Cambiamento climatico: il doppio impegno degli Allevatori
15 Aprile 2025

Al di là della narrativa rappresentata dai ghiacci che si sciolgono o dai violenti fenomeni meteorologici, il cambiamento climatico è un fatto sempre più evidente anche nella vita quotidiana dell’Allevatore. Metano, ossido di azoto ed anidride carbonica, sono prodotti nelle varie fasi del ciclo lattiero e contribuiscono tutti al riscaldamento globale. A preoccupare è soprattutto l’anidride carbonica, gas che ha un effetto relativamente debole sul riscaldamento ma che permane per centinaia di migliaia di anni. È però difficile accettare che l’attività produttiva di un’azienda da latte, così connessa con le risorse naturali che la circondano, sia anche problematica per l’ambiente.

Innovazione e politiche agricole: serve un’azione collettiva

La scienza afferma che, sebbene una attività meno intensiva sia in genere migliore per il benessere animale ed anche per gli ecosistemi locali, la sua impronta di carbonio per litro di latte è quasi sempre maggiore rispetto all’allevamento intensivo. Questo perché le emissioni di metano ed ossido d’azoto per vacca sono indipendenti da quanto latte produce. Pertanto, se una vacca produce più latte, le emissioni per litro diminuiscono. Anche riducendo la mortalità dei vitelli e l’incidenza delle malattie si riducono le emissioni di metano ed altri gas per litro di latte prodotto. In generale poi un allevamento intensivo sarà tanto più sostenibile quanto sarà associato a pratiche agricole conservative.

Le scelte aziendali verso l’innovazione, così come l’introduzione di nuove tecnologie per contenere le emissioni nell’allevamento, debbono essere parte di una azione collettiva di tutta la società e dunque non possono prescindere dalla pianificazione strategica delle politiche agricole a livello ampio, nazionale e sovranazionale.

Il ruolo centrale dell’Allevatore

Dunque, al di là degli stereotipi trasmessi dai mass media, il problema è reale ed ognuno deve sentirsi responsabile per un’evoluzione sostenibile delle pratiche produttive. La variazione nella quantità di gas effetto serra (GHG) in parte è un fatto naturale, ma viene senz’altro accelerata dalle attività umane. In questo, gli agricoltori hanno una doppia responsabilità: contenere le emissioni e salvaguardare l’ambiente.

Le vacche sono il bene più prezioso dell’allevatore. Se stanno bene, starà bene anche lui.

Fonte: BBC

Contrastare lo spreco alimentare lungo la Filiera
1 Aprile 2025

Unione Europea131kg spreco di cibo per abitante nel 2021

Il cosiddetto spreco alimentare è un problema che riguarda tutta la filiera: produzione primaria, trasformazione, distribuzione, ristorazione, consumi domestici. Solo nell’Unione Europea (dati 2021) si calcola che siano andate sprecate circa 60 milioni di tonnellate di cibo, pari a 131 kg per abitante. Oltre la metà di tale spreco, 70 kg, è avvenuto a livello domestico, 28 kg durante le fasi di trasformazione, 12 kg nella ristorazione, 9 kg nella distribuzione ed 11 kg nella produzione agricola. Oltre al valore, stimato in 132 miliardi di euro, lo spreco alimentare contribuisce significativamente alle emissioni di CO2, calcolate in 254 milioni di tonnellate ed all’uso di 342 milioni di metri cubi d’acqua, gli sprechi energetici e delle altre risorse naturali. Bisogna poi considerare i costi per la raccolta e lo smaltimento del cibo scartato, che comporta, sempre in un anno, un costo di oltre 9 milioni di euro. Nel contempo, sempre nella UE, 37 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza.

A livello mondiale il problema diventa enorme:  secondo il rapporto Waste Watcher 2024, ogni anno vengono sprecate oltre un miliardo di tonnellate di cibo, mentre circa 773 milioni di persone soffrono la fame.

Dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030: l’obiettivo ONU

Per contrastare questa situazione abnorme ed insostenibile le Nazioni Unite, nel contesto degli obiettivi di sviluppo sostenibile, hanno stabilito di raggiungere entro il 2030 il dimezzamento dello spreco alimentare. Con tale impegno, il Parlamento Europeo ha proposto di innalzare al 20% l’obbligo di ridurre gli scarti nella trasformazione alimentare rispetto alla media del biennio 2020-22, prendendo a riferimento una metodologia comune per determinare lo spreco di cibo. Altre misure riguardano la revisione degli standard di mercato per frutta e verdura in modo da permettere agli agricoltori di vendere direttamente prodotti ortofrutticoli con caratteristiche non conformi alle norme di commercializzazione ma ritenuti idonei al consumo dalle comunità locali. Tali prodotti potranno anche essere destinati alla trasformazione industriale.

Inoltre, sempre se le condizioni sanitarie sono garantite,  sarà possibile vendere anche quei prodotti che sono stati colpiti da disastri naturali od ottenuti in circostanze eccezionali.  Verranno poi semplificate le norme relative agli alimenti oggetto di donazioni alimentari.

La lotta contro lo spreco alimentare richiede un impegno collettivo e l’adozione di pratiche sostenibili a tutti i livelli della filiera alimentare. Solo attraverso una collaborazione efficace tra aziende, enti non-profit e cittadini possiamo ridurre significativamente questo problema e contribuire ad un futuro più sostenibile.

Fonte: EUR-Lex

Custodire la Biodiversità
19 Marzo 2025

Ci sono dei temi che sovrastano la sete di potere e di dominio. Uno di questi è il mantenimento della sicurezza alimentare, che comporta un prerequisito: la salvaguardia della biodiversità.

La Biodiversità è essenziale per la Sicurezza alimentare del futuro

Esiste un problema sulla terra che tocca tutti e verso il quale nessuno può dirsi al riparo: la diversità delle specie vegetali, e di conseguenza delle sementi impiegate nelle coltivazioni, sta scomparendo ad un ritmo accelerato, il che sta minando la resilienza dei sistemi alimentari. La ragione di questa allarmante dinamica risiede nei cambiamenti ambientali, tecnologici e sociali sempre più rapidi, tra cui gli eventi climatici estremi, i cambiamenti nelle pratiche agricole, la comparsa e la diffusione di nuovi parassiti e malattie. A tutto questo vanno aggiunti i conflitti che stanno avvenendo in molti luoghi del mondo.

Secondo il rapporto della FAO “State of the World’s Biodiversity for Food and Agriculture”, delle 20.000 piante commestibili e delle 6.000 che storicamente sono state utilizzate come fonte di cibo, meno di 200 vengono oggi coltivate e solo nove rappresentano i due terzi della produzione alimentare mondiale.

Per custodire il patrimonio della biodiversità, all’inizio del ‘900 con Vavilov sono sorte le banche del germoplasma. Lo scienziato russo aveva ipotizzato che la coltivazione delle piante avesse avuto origine nelle aree geografiche di maggiore concentrazione delle diversità genetiche. Di conseguenza viaggiò in tutte le parti del mondo per collezionare piante e semi onde aumentare la produzione agricola attraverso le leve della diversità e del miglioramento genetico.  Il suo lavoro permise di studiare l’interferenza dell’ambiente con l’adattamento delle specie botaniche, cioè il rapporto fra genoma e fenotipo, nel meccanismo di trasmissione ereditaria dei caratteri.

Il Global Seed Vault nelle isole Svalbard protegge 1,3 milioni di semi da tutto il mondo

Per garantire la conservazione del patrimonio mondiale di germoplasma, fondamentale per la vita futura, nelle remote isole Svalbard norvegesi, prossime al Polo nord, è stato realizzato il Global seed vault, un deposito che raccoglie i duplicati di semi conservati nelle diverse banche del germoplasma. Vi sono depositati 1,3 milioni di semi provenienti da 123 banche dei semi di 85 Paesi. Gli obiettivi di questa banca mondiale sono diversi: tutelarsi da perdite accidentali di semi, assicurarsi che il proprio patrimonio agricolo sia preservato dalle minacce del cambiamento climatico e dei conflitti, garantire la persistenza delle 21 colture più importanti della terra, quali riso, mais, frumento, patate, mele, manioca, noce di cocco, avere la disponibilità di materiale indispensabile  per il miglioramento genetico.

É un’opera che vede la collaborazione del governo norvegese con istituzioni internazionali, centri di ricerca fondazioni private e che rappresenta la “polizza assicurativa” per l’approvvigionamento alimentare mondiale.

Ci sono beni di rilevanza planetaria che vanno ben oltre gli interessi di potere di dominio perché rappresentano il patrimonio comune dell’umanità da preservare e trasmettere alle generazioni future.

Fonte: Crop Trust

TESEO.clal.it – Mondo: Aree destinate alla coltivazione di Cereali

Speck Alto Adige: la tradizione cresce e si innova [intervista a Recla, Presidente del Consorzio]
4 Febbraio 2025

Paul Recla – Presidente del Consorzio Speck Alto Adige

Nel paniere 2025 dell’Istat – utilizzato per misurare l’inflazione – entra lo speck. Partiamo dalla cronaca per toccare i numeri del consorzio e fare il punto con il presidente Paul Recla.

Ventisei aziende locali consorziate, una produzione annuale di 2,8 milioni di Speck Alto Adige Igp, un valore stimato che si colloca fra i 160 e i 170 milioni di euro, una marcata attenzione al territorio e al ricambio generazionale. I numeri del Consorzio Speck Alto Adige, riassunti dal presidente Paul Recla, sono la testimonianza di un prodotto apprezzato in Italia e nel mondo (il 32% della produzione è destinato all’export, con mercati chiave come Germania, Stati Uniti, Francia, oltre 20 Paesi di destinazione). Una bandiera della salumeria Made in Italy apprezzata nel mondo, grazie alla qualità e alla sostenibilità, un faro prezioso che deve illuminare la filiera in un’area dal delicato equilibrio come quello della montagna. Controlli rigorosi completano il quadro.

Presidente Recla, come è cambiato il modo di allevare suini e produrre speck negli anni? Sono cambiati anche i numeri?

42% quota di produzione IGP raggiunta nel 2024

“Nel corso degli anni abbiamo assistito, da un lato, a un incremento della produzione per rispondere a una domanda crescente; dall’altro, abbiamo sempre mantenuto il focus sulla qualità, che per noi è un valore imprescindibile. Un aspetto significativo è l’aumento della quota di produzione certificata Igp, che ha raggiunto il 42% nel 2024. Questo risultato dimostra il nostro impegno a garantire che ogni baffa di speck mantenga gli standard di qualità più elevati, rispettando al tempo stesso i metodi tradizionali di produzione che contraddistinguono il nostro prodotto”.

Digitalizzazione e Intelligenza Artificiale: come potrebbero essere di aiuto per la vostra filiera?

“In termini di salvaguardia del marchio, i controlli di qualità sullo Speck Alto Adige Igp sono effettuati dall’istituto indipendente IFCQ Certificazioni e riguardano l’intera filiera, dalla materia prima al prodotto finito.

Nel 2023 è stato lanciato il nuovo portale di certificazione dell’ente di controllo, elaborato dal fornitore di servizi IT Beantech, e utilizzato da tutti i produttori. Il suo ammodernamento ha consentito l’adeguamento alle nuove possibilità tecnologiche, in risposta anche alle esigenze dei produttori.

Inoltre, considerata una maggiore presenza dello Speck Alto Adige Igp su internet e dei relativi controlli sul marchio, il Consorzio collabora da qualche tempo con l’azienda Griffeshield, il cui algoritmo automatico consente il monitoraggio delle piattaforme di e-commerce in tutto il mondo per la verifica della corretta denominazione Speck Alto Adige Igp e del marchio protetto, nonché per l’eventuale sanzionamento”.

Il bacino produttivo dello Speck Alto Adige Igp è caratterizzato da un’area di montagna. Come mantenere vive le imprese agricole, in uno scenario che ha particolari difficoltà di ricambio generazionale?

La sfida quotidiana di mantenere vive le imprese agricole in montagna

“Mantenere vive le imprese agricole in un territorio come il nostro è una sfida che affrontiamo con determinazione quotidianamente. Lavoriamo a stretto contatto con le istituzioni locali per garantire politiche di sostegno economico e incentivi dedicati alle piccole imprese. Parallelamente, valorizziamo l’unicità del nostro prodotto e del nostro territorio, promuovendo lo Speck Alto Adige Igp come simbolo di qualità e tradizione. Un altro elemento fondamentale è la formazione: investiamo nei giovani, offrendo loro percorsi di apprendimento e affiancandoli nel loro ingresso nel Consorzio”.

La suinicoltura e il mondo dei salumi non è sempre ben visto sul piano della nutrizione e delle diete alimentari. Come dovranno essere impostate le nuove campagne di comunicazione?

Trasparenza, Educazione e Sostenibilità al centro della nostra Comunicazione

“Le campagne di comunicazione devono affrontare queste sfide puntando su trasparenza, educazione e sostenibilità. Da un lato, è importante informare i consumatori sui benefici nutrizionali del nostro prodotto, ad esempio per il suo alto contenuto proteico, che lo rende un alimento prezioso, nonché un secondo piatto e non soltanto un semplice ingrediente da affiancare ad altri prodotti. Dall’altro, con una comunicazione trasparente vogliamo sottolineare il nostro impegno per una filiera sostenibile e responsabile, evidenziando pratiche che rispettano l’ambiente e il benessere animale. Inoltre, collaboriamo con esperti nutrizionisti per garantire una comunicazione autorevole, evidenziando la qualità e le proprietà nutritive che rendono unico lo Speck Alto Adige Igp. Il Consorzio Tutela Speck Alto Adige ha lanciato nel 2023 il Suo primo rapporto di sostenibilità”.

Peste suina africana: come si difende il territorio?

“La protezione del nostro territorio dalla peste suina africana è una priorità. Per questo, adottiamo misure di sicurezza rigorose lungo tutta la filiera. I controlli sanitari sono rigidi e frequenti, e lavoriamo con le autorità locali sulle restrizioni relative ai movimenti degli animali. La collaborazione tra enti pubblici e produttori è fondamentale per prevenire e affrontare eventuali emergenze in modo rapido ed efficace. Il nostro impegno costante è garantire che la produzione di Speck Alto Adige Igp resti sicura e protetta, tutelando al contempo la salute degli animali e l’integrità del nostro prodotto”.

Il Commento: Il settore mangimistico si trova a un punto di svolta [Carra, A.D. Carra Mangimi]
27 Gennaio 2025

Michele Carra – Amministratore Delegato di Carra Mangimi S.P.A. e Vicepresidente di Assalzoo

“Il 2025 si è aperto con un quadro complesso per il settore dei mangimi. L’aumento dei prezzi di mais e orzo, dovuto alla scarsa qualità del raccolto, e la ricerca della maggior qualità hanno messo sotto pressione gli allevatori. Anche per i mangimisti il quadro non è semplice, in quanto all’incremento dei listini delle materie prime si aggiungono l’esplosione dei costi dei premix oligo-vitaminici, così come della lisina, un amminoacido utilizzato nella formulazione dei mangimi, che ha subito una crescita dei costi in seguito all’incremento dei dazi dell’UE sulla Cina”.

A tracciare il quadro è Michele Carra, amministratore delegato di Carra Mangimi di Sorbolo (Parma) e vicepresidente di Assalzoo.

“Dopo un periodo di relativa calma, i prezzi dei cereali sono tornati a salire – precisa Carra -. Da un lato tale dinamica potrebbe stimolare la produzione di cereali in Italia, visto anche che nel giro di un po’ di anni l’Italia è passata dal produrre 10 milioni di tonnellate di mais a poco più di 3 milioni di tonnellate e che i disciplinari delle Dop impongono che almeno il 50% della razione alimentare provenga dal territorio di produzione della Indicazione Geografica stessa, ma dall’altro lato gli aumenti registrati incidono pesantemente sui profitti degli allevatori”.

Il comparto suinicolo, sottolinea Carra, “negli ultimi anni ha compiuto notevoli passi avanti verso il benessere animale e la sostenibilità, con una drastica diminuzione dell’uso di antibiotici”. Restano da affrontare numerose sfide, che coinvolgono tanto gli allevamenti di grandi dimensioni quanto i piccoli. “È necessario sostenere le aziende di piccole e medie dimensioni e le imprese familiari, che grazie a una maggiore flessibilità e a una marcata attenzione al benessere animale sembrano essere quelle meglio attrezzate per garantire produzioni di qualità, indispensabili per le Dop”.

Nel 2025, purtroppo, “c’è ancora forte preoccupazione per la Peste suina africana, che sta creando notevoli difficoltà agli allevatori che si trovano nelle zone di restrizione, dove i prezzi dei maiali sono esageratamente bassi e dove è necessario indennizzare tempestivamente i produttori, pena un’ondata di chiusura di allevamenti”.

Lo stesso settore mangimistico si trova a un punto di svolta. “Con un approccio coordinato e lungimirante – assicura il vicepresidente nazionale di Assalzoo – è possibile superare le difficoltà attuali e costruire un futuro sostenibile per l’allevamento e la cerealicoltura nazionale”.

La sfida di raccontarsi al consumatore [tutte le presentazioni]
3 Dicembre 2024

Un pubblico particolarmente attento ha partecipato al nostro incontro “Pronto… consumatore?” del 29 novembre, organizzato da CLAL in collaborazione con CremonaFiere e condotto da Francesco Branchi del Team di CLAL.

Martina Tenani del Team di CLAL ha evidenziato il calo del numero di Aziende da Latte in Germania, Francia, Olanda e Italia, ma anche le differenze nelle dimensioni aziendali e nei fattori. 

Le Aziende da Latte trovano difficoltà a compiere un ricambio generazionale, ed a reperire personale qualificato, osserviamo tuttavia un aspetto positivo: la maggiore presenza di Allevatrici in ruoli più chiave, anche dirigenziali. Olimpia Cabrini (Società Agricola Sorelle Cabrini, Cremona) e Laura Dalledonne (Società Agricola Dalledonne Angelo e Laura) hanno condiviso con la platea la loro esperienza, fatta di studi anche distanti dal mondo agricolo, esperienze lavorative diversificate, e infine la scelta di impegnarsi nell’Azienda di famiglia. Poi le difficoltà, ma anche tanta passione e l’importanza della famiglia.

La famiglia è stata un elemento centrale anche nell’intervento di Vittorio Fiore, Italy Corporate Communication and Sustainability Director del Gruppo Lactalis Italia, che ha raccontato come sia diventato necessario per il Gruppo comunicare la propria identità al consumatore, ed ha invitato a riscoprire il valore dell’imprenditorialità e quanto la famiglia possa aggiungervi.

“Magnetica” la presentazione della Professoressa Francesca Checchinato, Dipartimento di Management – Università Ca’ Foscari di Venezia, dal titolo “La sfida di comunicare l’Allevamento al Consumatore”, creata ad hoc per questo incontro presso le Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona. Checchinato ha analizzato l’importanza di comunicare l’Allevamento sia per il Consumatore, sia per meglio reperire personale. Importanti spunti dai quali partire per riflettere su chi dovrebbe comunicare l’Allevamento, e come; partendo da una maggior conoscenza del consumatore, e dal concetto cardine che questa comunicazione va fatta “insieme”, tutta la filiera.

Un riscontro pratico è arrivato dall’esperienza dell’allevatore BIO Davide Pinton – Società Agricola Juvenilia di Schio (VI).

Poiché il Benessere Animale è tra gli argomenti che toccano maggiormente la sensibilità del Consumatore, Francesca Ceola, Responsabile di schema in CSQA, ha spiegato cos’è e come funziona il Sistema di Qualità Nazionale per il Benessere Animale (SQNBA): la nuova certificazione nazionale unica italiana che può apparire in etichetta, e alla quale tutte le certificazioni ed i claim di benessere animale dovranno convergere entro un anno.

Ha concluso la sezione dedicata alla comunicazione Renata Pascarelli, Direttrice Qualità e Sostenibilità presso Coop Italia, che ha presentato ai partecipanti la filiera integrata quale modello organizzativo per portare avanti efficacemente progetti di filiera che tengano conto del Consumatore.

Partendo dal rallentamento delle consegne di latte in Germania e Olanda, Mirco De Vincenzi e Alberto Lancellotti del Team di CLAL hanno presentato andamento e attese per il mercato lattiero-caseario internazionale e nazionale, con un attento focus conclusivo sull’andamento dei costi alla stalla.

La sala si è infine animata con un vivace dibattito che ha coinvolto operatori quali Antonio Auricchio – Presidente di Afidop, Tiziano Fusar Poli – Presidente di Latteria Soresina, Renato Zaghini – Presidente del Consorzio di Tutela Grana Padano DOP, Giovanni Guarneri – Presidente del comitato di settore lattiero-caseario presso Confcooperative, Giovanni Garbelli – Presidente di Confagricoltura Brescia, Antonio Boselli – Allevatore, Piercristiano Brazzale – Brazzale SpA, Emanuele Balliana – Allevatore sardo socio della Cooperativa Arborea.

Il consumatore vuole conoscere. Sta alla filiera, ora, raccontarsi.

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Megastalle e Reflui zootecnici: un modello agricolo sostenibile?
24 Settembre 2024

Negli Stati Uniti i digestori per la produzione di biogas realizzati presso le grandi stalle (megadairies), allevamenti con centinaia o migliaia di vacche da latte, stanno sollevando un dibattito, soprattutto negli Stati lattieri più produttivi come California e Wisconsin, che comprende tematiche relative ad emissioni, rispetto ambientale, produzioni energetiche ma, soprattutto, modello di sviluppo aziendale orientato verso unità produttive di sempre maggiori dimensioni seguendo lo schema industriale.

Ormai da tempo la produzione di biogas dal letame è considerata essere un metodo virtuoso per ridurre le emissioni di metano e tra il 2010 e il 2020 il Dipartimento per l’agricoltura statunitense ha disposto 117 milioni di dollari di sovvenzioni per i digestori anaerobici. A livello internazionale, nel 2021 durante la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP26) è stato lanciato il Global Methane Pledge, sottoscritto anche dall’UE, che mira a ridurre le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030, prendendo come base di riferimento i livelli del 2020. Gli Stati Uniti hanno pubblicato il proprio piano di riduzione del metano che mira a sviluppare ulteriormente il settore attraverso specifiche politiche e ricerche con risorse a favore della produzione di biogas da letame, cui si attribuisce circa il 9% delle emissioni di metano mentre il 27% deriva dalla fermentazione enterica dei ruminanti. Di conseguenza si sono diffusi i biodigestori presso le aziende da latte per trasformare i reflui zootecnici in modo virtuoso per l’ambiente ed anche profittevole per l’impresa. Le voci critiche sostengono però che il biogas usato come combustibile è essenzialmente equiparabile a quelli fossili e dunque non può essere considerata energia pulita per contrastare il cambiamento climatico. Solo per citarne un paio, una ricerca di Friends of the Earth sostiene che i digestori per la produzione di biogas possono costituire un incentivo per aziende con dimensioni sempre maggiori, radicando ulteriormente sistemi alimentari che impattano sia le persone che l’ambiente, mentre in California è stato rilevato che la biodigestione del letame comporta fino al 15% di perdite di metano in atmosfera.

Il dibattito però coinvolge più in generale la natura e la diffusione delle megastalle come modello di industria agricola che comporta molti reflui impattanti sull’ambiente. Quando si hanno troppi animali in un unico luogo si avranno troppi rifiuti in poco spazio, che diventano un problema che va oltre la finalità di un biodigestore. La questione si pone anche in Italia, dato che negli ultimi dieci anni a fronte di un calo del 26% di aziende da latte, quelle con oltre 500 vacche sia aumentato del 54%.

TESEO.clal.it – Italia: evoluzione delle Aziende da Latte

Fonti: Modern Farmer e Frontiers

Il valore di Biogas e Biometano in Italia [Intervista a Piero Gattoni]
20 Agosto 2024

Piero Gattoni – Presidente del Consorzio Italiano Biogas (CIB)

Con una produzione di 1.066 MW nel segmento del biogas e di 720 milioni di Smc/ora nel biometano, l’Italia è il secondo Paese in Europa per lo sviluppo di biogas e biometano. Il valore del settore a vantaggio dell’agricoltura, secondo Piero Gattoni, il presidente del CIB-Consorzio Italiano Biogas, va ben oltre i numeri e consente di promuovere la transizione ecologica, l’economia circolare, la competitività per le aziende agricole.

Alla fine di luglio è stata presentata la Fondazione Farming for Future, presieduta da Diana Lenzi e nata per dare continuità all’omonimo progetto lanciato dal CIB-Consorzio Italiano Biogas nel 2020. L’obiettivo è quello di portare l’agricoltura al centro delle politiche europee per la transizione energetica e agroecologica attraverso le 10 azioni del manifesto Farming for Future

Presidente Gattoni, qual è la fotografia attuale dell’Italia, se parliamo di biogas e biometano? E come si colloca l’Italia rispetto agli altri Stati dell’Ue?

“L’Italia è secondo le ultime stime elaborate dalla European Biogas Association (EBA) il secondo Paese in Europa, dopo la Germania e prima di Regno Unito e Francia, per lo sviluppo del settore. Inoltre, in base ai dati presentati dalla Mappa europea del Biometano 2024, il nostro Paese è quello che ha visto una maggiore crescita della produzione di biometano in Europa, insieme a Francia, Regno Unito e Danimarca.

Con riferimento allo stato attuale, nel nostro Paese sono circa 1.800 gli impianti biogas per una potenza complessiva pari a 1.066 MW, mentre per quanto riguarda la produzione di biometano la produzione incentivata secondo il decreto ministeriale 2 marzo 2018 è complessivamente pari a 720 milioni di Smc/ora, mentre quella ammessa agli incentivi di cui al decreto ministeriale 15 settembre 2022 (primi due bandi) è, per ora, pari a 130 milioni di Smc/ora.

Ma questi numeri non sono sufficienti a spiegare il vero valore dell’applicazione della digestione anerobica nel settore agricolo italiano. Quello che è stato veramente innovativo è un modello in grado di promuovere la competitività e la transizione ecologica del settore primario. Un esempio di economia circolare, che ha permesso di produrre di più con una maggiore efficienza nell’uso delle risorse, risolvendo il conflitto tra produzione alimentare di qualità ed energetica”.

Dal biogas aziendale al biometano consortile. Sarà questa l’evoluzione o vi sono altre opportunità? Quali sono le potenzialità di crescita per il settore italiano?

“L’aggregazione consortile rappresenta una delle principali evoluzioni del mercato, ma ovviamente non costituisce l’unica opportunità presente, che risiede nella libera decisione dell’azienda agricola nella sua capacità di gestione delle attività, competitività ed esigenze del territorio nel quale opera. Le forme aggregate possono sicuramente ottimizzare l’uso delle risorse, condividere le infrastrutture e migliorare l’accesso agli investimenti, facilitando anche la realizzazione di progetti di economia circolare.

Il mercato italiano si dimostra molto dinamico sia grazie alla disponibilità di biomassa, con differenze tra nord e sud Italia, che riguardo alla capacità di innovazione delle aziende agricole e zootecniche. Ora siamo impegnati con gli investimenti del PNRR ma già il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) delinea uno scenario di crescita al 2030 di 4,9 miliardi di Smc di biometano. Questo deve portarci a lavorare da subito per definire il quadro normativo favorevole, che dovrà condurci a raggiungere i target dei prossimi anni, offrendo alle aziende le condizioni ottimali per mettere a terra gli investimenti”.

La burocrazia è uno dei nodi che rallentano lo sviluppo del biogas e del biometano. Quali sono i passaggi che, secondo lei, possono essere eliminati del tutto o resi più celeri?

“L’eccesso di burocrazia rappresenta uno degli ostacoli più comuni per le aziende che decidono di investire nelle rinnovabili, in quanto può ritardare i progetti e aumentarne i costi. E in questo senso, anche i progetti legati allo sviluppo del biogas e del biometano vedono spesso scontrarsi con la complessità normativa.

Per questo, si dovrebbe intervenire non solo su auspicabili percorsi di semplificazione su procedure e adempimenti che proprio per la loro stratificazione rischiano di determinare ostacoli e rallentamenti ai progetti, ma prima di tutto sull’introduzione di norme che garantiscano tempi certi nella definizione degli iter autorizzativi.

Parliamo di ridurre i tempi di attesa e semplificare il processo, come ad esempio è stato fatto con il DL PNRR per agevolare l’accesso ai bandi biometano. O ancora misure che implementano una maggiore digitalizzazione dei processi per migliorare la trasparenza, senza tralasciare il maggior coinvolgimento dei soggetti interessati per discutere e risolvere eventuali problematiche in modo tempestivo.

Inoltre, assistiamo spesso a un congestionamento delle richieste di autorizzazione nei periodi di apertura dei bandi che sottopongono le pubbliche amministrazioni ad un grosso carico di lavoro a fronte di dotazioni organiche spesso insufficienti. In questo senso ci auspichiamo anche riforme finalizzate a potenziare le Pubbliche Amministrazioni, oltre che a renderle più efficienti”.

Alcuni impianti di biogas stanno terminando il periodo connesso alla tariffa incentivante. Cosa suggerisce di fare Cib in questi casi?

“In questi casi è essenziale adottare una strategia che consenta di mantenere da una parte la redditività e dall’altra l’efficienza dell’impianto.

Il legislatore di recente è intervenuto attraverso il meccanismo dei prezzi minimi garantiti per tutti i soggetti che hanno terminato o che termineranno l’incentivo entro il 31 dicembre 2027, e che non godono di altri incentivi ad esempio per la produzione di biometano. La misura, fortemente voluta dal CIB, riconosce un contributo basato sulla copertura dei costi di funzionamento, al fine di assicurare la prosecuzione della produzione di energia elettrica rinnovabile e il funzionamento efficiente degli impianti.

In questo scenario, si inseriscono anche le opportunità offerte dai nuovi strumenti di incentivazione, come il Decreto FER 2 che renderà di nuovo possibile finanziare la realizzazione, nel periodo 2024-2028, di nuovi impianti di produzione di energia elettrica da biogas con potenza fino a 300 kW.

Ma una delle raccomandazioni resta anche quella di puntare sulla valorizzazione del biometano, cogliendo le opportunità introdotte con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e con gli strumenti che daranno seguito allo sviluppo del biometano anche oltre il PNRR”.

Molti allevatori stanno valutando la realizzazione di impianti di biogas. Quali parametri e azioni dovranno essere presi in considerazione per un investimento corretto?

“Sono sempre di più gli allevatori che decidono di realizzare impianti biogas e questo non può che rappresentare un valore aggiunto per tutta la nostra filiera. Gli effluenti zootecnici sono una risorsa importante per la digestione anaerobica ed il digestato un ottimo fertilizzante organico. Con una pianificazione accurata e una gestione oculata, investimenti e competenze tecniche specifiche, si possono trarre benefici notevoli, sia economici che ambientali. È fondamentale determinare tipologia e dimensione dell’impianto in funzione delle biomasse che ogni azienda ha a disposizione nell’ambito territoriale in cui si colloca. Non dimentichiamoci poi che dopo oltre 15 anni di esperienza anche il settore industriale italiano dei fornitori di tecnologia e sistemi per la produzione di biogas rappresenta un’eccellenza del nostro Made in Italy.

Tra le azioni da intraprendere, è necessario effettuare anche un’analisi delle materie prime disponibili per garantire la sostenibilità della produzione. La collocazione dell’impianto è un’altra considerazione da tenere a mente per ridurre l’impatto dei trasporti e l’impronta ambientale, ma soprattutto per minimizzare i costi di allaccio alla rete del gas, nel caso di produzione di biometano. Ovviamente non deve mancare uno studio accurato di valutazione dei costi iniziali, di manutenzione e operativi, e degli investimenti da affrontare. Oltre a questo è fondamentale tener conto degli aspetti normativi e burocratici, e quindi delle tempistiche per ottenere le autorizzazioni necessarie. CIB Service, la società di servizi del CIB può supportare i produttori ed affiancare i molti studi tecnici competenti del settore”.

La Danimarca potrebbe essere il primo Paese al Mondo ad applicare una “Carbon Tax” 
8 Luglio 2024

Di: Marika De Vincenzi

La Danimarca potrebbe essere il primo Paese al mondo ad applicare una “CARBON TAX” in agricoltura, a partire dal 2030, colpendo in particolare gli allevamenti di bovini e di suini.

La normativa, che dovrebbe essere discussa in Parlamento entro la fine dell’anno e che è stata definita senza un confronto diretto con il mondo allevatoriale, prevede un’aliquota principale di 300 corone danesi (poco più di 40 euro) per tonnellata di CO₂ equivalente nel 2030, destinata a salire a 750 corone per tonnellata di CO₂ equivalente nel 2035. L’imposta sarà introdotta gradualmente con una detrazione fiscale di base del 60% almeno per i primi due anni.

La Danimarca è uno dei principali esportatori di suinetti in Europa, tanto che nel 2023 ha venduto oltre 15.809.000 capi al di sotto dei 50 kg (+0,49% sul 2022). Fra le principali destinazioni: Germania, Polonia, Paesi Bassi e Italia (696.000 capi esportati dalla Danimarca al nostro Paese, +0,52% rispetto al 2022).

In attesa di capire se il disegno di legge proposto dal governo danese troverà effettiva applicazione (a partire, ripetiamo, dal 2030), quali potranno essere le azioni compensative che gli allevamenti potranno attuare (non dimentichiamo che l’agricoltura è un’attività in grado di sequestrare carbonio ed essere, appunto, “carbon negative”), quali potranno essere gli effetti sul numero di capi allevati e sulle dinamiche di mercato, resta cruciale il tema ambientale.
La zootecnia dovrà difendersi dalle fake news (l’impatto ambientale è molto inferiore rispetto a quanto denunciato da una parte dell’opinione pubblica), ma allo stesso tempo perseguire politiche e azioni sostenibili.

Articolo modificato in data 9 luglio 2024, eliminando il riferimento ai disciplinari di produzione del Prosciutto di Parma e del Prosciutto di San Daniele.

Consulta la nuova pagina di TESEO dedicata agli ALLEVAMENTI e ai SUINETTI in UE-27 >

Ridurre le Emissioni è possibile
18 Giugno 2024

Le emissioni azotate derivanti dall’intensificazione delle pratiche agricole e da carichi di bestiame elevati portano alla liberazione di ammoniaca in atmosfera, col conseguente aumento di quel particolato fine nell’aria (PM2,5) responsabile di crescenti patologie respiratorie nella popolazione.

Il problema è serio. Riguarda diverse zone del mondo, inclusa la Pianura Padana dove la concentrazione di elementi inquinanti nell’aria, fra ammoniaca (NH 3), ossidi di azoto (NO) e di zolfo (SO), è fra le più elevate d’Europa, come è stato recentemente dimostrato dal progetto Inhale (Impact on humaN Health of Agriculture and Livestock Emissions), per studiare l’impatto sulla salute umana delle emissioni dell’agricoltura e dell’allevamento in Lombardia.

Ridurre le emissioni di ammoniaca, dato che per l’81% derivano dall’agricoltura, è possibile.
Per questo occorre adottare cinque regole:

  1. Uso efficiente delle proteine nella razione, per ridurre l’azoto in eccesso escreto dagli animali sotto forma di urea urinaria;
  2. Pulizia frequente e regolare delle aree di allevamento;
  3. Copertura delle vasche di stoccaggio dei liquami;
  4. Tecniche di spandimento come barre o dischiere;
  5. Gestione con cura dei fertilizzanti, in particolare l’urea.

Poi bisogna considerare il continuo consumo di suolo.

La sostenibilità ambientale è la base per la credibilità delle nostre produzioni, in primis le DOP.

TESEO.clal.it – Italia: Allevamenti e capi Bovini