Il futuro è raccontare la filiera del latte
2 Agosto 2016

Piergiovanni Ferrarese
Sorgà, Verona – ITALIA

L'allevatore Piergiovanni Ferrarese
L’allevatore Piergiovanni Ferrarese

Azienda Agricola Ferrarese Paolo e Carlo S.s.
Capi allevati: 300 | 130 in mungitura.
Ettari coltivati: 125.
Destinazione del latte: Latte Alimentare (Scaligera Latte).

“La missione del futuro è parlare del prodotto, raccontare la filiera del latte, promuoverla, sostenere l’accesso al credito e le start up, far conoscere ai consumatori che cosa sta dietro un litro di latte, dalla mangimistica all’alimentazione, dalla produzione alla commercializzazione. Invece gli stessi allevatori sono rimasti fermi a farsi la guerra, mentre montava un ambientalismo estremista, che accusava i produttori di inquinamento. A Bruxelles dobbiamo essere uniti, perché non abbiamo più margini per pagare le guerriglie dei Vietcong del no”.

Ha le idee chiare Piergiovanni Ferrarese, 24 anni, una laurea in Giurisprudenza (“con una tesi sull’aggregazione in agricoltura, ci tengo molto che si sappia”, spinge) e un’azienda di famiglia di 125 ettari in proprietà a Sorgà, nel Veronese, con 300 capi, dei quali 150 in mungitura. Il latte viene venduto alla Scaligera Latte, guidata dallo zio Carlo.

Tra i rappresentanti dell’Anga Veneto di Confagricoltura, recentemente Ferrarese ha conquistato la rappresentanza italiana all’interno del Gruppo latte del Ceja, il Consiglio europeo dei giovani agricoltori.

Quali sono le esigenze dei giovani?

“Da noi una delle principali esigenze, forse la prima per importanza, è l’accesso al credito. Troppe volte le banche rendono impossibile l’accesso al credito e troppo speso si lasciano abbindolare dalle mode del momento, non finanziando magari progetti o start up che non rispecchiano le tendenze in atto. A livello nazionale, poi, scontiamo ritardi che penalizzano ulteriormente il sistema agricolo. Sotto la presidenza dell’amico Matteo Bartolini, il Ceja aveva ottenuto dalla Banca degli investimenti europei (Bei) un canale privilegiato per ottenere finanziamenti agevolati in agricoltura. In alcuni paesi l’operazione ha avuto seguito, in Italia non mi risulta”.

La Pac dà sufficienti risposte? Come si potrebbe migliorare?

“La Pac cerca di dare risposte, ma soffre innanzitutto un problema di burocrazia elefantiaca. Invece, dovrebbe trasformarsi rapidamente in uno strumento di rafforzamento di idee concrete, sostenute da business plan ponderati. Dobbiamo metterci in testa che le risorse disponibili saranno sempre meno, mentre gli sforzi richiesti agli agricoltori saranno più pesanti. Noi giovani agricoltori abbiamo una sola missione: migliorare la qualità delle produzioni, ma per farlo è necessario investire. Allo stesso modo, ritengo siano determinanti gli scambi imprenditoriali, per sostenere la circolazione delle idee e delle esperienze”.

Come giudica il Pacchetto Latte anticrisi approvato nelle scorse settimane a Bruxelles?

“Un ottimo punto di partenza, anche se suddivisi tra gli Stati Membri sono briciole. L’Italia è al 17° posto per risorse disponibili, in rapporto alla quantità di latte prodotta. Per essere finalizzati a sostegno della zootecnia è necessario che tali fondi siano impiegati per finanziare progetti veri e concertati con gli agricoltori. Ma se gli allevatori per ottenere gli aiuti dovranno spendere tempo e denaro per compilare carte, allora si cambi strategia e si finanzino l’approccio al mercato e misure per l’export”.

Molto spesso si parla di export come via prioritaria per la ripresa. Quali sono, dal suo osservatorio, le maggiori difficoltà che il sistema lattiero caseario italiano incontra nella fase di export?

“I punti deboli sono molti. Il primo riguarda l’approccio al mercato. Ci sono paesi che hanno studiato la domanda, altri hanno cercato di imporre l’offerta. Se non si conoscono i mercati internazionali è molto complicato avere successo, non si può più andare allo sbaraglio. I produttori dovrebbero essere più etici, più trasparenti, seguire nella filiera lattiero casearia quanto avvenuto nel mondo del vino, aprendo le cantine ai consumatori. E allora: apriamo le stalle ai visitatori, facendo leva sulla forza del territorio. Un altro elemento riguarda le certificazioni: il bollino non è la salvezza di tutto. Ci siamo affidati sempre e solo alle Dop: credo siano la strada maestra, ma non l’unica. Iniziamo a confrontarci con gli altri paesi e troviamo strategie comuni”.

Qual è la sua opinione sulla Brexit?

“È un campanello d’allarme per disegnare un’Europa agricola totalmente diversa da quella che abbiamo. E l’Italia deve contribuire alla costruzione di una Ue più moderna e al passo con le sfide del mercato e le esigenze dei popoli. Bisogna rimanere uniti, perché il futuro è insieme. Chi parla di ritorno alla lira è fuori dal mondo. Si cammina insieme. E per arrivare a politiche più coese e condivise in agricoltura, forse l’Italia dovrebbe riflettere sul fatto che siamo l’unico paese con 21 Psr”.

Pensa sia più corretta la centralizzazione?

“Se in Italia centralizzare vuol dire fare come Agea, allora no, grazie. La regionalizzazione va bene se le Regioni funzionano. La mia azienda si trova in Veneto e in Lombardia e in entrambe le realtà l’amministrazione risponde ai cittadini. In altre parti del Paese non è così e i Programmi di sviluppo rurale stentano a decollare. Questo è un serio problema per il sistema agricolo nazionale”.

Che fare, dunque?

“La soluzione è forse ragionare per macroregioni, tenendo ben presente che alcune politiche di controllo e di sicurezza debbano essere regolamentate a livello comunitario. Abbiamo bisogno di regole comuni per competere e svilupparci allo stesso livello”.

A cosa si riferisce, in particolare?

“Alla farmaceutica: molto spesso abbiamo a che fare con prodotti vietati in Italia, ma ammessi in altri Stati dell’Ue, come in materia di zootecnia da ingrasso o di tempi di sospensione dei farmaci nella produzione del latte, che in Italia sono di cinque giorni e in altri paesi sono di zero. E poi, dobbiamo armonizzare la burocrazia ed eliminare tutte quelle norme anacronistiche”.

Mi faccia un esempio.

“Pensi alle imposizioni legate alla Bse, che sono divieti e costi in più per l’allevatore”.

Cosa pensa del latte biologico?

“Dire sì o no al biologico è folle. Il biologico è un’ottima alternativa; è una possibilità, visto che il mercato lo richiede. Come giovani agricoltori crediamo che il produttore debba osservare innanzitutto un modus operandi etico, ma allo stesso tempo l’Unione europea deve garantire controlli e regole uguali per tutti gli stati Membri. Demandare regolamenti e certificazioni a livello nazionale non ha senso”.

Parliamo di innovazione: cosa pensa dei robot di mungitura?

“Li sto studiando da diversi anni, con molto interesse. Credo che nei prossimi anni non potremo farne a meno; ma si tratta di una tecnologia che non sostituirà mai il ruolo dell’uomo, al massimo, sarà un alleato dell’allevatore”.

Azienda Agricola Ferrarese Paolo e Carlo S.s.
Azienda Agricola Ferrarese Paolo e Carlo S.s.

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Pubblicato da

Matteo Bernardelli

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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