CLAL.Teseo.it – Andamento delle precipitazioni in Sud America
Il Sud America è una regione determinante per la disponibilità di alimenti zootecnici a livello globale. In particolare, Brasile e Argentina sono tra i principali esportatori di Mais e Soia. Negli ultimi anni, però, il cambiamento climatico ha portato ad un aumento delle temperature che, insieme alla persistenza della Niña, ha creato condizioni di pesante siccità in buona parte della regione provocando modifiche agli scambi agroalimentari.
Il cambiamento più eclatante caratterizza l’Argentina, dove la siccità ha colpito il 75% delle aree coltivate. Il Paese, per il primo trimestre 2023, ha registrato esportazioni dimezzate per i Cereali e ridotte di più di un terzo per i Semi Oleosi. Il calo dei volumi riguarda tutti i principali prodotti esportati, ma le maggiori riduzioni sono associate al Frumento Tenero (-86,8%), a fronte di produzioni diminuite del 40% rispetto alla stagione scorsa.
Una situazione opposta ha caratterizzato il Brasile che, pur essendo stato colpito da siccità in alcune zone a sud ed ovest del Paese, ha avuto condizioni favorevoli nelle aree di maggiore produzione di Mais e Soia ottenendo raccolti record. Le ottime produzioni brasiliane sono state fondamentali per rispondere ad una domanda mondiale che ha visto mancare parte delle produzioni di USA e UE a causa della siccità. Le esportazioni Brasiliane di Cereali sono, di conseguenza, quasi raddoppiate grazie anche ad un intenso lavoro diplomatico.
Ci sono anche altri Paesi, nella regione, che sono stati colpiti da siccità estrema, tra questi l’Uruguay e il Cile. Il primo ha registrato produzioni ridotte di Mais e Soia, rispettivamente del -43% e -63%. Di questo calo si percepiscono gli effetti anche sul trade, che vede un import in aumento sia per i Cereali che per i Semi Oleosi da Argentina, Brasile e Paraguay. Il Cile è colpito da siccità da diversi anni, favorita dal cambiamento climatico e dallo sfruttamento delle risorse idriche e aggravata dalla Niña. La situazione è tanto grave che a Gennaio il governo Cileno ha decretato lo stato di emergenza per l’agricoltura.
Questi Paesi, pur non avendo un peso pari ad Argentina e Brasile sui mercati internazionali, rappresentano comunque importanti fattori di domanda e offerta per determinare la disponibilità dei prodotti agricoli nel Mondo.
CLAL.Teseo.it – Andamento delle Produzioni di Soia nei principali produttori in Sud America
Michele Carra, amministratore delegato dell’omonima azienda mangimistica alle porte di Parma, è vicepresidente di Assalzoo con la delega alle filiere suina e lattiero casearia. Nel cuore della Food Valley, Carra Mangimi occupa 43 persone fra dipendenti e collaboratori, sviluppa un fatturato di circa 68 milioni di euro e serve le filiere della salumeria Dop con particolare attenzione al circuito del Prosciutto di Parma e San Daniele e, nel settore dei formaggi, gli allevamenti nelle zone Dop del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano. La qualità è il punto di forza dell’azienda, che esporta mangimi per suinetti per circa il 6,7% del fatturato. L’azienda nel 2023 taglierà il traguardo dei primi 90 anni di attività.
Dottor Carra, come avete
reagito ai rincari che stanno accompagnando il settore da oltre un anno?
“I primi aumenti delle materie
prime li abbiamo avuti già nei mesi di settembre-ottobre 2020. La dinamica non
è nuova: di fatto l’azienda mangimistica fa da ammortizzatore con gli
acquirenti a valle. Lavoriamo con i contratti di fornitura e, in questo modo,
abbiamo contenuto o, almeno in parte compensato, l’aumento. Vede, il settore
della mangimistica di solito attende qualche settimana o anche qualche mese per
vedere se gli aumenti si consolidano o se, al contrario, sono fenomeni
speculativi o si tratta di fluttuazioni e punte che poi scendono. Gli aumenti
che abbiamo avuto, come sa, non hanno rappresentato un fenomeno transitorio,
con la conseguenza che il sistema mangimistico ha adeguato i listini, per
quanto tali aumenti ancora oggi non coprono la reale crescita dei mercati delle
materie prime”.
Come hanno reagito gli
allevatori?
“Nel complesso hanno accettato
gli aumenti, anche se questo ha drenato molto della loro liquidità e in qualche
caso ha creato qualche problema”.
Qual è stata la filiera che ha
sofferto di più?
“Quella dei suini, che ha
dinamiche diverse rispetto a quella lattiero casearia. Nel latte i prezzi sono
definiti per un periodo più lungo, mentre per i suini le quotazioni sono
settimanali. Nel corso del 2022, in particolare, abbiamo registrato un
adeguamento dei prezzi del latte più in linea rispetto ai costi di produzione a
differenza del settore suinicolo. Le filiere Dop casearie, poi, possono contare
sulla forza della cooperazione e su produzioni che negli ultimi anni sono state
in grado di assicurare un maggiore valore aggiunto rispetto alle filiere
suinicole”.
Come ha influito la guerra in
Ucraina? Avete dovuto modificare le strategie di approvvigionamento?
La guerra e la siccità hanno cambiato gli scenari
“La guerra in Ucraina ha cambiato
completamente gli scenari, e al quadro si è aggiunta anche la siccità, che ha
colpito in Italia e non solo, con la conseguenza che abbiamo avuto meno materie
prime a disposizione.
A causa della guerra in Ucraina si
sono bloccate per oltre due mesi le esportazioni di mais e grano da alcuni
paesi dell’Est Europa. Alcuni commercianti che avevano contratti in essere con
le aziende mangimistiche per l’importazione di cereali si sono resi insolventi.
Le difficoltà di import di grano hanno pesato prevalentemente sui molini,
mentre l’industria dei mangimi ha risentito delle difficoltà legate al mais. Le
nostre imprese hanno dovuto fare i conti con un prezzo del mais schizzato a 400
euro alla tonnellata per effetto di diversi fattori: la guerra in Ucraina, gli
effetti climatici sulle produzioni, la forte spinta delle importazioni cinesi”.
Si parla di sovranità
alimentare di questi tempi. Servirebbe una strategia nazionale di
approvvigionamento?
“Sì, dovremmo attuare strategie
europee da un lato e trovare allo stesso tempo soluzioni italiane. Se pensiamo
alla situazione nazionale non possiamo dimenticare che nel giro di 20 anni la
produzione di mais è passata da 10 a 5 milioni di tonnellate. Inoltre, alla
minore produzione si affianca una concorrenza di biogas e biometano. La verità
è che senza il mais estero oggi non siamo autosufficienti”.
Da cosa è dipeso, secondo lei,
il calo delle superfici e delle produzioni di mais in Italia?
“Ritengo da più fattori
concomitanti. Le rese per ettaro negli ultimi due decenni non sono aumentate e,
addirittura, sono in parte diminuite. Poi si è innescata una questione di
prezzi e di concorrenza dei mercati internazionali. La stessa Ucraina dal 2010
ha iniziato a esportare mais in Europa a prezzi bassi mettendo di fatto fuori
mercato le produzioni italiane. Questo ha portato una progressiva riduzione
delle superfici coltivate a mais, perché era più conveniente acquistare
dall’estero. Contemporaneamente, alcuni fattori climatici hanno reso più
complessa la produzione italiana di mais. Ma il sistema Italia dovrebbe
sostenere le produzioni interne, anche a vantaggio delle grandi Dop sul
territorio, che sempre più dovranno fare i conti con le produzioni nazionali”.
Ricerca e sviluppo restano
essenziali per la crescita di un’azienda. In quale direzione vi state muovendo?
Avete sperimentazioni in corso?
Puntiamo a trovare nuove soluzioni, naturali, innovative e tecnologiche
“Il nostro lavoro sta cambiando.
Le normative tengono sempre più conto del fenomeno dell’antibiotico-resistenza,
sono stati limitati i mangimi medicati, per cui la mangimistica è chiamata a
intensificare gli sforzi in ricerca e sviluppo. Come azienda abbiamo sviluppato
da più di otto anni una funzione di ricerca e sviluppo per rispondere alle
esigenze del mercato e produrre linee specifiche di prodotti nutraceutici, che
non sono farmaci, tengo a sottolineare. Da qui è nata la linea Anhea, dedicata
alla salute animale.
Collaboriamo con gli Atenei di
Parma, Milano e Bologna e con le facoltà di Scienze delle Produzioni animali e
Veterinaria. Puntiamo a trovare nuove soluzioni, naturali, innovative e
tecnologiche per supportare l’animale in determinate fasi della vita in
allevamento, per ridurre l’incidenza di patologie; non è semplicissimo, ma ci
avvaliamo di tutte le ricerche disponibili a livello mondiale”.
L’allevatore partecipa con
interesse?
“Sì, c’è molta collaborazione e
partecipazione da parte degli allevatori. Non dimentichiamo che molte prove si
svolgono negli allevamenti, si studiano le risposte specifiche dei mangimi e si
provano i diversi prodotti naturali”.
Le produzioni Dop stanno
rafforzando il legame col territorio anche dal punto di vista della produzione
degli alimenti zootecnici. Che evoluzioni, opportunità, ostacoli vede?
“Tutte le Dop più rilevanti dal
punto di vista delle produzioni si trovano di fatto nella stessa area e mi
riferisco, nello specifico, a Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di
Parma e di San Daniele, per citare quelle numericamente più rilevanti. Gli
ostacoli sono, quindi, il reperimento della materia prima per l’alimentazione
dei bovini e dei suini. Bisognerà studiare valide soluzioni, se vogliamo dare
un futuro di crescita a tali Dop.
Sui formaggi vediamo che stanno
prendendo sempre più forza, sono comparti dove il prodotto fa la differenza.
Sui prosciutti è un po’ più complesso, perché il sistema è un po’ più in crisi”.
Come uscirne?
“Serve un dialogo che coinvolga tutti gli attori della suinicoltura, così da pianificare una crescita ed evitare il rischio di incorrere in nuove crisi, che sarebbero dolorose per il settore. Bisogna valorizzare le produzioni italiane rispetto a quelle estere e serve un fronte comune per la suinicoltura Made in Italy”.
Sempre più il benessere
animale e la sostenibilità passano attraverso la razione alimentare. Quali
saranno le nuove frontiere sulle quali lavorerete?
“Come azienda stiamo lavorando sui concetti di precision feeding, cioè la nutrizione di precisione, per ottenere una maggiore corrispondenza tra i fabbisogni e gli apporti nutrizionali per evitare o comunque ridurre fortemente gli sprechi. Un altro obiettivo del precision feeding è, invece, legato all’ambiente: migliorando gli apporti amminoacidici all’interno della formula alimentare si punta a ridurre le emissioni azotate in atmosfera, grazie anche all’utilizzo di enzimi specifici che migliorano la digeribilità degli alimenti e l’efficienza della nutrizione animale”.
Come vede i mercati dei
cereali, dei semi oleosi e dei foraggi nei prossimi mesi?
Dobbiamo conoscere il mercato per limitare gli effetti della volatilità
“Difficile dare una risposta, ma
vediamo come operatori due spinte diverse e contrapposte nel mercato. Una direzione
è determinata dai fondamentali del mercato, con i deficit di mais, frumento e foraggio
che potrebbero infiammare i listini e una tendenza opposta dovuta alla
contingenza dell’economia, che potrebbe portare a una minore domanda, spegnendo
le quotazioni.
Dalle informazioni che abbiamo l’Argentina
sta attraversando una fase di siccità e dovrebbe fare i conti con una produzione
in diminuzione. Il Brasile non ha per ora incertezze sul piano climatico, ma i
raccolti li avremo tra febbraio e marzo, per cui è presto per sbilanciarsi.
Parallelamente, abbiamo segnali
di contrazione dei consumi, che sono già in atto. Dobbiamo capire se il calo
influirà e in che misura sulle materie prime. Se, invece, i consumi dovessero
ripartire, avremo una spinta al rialzo delle materie prime. Di fatto, come
mangimisti siamo diventati degli operatori finanziari, dobbiamo conoscere il
mercato e coprirci dai rischi per limitare gli effetti della volatilità, che
temiamo possa comunque accompagnarci anche per il 2023”.
Lei è vicepresidente di
Assalzoo. Avete mai pensato come settore mangimistico di operare attraverso
acquisti congiunti?
“In verità no, perché ogni
singola impresa ha le proprie politiche di acquisto, ma è un tema che potremmo
affrontare, pur nella consapevolezza che non è facile dare indicazioni a tante
aziende diverse”.
Di Pedro E. Piñate B., Medico Veterinario venezuelano e Consulente Agricolo
A fine giugno, OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e FAO hanno pubblicato il rapporto sulle prospettive agricole mondiali 2022-2031. Per prima cosa, emerge la necessità di soddisfare i bisogni alimentari di una popolazione crescente, che arriverà a 8,6 miliardi nel 2031, rispetto ai 7,8 miliardi del 2021. Oltre ai cambiamenti demografici, la domanda sarà influenzata dai redditi dei consumatori e dai prezzi dei prodotti alimentari.
Aumenti di produttività nei Paesi a basso e medio reddito
Nel prossimo decennio, la produzione agricola mondiale dovrebbe aumentare dell’1,1% all’anno con gli incrementi prevalentemente concentrati nei Paesi a basso e medio reddito, ma che richiederanno un accesso più ampio ai fattori di produzione, nonché maggiori investimenti per l’aumento della produttività in tecnologia, infrastrutture e formazione. L’aumento delle produzioni vegetali deriverà per l’80% dall’intensificazione dei sistemi di produzione, per il 25% dall’espansione delle terre e per il 5% da un aumento dell’intensità di coltivazione. L’espansione delle terre coltivate si concentrerà a livello regionale in Asia, America Latina e Africa sub-sahariana. L’allevamento e la pesca cresceranno dell’1,5% all’anno, grazie a miglioramenti della produttività per una gestione più efficiente della mandria ed un migliore regime alimentare; il pollame rappresenterà più della metà della crescita mondiale della produzione di carne. Anche la produzione mondiale di latte crescerà nel prossimo decennio, con la metà degli incrementi localizzati in India e Pakistan.
Per il prossimo decennio occorre prestare particolare attenzione alla questione dell’aumento dei prezzi dei fattori produttivi che fanno lievitare i costi. A questo proposito, il rapporto OCSE/FAO è chiaro sul fatto che gli attuali aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari e dei carburanti sono altamente regressivi, aggravano lo stress economico ed hanno un impatto negativo su produttori e consumatori.
Per quanto riguarda il cambiamento climatico, il rapporto prevede che le emissioni agricole cresceranno ad un ritmo più lento rispetto alla produzione, grazie al miglioramento delle rese ed anche per la riduzione della parte derivante dai ruminanti. Tuttavia, sono necessari ulteriori sforzi affinché il settore agricolo contribuisca efficacemente alla riduzione complessiva delle emissioni di gas serra (GHG). Ciò include l’adozione su larga scala di processi produttivi e di tecnologie intelligenti dal punto di vista climatico, soprattutto nel settore zootecnico.
Un’equa condivisione del reddito lungo la catena agroalimentare
Anche il contesto macroeconomico dei prossimi 10 anni è particolarmente impegnativo, con i conflitti che aumentano l’incertezza. In questo scenario, l’impegno degli agricoltori deve estendersi in modo solidale ai consumatori per un’equa condivisione del reddito lungo la catena agroalimentare. È inoltre essenziale che in ogni Paese le politiche agricole, così come quelle del lavoro, dei salari e dell’ambiente, vengano applicate in maniera uniforme e risultino adeguate e stabili. Il contesto commerciale internazionale deve consentire la necessaria fluidità e trasparenza, senza privilegiare i consumatori a scapito degli agricoltori. Inoltre, nei Paesi esportatori ad economia avanzata, i sussidi agli agricoltori non devono tradursi in una concorrenza sleale nei confronti dei loro colleghi del mondo “in via di sviluppo”, che quindi non si svilupperà mai.
L’attività agricola è uno stile di vita
In ogni luogo l’attività agricola, più che un mestiere, è uno stile di vita i cui valori sono spesso tramandati di generazione in generazione. Rappresenta la salvaguardia e la promozione del territorio. Per questo ogni nazione libera e sovrana deve dotarsi di una politica agricola che tuteli e sostenga chi opera in agricoltura per prendersi cura di quel grande spazio fisico, sociale ed economico collocato oltre la città, chiamato campagna.
Senza dubbio, l’impegno degli agricoltori è per un mondo senza fame, per un mondo migliore.
L’olio di palma è l’olio vegetale più usato al Mondo, un ingrediente indispensabile per prodotti che vanno dalle creme di cioccolato agli shampoo.
L’annuncio nei giorni scorsi del blocco delle esportazioni da parte dell’Indonesia, paese che copre il 57% della produzione mondiale, seguito dalla Malesia col 27%, è stato pertanto dirompente in questo periodo in cui già la scarsità di olio di girasole per il conflitto in Ucraina ha creato tensioni sui mercati.
In una realtà globalizzata, questa misura protezionista, presa per mitigare l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari interni e per sedare possibili disordini locali, potrebbe far salire ancor più i prezzi alimentari mondiali, oltre a sconvolgere anche l’economia stessa del Paese.
l’Indonesia domina la produzione di grassi e oli vegetali
Con più di un terzo della quota totale delle esportazioni, l’Indonesia domina la produzione mondiale di grassi e oli vegetali. L’olio di palma è la prima fonte di esportazione del Paese, con 20 miliardi di dollari nel 2020 ricevuti da clienti importanti come Cina, India e Pakistan. Le ricadute potranno però essere molto pesanti, dato che vietando l’esportazione del suo prodotto essenziale, l’Indonesia avrà minori entrate in valuta pregiata mentre continuerà ad importare beni che stanno diventando sempre più cari. Non per nulla, dopo l’annuncio del divieto la rupia indonesiana si è deprezzata col conseguente aumento dei costi delle importazioni. Già lo scorso anno i prezzi dell’olio di palma erano cresciuti del 28,2% a causa di un calo di produzione in Malesia, mentre da inizio anno sono saliti di ben il 42%. I più vulnerabili a questi aumenti sono i paesi poveri dove la spesa alimentare rappresenta la maggior voce di costo.
Probabilmente l’India subirà le maggiori ricadute negative essendo il più grande importatore di olio di palma, con un’alta percentuale di reddito familiare dedicata alla spesa alimentare. Lo stesso effetto si avrà per le Filippine, paese importatore netto di cibo, dove l’aumento nel prezzo dell’olio vegetale non farà che aumentare le pressioni inflazionistiche, cui si accompagnerà una crescita dei tassi di interesse. Particolarmente vulnerabile è poi l’Africa, sempre per le stesse ragioni: importazione netta di alimenti ed elevata quota di spesa dedicata al cibo.
La situazione per olio di palma non fa poi che alimentare il fuoco inflazionistico in atto nei paesi industrializzati, essendo questa salita su base annua negli USA all’8,5% in marzo ed avendo raggiunto in Australia un massimo ventennale del 5,1% nel primo trimestre del 2022, con le rispettive banche centrali che prevedibilmente aumenteranno i tassi di interesse.
L’impatto dell’aumento dei prezzi dell’olio di palma si riverbererà in tutto il Mondo con inflazione alimentare e riduzione del potere d’acquisto.
Si prospetta una situazione complessa, non solo a livello economico ma anche per le probabili conseguenze sociali e politiche. È un’ulteriore riprova di quanto il Mondo sia interconnesso ed interdipendente
Stefano Spagni – Direttore Commerciale di Progeo Mangimi
“Mi scusi, ero in riunione per risolvere alcuni problemi di entrata ed uscita merci.” Inizia così, con due tentativi a vuoto, l’intervista a Stefano Spagni, direttore commerciale di Progeo Mangimi. Ma non c’è bisogno di scusarsi, perché la concitazione in questa fase non la vive solamente Progeo Mangimi, è una situazione abbastanza diffusa nel settore agroalimentare e non solo.
“Abbiamo dovuto rivedere per la
terza volta le tariffe degli autotrasportatori, per una situazione di rincari
che non è solamente correlata al carburante, ma a tutto ciò che serve per
viaggiare dagli additivi, i cui costi sono quintuplicati, alle spese per i pneumatici
ecc, siamo in un frangente davvero complesso”, spiega Spagni.
Progeo conta oltre 300 soci conferenti e 3.500 soci prestatori ed è una realtà che fattura circa 296 milioni di euro l’anno. I dipendenti sono 258 e le attività di business comprendono tanto l’attività molitoria quanto quella mangimistica e dei conferimenti. La fase, come è noto, è delicata per il settore. Anche per chi, come Progeo Mangimi, gestisce una banca dati con le previsioni di semina e le effettive operazioni in campo, così da avere un quadro sempre aggiornato delle produzioni, dei fabbisogni, dell’andamento meteo-climatico e delle possibili rese in campo, consegne e ritiri.
Come state affrontando questa
ondata di rincari?
“Da un lato abbiamo adeguato le
tariffe, per rispondere agli aumenti subiti da operatori, padroncini, gruppi
privati per i trasporti, accollandoci aumenti dei costi che per noi non
riguardano solo l’energia, ma anche il carburante, il materiale per l’insacco,
i bancali, le stesse provvigioni degli agenti legate al prezzo di vendita e
quant’ altro.
Quanto pesano per voi i rialzi
delle materie prime?
Abbiamo avuto un aumento dei costi delle materie prime del 45-55%
“Complessivamente abbiamo avuto
un aumento del 45%-55% e inevitabilmente, abbiamo dovuto ritoccare i nostri
listini, consapevoli che per gli allevatori l’aumento dei costi di produzione
non è stato supportato dall’ aumento della carne o del latte. Forse in questo
contesto riescono a sostenere i costi i produttori di latte destinato alla
produzione di Parmigiano Reggiano. Per tutti gli altri lo scenario è molto complicato”.
Avete riorganizzato il sistema
dei pagamenti a monte e a valle (cioè verso i vostri fornitori e verso gli allevatori),
attraverso dilazioni o altre soluzioni?
“Per ora non c’è stata la
necessità di farlo e non c’è nemmeno stata la richiesta di farlo. Abbiamo aumentato
l’attenzione per la parte del credito, incrementando il controllo su posizioni
un po’ in sofferenza. Direi che per ora la situazione è lineare, come lo era
7-8 mesi fa. Anche noi come mangimificio siamo rimasti allineati ai pagamenti come
prima”.
Chi sono i vostri fornitori? Importate
anche dalle zone “calde”?
Oltre il 50% del nostro fabbisogno arriva dall’estero
“L’elenco dei nomi sarebbe lungo, abbiamo fornitori esteri e nazionali. Indicativamente il nostro import da zone ‘calde’ proviene per il 15% dall’Ucraina, per il 10% dalla Russia, per un 20% dall’Ungheria e per il 3% dalla Serbia. Oltre il 50% del nostro fabbisogno totale arriva dall’estero e qualche problema inevitabilmente, lo abbiamo avuto. Avevamo contratti con fornitori importatori che originano merce dall’ Ungheria che hanno ritardato in maniera esponenziale le consegne. Dalla Russia attendevamo prodotti che non sono mai partiti, le navi in arrivo a Ravenna erano in navigazione nel Mar Nero prima che scoppiasse la guerra. Difficilmente le semine in Ucraina saranno portate a termine, credo che in questa fase sarà un bacino di approvvigionamento che si andrà ad azzerare e si ridurrà inevitabilmente insieme a quello Russo.
Il mondo zootecnico sta
chiedendo formulati differenti e meno costosi o glieli fornite voi?
Cambiare le formule dei mangimi è controproducente
“Il mercato lo sta chiedendo, ma
non tutti sono d’accordo. Cito il caso di Progeo: noi facciamo 5,5 milioni di
quintali di mangimi, di cui 2,5 milioni sono destinati nell’area di produzione
del Parmigiano Reggiano. Cambiare le formule dei mangimi è controproducente. Stiamo
ricevendo qualche richiesta da parte di produttori di latte alimentare di
rivedere le formule della razione alimentare per inserire materie prime
differenti, magari utilizzando qualche sottoprodotto così da spendere meno”.
La possibilità approvata dalla Commissione UE di eliminare il set-aside e le proposte di incrementare le colture proteiche possono essere una soluzione efficace o solo un provvedimento tampone?
“Bisogna fare una premessa: i terreni tenuti a set-aside sono stati la decisione più fuori dal tempo che potessimo avere. Non ho l’idea se incrementare le semine per 9,1 milioni di ettari in UE, ammesso che vengano seminati tutti i terreni incolti, possa risolvere le esigenze di cereali e proteici. Sicuramente è un provvedimento che ci può aiutare, purché vi sia un percorso per ridurre l’import e incentivare la produzione agricola partendo dall’agronomia”.
Quanto resteranno i prezzi
così elevati per cereali e semi oleosi?
“Non saprei. Se la guerra dovesse
finire, probabilmente potremmo assistere a una riapertura dell’export da parte
di alcuni Paesi che oggi hanno adottato politiche protezionistiche, con una
ripresa dei commerci, potremmo assistere a un calmieramento dei prezzi, ad un
calo speculativo e di conseguenza ad una riduzione dei costi sia dei cereali
che dell’energia. Di certo non rivedremo i prezzi dell’agosto dell’anno scorso,
continueremo a posizionarci su valori più elevati”.
Come operate sul fronte
ricerca e sviluppo?
“La nostra posizione è diversa
dai nostri concorrenti. Se consideriamo la filiera del Parmigiano Reggiano, il
90% delle nostre produzioni sono legate a disciplinari / capitolati.
Dal 1984, inoltre, Progeo ha formulato e prodotto mangime biologico quando ancora non esisteva il regolamento comunitario e, per seguire dei parametri oggettivi e costanti, aveva preso a modello un regolamento francese. Oggi possiamo pensare di essere leader in Italia nella produzione di mangime bio.
Le sfide future saranno legate anche per l’ufficio Ricerca e Sviluppo ad una attenzione all’ ambiente, al green, ed alla riduzione / assenza di utilizzo di antibiotico, tema sicuramente importante per la salute del consumatore”.
Come immaginate le nuove
frontiere della mangimistica?
“Penso che tutti i mangimifici debbano
guardare al futuro, puntando a ridurre l’impatto ambientale, perché è
strategico come alimentiamo gli animali e come alleviamo. Questo non significa
ritornare a modelli di allevamento non intensivi, perché dobbiamo tenere presente
che la popolazione mondiale cresce e chiede proteine animali di qualità. Bisogna
però sapere che serve un nuovo approccio culturale per la filiera”.
Sarà necessario riorientare gli
scambi mondiali per calmierare i prezzi di cereali e semi oleosi?
“Nel 2021 le materie prime avevano
subito un aumento consistente, in quanto la Cina stava acquistando in maniera
importante da tutte le parti del mondo sia cereali che proteici. Un accumulo dettato
prevalentemente dalla ripresa della suinicoltura, dopo la peste suina africana,
che aveva ridotto sensibilmente la mandria di maiali. Non so indicare se dietro
l’import massiccio di Pechino vi fossero altre ragioni, come qualcuno ha paventato.
Vi sono questioni da affrontare di natura politica
Comunque, più che rivedere forzatamente le rotte internazionali, sarebbe opportuno che Europa e Nord America rivedessero le politiche agronomiche. Vi sono anche questioni da affrontare di natura politica. Ad esempio: come incrementare l’autosufficienza dell’Unione Europea in termini di mais e soia? Come risolvere il nodo degli OGM, coltivati negli Stati Uniti e non permessi in Italia? A che punto siamo con le Tea, le Tecnologie di evoluzione assistita? Se la Cina continuerà ad acquistare e la Russia bloccherà le esportazioni verso gli Stati che considera ‘non amici’, come dovremo comportarci?”.
Il grano, insieme a mais e riso, è uno dei tre cereali che sfamano il mondo. Numerosi studi collegano i disordini sociali agli aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari nei paesi che dipendono dalle importazioni di alimenti di base, in particolare del grano. L’uso diffuso del grano e la sua versatilità lo rendono un alimento di base da cui dipendono soprattutto i più vulnerabili. Per eliminare la fame entro il 2030 come indicato dal secondo obiettivo ONU per lo sviluppo sostenibile, occorre innanzitutto che il grano sia disponibile in misura sufficiente ed a prezzi abbordabili a livello mondiale. La realtà che si sta profilando sembra invece essere ben diversa, con i problemi collegati alla pandemia, ai costi energetici ed ora al conflitto esploso in Ucraina.
I minori raccolti nel 2021, insieme alla forte domanda dei paesi importatori di grano, hanno reso i mercati globali del grano più rigidi del solito, il che si traduce in una maggiore vulnerabilità a qualsiasi – anche potenziale – shock di approvvigionamento.
Se Cina ed India sono i paesi che coltivano la maggior quantità di grano, seguite da Russia, USA, Francia ed Ucraina, il maggior esportatore è la Russia, seguita da Canada, USA, Francia ed Ucraina, mentre i maggiori importatori sono Egitto, Indonesia, Turchia, Cina, Nigeria ed Italia.
Tuttavia la risoluzione del conflitto, se anche avvenisse nel più breve tempo possibile, non risolverà il problema, dato che comunque la produzione di grano è a rischio a causa dei cambiamenti climatici.
Secondo la FAO, nel caso di uno scenario ad alte emissioni con crescita delle temperature medie mondiali, la produzione di grano aumenterebbe in Argentina, Australia, Canada, Cile ed Eurasia settentrionale, mentre diminuirebbe nella maggior parte dell’Africa centrale e in parti del Brasile, dell’Asia centrale e dell’India.
Il tutto con una popolazione mondiale prevista in aumento ad 8,5 miliardi di abitanti entro il 2030.
Pertanto, nell’immediato, si può solo sperare che un abbondante raccolto di grano locale salvi i paesi più vulnerabili da una maggiore instabilità alimentare.
La news “Mercato Agricolo” propone una selezione di informazioni recenti sulle commodities agricole impiegate nella filiera zootecnica.
Gravi eventi climatici stanno colpendo diverse parti del Mondo. California,Canada e Brasile stanno vivendo una siccità estrema. L’ondata di caldo ha interessato anche i Paesi Scandinavi. Al contrario, abbondanti precipitazioni hanno duramente colpito l’Europa Occidentale, in particolare la Germania. Nelle ultime ore si stanno verificando alluvioni anche in Cina. Gli effetti di questi fenomeni climatici non sono ancora stati stimati, ma potrebbero interessare le produzioni agricole nel Mondo.
MAIS
Per la nuova stagione, che inizierà il 1° Settembre, si prevede un aumento della produzione per i principali Paesi, rispetto alla stagione precedente, dopo le difficoltà registrate nella stagione 2020-21, tra cui l’attuale siccità in Brasile.
È attesa stabilità nelle importazioni di Mais della Cina, nonostante la politica di riduzione dell’impiego di Mais nell’alimentazione zootecnica, finalizzata a supportare l’uso di materie prime alternative.
Aggiornamento Trade – Le importazioni europee di Mais nei primi 5 mesi del 2021 sono inferiori all’anno scorso, riflettendo un forte calo dall’Ucraina. L’import dell’Italia di Aprile ha registrato una diminuzione.
SOIA
Si stanno riducendo i volumi degli scambi, soprattutto a causa del calo delle importazioni della Cina. Le scorte cinesi, già ad alti livelli, continuano a crescere perché le importazioni dei mesi scorsi hanno superato la capacità di trasformazione.
È previsto un aumento della disponibilità di Soia negli Stati Uniti, ma l’export potrebbe risentire della competizione con l’offerta dal Sud America, dove è attesa una maggior produzione nel quarto trimestre 2021.
Aggiornamento Trade – Le importazioni di Semi di Soia dell’UE-27 nel mese di Maggio 2021 sono diminuite fortemente, in particolare da Brasile e Canada. In controtendenza l’Italia, che ha registrato volumi significativi dal Brasile, ma Canada e Stati Uniti non compaiono in Maggio tra i principali fornitori.
FRUMENTO
Rese elevate in UE-27 hanno comportato un incremento dell’offerta. Dopo basse temperature e casi di siccità in Aprile e Maggio, il raccolto di Frumento ha potuto beneficiare di un clima più favorevole.
I Paesi Nordafricani puntano, tramite l’autoproduzione, a rendersi meno dipendenti dagli altri Paesi. Ciò potrebbe influire sull’export dell’UE, principale fornitore, che su questo mercato compete con Russia, Ucraina e Canada.
L’Australia è un nuovo concorrente sui mercati asiatici per Canada e Stati Uniti. Produzioni ed esportazioni dei due Paesi nordamericani sono attese in diminuzione, anche a seguito di cambiamenti nella destinazione delle superfici agricole ad altri raccolti. La minor disponibilità potrebbe sostenere i prezzi elevati all’export.
Aggiornamento Trade – L’export complessivo di Frumento dell’UE-27 nei primi 5 mesi del 2021 è inferiore all’anno scorso, tuttavia in Maggio 2021 recupera l’export di Frumento Duro verso la Tunisia. Nel primo quadrimestre del 2021 l’Italia ha esportato 66.555 tonnellate di Frumento Duro verso Tunisia ed Algeria.
SEMI DI GIRASOLE
La produzione di Semi di Girasole in Russia è stimata a livelli record per la nuova stagione, con un aumento delle aree coltivate e delle rese dei terreni.
In Italia, il costo della proteina ottenuta dalla Farina di Girasole integrale è, da Aprile 2021, superiore a quello della proteina ottenuta dalla Farina di Soia.
Aggiornamento Trade – Dopo alcuni mesi in diminuzione, nel mese di Maggio 2021 recuperano le importazioni europee di Semi di Girasole, con aumenti rilevanti da Argentina e Russia.
Istantanea dei Prezzi
Questa infografica visualizza alcune variabili chiave per analizzare a colpo d’occhio la situazione del mercato italiano ed internazionale.
I colori sono indicativi della variazione: rosso per una diminuzione, verde per un aumento, blu per valori stabili, grigio con sfondo arancio per valori non quotati.
La gran parte delle proteine nei prodotti succedanei di carne e latte deriva dalla soia. La dipendenza da una sola coltura, di cui l’80% è ottenuto in tre Paesi, Argentina, Brasile e USA, pone evidenti criticità e sottolinea con urgenza il bisogno di trovare altre alternative. Questo non è facile dato il grande valore biologico delle proteine della soia, che contengono tutti i nove aminoacidi essenziali per l’alimentazione umana.
Una alternativa potrebbe essere la colza (Rapeseed o Canola in nord America), oleaginosa largamente coltivata in Europa centro-settentrionale che contiene circa il 20% di proteine di alta qualità. Secondo i ricercatori tedeschi le proteine di colza, presenti nella farina di estrazione dopo la produzione dell’olio, hanno un effetto comparabile se non superiore a quello della soia sui parametri metabolici e producono anche una maggiore sensazione di sazietà. Comportano però un persistente gusto amarognolo, che il miglioramento genetico e le nuove tecnologie cercano di superare.
La ricerca applicata è attiva per definire il potenziale della colza come componente di nuovi prodotti alimentari da fonti vegetali plant-based. Ad esempio nel Regno Unito una iniziativa pubblico/privata cerca di sviluppare prodotti da forno senza glutine per i celiaci, partendo anche dalla farina d’estrazione di colza. Un vantaggio di questa brassicacea rispetto alla soia è l’assenza di fitoestrogeni (isoflavoni) e l’assenza di modifiche genetiche. La grande diffusione dell’olio di colza e la sua accettazione da parte dei consumatori, insieme a questo differenziale positivo, porta dunque ad intravedere interessanti possibilità per i nuovi prodotti plant-based.
TESEO.clal.it – Costo di 1000gr (1kg) di proteine fornite da Soia e Colza
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Lunedì 21: Aggiornamento dei sistemi
Gentile Utente,
nel contesto della nostra attività informatica per i servizi informativi dei siti web CLAL.it e TESEO.clal.it, abbiamo programmato per la giornata di lunedì 21 agosto 2023 un aggiornamento dei nostri sistemi informatici.
L’intervento inizierà alle ore 9:00 ed interesserà l’intera giornata di lunedì. Durante questa attività, i siti potrebbero risultare temporaneamente non consultabili, e l’aggiornamento di alcuni dati potrebbe subire dei ritardi. La newsletter “Novità dal Mercato” della domenica sarà posticipata ai giorni successivi.
Grazie per la vostra comprensione durante questa attività, che va a supporto dell’informazione in tempo reale offerta tramite i nostri siti web.
- Il Team di CLAL
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