Efficienza nelle vacche da latte USA
9 Marzo 2023

Secondo uno studio della National Milk Producers Federation ed altre associazioni USA, rispetto al 2007, le vacche da latte nordamericane producono il 6% in più di latte, consumano il 4% in meno di mangime e utilizzano il 13% in meno di terra. Inoltre, rispetto a 14 anni fa,  producono l’8% in meno di emissioni e consumano il 6% in meno di acqua. Questa riduzione nelle emissioni di gas serra equivarrebbe all’eliminazione di quattro milioni di auto dalla circolazione ed il risparmio idrico sarebbe sufficiente a soddisfare per due anni i bisogni di una città come New York.

Il Nord America, con appena il 4% delle vacche allevate nel mondo, produce il 15% del latte globale e la produzione di latte è aumentata di 3,5 volte tra il 1960 e il 2020, a differenza di 1,5 volte nelle altre aree mondiali di produzione lattiera. Oggi gli allevatori statunitensi producono più latte che nel 1944, seppur con 16 milioni di vacche in meno.

L’efficienza è data da genetica, tecnologia e gestione

Questi miglioramenti sono il risultato della genetica, della tecnologia, delle pratiche di gestione aziendale e di altre innovazioni che vanno a beneficio degli animali e degli allevatori, ma anche dell’ambiente e della società. Un allevamento di 750 vacche produce sostanza organica sufficiente per concimare  oltre 900 ettari di terreno, la tecnologia permette di convertire il metano in energia elettrica, il consumo di latte è buono per la salute.  Occorre però sfatare dei miti  che stanno prendendo piede, come ad esempio la supposizione che le vacche starebbero meglio al pascolo che nelle stalle. Eppure dalle valutazioni di stress ormonale risulta che le vacche si trovano meglio nelle stalle, dove è possibile intervenire per mitigare gli stress climatici, piuttosto che essere esposte all’esterno. Un altro mito riguarda il fatto che i succedanei di origine vegetale sarebbero più environmentally friendly del latte. Per sfatarlo basta solo notare che la quantità  di CO2 per grammo di proteine prodotte è minore nel latte che in tali bevande alternative.  

i dati sono sempre più alla base delle decisioni aziendali

Oggi gli allevatori hanno una visione più approfondita ed ampia delle loro attività, che consente di prendere decisioni migliori. Come mai prima, che si tratti della salute dell’animale, dell’alimentazione, della quantità di latte o della produttività complessiva della mandria, i dati sono sempre più alla base delle decisioni aziendali.

I miglioramenti apportati da una selezione genetica più appropriata, hanno contribuito in modo determinante all’aumento della produttività complessiva. La longevità della vacca, la trasformazione dell’alimento, la produzione di latte e la resistenza alle malattie, sono tutti parametri che sono migliorati grazie a questa selezione.

Internet e social media hanno poi aumentato considerevolmente la condivisione delle informazioni anche tra gli allevatori, fornendo un incrocio di idee ed esperienze che permette la condivisione delle esperienze e la diffusione delle migliori pratiche.

CLAL.it – Produzioni di latte per vacca negli USA

Fonte: AEM, NMPF, DFA

Efficienza: chiave di volta tra produzione e sostenibilità
2 Marzo 2023

Sempre più consumatori chiedono alimenti meno impattanti per l’ambiente, ma non è certo che siano disponibili a pagarli di più. Il primo modo per rispondere a tale richiesta è produrre in modo più efficiente e la via più diretta per ridurre le emissioni nocive per l’ambiente é aumentare le rese. Se la produzione di latte per capo aumenta, occorrono meno vacche per ottenere la stessa quantità, riducendo così automaticamente le emissioni ed i bisogni in alimenti, terreno, acqua e con essi l’impronta di carbonio con cui viene misurato l’impatto ambientale delle attività. I dati dimostrano come sia questa la strada intrapresa dai Paesi con la produzione lattiera più avanzata.

Ciò detto, occorre però affrontare la questione della sostenibilità ambientale in modo più ampio, guardando alla modalità di gestione dell’allevamento per incidere in modo appropriato sulle fonti delle emissioni, innanzitutto alimentazione e salute animale. Le emissioni degli animali da latte derivano per circa il 60% dal metano prodotto dalle fermentazioni ruminali e dagli alimenti della razione, mentre il restante 40% è imputabile alle emissioni dalle deiezioni (ossidi di azoto), dai fertilizzanti chimici e dai bisogni energetici.

Il 47% delle emissioni agricole è dovuta alle fermentazioni animali

Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), nel nostro Paese l’agricoltura contribuisce per il 7% alle emissioni totali di GHG ed il 47% di queste sono dovute alle fermentazioni animali. Di questa percentuale, il 36.9% proviene da bovine da latte, il 31.8% da bovini da carne, il 4.5% dai bufali e l’8.5% dagli ovini.

Quindi occorre focalizzarsi in primo luogo sull’efficienza alimentare, per massimizzare l’assimilazione dei principi nutritivi della razione. Se le proteine apportate con gli alimenti venissero meglio utilizzate dall’animale, le perdite di azoto sotto forma di gas metano diminuirebbero e si potrebbe ottenere più latte riducendo gli apporti, con minori costi. Si è visto ad esempio che aumentando l’attività della flora batterica in modo da stabilizzare il pH ruminale è possibile aumentare la produzione di latte per vacca di 1 kg al giorno con un calo nelle emissioni azotate del 5,4%. Rapportato ad un milione di vacche, questo vorrebbe dire 310 mila tonnellate di latte in più, oppure 31 mila vacche in meno. La ricerca sta mettendo a disposizione degli allevatori dei prodotti per ridurre le emissioni di metano nelle vacche da latte, su cui si è recentemente pronunciata in modo positivo l’agenzia europea per la sicurezza alimentare EFSA.

Poi bisogna considerare le patologie che sono correlate sia alla resa che alle emissioni, paratubercolosi, mastiti, rinotracheite infettiva bovina (IBR).

Secondo la FAO l’allevamento da latte deve ridurre le emissioni di gas climalteranti (GHG) ed impegnarsi per un futuro a neutralità carbonica. Questo rappresenta una sfida, ma deve essere anche un impegno perché gli allevatori hanno a disposizione varie opportunità per produrre in modo più sostenibile così da rispondere alle necessità ambientali ed alle richieste dei consumatori.

TESEO.clal.it – Resa di Latte per Vacca nelle principali regioni italiane

Fonte: Farmer’s weekly e FAO

Nuova Zelanda, obiettivo: metano -10%
23 Febbraio 2023

La Nuova Zelanda conta solo 5 milioni di abitanti, ma è un grande Paese agricolo che esporta quasi il 90% del cibo che produce, in primo luogo latte e derivati. Nonostante le emissioni di gas ad effetto serra, principali responsabili del cambiamento climatico in atto, rappresentino solo lo 0,17% a livello mondiale ponendo la Nuova Zelanda al 22mo posto fra i Paesi industrializzati, le emissioni pro-capite sono le seste al mondo.

In Nuova Zelanda ci sono circa 40 milioni di ruminanti

Dunque il settore agricolo deve impegnarsi concretamente per migliorare l’efficienza produttiva, soprattutto nell’allevamento che ha avuto progressi impressionanti. Se si torna indietro di qualche centinaio di anni, in Nuova Zelanda non c’erano ruminanti, mentre oggi se ne contano circa 40 milioni e, dunque, la mitigazione delle emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra diventa cruciale sia per questioni ambientali, sia per rispondere alle richieste delle grandi aziende importatrici che stanno affrontando le normative sul clima.

Nel 2020 le emissioni in atmosfera sono state il 21% in più rispetto a quelle del 1990, anno in cui sono iniziati gli obblighi internazionali di rendicontazione delle emissioni di gas serra. Il 73,1% delle emissioni agricole era costituito da metano enterico prodotto dai ruminanti mentre la restante parte era protossido di azoto, metano ed anidride carbonica derivanti da deiezioni, gestione del letame e concimi. Il metano viene emesso da diverse fonti, tra cui zone umide, discariche, incendi boschivi, agricoltura ed estrazione di combustibili fossili, ma in Nuova Zelanda circa il 95% del totale è emesso dal bestiame. Si calcola che un animale da latte produca in media circa 98 kg di metano all’anno, uno da carne 61 kg ed una pecora circa 13 kg all’anno. Riguardo al protossido di azoto, che nel 2020 rappresentava l’11% delle emissioni totali di gas serra, la fonte principale é rappresentata dall’urina e dallo sterco del bestiame.

Le emissioni di metano devono essere ridotte del 10% entro il 2030

Sono stati dunque fissati obiettivi a lungo termine per ridurre le emissioni, tenuto conto del fatto che non tutti i gas hanno la stessa rilevanza: le emissioni nette di anidride carbonica e protossido di azoto, gas a lunga vita, devono essere ridotte a zero entro il 2050, mentre quelle di metano devono essere ridotte del 10% rispetto ai livelli del 2017 entro il 2030 e del 24-47% entro il 2050. Anche se, grazie alla genetica ed al miglioramento nell’alimentazione animale e nella gestione dei reflui, gli allevatori hanno prodotto in modo più efficiente rispetto al 1990, resta ancora molto da fare nella riduzione delle emissioni assolute. Questo comporterà dei costi ed alcuni sostengono che altri Paesi esportatori si potrebbero avvantaggiare sui mercati internazionali. Bisogna però considerare che molti dei Paesi concorrenti della Nuova Zelanda, UE o Nord America in primo luogo, producono emissioni simili per unità di prodotto ed hanno gli stessi obiettivi di mitigazione da raggiungere. Se espandono la loro produzione agricola, le emissioni devono ridursi in qualche altro settore della loro economia.

Di conseguenza la sfida comune nei Paesi con un allevamento animale ad alta efficienza sarà quella di mantenere la produzione riducendo le emissioni di gas serra.

Fonte: edairy News

Imprese ed imprenditori agricoli del futuro
6 Febbraio 2023

Pedro E. Piñate B.

Di Pedro E. Piñate B., Medico Veterinario venezuelano e Consulente Agricolo

Le previsioni di una popolazione mondiale a 9.1 miliardi di persone nel 2050 sono eloquenti circa la necessità di avere nuove imprese e nuovi imprenditori agricoli. Si tratta di circa il 34% in più rispetto ad oggi e la crescita della popolazione riguarda soprattutto i cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”. In quella data il mondo sarà per il 70% urbano e solo per il 30% rurale, un cambiamento significativo rispetto all’attuale 49% e 51%, rispettivamente. Tuttavia, per nutrire una popolazione urbana più numerosa di oggi con redditi e potere d’acquisto più elevati, la FAO stima che sia necessario produrre il 70% in più di cibo, senza contare l’ulteriore produzione per i biocarburanti. Sarà indispensabile accrescere la produttività senza poter espandere i terreni agricoli, con un migliore utilizzo e sfruttamento di energia, acqua ed altri fattori. Tutto questo dovrà essere in armonia con l’ambiente, cioè “sostenibile”. La chiave per aumentare la produzione sarà la tecnologia, un tema che richiama il necessario adeguamento degli investimenti pubblici per la ricerca e lo sviluppo, invertendo la tendenza in atto in molti Paesi.

Sono necessari più investimenti pubblici in agricoltura

Un altro aspetto fondamentale è la necessità di aumentare gli investimenti pubblici in agricoltura a tutti i livelli, in particolare nelle infrastrutture, nell’istruzione, nell’assistenza tecnica e nei servizi di sanità animale e delle piante. Le imprese e gli imprenditori non saranno mai abbastanza per accollarsi gli oneri di tutela ambientale indispensabili alla propria attività ed in nessun Paese tali risorse potranno derivare da una maggior tassazione sugli imprenditori agricoli, perché questi abbandonerebbero l’attività. 

Il recente studio della FAO intitolato “Investing in Farmers: Investment Strategies in Human Capital” (Roma, 2022), ha rilevato che investire negli agricoltori “può contribuire ad aumentare il reddito rurale, una migliore salute e nutrizione, la coesione sociale ed una maggiore inclusione delle donne e dei giovani nelle attività economiche”.

Quali saranno gli imprenditori agricoli del futuro?

A proposito di quali saranno gli imprenditori agricoli del futuro, si può affermare che un po’ in tutti i Paesi se ne stanno già evidenziando i caratteri. Si tratta di uomini e donne tra i 20 ed i 30 anni con grande volontà e desiderio di lavorare in campagna, ancora in fase di formazione e maturazione, già in cerca di un proprio capitale e di credito per i loro progetti agricoli. La maggior parte ha già qualche esperienza agricola o zootecnica, sia per le origini familiari, sia per motivi di studio. Alcuni verranno poi dalle città alla ricerca di forme di vita diversa, meno frenetica, che la campagna ed il contatto diretto con la natura offre in modo unico. Forse, al momento, queste persone non percepiscono ancora bene che è nelle campagne, nell’agricoltura, nell’allevamento, che avranno successo e potranno realizzare il loro sogno di essere liberi. 

Come scrisse già nel 1826 il poeta ed accademico venezuelano Don Andrés Bello: “Ami la libertà? Allora sappi che la campagna è vita”.

TESEO.Clal.it – Numero di aziende da latte in Europa divise per area ed estensione

Articolo raccolto e tradotto da Leo Bertozzi.

Il programma per l’agricoltura dello Stato di New York
3 Febbraio 2023

Secondo i dati del Dipartimento dell’agricoltura, nello Stato di New York operano circa 33 mila aziende agricole, con produzioni che spaziano dal latte (quinto posto nella classifica nazionale), alle mele, all’uva, per un valore totale di 3,3 miliardi di dollari, con 24 mila persone impiegate. Il 23% della superficie totale dello Stato è in uso agricolo, mentre nella zona dei grandi laghi, i Finger Lakes, i terreni agricoli rappresentano più del 40% della superficie totale.

Agricoltura ed allevamento sono dunque attività rilevanti e di recente è stato avviato un gruppo di lavoro fra i rappresentanti della pubblica amministrazione, degli agricoltori, dei lavoratori e delle associazioni di categoria. Il compito è organizzare incontri di confronto ed approfondimento svolti in estate nelle varie zone dello Stato, per identificare le necessità del comparto e le azioni da intraprendere. Sono state individuate le seguenti tematiche su cui è necessario intervenire:

  • Trasporti: affrontare le sfide legate alla movimentazione dei prodotti e le relative esigenze di investimento in strade, ponti ed altre infrastrutture vitali per portare i beni sul mercato;
  • Lavoro: individuare e formare la prossima generazione di agricoltori e lavoratori agricoli per sostenere un settore diversificato con le competenze necessarie per gestire le aziende agricole moderne.
  • Ambiente: affrontare le tematiche relative alla gestione del letame ed alla transizione verso fonti energetiche rinnovabili per raggiungere gli obiettivi climatici dello Stato e permettere alle aziende agricole di diventare neutrali rispetto alle emissioni di carbonio;
  • Alloggi per i lavoratori: fornire un ambiente di vita sicuro, vicino alle aziende agricole;
  • Tassazione: fornire indicazioni per migliorare le imposte sulla proprietà e l’accesso ai programmi di sgravio fiscale esistenti;
  • Tutela dei terreni agricoli: rivedere la normativa esistente per identificare i modi in cui lo Stato possa fattivamente garantire che i terreni agricoli produttivi rimangano accessibili agli agricoltori;
  • Territorio: sostenere le vendite dirette ed i circuiti corti, l’acquisto di prodotti del territorio da parte delle varie agenzie statali per creare catene di approvvigionamento locali, strettamente collegate con le aziende agricole.

Un rapporto finale sarà consegnato all’Ufficio del Governatore e identificherà le azioni, raccomandate dal gruppo di lavoro, che le agenzie statali possono intraprendere per sostenere a semplificare le attività produttive per gli agricoltori dello Stato di New York.

TESEO.Clal.it – Andamento dei costi e dei ricavi nelle Aziende da latte USA

Fonte: New York State Comptroller and New York State

Agricoltura conservativa: realtà o mito?
19 Gennaio 2023

L’agricoltura conservativa o, nella sua accezione inglese, rigenerativa (regenerative agriculture), vuole essere la risposta alle tecniche colturali standardizzate che comportano lavorazioni sempre più spinte, compattamento del terreno, perdita di fertilità, erosione. Tale tecnica agronomica si basa sostanzialmente su cinque principi:

  • intervenire il meno possibile sul terreno;
  • mantenere la sua superficie coperta;
  • conservare le radici vive nel suolo;
  • coltivare una gamma diversificata di colture favorendo le rotazioni;
  • riportare sui campi gli animali da pascolo.

Il minimum tillage, o minima lavorazione del terreno è una pratica nota da tempo, soprattutto negli USA, ma oggi risulta particolarmente interessante dato che si parla sempre più spesso di degrado ambientale, perdita di biodiversità, emissioni e quant’altro. I metodi di coltivazione conservativi diventano poi attraenti anche per i consumatori, nella prospettiva che gli alimenti provengano da un sistema agricolo rispettoso per l’ambiente, che rigenera le risorse naturali.

Un numero crescente di grandi imprese alimentari è interessata all’agricoltura conservativa

Non a caso, un numero crescente di grandi imprese alimentari guarda con sempre maggior interesse all’agricoltura conservativa, ad esempio per ridurre le emissioni di gas serra. Basti pensare che la produzione agricola necessaria per le forniture di materie prime da trasformare rappresenta il 61% delle emissioni di Danone ed il 71% di quelle di Nestlé. Per le attività di Arla Foods nel Regno Unito, l’83% di esse proviene dalle aziende agricole. Di conseguenza si investono notevoli risorse per diffondere questa pratica nei sistemi agricoli di vari Paesi. Un esempio è Nestlé che sta investendo 1,24 miliardi di dollari lungo tutta la sua filiera, mentre Arla sta conducendo progetti pilota presso aziende agricole nel Regno Unito, in Svezia, Germania, Paesi Bassi e Danimarca.

E’ un approccio che, però, richiede tempo per manifestare i propri benefici. Dai dati delle aziende agricole canadesi emerge una perdita di resa nelle prime due stagioni di passaggio all’agricoltura conservativa per poi raggiungere il pareggio entro la terza o quarta stagione, ma è solo dopo cinque o sei cicli produttivi che si inizia a vedere una maggiore redditività, che secondo alcuni studi potrebbe equivalere anche al 30% in più.

Contratti a lungo termine che garantiscano entrate stabili per gestire la transizione

Questo richiede di fornire assistenza tecnica e finanziaria agli agricoltori, sottoscrivendo contratti a lungo termine che garantiscano entrate stabili per aiutarli a gestire la transizione. Negli Stati Uniti, Danone ha dovuto attendere quattro anni dall’avvio del suo programma per la salute del suolo per poter dimostrare di aver ridotto l’emissione di 119 mila tonnellate di CO2 ed averne sequestrate 31 mila in più nel terreno, proteggendo inoltre il suolo dall’erosione. L’agricoltura rigenerativa può portare altri benefici in termini di riduzione delle emissioni di carbonio. Unilever ha attivato un fondo per il clima e la natura che mira a ridurre le emissioni dei suoi fornitori di prodotti lattiero-caseari olandesi e americani. Il progetto prevede l’utilizzo di ingredienti alternativi nei mangimi, come le alghe, una migliore gestione del letame e l’aumento delle superfici coltivate utilizzando l’agricoltura conservativa. Danone afferma che circa la metà delle riduzioni delle emissioni di gas serra sono derivate dall’introduzione dell’agricoltura rigenerativa mentre alla fine dello scorso anno, il 19,7% delle aziende agricole che rifornivano l’azienda di materie prime fondamentali per le sue produzioni, aveva avviato la transizione verso l’agricoltura conservativa.

Soprattutto le grandi imprese alimentari stanno sperimentando tecniche, analizzando dati e sviluppando nuove relazioni commerciali con gli agricoltori per un approccio dal basso verso l’alto, nella prospettiva di un vantaggio condiviso e reciproco, con i consumatori che possono avere alimenti più sani e gli agricoltori per un’attività più certa e profittevole. Ovviamente anche l’ambiente in senso lato ne avrebbe beneficio.

Il tempo ci dirà se si tratta di una tendenza che alcuni stanno sfruttando date le attese del momento o di un onesto e concreto tentativo di rivedere un sistema produttivo che dimostra i suoi limiti. Tutto questo inteso non in senso assoluto ma come un percorso, nella convinzione che se ci si prende cura della terra e delle persone che la coltivano, è possibile operare realmente per la sostenibilità.

+ Scopri le novità su Carbon Farming e Carbon Market

CLAL.it – La Commissione Europea prosegue il percorso per attivare un Mercato del Carbonio

Fonte: Just Food

L’Olanda tra produzione alimentare e ambiente
12 Gennaio 2023

L’Olanda è il più grande esportatore di prodotti agroalimentari al mondo dopo gli USA e di gran lunga il maggiore in rapporto alla popolazione. Il valore totale dell’export è di 66,5 miliardi di dollari all’anno, pari al 17,5% delle esportazioni totali del Paese ed al 10% del PIL. Non deve dunque sorprendere se il piano governativo per dimezzare entro il 2030 le emissioni azotate annunciato nei mesi scorsi, che comporterebbe una prevedibile chiusura di 11.200 stalle, ha portato alle forti manifestazioni degli agricoltori lo scorso luglio.

Solo come carne, l’Olanda ha esportato per un valore di 9,25 miliardi di dollari verso Paesi come Italia, Germania, Cina, Francia, Germania, Regno Unito. Dunque un taglio alla produzione primaria comporterebbe un grave contraccolpo economico, con pesanti risvolti anche sociali e culturali. 

Gli allevatori sono sollecitati ad adottare una nuova strategia produttiva

Per i sostenitori della misura di riduzione delle emissioni, le attività del settore agroalimentare comportano un danno ambientale di 6,1 miliardi di dollari all’anno. Dunque sollecitano ad adottare una nuova strategia produttiva con minore quantità, più attenta alla qualità, alla biodiversità, alla qualità dell’aria e delle acque. In alcune aree bisognerebbe però ridurre del 95% le emissioni azotate e regioni intere dovrebbero ridurle del 70% attraverso interventi quali l’estensificazione dei sistemi di allevamento o l’allungamento dei tempi d’ingrasso degli animali. Questa situazione rappresenta un quadro emblematico sempre più frequente delle frizioni fra i legislatori che impongono norme per tagliare l’inquinamento ed i produttori che temono gli effetti negativi, soprattutto verso i componenti più deboli delle filiere.

Le autorità olandesi sembrano ferme nel loro proposito che prevede la possibilità di un abbandono volontario della produzione, con l’acquisto dei terreni da parte  del governo ad un prezzo ben superiore a quello di mercato. Per gli allevatori però ciò equivarrebbe ad una forma di espropriazione. Le associazioni agricole ritengono che i terreni dovrebbero restare nelle disponibilità degli agricoltori che vogliono investire nell’attività produttiva per renderla più sostenibile. Ritengono indispensabile però prevedere tempi più lunghi per poter adottare le pratiche innovative necessarie per la transizione ecologica; questo anche per i tempi richiesti dalle relative pratiche amministrative per i nuovi investimenti.

Secondo Copa-Cogeca, con riferimento alle norme ambientali proposte dalla UE, bisogna essere molto attenti ad intervenire in modo drastico, perché ogni riduzione nella produttività agricola comporta comunque benefici molto limitati verso i cambiamenti climatici e rischia di acuire la crisi alimentare evidenziata da  pandemia, guerra e siccità.

Fonte: FoodIngredientsFirst.com

Il latte del Qatar
20 Dicembre 2022

Il Qatar è alla ribalta mondiale con gli investimenti fatti nel campionato mondiale di calcio. Meno noti ma non meno rilevanti per la loro proiezione internazionale sono anche gli investimenti che il Paese del Golfo ha fatto nel latte a partire dal 2014 con la fondazione di Baladna, ben presto diventata la maggior azienda ovicaprina del Medio oriente. Lo sviluppo dell’azienda avviene nel 2017 con l’importazione via aerea di 4 mila vacche ad alta genealogia da Europa ed USA, alloggiate in cinque stalle da 800 vacche l’una. Due anni dopo, le stalle erano 40 con 24 mila vacche per una produzione giornaliera di 3 mila quintali di latte, arrivando a coprire il 71% del fabbisogno qatariota di latte e derivati. Oggi la capacità produttiva è salita a 7 mila quintali al giorno e l’azienda ha assunto dimensioni notevoli, tanto da espandere i propri interessi nel promettente mercato del sud est asiatico iniziando dalla Malesia, Paese dove l’autosufficienza nella produzione di latte è appena il 15%.

Una volta coperti i fabbisogni di latte liquido, si conta di diversificare la produzione

Baladna ha avviato un piano per arrivare a produrre un milione di quintali di latte entro il 2025, in modo da ridurre la dipendenza dalle importazioni. Una volta coperti i fabbisogni di latte liquido, conta di diversificare la produzione verso prodotti a più elevato valore aggiunto come yogurt e formaggi. L’azienda qatariota sta guardando anche agli altri mercati dell’area, caratterizzati da una ridotta autosufficienza lattiera e con governi disposti a sostenerne l’incremento produttivo. Il prossimo passo sarà l’Indonesia, ma l’attenzione è anche verso le Filippine per la possibilità di coltivare foraggio su larga scala.

Questo dinamismo sul mercato trova spazio grazie al know-how acquisito nello sviluppo della produzione lattiera in Qatar e nel contesto delle nuove misure di sostenibilità ambientale nelle aree di tradizionale produzione lattiera dell’UE così come in Nuova Zelanda, che lasciano intravedere restrizioni all’allevamento animale e cali produttivi. Esempio fra tutti, le prospettive in Olanda ed Irlanda.

Proprio in tema di sostenibilità, Baladna nei suoi impianti in Malesia installa anche gli impianti fotovoltaici e di bio-digestione anaerobica per ottenere energia e fertilizzante. Seguendo l’esperienza produttiva maturata nelle condizioni climatiche del Qatar, Baladna intende arrivare a produrre 38-40 litri giornalieri per vacca rispetto alla media attuale di 15 litri anche nelle aree con temperatura ed umidità elevate del sud-est asiatico.

CLAL.it – Produzione annuale di latte bovino in Medio Oriente

Fonte: DairyReporter & Baladna

L’agricoltura fotovoltaica per produrre cibo ed energia
12 Dicembre 2022

Cliccando su Google le parole “solare” e “agricoltura” ci si imbatte in una soluzione in grado di affrontare contemporaneamente la crisi alimentare e quella energetica: l’agri-voltaico.

In questo tempo, il mondo è colpito da una serie di shock destabilizzanti. Gli oltre due anni di pandemia e la successiva guerra in Ucraina, con effetti globali sui mercati delle materie prime, sulle catene di approvvigionamento e sull’inflazione, hanno provocato un’impennata dei prezzi di cibo ed energia. Se si aggiungono poi anche i possibili effetti devastanti dei cambiamenti climatici sulle rese dei  raccolti nei prossimi anni, appare evidente che l’insicurezza alimentare ed energetica diventano un rompicapo in tutto il mondo.

I sistemi agroalimentari sono parte della soluzione per adattarsi ai cambiamenti climatici

Secondo il Forum Economico Mondiale, con i giusti investimenti, l’innovazione ed una concreta collaborazione fra i vari soggetti pubblici e privati, i sistemi agroalimentari potrebbero diventare una delle soluzioni più promettenti per contrastare i cambiamenti climatici e fornire nutrimento a tutti, contrastando la povertà. Ad esempio la sola agricoltura di precisione adottata su larga scala potrebbe ridurre di oltre il 5% l’uso delle risorse idriche e la produzione di energia rinnovabile potrebbe generare fino a 100 miliardi di dollari di reddito aggiuntivo per gli agricoltori entro il 2030. Esistono diverse tecnologie agroalimentari, tra cui i progressi nel digitale e nei dati, le soluzioni di energia rinnovabile ed anche le proteine alternative che, se industrializzate, potrebbero sostenere la sicurezza e l’efficienza del sistema alimentare.

L’agricoltura agri-voltaica integra gli impianti solari fotovoltaici con la coltivazione agricola, in modo che la stessa area di terreno possa essere utilizzata per entrambe le attività, permettendo nel contempo di ridurre le emissioni di gas serra, proteggere la biodiversità, ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e migliorare la produttività agricola.

In sostanza si imita quanto fatto da tempo col principio dell’agroforestazione

L’elemento comune e distintivo dell’agri-voltaico è la condivisione della luce solare attraverso la fotosintesi ed il fotovoltaico. In sostanza si imita quanto fatto da tempo col principio dell’agroforestazione coltivando sullo stesso pezzo di terra colture con diverse esigenze di luminosità. L’ombreggiatura solare riduce l’evapotraspirazione, mantenendo il suolo idratato. Secondo l’associazione SolarPower Europe, la schermatura solare potrebbe far risparmiare dal 14 al 29% di acqua contrastando la siccità. Esistono vari tipi di agri-voltaico, tra cui pannelli fotovoltaici a terra, pannelli fotovoltaici sopraelevati e serre solari, che si combinano con diversi tipi di colture, in funzione del clima locale, delle coltivazioni e dei modelli di utilizzo del suolo. Anche nelle grandi estensioni a pascolo, i pannelli fotovoltaici possono possono essere utili come ombreggiatura e riparo per gli animali.

In un mondo in cui le risorse diminuiscono ed i bisogni aumentano, la terra è sempre più preziosa per la produzione di questi due beni. La risposta potrebbe essere semplice: combinare le due cose. Elementare Watson, direbbe Sherlock Holmes!

Fonte: Energy Monitor

Il miglioramento genetico delle piante per contrastare il cambiamento climatico
5 Dicembre 2022

Si ritiene che oltre un terzo delle emissioni globali di gas serra sia dovuto ai sistemi alimentari. Pertanto qualsiasi programma per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni delineati nell’Accordo di Parigi sul clima deve comportare cambiamenti anche nel modo in cui coltiviamo, trasformiamo e distribuiamo il cibo.

Per raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonica, occorre da un lato ridurre il più possibile le emissioni di gas serra e dall’altro assorbire dall’atmosfera quelle rimanenti. L’uso dei terreni agricoli è una componente chiave su entrambi i lati. Diminuendo la quantità di terra dedicata al bestiame si ridurranno le emissioni di metano mentre le colture, grazie al miglioramento genetico, possono essere progettate per catturare l’anidride carbonica in modo più efficiente e convertirla in ossigeno od immagazzinarla nel terreno.

Le tecniche di editing genetico possono migliorare la capacità di immagazzinare il carbonio

Le tecniche innovative di miglioramento genetico vengono già utilizzate per aiutare le colture ad adattarsi ai rapidi cambiamenti climatici, ma le tecniche di editing genetico possono anche migliorare la capacità delle piante e dei microbi del suolo per catturare ed immagazzinare il carbonio dall’atmosfera. Migliorando il processo di fotosintesi, si potrebbero creare piante più produttive di circa il 40%, il che significa meno anidride carbonica nell’atmosfera. Un’altra possibilità è di ottenere radici più robuste, più grandi e più profonde per resistere meglio alla decomposizione, riducendo al minimo le perdite di carbonio. Anche i microrganismi del suolo, che utilizzano il 20% delle molecole che le piante creano durante la fotosintesi, possono essere sfruttati per mitigare i cambiamenti climatici e sequestrare il carbonio. Con le nuove tecniche genetiche i ricercatori potrebbero mettere a punto lo scambio e l’interazione tra le radici e le comunità microbiche, contribuendo a stabilizzare il carbonio nel suolo.

I terreni agricoli coprono più di un terzo della superficie mondiale. L’utilizzo di una frazione di questo spazio per catturare ed immagazzinare il carbonio in modo più efficiente è necessario per i Paesi che vogliono raggiungere i loro obiettivi “net zero“. Ad esempio, la riforestazione strategica su scala mondiale sarà fondamentale per mitigare i circa 40 miliardi di tonnellate di anidride carbonica immessi nell’atmosfera ogni anno. Questo vale anche per gli ecosistemi oceanici e del “carbonio blu” (paludi salmastre, mangrovie e fanerogame) che sono 10 volte più efficaci nel sequestrare l’anidride carbonica su base annua rispetto alle foreste tropicali ed a maggior ragione devono essere tutelati.

Per ultimo, anche i prati hanno un grande potenziale di sequestro del carbonio. Nelle aree sempre più aride, possono immagazzinare più carbonio delle foreste perché sono meno colpiti da siccità e incendi boschivi. I prati, infatti, sequestrano la maggior parte del carbonio nel sottosuolo, mentre gli alberi lo immagazzinano principalmente nel legno e nelle foglie.

Dunque la corretta gestione del suolo e le buone tecniche agronomiche sono uno strumento cruciale nella lotta contro il cambiamento climatico, su cui si può e si deve agire immediatamente.

Fonte: World Economic Forum

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