Suini: è giunto il momento di condividere un percorso [intervista]
29 Agosto 2022

Roberto Pini
Castelverde, Cremona

Roberto Pini – Amministratore Unico del Gruppo Pini

“Il futuro? Sta nella filiera”. Parola di Roberto Pini, amministratore unico del Gruppo Pini, un colosso che nel 2021 ha fatturato 1,5 miliardi di euro e che è partito non dai suini, ma dalle bresaole. “Bresaole Pini è stata la prima azienda di famiglia a Grosotto, in provincia di Sondrio, dove è nato tutto”, prosegue Roberto Pini.

Il percorso di crescita in Italia e all’estero li ha portati a gestire due strutture di macellazione di suini: Pini Italia a Castelverde (Cremona) e Ghinzelli a Viadana (Mantova). In totale, parliamo di 1,5 milioni di maiali macellati in Italia, tutti animali destinati al circuito Dop, “che ci porta a essere il primo player nella macellazione a livello nazionale”. Eppure, l’Italia, “vale poco più del 30% di un impero che occupa oltre tremila dipendenti e ha sedi in Ungheria e Spagna”.

Siete leader in Italia nel segmento della macellazione suina. Pensate di presiedere anche la produzione e stagionatura di prosciutti Dop?

“Per il momento non è nei nostri piani. Due anni fa abbiamo realizzato un importante investimento in Spagna, a Binefar, dove abbiamo costruito una delle strutture più all’avanguardia per la macellazione. Dopo due anni di attività il fatturato ha superato i 750 milioni di euro. Inoltre, sempre in Spagna, abbiamo costruito un’altra struttura destinata alla macellazione delle scrofe per un investimento pari a 20 milioni di euro. In totale, abbiamo investito in Spagna oltre 150 milioni”.

Qual è la vostra quota di export?

“Dalla Spagna siamo oltre l’80% e il nostro gruppo può contare su una rete commerciale molto presente all’estero e particolarmente attiva in Asia, dalla Cina al Giappone, al Sudamerica. Ma esportiamo in tutto il mondo”.

Il made in Italy è un valore aggiunto?

“Sicuramente. È un maiale diverso rispetto ad esempio alla Spagna, dove la produzione è finalizzata puramente per la produzione di carne, destinata al consumo fresco. L’Italia è orientata invece alla produzione di suini per le filiere Dop e Igp, alla salumeria e ha grandi potenzialità per l’export”.

Avete avuto ripercussioni con la peste suina africana?

“Sì. Nelle due strutture di macellazione in Italia avevamo una quota di export del 25% in Asia e avevamo creato un rapporto privilegiato con il Giappone, che cerca qualità e che aveva trovato nel suino Made in Italy la giusta risposta alla ricerca di carne con la giusta infiltrazione di grasso e una marezzatura in grado di soddisfare i canoni culinari giapponesi. Ora con la Psa siamo bloccati e, complessivamente, è stato sospeso l’85% dell’export extra Ue”.

In quale direzione investirete in futuro?

Puntiamo a sviluppare la nostra filiera a monte e a valle

“Nei prossimi anni pensiamo a sviluppare la nostra filiera con un’integrazione a monte e a valle, monitorando allo stesso tempo il discorso allevatoriale e della produzione. È in questa ottica l’interesse che abbiamo mostrato per il gruppo Ferrarini a Reggio Emilia”.

Dall’inizio dell’anno a oggi, che fase stanno attraversando i macelli?

“Diciamo che siamo alle prese con una fase abbastanza travagliata, a partire dalla peste suina africana, che si è manifestata in Italia all’inizio del 2022 e che ha immediatamente sovvertito tutti i piani di export, con restrizioni e ovviamente ripercussioni sui listini.

Anche l’aumento dei costi di produzione sta incidendo sui bilanci delle strutture di macellazione”.

Come cercate di riassorbire i maggiori costi di produzione?

“Abbiamo cercato di portare avanti un discorso di razionalizzazione del processo produttivo, cercando di limitare al minimo tutti gli sprechi”.

L’aumento dei costi produttivi ha cambiato le vostre strategie imprenditoriali?

“No, assolutamente”.

Che investimenti avete fatto nell’ultimo anno e quali investimenti avete in programma?

“Negli ultimi due anni abbiamo portato a termine un investimento significativo in Spagna con l’inaugurazione dello stabilimento Litera Meat, per oltre 150 milioni di euro. Questo ci ha portato a diventare la prima struttura di macellazione in Spagna. Inoltre, quest’anno siamo partiti con una struttura per la macellazione delle scrofe, dove abbiamo investito come le dicevo, 20 milioni di euro. E nel futuro concentreremo gli investimenti per lo sviluppo della filiera a monte e a valle”.

Come mai la scelta di chiudere la filiera?

“Quando lavori occupando solo un segmento della filiera sei inevitabilmente sottoposto a oscillazioni di mercato, che possono essere anche repentine, impreviste e violente, come abbiamo visto in diverse occasioni negli ultimi anni. Questi choc limitano, di fatto, la capacità di programmazione ed espongono l’impresa a forti stress, che in alcuni casi possono mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’azienda. Se invece l’approccio si sposta su un modello di filiera totalmente integrata, il rischio sulla redditività aziendale è minore e c’è maggiore facilità ad assorbire le anomalie di mercato”.

I consumatori sono sempre più attenti alla sostenibilità. Che scelte avete fatto per ridurre l’impatto ambientale?

Stiamo investendo nella sostenibilità ambientale

“Nello stabilimento di Bresaole Pini a Grosotto abbiamo già sviluppato un impianto di cogenerazione per la produzione di energia e calore con un investimento da un milione di euro. Andremo a installare soluzioni per la cogenerazione e la trigenerazione nei due impianti italiani.

Stiamo portando avanti progetti sul fotovoltaico in Spagna e di cogenerazione per la produzione di energia elettrica e calore e di trigenerazione per ottenere energia elettrica, calore e freddo. Investimenti che sono ormai necessari sia per ridurre i costi che in chiave di sostenibilità ambientale”.

Il minore potere di acquisto delle famiglie potrebbe modificare i consumi nel settore carni suine e salumi? In quale direzione?

“Da alcuni mesi la situazione delle famiglie è molto difficile, i nuclei familiari sono tartassati dagli aumenti. Ci sarà inevitabilmente una contrazione dei consumi e dobbiamo sperare che la situazione globale e la speculazione sulle materie prime si plachino un attimo. Tuttavia, oggi è difficile prevedere come si dipaneranno i consumi nei prossimi mesi, anche se presumibilmente assisteremo a qualche squilibrio e a una riduzione negli ultimi mesi dell’anno”.

Talvolta gli allevatori chiedono ai macelli indicazioni sul tipo di suino più idoneo a garantire maggiore redditività. Che cosa chiedete e cosa può essere utile alla filiera suinicola italiana?

Convocare tavoli tecnici di filiera per condividere linee di sviluppo comuni

“La cosa migliore da fare sarebbe convocare tavoli tecnici di filiera per condividere linee di sviluppo comuni. Non basta ritrovarsi fra macellatori o fra allevatori. È giunto il momento di condividere un percorso, supportato da argomentazioni scientifiche e oggettive. Va individuato un punto di equilibrio e specificare le linee per garantire redditività all’allevatore, privilegiando la qualità sul prodotto finito, necessaria per alimentare e dare prospettive alla filiera Dop. In Italia l’allevamento non può esimersi dalla produzione di suini specificatamente previsti per una valorizzazione delle Dop. Non ci sono alternative, perché i costi di produzione dell’allevatore e della macellazione sono molto più alti rispetto all’estero e sulla carne fresca non sarebbero competitivi”.

Come vede il futuro della suinicoltura?

“Sono ottimista, ma solamente se tutti i protagonisti della filiera saranno così maturi da poter dialogare per costruire un futuro insieme. Altrimenti sarà difficile per tutto il settore. Siamo tutti alle prese con l’aumento dei costi di produzione e gli incrementi delle spese mettono in difficoltà i singoli anelli della catena di approvvigionamento. Dobbiamo essere lungimiranti e coesi”.

Sulla genetica si sono levate un po’ di polemiche?

“Il prodotto finale parte dalla genetica, che è un aspetto essenziale dell’animale e di come viene allevato. Bisogna ragionare in termine di filiera anche in questo caso e sono convinto che ampliare la gamma delle genetiche approvate e dare spazio a nuove linee, senza abbassare lo standard qualitativo, possa rappresentare un’opportunità per un’offerta più ampia sul mercato”.

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Pubblicato da

Matteo Bernardelli

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.