Marco Lucchini
Calendasco, Piacenza, Emilia Romagna – Italia
Capi allevati: 350
Destinazione del Latte: latte alimentare e formaggi
Un po’ ingegnere (si è laureato nel 1970 al Politecnico di Torino e ha insegnato per una ventina d’anni, prima di fare l’allevatore) e un po’ filosofo, con la vis polemica che ne contraddistingue il carattere e per la quale è conosciuto nel settore lattiero caseario. Marco Lucchini, presidente di Agri Piacenza Latte, associazione di produttori in costante evoluzione, coltiva 80 ettari a Calendasco (Piacenza), dove alleva circa 350 capi. Insieme a lui in azienda lavora il figlio Alfredo Lucchini, ingegnere meccanico, anche lui sedotto dall’agricoltura e dalla zootecnia. La quinta generazione in azienda è cosa fatta. E in questa intervista, grazie alla brillantezza dell’interlocutore, parliamo davvero di tutto.
Partiamo dal latte e dall’annuncio di Granarolo e Lactalis che il latte potrebbe arrivare a 2 euro al litro. Cosa ne pensa?
“Mi permetta di partire da più lontano e cioè dalla fase in cui si trovano gli allevatori e, più estesamente, le catene di approvvigionamento. Nel giro di un anno l’incremento del prezzo del latte alla stalla è stato di circa il 40%. Una crescita decisamente marcata, ciononostante non proporzionata all’incremento di alcuni dei costi che gli allevatori hanno subito. Non le faccio l’elenco, perché dal gasolio alla razione alimentare, dai fertilizzanti all’energia sono cifre ormai note nella loro esponenzialità e, peraltro, soggette per alcune voci ancora in queste fasi a crescere. Aggiunga le difficoltà legate al ricambio generazionale, che costituiscono un altro elemento di incertezza e del quale si parla purtroppo troppo poco.
Veniamo da una fase in cui la tenuta del sistema è precaria: prezzi alle stelle, manodopera che non ne vuole sapere di lavorare il sabato e la domenica, ma capisce che una stalla o un caseificio sono realtà che possono avere situazioni di lavoro nel fine settimana.
Un altro elemento che non dobbiamo dimenticare è che i prezzi dei prodotti agricoli sono stati compressi per decenni, perché la globalizzazione ha avuto il principale effetto di non comprimere i consumi e, allo stesso tempo, lasciando pressoché invariati i prezzi dei prodotti agricoli alimentari. Tutto questo mentre in Italia gli stipendi non crescevano.
Ritengo dunque che vi siano le premesse, se aggiungiamo l’inflazione, per una situazione di instabilità, che tocca tutti i soggetti coinvolti. Non vorrei però che, in un contesto simile, si riversi sul costo della materia prima l’aumento al consumo, perché gli incrementi di spesa li stanno subendo tutti i soggetti della filiera, dall’allevatore alla trasformazione. Anelli incolpevoli del boom dell’energia, diciamolo”.
Il prezzo del latte è giusto?
Ritengo sia l’occasione per gli allevatori di intervenire sulla propria attività, attraverso l’aggregazione
“Direi che siamo tra i 55 e i 60 centesimi al litro. Per i tre mesi che sono passati come prezzo poteva avere un senso, per i mesi che vengono, con le incognite che ci sono, mi lasci dire che non è facile. Il prezzo del Grana Padano è attorno ai 9€/Kg, ma bisogna mettere in conto circa 0.7 euro al chilo di costi in più. Per cui, pur apparendo come prezzo remunerativo, potrebbe non esserlo.
In questa fase vi sono allevatori in difficoltà, non dimentichiamo che oltre al caro energia le stalle sono alle prese con prezzi alle stelle dei mangimi e devono fare i conti con gli scarsi risultati nei campi legati alla siccità. Ci sono stati costi altissimi per l’irrigazione, mentre in alcune zone d’Italia l’acqua è mancata, con ripercussioni negative sulle rese in campo. È una situazione, nel complesso, davvero difficile da decifrare e temo che nei prossimi mesi ci saranno stalle che chiuderanno.
Se dovesse mancare latte, sarà difficile gestire il prezzo, ma ritengo anche che sia l’occasione per gli allevatori di mettere le mani sulla propria attività, attraverso l’aggregazione, ma questa situazione sta frantumando gli organismi aggregati”.
Come definirebbe la sostenibilità? La zootecnia è spesso nel mirino.
“Penso che la sostenibilità sia il meglio che ti offre la tecnologia. La sostenibilità non può prescindere dai tre pilastri e il primo è, inevitabilmente, economico. Se manca, non c’è la stalla. La sostenibilità si traduce quindi nella possibilità dell’azienda di stare sul mercato, utilizzando tutte le tecnologie a disposizione. Il benessere animale è una componente di quella che chiamo sostenibilità spontanea, perché aiuta da un lato a contenere i costi e dall’altro ha riflessi positivi sull’ambiente. E proprio sulla questione ambientale dovremmo essere più scientifici: una vacca non può produrre più atomi di carbonio di quelli che consuma, è inutile farsi travolgere da posizioni ideologiche, che non si reggono in piedi. Comprimere la zootecnia in nome dell’ambiente vorrebbe solo dire far aumentare i prezzi”.
È una difesa molto chiara, ma che potrebbe dare fastidio a molti.
Non dobbiamo concentrare senza limiti, serve un equilibrio sul territorio
“Dobbiamo ragionare in maniera serena e con un approccio scientifico e realista. L’allevamento ultra-intensivo è sbagliato, non dobbiamo concentrare senza limiti, serve un equilibrio sul territorio. Le faccio un esempio: io nella mia azienda ho rimboschito una parte di ettari, perché credo che agricoltura e zootecnia siano anche ambiente, ma di questo gli agricoltori e gli allevatori sono consapevoli.
Non posso dimenticare che quando nel 1990 ho assunto la presidenza in Agri Piacenza Latte, sulla collina piacentina c’erano 350 stalle e il territorio era un giardino. Dobbiamo avere il coraggio di comunicare che per l’utilizzo bassissimo di diserbanti e di chimica e per l’attenzione che mostra, la zootecnia convenzionale è molto vicina a quella biologica”.
Con Agri Piacenza Latte ha acquisito nuovi soci, dal Piemonte all’Alto Adige. Quali altri acquisti ha in programma?
“È informatissimo. Abbiamo ricevuto la richiesta di un numero cospicuo di produttori di una zona a confine con l’Alto Adige: chiedevano di poter diventare soci e conferire il loro latte. Era capitato precedentemente anche nel Cuneese. Le spiego un po’ come funziona: di fatto ci vengono a cercare loro e, tendenzialmente, si muovono con uno schema a zona, perché il mondo del latte è fatto così. Zone più o meno omogenee, che gravitano intorno a una o più aziende di trasformazione. Ebbene, quando si sviluppano situazioni per così dire estreme, ci vengono a cercare spontaneamente”.
Poi cosa accade?
“Non appena entrano e li coinvolgiamo nel sistema, automaticamente si alza il prezzo del latte, c’è un flusso di allevatori verso il sistema aggregato e nasce una sorta di reazione del mondo della trasformazione che vede sfilarsi un mondo che considera suo. Quindi, in sintesi, riverberiamo un effetto positivo sui territori. Poi, se vogliamo marcare le differenze, Agri Piacenza Latte e organismi analoghi fanno il mercato per i produttori loro soci garantendone il pagamento, mentre altri organismi che non gestiscono direttamente il prodotto e non rispondono del pagamento, usano i prezzi pattuiti dalle forme aggregate come riferimento, essendo totalmente sprovvisti di competenze di mercato.”
Agri Piacenza Latte produce anche un formaggio a pasta dura, il Formaggio Bianco Italiano. Come mai?
Le nostre industrie hanno bisogno di latte e il mercato ha bisogno di prodotti di qualità a prezzi convenienti
“La nostra idea è stata fare prodotti che siano commodity. E il Formaggio Bianco Italiano lo è, sostenuto non solo dalla qualità, ma anche dalle tecnologie impiegate per ottenerlo, con una qualità del latte elevata e standardizzata, aspetto che mantiene costanti e uniformi le caratteristiche alla vendita. Trova spazio anche perché si inserisce in un’area, quella del Grana Padano, che ha adottato una politica di programmazione dell’offerta che predilige una crescita contenuta e una patrimonializzazione delle quote produttive che, a nostro parere, non favorisce lo sviluppo, ma lo contrae. Mi fermo, perché non vorrei sembrare troppo polemico, anche perché siamo partiti dal Bianco Italiano e non vorrei che la spiegazione della genesi di questo prodotto apparisse come un attacco ad altri. Il nostro formaggio è competitivo per qualità e prezzo e siamo orientati all’estero, dove possiamo contare su livelli omogenei di offerta”.
In passato si è parlato del progetto di realizzare in territorio lombardo un impianto di polverizzazione del latte? Cosa ne pensa?
“Ero e sono contrario. Ma ho sparato a zero sul polverizzatore per una ragione molto semplice. L’Italia non è autosufficiente come produzione di latte. Noi produciamo circa 127 milioni di quintali di latte, industria e cooperazione hanno bisogno di quantitativi intorno ai 200 milioni, quindi noi siamo carenti di oltre 70 milioni di quintali di latte. Orbene, quando il prezzo del latte estero era più basso, veniva importato abbassando il livello di prezzo del nostro. Adesso invece si cerca di comprarlo in Italia. Ma il tema è sempre quello e cioè che le nostre industrie hanno bisogno di latte e il mercato ha bisogno di prodotti di qualità a prezzi convenienti. All’estero conoscono poco il sistema delle Dop, a parte, naturalmente, i francesi. Prova ne è che, quando mandiamo i formaggi all’estero, fra Dop e non Dop gli stranieri non fanno molta differenza. Adesso, comunque, non è un mercato semplice e la situazione che si è complicata ulteriormente, evidenzia squilibri congiunturali”.
Come vede il settore fra 10 anni?
“Semplifico al massimo: o avremo un prezzo sostenibile per il settore lattiero caseario oppure si chiuderà. Come si ottiene la sostenibilità del prezzo? In due modi: o con quotazioni adeguate alla domanda e all’offerta, in grado di dare una corretta remunerazione e garantire gli investimenti, oppure nel modo opposto, cioè con le stalle che chiudono e l’offerta che diminuisce. È preferibile la prima ipotesi”.
Il futuro è nell’export?
“Il futuro è solo nell’export. Badi bene: come italiani cosa possiamo mangiare? La popolazione è in diminuzione, il gusto sta virando verso i cosiddetti ‘nuovi residenti’. Molte famiglie hanno problemi economici, per cui è difficile acquistare le super nicchie che, mi chiedo, a chi possano giovare. Abbiamo gli stipendi fra i più bassi di tutta Europa. O fornisci cibo a un prezzo basso, oppure diventa complicato. Il sistema, per dirla alla Zygmunt Bauman, è liquido”.