L’export di CEREALI dagli Stati Uniti nel mese di febbraio è cresciuto del +33,8% in quantità e del +59,6% in valore. In particolare, i prezzi unitari del Mais all’export sono aumentati ulteriormente del +31,2% in confronto a febbraio 2020.
Export Cereali USA+54% Gennaio – Febbraio 2021
Analizzando il primo bimestre 2021, su 18,2 milioni di tonnellate esportate (+53,8% su base tendenziale), circa 12,2 milioni sono rappresentate dal Mais. Giappone, Cina e Messico sono le destinazioni più significative per il Mais, con la Cina che è passata da 1.000 tonnellate importate dagli Stati Uniti nel periodo gennaio-febbraio 2020 a oltre 2,2 milioni di tonnellate nei primi due mesi del 2021.
I rapporti commerciali tra Stati Uniti e Asia sono molto intensi, anche analizzando l’export di Frumento. Accanto a Messico, Giappone e Cina si collocano come destinazioni Filippine, Corea del Sud, Indonesia, ma anche Thailandia e Taiwan, a conferma che l’area è strategica sul piano commerciale e geopolitico ed è ben presidiata dagli USA.
Si mantengono elevate nel primo bimestre del 2021 le esportazioni dagli USA di SEMI OLEOSI e FARINE PROTEICHE, per un valore vicino ai 7,6 miliardi di dollari (+101,8%).
Su quasi 15,5 milioni di tonnellate esportate (+54,7% su base tendenziale), la Soia rappresenta la prima voce dell’export, con volumi vicini ai 13,4 milioni di tonnellate e una crescita delle vendite oltre confine del +65,6%.
I prezzi medi delle esportazioni di Soia statunitense hanno raggiunto a febbraio i 503 dollari alla tonnellata, più elevati rispetto ad Argentina, Brasile e Paraguay.
Export di Soia USA verso la Cina+161% Gennaio – Febbraio 2021
Il 51% della Soia esportata dagli USA ha preso la rotta cinese, con un incremento rispetto al periodo gennaio-febbraio 2020 del +160,7% per questa destinazione.
L’Unione Europea è il secondo mercato per gli Stati Uniti, seguita da Messico, Egitto, Taiwan, Indonesia e Giappone. L’Italia ha ritirato 131.073 tonnellate nel primo bimestre 2021, in crescita del +62% su base tendenziale.
“Abbiamo perso il treno con la pianificazione
produttiva delle DOP negli anni 1999-2000. Era in quel momento che avremmo
dovuto fare il punto zero e poi pianificare, magari individuando quote di
produzione da assegnare agli allevatori, accompagnando il sistema a una
progettazione con almeno due anni di anticipo. In questo modo avremmo gestito
meglio i flussi di cosce da destinare ai grandi prosciutti DOP e collocarli sul
mercato in base alle dinamiche dei consumi. Tutte le DOP dovrebbero avere una
produzione contingentata, perché rispondono a un disciplinare, comportano costi
più elevati, devono assicurare alta qualità e devono poter contare su un
mercato in grado di remunerare in maniera adeguata tutti gli attori della
filiera”.
Il ragionamento di Ferdinando Zampolli,
allevatore di Rodigo con circa 10mila maiali allevati ogni anno
(venduti a Opas) e 200 ettari coltivati, parte da molto indietro. È in
quel periodo che, secondo l’allevatore che è anche componente della Commissione
Unica Nazionale (CUN) per i suini grassi, non viene agganciata una rivoluzione
di sistema che avrebbe potuto evitare almeno alcune delle crisi successive che
hanno compromesso la vitalità del settore, ridisegnandone il perimetro e
facendo perdere qualche treno in fase di rilancio complessivo.
I consorzi di Parma e San Daniele, ufficialmente,
approvano una programmazione produttiva con cadenza triennale, l’ultimo
approvato per il consorzio di Parma è del 2020 e prevede una produzione di 9,5
milioni di pezzi/anno, a fronte di un consuntivo venduto pari a 8,5 milioni di
pezzi/anno. “Non credo servano parole per commentare questo genere di politica
produttiva: i numeri parlano da soli”, aggiunge Zampolli.
Secondo lei quali sono i motivi?
“I motivi sono sostanzialmente due. Il primo:
gli allevatori non fanno parte del consorzio del prosciutto (sia Parma che San
Daniele). Il consorzio è interamente nelle mani dei prosciuttai, e questo
genere di programmazione produttiva può dettarla solo il consorzio. Secondo: all’epoca
erano ben visibili gli effetti provocati dalle quote latte, e ci si guardava
bene dal ricadere in un simile potenziale problema.
Questo è un problema che emerge tra gli
allevatori ogni volta che il prezzo di mercato va sotto i costi di produzione,
tuttavia, nonostante siano anni che i prosciuttifici navigano in cattive acque,
ancora fanno orecchie da mercante sul contingentamento delle produzioni per
paura di lasciare quote di mercato ai loro competitor. Ad aggiungere
danno alla beffa, hanno recentemente avuto occasione di mettere mano in modo
organico e strategico al disciplinare di produzione, ma hanno clamorosamente
mancato l’obiettivo, caricando il sistema di costi di controllo assurdi a
carico di tutta la filiera (senza, tra l’altro, garantire una maggiore qualità),
risultato di un disciplinare estremamente farraginoso che Confagricoltura
assieme a CIA, CoopAgri, Unapros e altre sigle sindacali ha aspramente
criticato ed osteggiato, critiche che il ministero non ha preso in
considerazione ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti, tranne di chi si
vanta di essere paladino degli agricoltori ma che in realtà ha chiaramente
dimostrato di non esserlo, in questa come in altre occasioni”.
Uno degli obiettivi di cui si parla da qualche tempo è anche la
ricerca di nuovi mercati. Non crede che l’internazionalizzazione sia una strada
valida?
“Guardi, l’abbiamo vista tutti, la sfilata
fatta dal presidente cinese con tutta la delegazione al seguito, qui a Roma
qualche tempo fa con tutto il nostro governo in pompa magna, a firmare accordi
di libero scambio tra la l’Italia e la Cina. Vuole che le dica cosa riusciamo
ad esportare in Cina dopo la firma di questi fantomatici accordi tanto
decantati?”.
Dica.
Esportare tagli nobili accrescerebbe il prezzo della materia prima
“L’unica carne, se così possiamo chiamarla, che riusciamo con fatica ad esportare sono le frattaglie, gli zampetti e le teste. Tutti prodotti poco nobili che hanno un effetto risibile sul mercato interno. Quindi, se nel periodo pre-covid il prezzo dei maiali era salito in modo importante è stato perché paesi come la Germania e la Spagna esportavano mezzene intere verso la Cina e quindi non rovesciavano nel nostro mercato le loro produzioni, questo ci ha dato qualche mese di respiro. Noi avremmo tutto l’interesse ad esportare tagli nobili, ci permetterebbe infatti di accrescere il prezzo della materia prima qui in Italia, di svuotare le cantine, oggi intasate da prosciutti stagionati, destinando la coscia fresca al mercato cinese, di dare slancio all’intero settore e a tutto l’indotto. Invece siamo al palo, a vedere l’ennesimo treno passare senza poterlo prendere, e tutto questo per colpa di lobby miopi che non saprebbero disegnare un cerchio con un bicchiere e di una burocrazia che, per ragioni di educazione, non definisco”.
Il mercato ha registrato nelle scorse settimane una ripresa, proprio
quando storicamente i listini rimanevano stabili o addirittura, diminuivano. Se
lo aspettava?
“Sì. E le cause vanno ricondotte in parte all’etichettatura delle carni suine trasformate e in parte alla diminuzione della produzione nazionale e delle importazioni italiane in flessione a causa delle esportazioni verso la Cina da parte dei paesi UE, che storicamente scaricano nel nostro mercato una parte importante delle loro produzioni”.
In tema di etichetta e indicazioni, i salumi sono di nuovo insieme
alla carne rossa nel mirino di una comunicazione forse eccessivamente
allarmistica, almeno alle latitudini italiane. Cosa ne pensa?
“Uso questo ‘proverbio’ perché rende bene l’idea: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, infatti, questi continui attacchi, perpetrati da persone con le quali è impossibile sedersi a ragionare, sono basati su convinzioni ideologiche e non su dati scientifici. Portano a giustificazione delle loro affermazioni, tesi scientifiche create ad arte piene di lacune, di errori che però fanno colpo sull’opinione pubblica, e dall’altra parte abbiamo un consumatore che preferisce ascoltare chi alza di più la voce o chi è più presente nei social, piuttosto che cercare di capire le ragioni per cui da millenni l’uomo alleva gli animali e se ne ciba e soprattutto i passi in avanti che la zootecnia ha compiuto nel rispetto del benessere animale e della salubrità alimentare”.
Come sta funzionando la CUN, oggi? Quali sono i punti critici da migliorare?
Un flusso produttivo che non permettete una strategia di vendita
“Non molto bene! Purtroppo la parte allevatoriale all’interno della CUN poco può fare contro i macelli. Abbiamo un prodotto che è fortemente deperibile, un insieme di regole capestro (come il peso massimo di vendita del suino vivo per poter entrare nel circuito DOP), un flusso produttivo alle spalle che non può essere interrotto a piacimento, e questo non ci permette nessuna strategia di vendita. Quando la merce è pronta deve essere avviata alla trasformazione punto e basta. In quest’ottica è necessario che la politica assista il settore garantendo sempre un prezzo e non un ‘non quotato’. Oggi in particolar modo la corda con i macelli è molto tesa, c’è richiesta e quindi il prezzo del suino vivo dovrebbe salire, dall’altra parte i macelli non riescono a trasferire sulle carni i rincari del vivo. A questo aggiungiamo che abbiamo di fronte una estate dove mancheranno suini in modo importante e i macelli sono spaventati, perché saranno costretti a pagare cara la materia prima ma non sanno se riusciranno a ribaltare gli aumenti sulle carni. Stanno di fatto vivendo quello che nel decennio 2008-2017 hanno vissuto gli allevatori a parti invertite: erano aumentati a dismisura le produzioni di suini in Italia e il prezzo era crollato, oggi i numeri sono ridotti e non ci sono maiali per tutti i macelli presenti, quindi, è il loro momento buio”.
Cosa potrebbe accadere se la Cina rallentasse le importazioni
dall’Europa?
“Lo scenario lo abbiamo già visto: con la
comparsa della peste suina in Germania le esportazioni tedesche verso la Cina
si sono bloccate e il mercato europeo è andato in crisi, raggiungendo
quotazioni ben al di sotto del costo di produzione”.
Nella sua azienda ha investimenti in programma? Quale spazio trovano
sostenibilità ambientale e benessere animale?
“Per ora siamo fermi e non abbiamo programma
investimenti. Quanto alla sostenibilità ambientale, il percorso, senza
remunerazione adeguata alle imprese, diventa naturalmente ben più complesso. Ma
come azienda siamo attenti. Sul versante del benessere animale bisogna essere
chiari: sono necessari investimenti, ma allo stesso tempo il consumatore deve
essere disponibile a pagare un valore aggiunto sui prodotti che mirano ad un
benessere animale superiore ai requisiti minimi di legge. Bisognerebbe avere
coraggio e parlare molto chiaramente ai consumatori”.
I prezzi di cereali e semi oleosi sono cresciuti molto. Come si
protegge dall’impennata della razione alimentare?
“I prezzi sono schizzati in alto e la razione
alimentare in allevamento è aumentata di oltre il 20 per cento. Personalmente
cerco di fare acquisti annuali su mais, farina di soia e orzo, per volumi
indicativi di circa 20mila quintali. I maggiori costi erodono però la
redditività in allevamento”.
Ci sono alternative ai prosciutti Dop, secondo lei?
Analizzare il quadro della suinicoltura in maniera più ampia
“Spero molto nell’etichettatura e nelle tre I (nato, allevato e macellato in Italia), fermo restando che la produzione DOP è quella che fin ora ha sostenuto il mercato, pur nelle difficoltà. Assistiamo a esperienze diverse, anche legati alla salumeria tradizionale, ma non a Denominazione di Origine Protetta. A volte sono esperimenti che funzionano, ma alla lunga non so quale può essere il ritorno. Certo dobbiamo riflettere, perché se alcuni prosciuttifici sono in difficoltà, probabilmente dovremmo analizzare il quadro della suinicoltura in maniera più ampia”.
La vicenda della nave portacontainer Ever Given, finalmente disincagliata dopo sei giorni bloccata nel canale di Suez, imponeuna riflessione sul futuro di sviluppo sostenibile e globale che, forse, va ripensato. Ci sembra opportuno richiamare l’attenzione sulla conoscenza, sull’informazione come strumento di formazione, elaborazione e pianificazione, in un dialogo che dovrebbe coinvolgere tanto il settore privato delle imprese quanto il piano istituzionale, senza confondere le parti, ma secondo una collaborazione costruttiva.
Clal.it e Teseo by Clal, nelle proprie pagine, pubblicano le autosufficienze produttive, le produzioni, gli scambi internazionali. Per quale motivo? Per informare e contribuire alla crescita dell’economia, della società, del benessere, in chiave sostenibile. Il dialogo, gli accordi internazionali, le politiche di crescita razionale sono elementi che, insieme, contribuiscono al progresso e, in ultima analisi, ad uno sviluppo pacifico. Partendo dai numeri e dalla buona volontà.
Pubblichiamo l’articolo che Vito De Ceglia, Direttore responsabile di ShipMag.it e Giornalista presso La Repubblica-Affari e Finanza, ha scritto per CLAL.it e TESEO.
Vito De Ceglia – Direttore responsabile di Shipmag.it
Non è chiaro quando il Canale di Suez sarà riaperto al traffico, ma è stato compiuto un primo importante
passo in questa direzione. Nella notte, intorno alle 4.30 di lunedì 29 marzo
ora locale, la portacontainer Ever Given è stata disincagliata e portata di nuovo a galleggiare, secondo quanto riferito dal fornitore di servizi
marittimi Inchcape Shipping Services e poi confermato alle agenzie
internazionali da persone che stanno lavorando all’operazione.
La nave della compagnie taiwanese Evergreen Line era bloccata da martedì 23 marzo, causando la chiusura di una delle più importanti arterie per il commercio globale e facendo pressione sui prezzi di commodities e spedizioni. La Suez Canal Authority aveva in precedenza reso noto che un totale di dieci traghettatori sono coinvolti nelle operazioni di liberazione della Ever Given. Gli escavatori hanno già spostato 27.000 metri cubi di sabbia, fino a una profondità di 18 metri, e questa operazione ha permesso di appurare che la parte anteriore della nave è stata danneggiata, anche se l’imbarcazione è rimasta stabile.
Ciò
aggiunge incertezza ai tempi di sblocco del canale, in quanto probabilmente la
portacontainer non è operativa al 100%. Al
momento, in base alle analisi di Lloyd’s List, voce autorevole nel mondo dello
shipping, il blocco del canale da parte della nave Ever Given
costa circa 400 milioni di dollari
l’ora (9,6 miliardi al giorno):
il traffico in direzione ovest vale circa 5,1 miliardi di dollari al giorno e
il traffico in direzione est 4,5 miliardi di dollari.
Intanto,
si è allungata la lista di navi in attesa che il canale venga sbloccato:
secondo i dati raccolti da Bloomberg, sino a domenica 28 marzo c’erano 453 navi in coda, rispetto alle circa 100 all’inizio del blocco. In questo totale
sono comprese 90 navi portarinfuse (navi usate per trasportare carichi non-liquidi e
non contenuti in container), 27 petroliere, 82 portacontainer, 22 vettori GPL o GNL, 31 navi cisterna e 17 navi
che trasportano veicoli. Anche se
l’importante snodo per il commercio mondiale fosse liberato nei prossimi
giorni, le conseguenze sugli scambi globali potrebbero durare settimane o mesi.
“Le tessere del domino sono state rovesciate – ha scritto sui social media Lars
Jensen, amministratore delegato di SeaIntelligence Consulting – I ritardi e i cambi di rotta, che sono già avvenuti, causeranno effetti a catena su navi e attrezzature vuote, che si faranno sentire per diversi
mesi”.
Un incidente,
quello della Ever Given, che probabilmente avrà un effetto boomerang anche
sulle tariffe di trasporto marittimo che sotto la spinta del lockdown globale
per la pandemia Sars Cov 2, associata all’esplosione della domanda di prodotti
domestici di importazione, ha reso il mercato dei noli del trasporto container sempre più instabile. A trainarli è principalmente la domanda dei consumatori statunitensi, che sta trovando ulteriore spinta man mano che
l’economia si riprende per effetto del programma di vaccinazione, che dovrebbe
incrementare i consumi.
Anche la direttrice Asia-Europa-Med, sebbene in quantità
più contenuta, ha visto una lievitazione media dei noli di ben il 450% dalla seconda metà del 2020, ma la lentezza in EU
del programma vaccinazioni con conseguenti ampi lockdown a macchia di leopardo,
sta attenuando la domanda ed è attesa una contenuta correzione dei noli. La
situazione generale è comunque molto fluida e in continuo mutamento, con effetti
tutti da verificare sulle economie globalizzate.
Istituire protocolli incentrati sulla sostenibilità ambientale per la produzione cerealicola, e accompagnare gli agricoltori alla crescita professionale attraverso la formazione. Nessun timore, poi, nei confronti di tecnologie produttive rispettose dell’ambiente (purché non OGM e che non minaccino la biodiversità), incentivazione delle filiere idonee alla valorizzazione dei prodotti e sostegno legislativo da parte dell’Italia e dell’Europa per tutelare sistemi etici sul piano del lavoro, della sicurezza alimentare e dell’ambiente. Sono questi i cardini sui quali poggiare il futuro della cerealicoltura, secondo Valeria Villani, imprenditrice agricola che a Gualtieri (Reggio Emilia) coltiva 450 ettari di terreno, con una marcata propensione a ridurre l’impatto ambientale e i costi di produzione grazie a tecniche consolidate ormai da 20 anni. L’abbiamo intervistata per approfondire i temi.
Valeria Villani, da cosa è
dipesa, a suo parere, l’impennata dei prezzi di cereali e semi oleosi?
“La crescita è dovuta prevalentemente a due fattori: l’approvvigionamento della Cina sui mercati internazionali e le limitazioni in Argentina e Russia dell’export di cereali e semi oleosi. Credo che queste strategie commerciali siano nate dal timore degli effetti devastanti che il Covid sta portando all’economia internazionale, effetti che saranno ancora più pesanti quando l’emergenza terminerà e finiranno gli aiuti statali. Inoltre, penso che alcuni Paesi abbiano intrapreso questa politica per garantire almeno alle fasce più povere, che saranno quelle più colpite, il sostentamento alimentare”.
Come è possibile arginare la
volatilità?
Riconoscere il valore delle commodity sostenibili
“La volatilità può essere contrastata solo riconoscendo il valore aggiunto delle commodity coltivate con protocolli che rispettano la sostenibilità ambientale, i diritti dei lavoratori e non permettendo ai prodotti che escono da questi principi di essere commercializzati sugli stessi mercati. Questo porterebbe i soggetti a valle della filiera a stringere accordi produttivi con i soggetti a monte, e ad avere una redditività distribuita lungo la filiera: la conseguenza sarebbe il contenimento della volatilità dei prezzi. Inoltre, bisognerebbe tornare ai principi ispiratori della Pac, laddove l’autosufficienza sulle commodity risulti necessaria, fatto messo in evidenza durante la crisi dovuta alla pandemia”.
Nella sua azienda pratica
minima lavorazione, semina su sodo o altre soluzioni di agricoltura di
precisione?
“Nella nostra azienda pratichiamo
semina su sodo da almeno 20 anni, concimazione a rateo variabile e l’utilizzo
della guida satellitare per l’uso dei prodotti fitosanitari. Utilizziamo da tre
anni il sistema in Cloud di Climate Fieldview, abbiamo cinque sistemi
satellitari di cui due Rtk”.
Ha fatto investimenti di
recente? E quali interventi ha in programma per il futuro?
“Nell’ultimo anno abbiamo
acquistato un sistema satellitare, una trincia con sistema satellitare e Nir. Nel
futuro vorremmo dotarci della macchina per seminare il mais a rateo variabile”.
Uno degli aspetti da non
sottovalutare è legato ai cambiamenti climatici. Come fronteggiarli?
“Credo che l’unico modo per fronteggiarli,
oltre all’impegno nella sostenibilità ambientale per rallentarli, sia la
ricerca agronomica per individuare piante in grado di sopportare la grande
variabilità climatica”.
Come si potrebbe rilanciare un
piano proteico e cerealicolo in Italia?
Valorizzare le commodity italiane in un piano di rilancio
“Bisognerebbe innanzitutto valorizzare le commodity italiane, in quanto non OGM, coltivate con protocolli sostenibili dal punto di vista ambientale e nel rispetto dei lavoratori. Sarebbe necessario quindi creare filiere dove questi aspetti siano valorizzati. Per fare questo servirebbe però il sostegno legislativo nel vietare la circolazione di prodotti in Italia e in Europa che non rispettino tali principi”.
Teseo by Clal cosa potrebbe
sviluppare per aiutare gli agricoltori nel percorso di formazione?
“Gli agricoltori hanno bisogno di
informazioni capillari e dal vasto orizzonte, come proiezioni su ciò che accade
sui mercati internazionali, per decidere su quali settori investire. Servirebbe
anche una formazione orientata a capire quali tecnologie implementare nella
propria azienda e come ricavarne il massimo profitto”.
Come immagina l’agricoltura
fra 20 anni?
“La risposta non è facile, dal
punto di vista della previsione e del contenuto. Purtroppo se le politiche
agricole rimarranno le stesse, con un aumento di oneri e di protocolli
produttivi per gli agricoltori, senza estendere tali regole alla
commercializzazione, temo che i prodotti che stanno alla base
dell’alimentazione umana siano destinati a sparire dall’Italia”.
Il Forecast USDA di Marzo mostra segni di stabilità nei mercati del Mais e della Soia. Le produzioni mondiali sono state riviste in leggero aumento, influenzando positivamente gli stock finali, i quali si mantengono però a livelli ampiamente inferiori rispetto l’annata precedente.
Michele del Team di CLAL.it e TESEO commenta il forecast e gli andamenti di mercato nel seguente video.
MAIS
Il Ministero dell’Agricoltura Statunitense
ha pubblicato l’aggiornamento di Marzo sui mercati del Mais e della
Soia.
Le produzioni mondiali di Mais per la stagione 2020/21 sono stimate in leggero aumento rispetto alla previsione precedente, grazie alle variazioni positive in India, Sudafrica e Bangladesh. Invariate le stime per i principali produttori: USA, Cina e Brasile.
La stima degli stock mondiali a fine annata conferma una diminuzione, del -5,1% rispetto all’annata precedente.
I prezzi medi di vendita dall’1 all’11 Marzo rilevati in West Iowa (USA) si attestano a 205 $/ton, in diminuzione del -0,9% rispetto al mese precedente. In Brasile, invece, il prezzo medio del Mais dall’1 all’11 di Marzo è in leggero aumento rispetto al mese di Febbraio, con un prezzo medio di 260,6 $/ton.
In Italia, i prezzi del Mais sono sostanzialmente stabili. I prezzi medi quotati l’11 Marzo a Bologna sono di 230€/Ton per il Mais nazionale ad uso zootecnico e 234€/Ton per il Mais nazionale ad uso zootecnico con caratteristiche.
SOIA
Le scorte di Soia a fine annata agraria sono riviste in leggero aumento, pur mantenendosi a livelli ampiamente inferiori rispetto l’annata precedente (-12,8%). Il forecast di Marzo stima un aumento degli stock finali per Cina e Brasile, quasi interamente compensato dalla diminuzione prevista per l’Argentina.
Le stime produttive per l’annata in corso sono riviste in aumento in Brasile per 1 milione di tonnellate, e in diminuzione in Argentina per 0,5 milioni di tonnellate. In Argentina, infatti, il raccolto potrebbe risentire delle condizioni di siccità registrate nelle ultime settimane
I prezzi medi di vendita della Soia dall’1 all’11 Marzo negli USAsono in aumento del +2,7% rispetto al mese precedente, attestandosi a 548,8$/Ton. Anche in Argentina e Brasile si registrano aumenti dei prezzi della Soia in valuta locale, dovuti principalmente all’inflazione.
Il prezzo medio dei Semi di Soia quotato l’11 Marzo a Bologna è aumentato sensibilmente a 546€/Ton, +4,4% rispetto alla quotazione precedente.
Per maggiori dettagli sui mercati del latte, agricolo e suinicolo seguiteci sui nostri siti web CLAL.it e TESEO.clal.it.
Andrew M. Novakovic – Professore Emerito di Economia Agraria – Cornell University, New York
Di Andrew M. Novakovic, Professore Emerito di Economia Agraria – Cornell University, New York
Il settore lattiero-caseario statunitense è un miracolo avvolto in una tragedia.
La storia di incredibile successo iniziò a metà del 20° secolo, quando gli agricoltori americani si specializzarono sempre di più. Da allora ebbero un invidiabile aumento della produzione, maggiore efficienza, e fornirono ai consumatori un prodotto nutriente e di alta qualità ad un prezzo accessibile. Per gran parte di questo periodo, i prezzi al dettaglio dei prodotti lattiero-caseari aumentarono della metà rispetto all’aumento generale dei prezzi al consumo. Un successo per i produttori di latte.
La tragedia riguarda il cambiamento nella struttura del settore agricolo e la trasformazione delle comunità rurali. Sebbene le aziende agricole gestite dalle famiglie rimangano la norma, le aziende agricole da latte sono diminuite di numero, aumentando di dimensioni. Hanno risultati migliori rispetto a mezzo secolo fa, sia in termini di produttività che di redditività, ma questo è avvenuto a scapito di molte aziende agricole famigliari che semplicemente non potevano sopravvivere, tanto meno prosperare.
Quanto a lungo dureranno queste tendenze? C’è un limite alla crescita del settore lattiero-caseario statunitense? Quando si stabilizzerà il numero delle aziende lattiero-casearie, e quanto presto accadrà?
Di Marco Limonta, Business Insight Director di IRI
Marco Limonta, Business Insight Director di IRI
La Distribuzione Moderna, caratterizzata da stabilità negli ultimi anni, legata alla tendenziale maturità complessiva del settore, ha salutato il 2020 come un anno di eccezionale crescita. Il traino è dato dalla performance dei prodotti di Largo Consumo, che sono cresciuti ad un ritmo particolarmente elevato (+7,5%). A dire la verità, non tutti i reparti sono cresciuti: l’aumento dei fatturati dei punti vendita della Distribuzione Moderna si riduce se consideriamo gli andamenti dei prodotti di General Merchandise (elettrodomestici, elettronica di consumo, tessile, prodotti per la casa, etc), che calano di quasi il 9% e dei prodotti a Peso Variabile, a -0,5%.
Analizzando meglio i “banchi sfusi”, assistiti o non, vediamo come questa riduzione complessiva sia frutto di dinamiche del tutto eterogenee delle categorie che compongono il reparto. A fronte di mercati in forte difficoltà, come Gastronomia (-13,7% nel 2020, con riferimento al totale degli Ipermercati+Supemercati) e Panetteria (-12,1%), assieme ai Salumi (-2,3%), ce ne sono altri che si sono sviluppati, come, ad esempio, i Formaggi (+3,4%) e le Carni (+4,3%).
Le performance negative di alcuni “banchi” sono state compensate in parte da forti crescite dei prodotti a Libero Servizio: le restrizioni alla vendita messe in atto nel corso del primo Lockdown (ad esempio, la chiusura dei banchi assistiti a Marzo/Aprile), e una generale diffidenza del consumatore, che preferisce accedere a prodotti confezionati e non “manipolati”, ha permesso ad alcune categorie del Fresco confezionato di svilupparsi ampiamente: esempio è quello degli Affettati confezionati, che rappresenta la categoria con la maggiore crescita di fatturato dell’intero reparto.
Aumentano le vendite delle Carni Bianche, Rosse e Rosa
Considerando il mercato delle Carni, l’aumento delle vendite dei banchi sfusi si è sommato alla crescita dei prodotti confezionati calibrati. Nell’anno appena passato, i volumi di Carne Bianche in Iper+Super+Libero Servizio Piccolo+Discount* (più di 310.000 tons) sono aumentati del 5%, sia nella parte Naturale (+4,4%) sia nella parte Elaborata (+6,8%), con velocità superiore per quanto riguarda i prodotti calibrati (rispettivamente +13,3% e +7,6%).
Anche la crescita delle Carni Rosse e Rosa (più di 413.000 tons) è stata importante, similmente nella parte Naturale (+6,3%) e nella parte Elaborata (+6,6%), con – anche qui – uno sviluppo superiore per i prodotti calibrati (rispettivamente +32,8% e +18,6%).
Le stime per il 2021
Il 2021 probabilmente sarà segnato dalle controcifre rispetto alle crescite del 2020: IRI stima una riduzione del fatturato del Largo Consumo confezionato pari al -3,1%, con un primo semestre che sconta ancora positivamente la crescita delle prime settimane dell’anno, ed un secondo semestre maggiormente negativo. Tuttavia questa difficoltà nelle vendite si mitigherà, tanto più si protrarranno situazioni di Lockdown, che imporanno un maggiore ricorso agli acquisti per consumi in casa.
*Sono considerati i prodotti a peso variabile per Iper+Super, i prodotti a peso imposto per tutti i canali.
La gran parte delle proteine nei prodotti succedanei di carne e latte deriva dalla soia. La dipendenza da una sola coltura, di cui l’80% è ottenuto in tre Paesi, Argentina, Brasile e USA, pone evidenti criticità e sottolinea con urgenza il bisogno di trovare altre alternative. Questo non è facile dato il grande valore biologico delle proteine della soia, che contengono tutti i nove aminoacidi essenziali per l’alimentazione umana.
Una alternativa potrebbe essere la colza (Rapeseed o Canola in nord America), oleaginosa largamente coltivata in Europa centro-settentrionale che contiene circa il 20% di proteine di alta qualità. Secondo i ricercatori tedeschi le proteine di colza, presenti nella farina di estrazione dopo la produzione dell’olio, hanno un effetto comparabile se non superiore a quello della soia sui parametri metabolici e producono anche una maggiore sensazione di sazietà. Comportano però un persistente gusto amarognolo, che il miglioramento genetico e le nuove tecnologie cercano di superare.
La ricerca applicata è attiva per definire il potenziale della colza come componente di nuovi prodotti alimentari da fonti vegetali plant-based. Ad esempio nel Regno Unito una iniziativa pubblico/privata cerca di sviluppare prodotti da forno senza glutine per i celiaci, partendo anche dalla farina d’estrazione di colza. Un vantaggio di questa brassicacea rispetto alla soia è l’assenza di fitoestrogeni (isoflavoni) e l’assenza di modifiche genetiche. La grande diffusione dell’olio di colza e la sua accettazione da parte dei consumatori, insieme a questo differenziale positivo, porta dunque ad intravedere interessanti possibilità per i nuovi prodotti plant-based.
TESEO.clal.it – Costo di 1000gr (1kg) di proteine fornite da Soia e Colza