Sempre più consumatori chiedono alimenti meno impattanti per l’ambiente, ma non è certo che siano disponibili a pagarli di più. Il primo modo per rispondere a tale richiesta è produrre in modo più efficiente e la via più diretta per ridurre le emissioni nocive per l’ambiente é aumentare le rese. Se la produzione di latte per capo aumenta, occorrono meno vacche per ottenere la stessa quantità, riducendo così automaticamente le emissioni ed i bisogni in alimenti, terreno, acqua e con essi l’impronta di carbonio con cui viene misurato l’impatto ambientale delle attività. I dati dimostrano come sia questa la strada intrapresa dai Paesi con la produzione lattiera più avanzata.
Ciò detto, occorre però affrontare la questione della sostenibilità ambientale in modo più ampio, guardando alla modalità di gestione dell’allevamento per incidere in modo appropriato sulle fonti delle emissioni, innanzitutto alimentazione e salute animale. Le emissioni degli animali da latte derivano per circa il 60% dal metano prodotto dalle fermentazioni ruminali e dagli alimenti della razione, mentre il restante 40% è imputabile alle emissioni dalle deiezioni (ossidi di azoto), dai fertilizzanti chimici e dai bisogni energetici.
Il 47% delle emissioni agricole è dovuta alle fermentazioni animali
Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), nel nostro Paese l’agricoltura contribuisce per il 7% alle emissioni totali di GHG ed il 47% di queste sono dovute alle fermentazioni animali. Di questa percentuale, il 36.9% proviene da bovine da latte, il 31.8% da bovini da carne, il 4.5% dai bufali e l’8.5% dagli ovini.
Quindi occorre focalizzarsi in primo luogo sull’efficienza alimentare, per massimizzare l’assimilazione dei principi nutritivi della razione. Se le proteine apportate con gli alimenti venissero meglio utilizzate dall’animale, le perdite di azoto sotto forma di gas metano diminuirebbero e si potrebbe ottenere più latte riducendo gli apporti, con minori costi. Si è visto ad esempio che aumentando l’attività della flora batterica in modo da stabilizzare il pH ruminale è possibile aumentare la produzione di latte per vacca di 1 kg al giorno con un calo nelle emissioni azotate del 5,4%. Rapportato ad un milione di vacche, questo vorrebbe dire 310 mila tonnellate di latte in più, oppure 31 mila vacche in meno. La ricerca sta mettendo a disposizione degli allevatori dei prodotti per ridurre le emissioni di metano nelle vacche da latte, su cui si è recentemente pronunciata in modo positivo l’agenzia europea per la sicurezza alimentare EFSA.
Poi bisogna considerare le patologie che sono correlate sia alla resa che alle emissioni, paratubercolosi, mastiti, rinotracheite infettiva bovina (IBR).
Secondo la FAO l’allevamento da latte deve ridurre le emissioni di gas climalteranti (GHG) ed impegnarsi per un futuro a neutralità carbonica. Questo rappresenta una sfida, ma deve essere anche un impegno perché gli allevatori hanno a disposizione varie opportunità per produrre in modo più sostenibile così da rispondere alle necessità ambientali ed alle richieste dei consumatori.
Fonte: Farmer’s weekly e FAO