Nel mondo si contano fino a 7039 specie di piante edibili. Quelle coltivate sono però appena 417, ma il 90% delle calorie vegetali per l’alimentazione umana deriva solo da 15 di esse. Quindi, a fronte di un patrimonio di risorse genetiche formatesi 10 mila anni fa per azione di meccanismi biologici e per selezione naturale ed accumulate da generazioni di agricoltori che hanno domesticato, selezionato e trasferito da zone geografiche diverse tutte quelle specie da cui ricavare prodotti utili all’uomo, il sistema agroalimentare si è sempre più affidato ad un numero circoscritto di specie vegetali.
Le grandi monocolture
Si tratta delle grandi monocolture, quali il grano, il riso, la soia, il mais o le banane, da cui più o meno tutti dipendiamo, cioè le commodity, che dominano i sistemi alimentari come risultato di due fattori finalizzati ad ottenere produzioni sempre più uniformi per dimensione, aspetto, qualità: l’innovazione tecnologica e la richiesta del mercato. Il naturale percorso dalla terra alla tavola che fino a non molto tempo fa accomunava i produttori ai consumatori in un sistema equilibrato, è andato via via scemando ed ha dato origine alla standardizzazione delle coltivazioni e dei consumi.
Questo processo ha permesso di accrescere notevolmente la produzione agricola, ma la crescente dipendenza da un numero così ridotto di fonti alimentari espone ad una grande vulnerabilità verso le patologie vegetali o gli effetti climatici che potrebbero interessare le medesime coltivazioni in tante regioni del mondo. La pandemia Covid dovrebbe essere una lezione. Questa ridotta biodiversità agricola accresce l’insicurezza alimentare, anche per il ridotto numero di nutrienti ad essa associata. Diete sempre più standardizzate, un ricorso sempre maggiore a piatti preparati, la perdita delle capacità abituali per la cucina e l’economia domestica sono poi correlate alle tipiche malattie croniche del nostro tempo, come obesità e diabete. Un sistema alimentare uniforme e standardizzato diventa debole e si manifesta con effetti negativi sull’ambiente e sulla popolazione.
Recuperare la biodiversità agricola
Quindi occorre recuperare il valore della biodiversità agricola per mantenere la sicurezza alimentare e nutrizionale delle popolazioni diversificando le specie coltivate, agendo sul loro miglioramento genetico ed adottando sistemi agroalimentari più resilienti. La riduzione dell’agrobiodiversità comporta fenomeni quali l’aumento dell’erosione, l’acidificazione delle acque, la perdita di fertilità dei terreni, cioè la degradazione ambientale.
Educare i consumatori
Implementare il numero di specie coltivate richiede però un grande impegno, precise volontà ed una educazione dei consumatori che debbono essere reindirizzati nelle loro scelte. Ad esempio ad acquistare frutta e verdura con qualche difetto esterno, ma molto più appetibili per sapore, aroma, consistenza. La valorizzazione delle specie marginali o dimenticate è poi particolarmente importante nelle regioni più povere del pianeta, dove il ricorso alle colture standardizzate diventa economicamente insostenibile e sarebbe socialmente devastante per il ricorso a tecnologie troppo avanzate.
Lo sforzo verso la promozione della biodiversità agricola deve essere globale, così come globale è il sistema agroalimentare delle commodity. In questo senso, la strategia UE sulla biodiversità rappresenta ad esempio una indicazione coraggiosa da considerare con attenzione.
PS: un esempio di agrobiodiversità per l’alimentazione bovina che abbiamo tutti sotto gli occhi sono i prati stabili, con decine di specie vegetali per ettaro…
Fonte: FoodNavigator