Carenza di manodopera nelle Aziende da Latte inglesi
1 Ottobre 2024

Il 56% delle aziende da latte inglesi ha difficoltà a reperire manodopera, tanto che il 10,6% ha dovuto ridurre il numero di animali in allevamento e l’86% afferma di non aver avuto risposta alle offerte di lavoro. Questi dati sono il risultato di un sondaggio che ha effettuato Arla, il più grande operatore lattiero-caseario del Regno Unito, su 472 dei suoi duemila fornitori di latte. Ne risulta anche che in media il personale è pagato il 27% in più rispetto al 2019. In questa situazione, se non vi saranno cambiamenti, il 16% degli intervistati afferma di considerare la possibilità di cessare l’attività determinando serie incertezze sulla sicurezza alimentare del Paese.

Mancanza di manodopera qualificata e Giovani che restino

Quello della forza lavoro è un problema presente lungo tutta la filiera. Le sfide più grandi sono l’attrazione di persone qualificate con le competenze corrette per le moderne tecnologie soprattutto nel campo dell’automazione e di attrarre un maggior numero di giovani che poi restino nel settore.

Arla ha già adottato una strategia lungo tutta la sua catena di fornitura per attrarre e trattenere personale, con un’attenzione anche ad una equilibrata rappresentanza di genere, ma ritiene necessario un sostegno pubblico per aiutare a promuovere la produzione alimentare come scelta di carriera tra una popolazione sempre più diversificata. Le richieste comprendono la riduzione delle formalità amministrative per gli agricoltori semplificando gli adempimenti burocratici, l’adeguamento dei programmi scolastici e formativi alle realtà produttive del settore agroalimentare per lo sviluppo delle competenze, l’accelerazione degli investimenti in tecnologia per sostenere l’automazione nelle aziende agricole. La necessità di interventi decisi per dare certezza e futuro alla produzione emerge anche dal sondaggio effettuato da National Farmers’ Union, il maggiore sindacato agricolo inglese, da cui risulta che il grado di fiducia degli operatori è sceso al livello più basso dal 2010.

Tutti i settori di attività agricola manifestano previsioni pessimistiche sui livelli produttivi del prossimo futuro per gli impatti del cambiamento climatico e soprattutto l’aumento dei costi che per la produzione di latte sono cresciuti del 44% negli ultimi cinque anni ed il calo delle marginalità. Il 60% degli agricoltori lamenta un calo nei profitti o delinea la possibilità di cessare l’attività. Pertanto si chiede un adeguamento degli stanziamenti pubblici al settore, che invece negli ultimi cinque anni sono rimasti sostanzialmente stabili, portandoli a 3,4 miliardi di sterline rispetto ai 2,4 attuali.

Fonte: Arla Foods

CLAL.it – Da dicembre 2015 a dicembre 2023, il numero di vacche da Latte in Regno Unito è diminuito da 1.918.076 a 1.839.277, con una riduzione di 78.799 capi, pari al 4,1% in otto anni.

Megastalle e Reflui zootecnici: un modello agricolo sostenibile?
24 Settembre 2024

Negli Stati Uniti i digestori per la produzione di biogas realizzati presso le grandi stalle (megadairies), allevamenti con centinaia o migliaia di vacche da latte, stanno sollevando un dibattito, soprattutto negli Stati lattieri più produttivi come California e Wisconsin, che comprende tematiche relative ad emissioni, rispetto ambientale, produzioni energetiche ma, soprattutto, modello di sviluppo aziendale orientato verso unità produttive di sempre maggiori dimensioni seguendo lo schema industriale.

Ormai da tempo la produzione di biogas dal letame è considerata essere un metodo virtuoso per ridurre le emissioni di metano e tra il 2010 e il 2020 il Dipartimento per l’agricoltura statunitense ha disposto 117 milioni di dollari di sovvenzioni per i digestori anaerobici. A livello internazionale, nel 2021 durante la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP26) è stato lanciato il Global Methane Pledge, sottoscritto anche dall’UE, che mira a ridurre le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030, prendendo come base di riferimento i livelli del 2020. Gli Stati Uniti hanno pubblicato il proprio piano di riduzione del metano che mira a sviluppare ulteriormente il settore attraverso specifiche politiche e ricerche con risorse a favore della produzione di biogas da letame, cui si attribuisce circa il 9% delle emissioni di metano mentre il 27% deriva dalla fermentazione enterica dei ruminanti. Di conseguenza si sono diffusi i biodigestori presso le aziende da latte per trasformare i reflui zootecnici in modo virtuoso per l’ambiente ed anche profittevole per l’impresa. Le voci critiche sostengono però che il biogas usato come combustibile è essenzialmente equiparabile a quelli fossili e dunque non può essere considerata energia pulita per contrastare il cambiamento climatico. Solo per citarne un paio, una ricerca di Friends of the Earth sostiene che i digestori per la produzione di biogas possono costituire un incentivo per aziende con dimensioni sempre maggiori, radicando ulteriormente sistemi alimentari che impattano sia le persone che l’ambiente, mentre in California è stato rilevato che la biodigestione del letame comporta fino al 15% di perdite di metano in atmosfera.

Il dibattito però coinvolge più in generale la natura e la diffusione delle megastalle come modello di industria agricola che comporta molti reflui impattanti sull’ambiente. Quando si hanno troppi animali in un unico luogo si avranno troppi rifiuti in poco spazio, che diventano un problema che va oltre la finalità di un biodigestore. La questione si pone anche in Italia, dato che negli ultimi dieci anni a fronte di un calo del 26% di aziende da latte, quelle con oltre 500 vacche sia aumentato del 54%.

TESEO.clal.it – Italia: evoluzione delle Aziende da Latte

Fonti: Modern Farmer e Frontiers

La Resistenza Antimicrobica interessa gli investitori mondiali
10 Settembre 2024

L’importanza della gestione degli antibiotici si inserisce in un contesto più ampio: quello degli antimicrobici.

Il prossimo 26 settembre in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite si terrà a New York l’incontro di rappresentanti ad alto livello sulla resistenza antimicrobica (AMR), una problematica equiparabile agli effetti disastrosi della pandemia  Covid o della crisi finanziaria del 2008. Si calcola che l’AMR nel 2019 abbia causato 1,3 milioni di decessi nel mondo, cioé più di quelli di Aids e malaria insieme, con una tendenza che potrebbe portare a 10 milioni di morti all’anno entro il 2050.

La resistenza antimicrobica non è solo una minaccia per la salute, ma rappresenta anche un danno economico. Si prevede infatti che con l’andamento attuale, i costi per il sistema sanitario potrebbero ammontare a 412 miliardi di dollari e le perdite produttive 443 miliardi di dollari. 

Azioni concrete lungo tutta la catena agroalimentare

Diversi provvedimenti sono stati messi in atto per affrontare questo grave problema, dichiarato dall’OMS emergenza sanitaria prioritaria. Nell’Unione Europea fra il 2018 ed il 2022 l’uso di antimicrobici in campo zootecnico è diminuito del 28%, con l’impegno degli Stati membri di ridurlo del 50% entro il 2030. Dato l’impatto economico e finanziario, l’antimicrobico resistenza è divenuta un serio fattore di rischio anche per gli investitori che attraverso varie rappresentanze a livello mondiale propongono azioni concrete per ridurre l’uso degli antimicrobici, in particolare lungo tutta la catena agroalimentare.

La prima proposta è di costituire un gruppo indipendente di esperti simile a quello sul cambiamento climatico (IPCC) in modo da fornire ai governi riferimenti scientifici certi per adottare opportuni provvedimenti legislativi.
Poi impegnare i Paesi a ridurre l’uso degli antibiotici ed altri antimicrobici negli allevamenti, fissare dei livelli massimi di residui nei reflui delle produzioni, realizzare un sistema internazionale di controllo e sorveglianza in campo umano, animale ed ambientale.
Gli investitori sottolineano poi l’importanza dei programmi di ricerca per ottenere nuove formulazioni antimicrobiche e nuove molecole in grado di bloccare le infezioni.

La cooperazione globale è essenziale

Ci sono emergenze mondiali che richiedono un approccio a livello mondiale. Fra queste rientra il grave problema della resistenza antimicrobica, per cui emerge più che mai sottolineando la necessità di una cooperazione globale, di finanziamenti sostanziali sia pubblici che privati e di soluzioni innovative per garantire un futuro più sano per tutti ed ovunque.

Fonte: Investor Action on AMR

Il Commento: Il mercato del bovino a carne rossa… [Alessandro De Rocco, AZOVE]
16 Luglio 2024

“Il mercato del bovino a carne rossa negli ultimi tre esercizi è stato caratterizzato da un andamento positivo. Quest’anno è invece molto più complesso, con una distonia fra i prezzi dei bovini da ristallo francesi, che hanno raggiunto valori mai visti e totalmente disconnessi con il prezzo del bovino ingrassato. Nel passato abbiamo affrontato periodici momenti di crisi, ma la situazione attuale è inedita e non si intravedono segnali di riequilibrio nel breve termine”.

Alessandro De Rocco – Allevatore e Presidente di AZOVE

C’è preoccupazione nelle parole di Alessandro De Rocco, 57 anni, Allevatore, Presidente della cooperativa AZOVE. L’Associazione zootecnica veneta ha sede a Cittadella (Padova) e conta circa 80 soci allevatori per una produzione e lavorazione delle carni di circa 50.000 bovini annui.

“Negli ultimi quattro anni i dati indicano il progressivo calo del patrimonio europeo sia di vacche nutrici che da latte in misura variabile tra l’1% e il 2% annuo con le conseguenti minori nascite di vitelli da ingrasso. Questi dati hanno un impatto sulla disponibilità di carne e quindi sui prezzi e, normalmente, dovrebbe ripartirsi sulle varie fasi della filiera sino al consumo. Negli ultimi mesi, invece, gli ingrassatori subiscono la minor disponibilità di bovini da allevamento pagando prezzi più alti anche del 15% rispetto allo scorso anno, mentre il mercato dei bovini da macello resta pesante”, prosegue De Rocco.

“Il mercato per ora resta un’incognita e per molti Allevatori che stanno ristallando in queste settimane il ciclo produttivo sarà una vera e propria scommessa ed è veramente arduo pensare ad un recupero dei costi di produzione – dice il Presidente di AZOVE -. I distributori mettono in competizione tra loro i Macelli per tenere bassi i prezzi delle carni macellate, nonostante la produzione sia a volte persino insufficiente a soddisfare la domanda”.

“Per avere una bistecca, tenendo conto di tutto il ciclo produttivo dal bovino dal concepimento del vitello, alla sua nascita, arrivando all’ingrasso e alla macellazione, sono necessari almeno tre anni di lavoro – riassume il Presidente di AZOVE – con uno sforzo notevole. Se consideriamo tutto questo forse sapremo riconoscere il vero valore dell’alimento carne”.

“Con un primo calcolo non esaustivo – spiega De Rocco – basterebbe che agli Allevatori venisse riconosciuto un aumento di prezzo al dettaglio di 70/90 centesimi per chilogrammo di carne e le stalle potrebbero investire in tema di benessere animale, competitività, sostenibilità. Servirebbe maggior etica nella filiera, ma è un concetto che da solo il mercato non conosce”.

“Si rischia la ulteriore chiusura di altri allevamenti e si sta scoraggiando l’insediamento dei giovani senza il quale non c’è futuro. Ma se cede l’anello più debole, l’allevamento, anche gli altri ne subiranno le conseguenze”.

TESEO.clal.it – Prezzi delle Carni Bovine

Il Commento: Le quotazioni dei Foraggi [Kristian Minelli, Allevatore]
1 Luglio 2024

Kristian Minelli – Allevatore e Vicepresidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano e di GranTerre

Le quotazioni dei Foraggi si mantengono su valori elevati per effetto dei cambiamenti climatici che, per il secondo anno consecutivo, comportano una riduzione delle quantità raccolte e, soprattutto, della qualità. “La stagione anomala con precipitazioni abbondanti e al di sopra delle medie stagionali ha generato quotazioni al rialzo – commenta Kristian Minelli, Allevatore di San Benedetto Po (Mantova) e Vicepresidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano e di GranTerre -. Stiamo inoltre scontando sul mercato alcune giacenze dello scorso anno che ha paradossalmente rallentato le quotazioni, pur con una qualità non esattamente soddisfacente”.

Le quotazioni potrebbero tuttavia subire repentine impennate, per effetto delle condizioni meteo-climatiche che hanno tagliato la Penisola in due: pioggia al Nord e siccità al Centro-Sud. “Se dovesse persistere la siccità, che ha già provocato molti danni in Sicilia e in generale nel Sud Italia – specifica Minelli – parte della produzione del Nord Italia potrebbe essere venduta per andare in soccorso alle stalle maggiormente in difficoltà, innescando fluttuazioni verso l’alto dei prezzi dei foraggi”.

La scarsa produzione del 2023 a livello europeo ha intanto frenato le esportazioni dell’Ue di erba medica e altri prodotti foraggeri fra Gennaio-Aprile 2024 (-27,7% tendenziale) e dell’Italia, che fra Gennaio e Marzo 2024 ha ridotto le vendite all’estero del 17,9% rispetto allo stesso periodo del 2023.

CBAM e Fertilizzanti per l’UE-27 e l’Italia
25 Giugno 2024

Sono sempre di più le misure implementate all’interno dell’Unione Europea con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale delle produzioni. 
Tuttavia, il rischio è quello di ridurre la competitività delle produzioni locali rispetto a quelle in altri Paesi dove i vincoli ambientali sono meno stringenti.

È quindi necessario assumere una visione globale per adottare soluzioni efficaci e che evitino la rilocalizzazione delle emissioni e l’indebolimento degli obiettivi climatici dell’UE. D’altra parte, le emissioni non conoscono confini.

In questo contesto è stato ideato il CBAM, un meccanismo che vuole adeguare il costo delle emissioni associato ai prodotti importati a quello dei prodotti domestici.

Vediamo meglio nella pratica di cosa si tratta e perché potrebbe impattare sui prezzi dei Fertilizzanti, in questa nuova breve presentazione.

Ridurre le Emissioni è possibile
18 Giugno 2024

Le emissioni azotate derivanti dall’intensificazione delle pratiche agricole e da carichi di bestiame elevati portano alla liberazione di ammoniaca in atmosfera, col conseguente aumento di quel particolato fine nell’aria (PM2,5) responsabile di crescenti patologie respiratorie nella popolazione.

Il problema è serio. Riguarda diverse zone del mondo, inclusa la Pianura Padana dove la concentrazione di elementi inquinanti nell’aria, fra ammoniaca (NH 3), ossidi di azoto (NO) e di zolfo (SO), è fra le più elevate d’Europa, come è stato recentemente dimostrato dal progetto Inhale (Impact on humaN Health of Agriculture and Livestock Emissions), per studiare l’impatto sulla salute umana delle emissioni dell’agricoltura e dell’allevamento in Lombardia.

Ridurre le emissioni di ammoniaca, dato che per l’81% derivano dall’agricoltura, è possibile.
Per questo occorre adottare cinque regole:

  1. Uso efficiente delle proteine nella razione, per ridurre l’azoto in eccesso escreto dagli animali sotto forma di urea urinaria;
  2. Pulizia frequente e regolare delle aree di allevamento;
  3. Copertura delle vasche di stoccaggio dei liquami;
  4. Tecniche di spandimento come barre o dischiere;
  5. Gestione con cura dei fertilizzanti, in particolare l’urea.

Poi bisogna considerare il continuo consumo di suolo.

La sostenibilità ambientale è la base per la credibilità delle nostre produzioni, in primis le DOP.

TESEO.clal.it – Italia: Allevamenti e capi Bovini

Sostenibilità: molto più di un semplice slogan
7 Maggio 2024

Equilibrio tra bisogni presenti e futuri (Rapporto Brundtland, 1987)

Oggi parlare di sostenibilità è quasi diventato uno slogan da declinare per azioni quali il riciclo, le pratiche di agricoltura conservativa, la riduzione delle emissioni o la lotta al cambiamento climatico. Però sostenibilità ha un significato molto più ampio e profondo, quello di “consentire alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Questo termine oggi così tanto in voga rimonta al lontano 1987 quando la Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo dell’ONU, presieduta dal primo ministro norvegese signora Bruntland, presentò il rapporto «Our common future» (Il futuro di tutti noi), indicando le azioni da attuare per uno sviluppo sostenibile.  Implicito in questo termine è pertanto il concetto dei bisogni, che evidenzia l’obiettivo di provvedere alle necessità essenziali per i meno abbienti ed il fatto che l’economia e l’organizzazione sociale debbano tener conto delle capacità dell’ambiente di provvedere ai bisogni presenti e futuri del mondo.

La storia mostra l’urgente necessità dello sviluppo sostenibile

La storia insegna come con l’aumento delle esigenze e dei bisogni della società, il volume e la struttura del consumo di varie risorse iniziano a cambiare innescando problemi su scala mondiale quali guerre, disuguaglianze sociali, disastri ambientali, peraltro prevedibili. Nel ventesimo secolo, questi problemi si sono aggravati in modo significativo ed hanno creato una crisi sistemica che impone di affrontarli in modo rapido.  Pertanto, bilanciare i tre “pilastri” dello sviluppo sostenibile –in inglese Planet, People, Profit – diventa una pratica intrinsecamente positiva ed una necessità da perseguire in modo fattivo da parte di tutti. Per questo occorre riconsiderare l’uso dei carburanti fossili, carbone, petrolio, gas, che rappresentano oltre il 75% delle emissioni di gas ad effetto serra e contrastare la deforestazione nelle zone umide tropicali, scrigno di biodiversità. Di uguale importanza, anche se meno dibattuto, è il tema della salvaguardia dei diritti umani, dei principi di giustizia e di tutela della salute. Nelle attività economiche occorre ridefinire e innovare la produttività della catena del valore riducendo le risorse impiegate e migliorando i processi di distribuzione del valore.

Il rapporto Brundtal, già quasi quarant’anni fa forniva ai governi una prospettiva globale di politiche per il riconoscimento del valore strumentale di un ambiente naturale sano, compresa l’importanza della biodiversità; la protezione e l’apprezzamento dei bisogni delle culture locali; la cura dell’equità economica e sociale nelle comunità di tutto il mondo; l’attuazione responsabile e trasparente delle politiche pubbliche. Solo nel 2015 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, indicando i 17 obiettivi volti a creare una società equa a livello mondiale, in un ambiente sano e prospero.

Oltre alle politiche pubbliche, lo sviluppo sostenibile impone però un impegno concreto, convinto e condiviso da parte di tutte le componenti la società, cioè tutti noi, in tutto il mondo.

Fonte: United Nations

I dati sono la rappresentazione plastica di una tendenza alla DIMINUZIONE delle aziende e alla CONCENTRAZIONE della mandria
22 Aprile 2024

Di: Marika De Vincenzi

Con una flessione dell’8,3% in sei mesi (Giugno 2023-Dicembre 2023), il numero degli allevamenti di suini in Italia scende sotto la soglia psicologica dei 100.000 e passa da 106.124 a 97.331.

In diminuzione, ma più contenuta (-2,25%) il numero dei suini, che a Dicembre dello scorso anno cala a 8.161.676 unità. La Lombardia, con solo il 6% degli allevamenti in Italia (-4,2%), produce il 48% dei maiali (3.945.953), con un calo di poco superiore al 3% e si conferma la prima Regione suinicola a livello nazionale. Seguono Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia, a conferma della marcata concentrazione dei capi nel Nord Italia. Queste quattro Regioni, insieme alla Lombardia, sommano 18.660 allevamenti (pari al 19% del totale nazionale) e suini (pari all’88% del totale nazionale).

Il Nord Est registra un calo considerevole degli allevamenti (-16,54% il Veneto e -18,55% il Friuli Venezia Giulia), così come Calabria (-52,88%), Valle d’Aosta (-27,66%) e Puglia (-17,80%).

Relativamente al numero degli animali allevati, Abruzzo e Basilicata registrano le maggiori frenate, rispettivamente -8,87% e -4,73%, con la Basilicata che però raddoppia il numero di allevamenti, che passano da 705 di Giugno 2023 a 1.460 di Dicembre 2023 (+107%).

I dati sono la rappresentazione plastica di una tendenza alla diminuzione delle aziende e alla concentrazione della mandria, fenomeno comune anche ad altri indirizzi zootecnici e ad altri Paesi dell’Unione europea.
Fra le motivazioni (fonte: Accademia dei Georgofili), la scarsa attrattività del settore agricolo nei confronti dei Giovani (nell’Ue, solo un Agricoltore su cinque ha meno di 45 anni e meno dell’1% degli agricoltori europei è sotto i 25 anni), la burocrazia, la scarsa competitività delle imprese, la difficoltà di accesso al credito.

Il Commento: La priorità è fermare la PSA [Antenore Cervi, Suinicoltore]
12 Febbraio 2024

Antenore Cervi, Allevatore e referente nazionale per il settore Suini di CIA

“Qualsiasi analisi non può prescindere dall’evoluzione della Peste Suina Africana e dalla battaglia per un contenimento rapido ed efficace. Non possiamo permetterci che la Psa raggiunga le aree di stagionatura dei prosciutti Dop, altrimenti ci ritroveremo a subire un impatto estremamente negativo in termini di export, con un rimbalzo drammatico sui mercati”. 

Antenore Cervi, Allevatore e referente nazionale per il settore Suini di Cia-Agricoltori Italiani, lo dice con estrema chiarezza: “La priorità della Suinicoltura è fermare la PSA”.

Le prossime settimane, osservando le dinamiche complessive, non dovrebbero secondo Antenore Cervi provocare “forti scossoni, almeno per quanto riguarda il lato allevatoriale. I costi dell’alimentazione dovrebbero stabilizzarsi rispetto a montagne russe dell’anno precedente”. 

Le incognite, però, non mancano. “Bisogna dare una corretta remunerazione dei suini, anche perché nel corso dell’anno gli Allevatori dovranno fronteggiare significativi investimenti strutturali per biosicurezza e benessere animale – puntualizza Cervi -. Allo stesso tempo, bisognerà fare in modo che ciascun anello della filiera trovi un giusto equilibrio”. 

Nel 2023, secondo i numeri citati da Cervi, “le cosce omologate per la DOP sono state 10,56 milioni, delle quali 7,3 milioni destinate al circuito del Prosciutto di Parma; fra le principali destinazioni DOP delle cosce suine abbiamo registrato una diminuzione complessiva di pezzi superiore alle 519.000 unità. Nel 2023, inoltre, il calo dei suini tatuati è stato di 240.000 capi, che significa un calo ulteriore delle produzioni Dop nei prossimi mesi”.

Una flessione che dovrebbe mantenere, in proiezione, i prezzi abbastanza elevati. “Resta il punto di domanda sui prezzi al consumo: riusciranno ad essere soddisfacenti per la filiera? Perché difficilmente sarà possibile aumentarli, senza rischiare una retrocessione delle vendite”, afferma Cervi.

TESEO.clal.it – Suini: prezzi dei tagli freschi