repentino degli ultimi 30 anni. Questo non tanto come conseguenza di cause naturali, ma determinato dall’attività umana.

Di conseguenza, la filiera produttiva deve risolvere rapidamente e con responsabilità un problema mai affrontato prima: la sostenibilità ambientale.

Siccità e prezzi delle commodity lattiero-casearie in Oceania
Siccità e prezzi delle commodity lattiero-casearie in Oceania

Fonte: Climate.gov

Acqua e produzioni agroalimentari
29 Maggio 2015

La disponibilità di acqua rappresenta un fattore cruciale nelle produzioni agricole.

Solo il 2.5% delle acque sulla terra è costituito da acqua dolce, ma una crescente parte di questa è inquinata e dunque non utilizzabile. Il 70% dell’acqua dolce disponibile sul pianeta è impiegato lungo la filiera agroalimentare e rappresenta pertanto un fattore produttivo essenziale, da utilizzare con grande attenzione. Le produzioni animali sono quelle che richiedono più acqua per unità di prodotto e la misurazione dell’impronta dell’acqua (water footprint) rappresenta un parametro da prendere seriamente in considerazione.

La tecnica irrigua ha già permesso di compiere enormi passi avanti nella gestione delle risorse idriche, favorendo l’estensione delle coltivazioni anche in zone semi-aride od in condizioni ambientali rese maggiormente difficili dai cambiamenti climatici in atto.

Tuttavia, il tema della gestione dell’acqua è cruciale anche durante i processi di trasformazione dei prodotti agricoli, ma sono poche le imprese che intervengono per ottimizzare in tale ottica le diverse fasi produttive. Nello studio Feeding Ourselves Thirsty, sono state esaminate le metodologie e le strategie adottate da 37 fra le maggiori imprese alimentari mondiali per minimizzare l’uso dell’acqua lungo il ciclo produttivo ed è apparso come solo un terzo di queste adotti dei provvedimenti adeguati.

L’adozione anche nella filiera lattiero-casearia, di tecnologie di trasformazione eco-friendly, diventa sempre più necessaria ed urgente.

Le tematiche di acqua ed energia verranno presentate in modo dettagliato nel sito TESEO che Clal.it lancerà in ottobre in occasione della Fiera di Cremona.

Segui il Dairy Forum di CLAL.it! Oggi in diretta streaming
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Fonte: Ceres

Interesse mondiale per l’agricoltura africana
13 Maggio 2015

L’Africa è un continente strategico per gli approvvigionamenti utili a soddisfare i bisogni alimentari del mondo. Le maggiori potenze economiche e le aziende multinazionali si interessano sempre più al continente africano per utilizzare il suo potenziale agricolo.

Fra queste Cargill, azienda presente in Africa da oltre 30 anni, dove però opera solo l’1% dei propri 143 mila dipendenti. Il continente nero rimane un netto importatore di alimenti, nonostante possegga oltre la metà delle terre arabili mondiali. Si tratta di un enorme potenziale produttivo, il cui utilizzo richiede notevoli investimenti finanziari ed energie organizzative.

L’interesse di Cargill è concreto soprattutto in Africa australe, dove ha investito 12,5 milioni di Dollari per un nuovo mangimificio in sud Africa, mentre in Zambia sta completando l’acquisizione dell’impresa di lavorazione di semi oleosi Zamanita per una spesa di 25,7 milioni di Dollari.

Altra dimostrazione di questo interesse per il continente nero è dato dal gruppo Agco, proprietario della Massey Ferguson. L’azienda ha annunciato un piano strategico con CNFA (Cultivating New Frontiers in Agriculture), organizzazione per lo sviluppo economico fondata a Washington nel 1984, per migliorare l’attività agricola nell’Africa sub-sahariana.

Resta da vedere come sarà garantita la sostenibilità sociale ed ambientale di tutti questi investimenti, per contrastare il fenomeno del “land grabbing” (accaparramento della terra) che si va radicando proprio in Africa.

Africa: importazioni di alcuni prodotti lattiero-caseari
Africa: importazioni di alcuni prodotti lattiero-caseari

Fonte : Agrimoney

La tecnica al servizio della produzione agricola
1 Aprile 2015

Dal 1948, l’area coltivata in Israele è passata da 1650 a 4350 chilometri quadrati, e la superficie coltivata da 30 mila a 190 mila ettari.

Nel 1950 ogni agricoltore alimentava 17 persone; nel 2010, 113. Attualmente è attiva in agricoltura solo il 2% della popolazione, che fornisce però il 95% dei bisogni alimentari e delle materie prime necessarie alle imprese di trasformazione del paese.

Circa il 60% delle terre coltivate si trova nell’area desertica del Néguev. Fra il 1999 ed il 2009 la produzione agricola totale è aumentata del 26%, benché il consumo di acqua sia diminuito del 12% grazie all’introduzione di tecniche avanzate di irrigazione e controllo delle perdite nelle condotte idriche.

Nel 2010, Israele esportava il 33% dei vegetali, 27% dei fiori, 16% della frutta ed il 9% degli agrumi che produceva.

S/STEMA STALLA
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