Il programma per l’agricoltura dello Stato di New York
3 Febbraio 2023

Secondo i dati del Dipartimento dell’agricoltura, nello Stato di New York operano circa 33 mila aziende agricole, con produzioni che spaziano dal latte (quinto posto nella classifica nazionale), alle mele, all’uva, per un valore totale di 3,3 miliardi di dollari, con 24 mila persone impiegate. Il 23% della superficie totale dello Stato è in uso agricolo, mentre nella zona dei grandi laghi, i Finger Lakes, i terreni agricoli rappresentano più del 40% della superficie totale.

Agricoltura ed allevamento sono dunque attività rilevanti e di recente è stato avviato un gruppo di lavoro fra i rappresentanti della pubblica amministrazione, degli agricoltori, dei lavoratori e delle associazioni di categoria. Il compito è organizzare incontri di confronto ed approfondimento svolti in estate nelle varie zone dello Stato, per identificare le necessità del comparto e le azioni da intraprendere. Sono state individuate le seguenti tematiche su cui è necessario intervenire:

  • Trasporti: affrontare le sfide legate alla movimentazione dei prodotti e le relative esigenze di investimento in strade, ponti ed altre infrastrutture vitali per portare i beni sul mercato;
  • Lavoro: individuare e formare la prossima generazione di agricoltori e lavoratori agricoli per sostenere un settore diversificato con le competenze necessarie per gestire le aziende agricole moderne.
  • Ambiente: affrontare le tematiche relative alla gestione del letame ed alla transizione verso fonti energetiche rinnovabili per raggiungere gli obiettivi climatici dello Stato e permettere alle aziende agricole di diventare neutrali rispetto alle emissioni di carbonio;
  • Alloggi per i lavoratori: fornire un ambiente di vita sicuro, vicino alle aziende agricole;
  • Tassazione: fornire indicazioni per migliorare le imposte sulla proprietà e l’accesso ai programmi di sgravio fiscale esistenti;
  • Tutela dei terreni agricoli: rivedere la normativa esistente per identificare i modi in cui lo Stato possa fattivamente garantire che i terreni agricoli produttivi rimangano accessibili agli agricoltori;
  • Territorio: sostenere le vendite dirette ed i circuiti corti, l’acquisto di prodotti del territorio da parte delle varie agenzie statali per creare catene di approvvigionamento locali, strettamente collegate con le aziende agricole.

Un rapporto finale sarà consegnato all’Ufficio del Governatore e identificherà le azioni, raccomandate dal gruppo di lavoro, che le agenzie statali possono intraprendere per sostenere a semplificare le attività produttive per gli agricoltori dello Stato di New York.

TESEO.Clal.it – Andamento dei costi e dei ricavi nelle Aziende da latte USA

Fonte: New York State Comptroller and New York State

Agricoltura conservativa: realtà o mito?
19 Gennaio 2023

L’agricoltura conservativa o, nella sua accezione inglese, rigenerativa (regenerative agriculture), vuole essere la risposta alle tecniche colturali standardizzate che comportano lavorazioni sempre più spinte, compattamento del terreno, perdita di fertilità, erosione. Tale tecnica agronomica si basa sostanzialmente su cinque principi:

  • intervenire il meno possibile sul terreno;
  • mantenere la sua superficie coperta;
  • conservare le radici vive nel suolo;
  • coltivare una gamma diversificata di colture favorendo le rotazioni;
  • riportare sui campi gli animali da pascolo.

Il minimum tillage, o minima lavorazione del terreno è una pratica nota da tempo, soprattutto negli USA, ma oggi risulta particolarmente interessante dato che si parla sempre più spesso di degrado ambientale, perdita di biodiversità, emissioni e quant’altro. I metodi di coltivazione conservativi diventano poi attraenti anche per i consumatori, nella prospettiva che gli alimenti provengano da un sistema agricolo rispettoso per l’ambiente, che rigenera le risorse naturali.

Un numero crescente di grandi imprese alimentari è interessata all’agricoltura conservativa

Non a caso, un numero crescente di grandi imprese alimentari guarda con sempre maggior interesse all’agricoltura conservativa, ad esempio per ridurre le emissioni di gas serra. Basti pensare che la produzione agricola necessaria per le forniture di materie prime da trasformare rappresenta il 61% delle emissioni di Danone ed il 71% di quelle di Nestlé. Per le attività di Arla Foods nel Regno Unito, l’83% di esse proviene dalle aziende agricole. Di conseguenza si investono notevoli risorse per diffondere questa pratica nei sistemi agricoli di vari Paesi. Un esempio è Nestlé che sta investendo 1,24 miliardi di dollari lungo tutta la sua filiera, mentre Arla sta conducendo progetti pilota presso aziende agricole nel Regno Unito, in Svezia, Germania, Paesi Bassi e Danimarca.

E’ un approccio che, però, richiede tempo per manifestare i propri benefici. Dai dati delle aziende agricole canadesi emerge una perdita di resa nelle prime due stagioni di passaggio all’agricoltura conservativa per poi raggiungere il pareggio entro la terza o quarta stagione, ma è solo dopo cinque o sei cicli produttivi che si inizia a vedere una maggiore redditività, che secondo alcuni studi potrebbe equivalere anche al 30% in più.

Contratti a lungo termine che garantiscano entrate stabili per gestire la transizione

Questo richiede di fornire assistenza tecnica e finanziaria agli agricoltori, sottoscrivendo contratti a lungo termine che garantiscano entrate stabili per aiutarli a gestire la transizione. Negli Stati Uniti, Danone ha dovuto attendere quattro anni dall’avvio del suo programma per la salute del suolo per poter dimostrare di aver ridotto l’emissione di 119 mila tonnellate di CO2 ed averne sequestrate 31 mila in più nel terreno, proteggendo inoltre il suolo dall’erosione. L’agricoltura rigenerativa può portare altri benefici in termini di riduzione delle emissioni di carbonio. Unilever ha attivato un fondo per il clima e la natura che mira a ridurre le emissioni dei suoi fornitori di prodotti lattiero-caseari olandesi e americani. Il progetto prevede l’utilizzo di ingredienti alternativi nei mangimi, come le alghe, una migliore gestione del letame e l’aumento delle superfici coltivate utilizzando l’agricoltura conservativa. Danone afferma che circa la metà delle riduzioni delle emissioni di gas serra sono derivate dall’introduzione dell’agricoltura rigenerativa mentre alla fine dello scorso anno, il 19,7% delle aziende agricole che rifornivano l’azienda di materie prime fondamentali per le sue produzioni, aveva avviato la transizione verso l’agricoltura conservativa.

Soprattutto le grandi imprese alimentari stanno sperimentando tecniche, analizzando dati e sviluppando nuove relazioni commerciali con gli agricoltori per un approccio dal basso verso l’alto, nella prospettiva di un vantaggio condiviso e reciproco, con i consumatori che possono avere alimenti più sani e gli agricoltori per un’attività più certa e profittevole. Ovviamente anche l’ambiente in senso lato ne avrebbe beneficio.

Il tempo ci dirà se si tratta di una tendenza che alcuni stanno sfruttando date le attese del momento o di un onesto e concreto tentativo di rivedere un sistema produttivo che dimostra i suoi limiti. Tutto questo inteso non in senso assoluto ma come un percorso, nella convinzione che se ci si prende cura della terra e delle persone che la coltivano, è possibile operare realmente per la sostenibilità.

+ Scopri le novità su Carbon Farming e Carbon Market

CLAL.it – La Commissione Europea prosegue il percorso per attivare un Mercato del Carbonio

Fonte: Just Food

L’Olanda tra produzione alimentare e ambiente
12 Gennaio 2023

L’Olanda è il più grande esportatore di prodotti agroalimentari al mondo dopo gli USA e di gran lunga il maggiore in rapporto alla popolazione. Il valore totale dell’export è di 66,5 miliardi di dollari all’anno, pari al 17,5% delle esportazioni totali del Paese ed al 10% del PIL. Non deve dunque sorprendere se il piano governativo per dimezzare entro il 2030 le emissioni azotate annunciato nei mesi scorsi, che comporterebbe una prevedibile chiusura di 11.200 stalle, ha portato alle forti manifestazioni degli agricoltori lo scorso luglio.

Solo come carne, l’Olanda ha esportato per un valore di 9,25 miliardi di dollari verso Paesi come Italia, Germania, Cina, Francia, Germania, Regno Unito. Dunque un taglio alla produzione primaria comporterebbe un grave contraccolpo economico, con pesanti risvolti anche sociali e culturali. 

Gli allevatori sono sollecitati ad adottare una nuova strategia produttiva

Per i sostenitori della misura di riduzione delle emissioni, le attività del settore agroalimentare comportano un danno ambientale di 6,1 miliardi di dollari all’anno. Dunque sollecitano ad adottare una nuova strategia produttiva con minore quantità, più attenta alla qualità, alla biodiversità, alla qualità dell’aria e delle acque. In alcune aree bisognerebbe però ridurre del 95% le emissioni azotate e regioni intere dovrebbero ridurle del 70% attraverso interventi quali l’estensificazione dei sistemi di allevamento o l’allungamento dei tempi d’ingrasso degli animali. Questa situazione rappresenta un quadro emblematico sempre più frequente delle frizioni fra i legislatori che impongono norme per tagliare l’inquinamento ed i produttori che temono gli effetti negativi, soprattutto verso i componenti più deboli delle filiere.

Le autorità olandesi sembrano ferme nel loro proposito che prevede la possibilità di un abbandono volontario della produzione, con l’acquisto dei terreni da parte  del governo ad un prezzo ben superiore a quello di mercato. Per gli allevatori però ciò equivarrebbe ad una forma di espropriazione. Le associazioni agricole ritengono che i terreni dovrebbero restare nelle disponibilità degli agricoltori che vogliono investire nell’attività produttiva per renderla più sostenibile. Ritengono indispensabile però prevedere tempi più lunghi per poter adottare le pratiche innovative necessarie per la transizione ecologica; questo anche per i tempi richiesti dalle relative pratiche amministrative per i nuovi investimenti.

Secondo Copa-Cogeca, con riferimento alle norme ambientali proposte dalla UE, bisogna essere molto attenti ad intervenire in modo drastico, perché ogni riduzione nella produttività agricola comporta comunque benefici molto limitati verso i cambiamenti climatici e rischia di acuire la crisi alimentare evidenziata da  pandemia, guerra e siccità.

Fonte: FoodIngredientsFirst.com

Il latte del Qatar
20 Dicembre 2022

Il Qatar è alla ribalta mondiale con gli investimenti fatti nel campionato mondiale di calcio. Meno noti ma non meno rilevanti per la loro proiezione internazionale sono anche gli investimenti che il Paese del Golfo ha fatto nel latte a partire dal 2014 con la fondazione di Baladna, ben presto diventata la maggior azienda ovicaprina del Medio oriente. Lo sviluppo dell’azienda avviene nel 2017 con l’importazione via aerea di 4 mila vacche ad alta genealogia da Europa ed USA, alloggiate in cinque stalle da 800 vacche l’una. Due anni dopo, le stalle erano 40 con 24 mila vacche per una produzione giornaliera di 3 mila quintali di latte, arrivando a coprire il 71% del fabbisogno qatariota di latte e derivati. Oggi la capacità produttiva è salita a 7 mila quintali al giorno e l’azienda ha assunto dimensioni notevoli, tanto da espandere i propri interessi nel promettente mercato del sud est asiatico iniziando dalla Malesia, Paese dove l’autosufficienza nella produzione di latte è appena il 15%.

Una volta coperti i fabbisogni di latte liquido, si conta di diversificare la produzione

Baladna ha avviato un piano per arrivare a produrre un milione di quintali di latte entro il 2025, in modo da ridurre la dipendenza dalle importazioni. Una volta coperti i fabbisogni di latte liquido, conta di diversificare la produzione verso prodotti a più elevato valore aggiunto come yogurt e formaggi. L’azienda qatariota sta guardando anche agli altri mercati dell’area, caratterizzati da una ridotta autosufficienza lattiera e con governi disposti a sostenerne l’incremento produttivo. Il prossimo passo sarà l’Indonesia, ma l’attenzione è anche verso le Filippine per la possibilità di coltivare foraggio su larga scala.

Questo dinamismo sul mercato trova spazio grazie al know-how acquisito nello sviluppo della produzione lattiera in Qatar e nel contesto delle nuove misure di sostenibilità ambientale nelle aree di tradizionale produzione lattiera dell’UE così come in Nuova Zelanda, che lasciano intravedere restrizioni all’allevamento animale e cali produttivi. Esempio fra tutti, le prospettive in Olanda ed Irlanda.

Proprio in tema di sostenibilità, Baladna nei suoi impianti in Malesia installa anche gli impianti fotovoltaici e di bio-digestione anaerobica per ottenere energia e fertilizzante. Seguendo l’esperienza produttiva maturata nelle condizioni climatiche del Qatar, Baladna intende arrivare a produrre 38-40 litri giornalieri per vacca rispetto alla media attuale di 15 litri anche nelle aree con temperatura ed umidità elevate del sud-est asiatico.

CLAL.it – Produzione annuale di latte bovino in Medio Oriente

Fonte: DairyReporter & Baladna

L’agricoltura fotovoltaica per produrre cibo ed energia
12 Dicembre 2022

Cliccando su Google le parole “solare” e “agricoltura” ci si imbatte in una soluzione in grado di affrontare contemporaneamente la crisi alimentare e quella energetica: l’agri-voltaico.

In questo tempo, il mondo è colpito da una serie di shock destabilizzanti. Gli oltre due anni di pandemia e la successiva guerra in Ucraina, con effetti globali sui mercati delle materie prime, sulle catene di approvvigionamento e sull’inflazione, hanno provocato un’impennata dei prezzi di cibo ed energia. Se si aggiungono poi anche i possibili effetti devastanti dei cambiamenti climatici sulle rese dei  raccolti nei prossimi anni, appare evidente che l’insicurezza alimentare ed energetica diventano un rompicapo in tutto il mondo.

I sistemi agroalimentari sono parte della soluzione per adattarsi ai cambiamenti climatici

Secondo il Forum Economico Mondiale, con i giusti investimenti, l’innovazione ed una concreta collaborazione fra i vari soggetti pubblici e privati, i sistemi agroalimentari potrebbero diventare una delle soluzioni più promettenti per contrastare i cambiamenti climatici e fornire nutrimento a tutti, contrastando la povertà. Ad esempio la sola agricoltura di precisione adottata su larga scala potrebbe ridurre di oltre il 5% l’uso delle risorse idriche e la produzione di energia rinnovabile potrebbe generare fino a 100 miliardi di dollari di reddito aggiuntivo per gli agricoltori entro il 2030. Esistono diverse tecnologie agroalimentari, tra cui i progressi nel digitale e nei dati, le soluzioni di energia rinnovabile ed anche le proteine alternative che, se industrializzate, potrebbero sostenere la sicurezza e l’efficienza del sistema alimentare.

L’agricoltura agri-voltaica integra gli impianti solari fotovoltaici con la coltivazione agricola, in modo che la stessa area di terreno possa essere utilizzata per entrambe le attività, permettendo nel contempo di ridurre le emissioni di gas serra, proteggere la biodiversità, ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili e migliorare la produttività agricola.

In sostanza si imita quanto fatto da tempo col principio dell’agroforestazione

L’elemento comune e distintivo dell’agri-voltaico è la condivisione della luce solare attraverso la fotosintesi ed il fotovoltaico. In sostanza si imita quanto fatto da tempo col principio dell’agroforestazione coltivando sullo stesso pezzo di terra colture con diverse esigenze di luminosità. L’ombreggiatura solare riduce l’evapotraspirazione, mantenendo il suolo idratato. Secondo l’associazione SolarPower Europe, la schermatura solare potrebbe far risparmiare dal 14 al 29% di acqua contrastando la siccità. Esistono vari tipi di agri-voltaico, tra cui pannelli fotovoltaici a terra, pannelli fotovoltaici sopraelevati e serre solari, che si combinano con diversi tipi di colture, in funzione del clima locale, delle coltivazioni e dei modelli di utilizzo del suolo. Anche nelle grandi estensioni a pascolo, i pannelli fotovoltaici possono possono essere utili come ombreggiatura e riparo per gli animali.

In un mondo in cui le risorse diminuiscono ed i bisogni aumentano, la terra è sempre più preziosa per la produzione di questi due beni. La risposta potrebbe essere semplice: combinare le due cose. Elementare Watson, direbbe Sherlock Holmes!

Fonte: Energy Monitor

Il miglioramento genetico delle piante per contrastare il cambiamento climatico
5 Dicembre 2022

Si ritiene che oltre un terzo delle emissioni globali di gas serra sia dovuto ai sistemi alimentari. Pertanto qualsiasi programma per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni delineati nell’Accordo di Parigi sul clima deve comportare cambiamenti anche nel modo in cui coltiviamo, trasformiamo e distribuiamo il cibo.

Per raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonica, occorre da un lato ridurre il più possibile le emissioni di gas serra e dall’altro assorbire dall’atmosfera quelle rimanenti. L’uso dei terreni agricoli è una componente chiave su entrambi i lati. Diminuendo la quantità di terra dedicata al bestiame si ridurranno le emissioni di metano mentre le colture, grazie al miglioramento genetico, possono essere progettate per catturare l’anidride carbonica in modo più efficiente e convertirla in ossigeno od immagazzinarla nel terreno.

Le tecniche di editing genetico possono migliorare la capacità di immagazzinare il carbonio

Le tecniche innovative di miglioramento genetico vengono già utilizzate per aiutare le colture ad adattarsi ai rapidi cambiamenti climatici, ma le tecniche di editing genetico possono anche migliorare la capacità delle piante e dei microbi del suolo per catturare ed immagazzinare il carbonio dall’atmosfera. Migliorando il processo di fotosintesi, si potrebbero creare piante più produttive di circa il 40%, il che significa meno anidride carbonica nell’atmosfera. Un’altra possibilità è di ottenere radici più robuste, più grandi e più profonde per resistere meglio alla decomposizione, riducendo al minimo le perdite di carbonio. Anche i microrganismi del suolo, che utilizzano il 20% delle molecole che le piante creano durante la fotosintesi, possono essere sfruttati per mitigare i cambiamenti climatici e sequestrare il carbonio. Con le nuove tecniche genetiche i ricercatori potrebbero mettere a punto lo scambio e l’interazione tra le radici e le comunità microbiche, contribuendo a stabilizzare il carbonio nel suolo.

I terreni agricoli coprono più di un terzo della superficie mondiale. L’utilizzo di una frazione di questo spazio per catturare ed immagazzinare il carbonio in modo più efficiente è necessario per i Paesi che vogliono raggiungere i loro obiettivi “net zero“. Ad esempio, la riforestazione strategica su scala mondiale sarà fondamentale per mitigare i circa 40 miliardi di tonnellate di anidride carbonica immessi nell’atmosfera ogni anno. Questo vale anche per gli ecosistemi oceanici e del “carbonio blu” (paludi salmastre, mangrovie e fanerogame) che sono 10 volte più efficaci nel sequestrare l’anidride carbonica su base annua rispetto alle foreste tropicali ed a maggior ragione devono essere tutelati.

Per ultimo, anche i prati hanno un grande potenziale di sequestro del carbonio. Nelle aree sempre più aride, possono immagazzinare più carbonio delle foreste perché sono meno colpiti da siccità e incendi boschivi. I prati, infatti, sequestrano la maggior parte del carbonio nel sottosuolo, mentre gli alberi lo immagazzinano principalmente nel legno e nelle foglie.

Dunque la corretta gestione del suolo e le buone tecniche agronomiche sono uno strumento cruciale nella lotta contro il cambiamento climatico, su cui si può e si deve agire immediatamente.

Fonte: World Economic Forum

Inflazione: quali prospettive per i mercati?
25 Novembre 2022

Nel Regno Unito ha fatto scalpore un rapporto della banca d’investimento Citigroup con la previsione che l’inflazione nel Paese raggiungerà il 18% nel primo trimestre del 2023, un livello toccato l’ultima volta nel lontano 1976. Queste previsioni non fanno altro che rafforzare le preoccupazioni dei consumatori ed indurre cambiamenti nelle modalità di acquisto, anche nel settore alimentare. Stesso scenario in Francia dove ad ottobre i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati su base annua di quasi il 12%, mentre in Germania a settembre la crescita è stata addirittura del 18,7%, il massimo da trent’anni.

I consumi si stanno spostando verso prodotti a basso prezzo per alcune categorie

Sebbene gli alimenti siano uno dei settori più resistenti, in quanto la natura essenziale di molti acquisti fa sì che la domanda sia relativamente anelastica, secondo una ricerca di McKinsey in mercati europei selezionati, i consumatori stanno già passando a prodotti a basso prezzo all’interno di alcune categorie, con spostamenti particolarmente evidenti in aree come gli snack, i dolciumi ed i surgelati. Una recente indagine condotta da GlobalData mostra che, a livello generale, l’84% dei consumatori è preoccupato per l’impatto dell’inflazione e quelli più giovani si dimostrano più propensi a cambiare i loro modelli di acquisto. Mentre circa il 23% dei Boomers nel Regno Unito dichiara che non passerà a negozi più economici, le loro controparti più giovani sono molto più propense a spostarsi altrove per gli acquisti. In questo contesto i distributori vincenti sono i discount.

L’inflazione è destinata poi a smorzare le prospettive del settore della ristorazione collettiva, già colpito duramente dalla pandemia e che sperava in una ripresa sostenuta. La spesa abituale e di basso valore in bar e caffetterie sembra essere attualmente la meno a rischio ed i ristoranti, pur avendo potenzialmente un prezzo più alto, sono comunque in grado di dimostrare un forte rapporto qualità-prezzo attraverso il servizio, che sarà ancora un elemento determinante.

In Cina le prospettive sono diverse da quelle dei mercati occidentali

Nel complesso, il rapporto sull’inflazione a livello macro di GlobalData prevede una recessione in molti mercati sviluppati prima della fine del 2022, che comporterà anche un calo della domanda per l’aumento della pressione sui consumatori. In Cina, invece, le prospettive sono nettamente diverse da quelle dei mercati occidentali. La fine delle restrizioni per il cosiddetto “zero Covid” prevista intorno al secondo trimestre dell’anno prossimo, libererà la domanda repressa, anche se su scala molto più ridotta rispetto a quanto visto nel 2021 nei mercati sviluppati.

Per il periodo successivo al 2023, si prevede una prospettiva inflazionistica persistentemente elevata e volatile ed una tendenza alla de-globalizzazione. I costi interni nella maggior parte dei mercati sviluppati saranno più reattivi alle condizioni del mercato del lavoro e la domanda è destinata a ricostituirsi. Ciò sarà particolarmente attendibile negli Stati Uniti, dove una maggiore tolleranza politica nei confronti della crescita dei salari e della conseguente inflazione si traduce in una ricostituzione della domanda delle famiglie a reddito medio.

CLAL.it – Variazione percentuale dei prezzi al consumo rispetto all’anno precedente

Fonte: Just Food

Più spazio in stalla per le vacche: quali benefici?
26 Ottobre 2022

Quanto spazio deve avere a disposizione una vacca per trovarsi in buone condizioni di allevamento? Uno studio dell’università di Nottingham ha valutato l’impatto della superficie di stalla su tre parametri principali: produzione, comportamento e riproduzione/fertilità.

In una struttura appositamente costruita, 150 vacche di razza Holstein sono state assegnate in modo casuale ad un gruppo con superficie vitale di 6,5 m2 all’interno  di 14 m2 di superficie complessiva, rispetto al gruppo di controllo in cui ogni vacca aveva a disposizione 9 m2 di superficie complessiva ed uno spazio vitale di 3 m2.

Tutti gli altri aspetti dell’ambiente e della gestione dell’allevamento erano identici, in modo da formare due gruppi comparabili. Oltre alla resa giornaliera per vacca, sono stati misurati anche i dati relativi al tempo di ruminazione, al peso corporeo e alla composizione del latte. Per monitorare il comportamento, le vacche sono state dotate di sensori di geo-localizzazione che inviavano una misurazione della posizione ogni sette secondi. I gruppi sono stati confrontati in base al tempo trascorso nelle aree chiave designate, come lo spazio vitale, la zona di alimentazione ed i box. Sono stati raccolti tutti i principali dati riproduttivi, come le registrazioni delle inseminazioni artificiali e delle diagnosi di gravidanza. La fisiologia riproduttiva è stata valutata analizzando campioni di ormone anti Mulleriano (AMH) e livelli di progesterone nel latte.

Le ridotte prestazioni riproduttive sono compensate dall’aumento del latte

Le vacche del gruppo ad alto spazio vitale hanno fornito picchi di produzione simili a quelli del gruppo di controllo, ma hanno mantenuto una produzione più elevata per un periodo più lungo della lattazione, il che ha portato ad un totale su 305 giorni di 14.746 litri di latte rispetto ai 14.644 litri del gruppo di controllo, cioè oltre 100 litri in più per vacca. L’effetto maggiore sulla resa è stato osservato nella popolazione di giovenche: quelle del gruppo allevato nella superficie più ampia hanno prodotto in media oltre 600 litri in più rispetto alle loro controparti, cioè 12.235 litri rispetto a 11.592 litri. Non c’è stato invece un effetto positivo sulla riproduzione: le vacche del gruppo ad alto spazio hanno impiegato più tempo a concepire, anche se tutti gli altri parametri di fertilità misurati non hanno mostrato differenze tra i gruppi. Però le ridotte prestazioni riproduttive sono state compensate dall’aumento del volume di latte. L’aumento dello spazio ha anche migliorato il benessere delle vacche attraverso significativi cambiamenti di comportamento: quelle del gruppo con spazio più ampio trascorrevano 65 minuti in più al giorno sdraiate e 10 minuti in più al giorno davanti all’alimento.

Questo è il primo studio fatto in condizioni reali di allevamento, che ha dimostrato come l’aumento dello spazio vitale porta benefici significativi alla produzione di latte ed al comportamento delle vacche stabulate. Stante la grande variabilità degli spazi nelle stalle da latte, i risultati dello studio dovrebbero aiutare gli allevatori a decidere come investire per migliorare la stabulazione e, in ultima analisi, il comfort, il benessere e la produttività delle vacche.

CLAL.it – Produttività per vacca nelle macro-regioni italiane

Fonte: nature

Viva gli agricoltori!
4 Ottobre 2022

Pedro E. Piñate B.

Di Pedro E. Piñate B., Medico Veterinario venezuelano e Consulente Agricolo

A fine giugno, OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e FAO hanno pubblicato il rapporto sulle prospettive agricole mondiali 2022-2031. Per prima cosa, emerge la necessità di soddisfare i bisogni alimentari di una popolazione crescente, che arriverà a 8,6 miliardi nel 2031, rispetto ai 7,8 miliardi del 2021. Oltre ai cambiamenti demografici, la domanda sarà influenzata dai redditi dei consumatori e dai prezzi dei prodotti alimentari.

Aumenti di produttività nei Paesi a basso e medio reddito

Nel prossimo decennio, la produzione agricola mondiale dovrebbe aumentare dell’1,1% all’anno con gli incrementi prevalentemente concentrati nei Paesi a basso e medio reddito, ma che richiederanno un accesso più ampio ai fattori di produzione, nonché maggiori investimenti per l’aumento della produttività in tecnologia, infrastrutture e formazione.  L’aumento delle produzioni vegetali deriverà per l’80% dall’intensificazione dei sistemi di produzione, per il 25% dall’espansione delle terre e per il 5% da un aumento dell’intensità di coltivazione. L’espansione delle terre coltivate si concentrerà a livello regionale in Asia, America Latina e Africa sub-sahariana. L’allevamento e la pesca cresceranno dell’1,5% all’anno, grazie a miglioramenti della produttività per una gestione più efficiente della mandria ed un migliore regime alimentare; il pollame rappresenterà più della metà della crescita mondiale della produzione di carne. Anche la produzione mondiale di latte crescerà nel prossimo decennio, con la metà degli incrementi localizzati  in India e Pakistan.

Per il prossimo decennio occorre prestare particolare attenzione alla questione dell’aumento dei prezzi dei fattori produttivi che fanno lievitare i costi. A questo proposito, il rapporto OCSE/FAO è chiaro sul fatto che gli attuali aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari e dei carburanti sono altamente regressivi, aggravano lo stress economico ed hanno un impatto negativo su produttori e consumatori.

Per quanto riguarda il cambiamento climatico, il rapporto prevede che le emissioni agricole cresceranno ad un ritmo più lento rispetto alla produzione, grazie al miglioramento delle rese ed anche per la riduzione della parte derivante dai ruminanti. Tuttavia, sono necessari ulteriori sforzi affinché il settore agricolo contribuisca efficacemente alla riduzione complessiva delle emissioni di gas serra (GHG). Ciò include l’adozione su larga scala di processi produttivi e di tecnologie intelligenti dal punto di vista climatico, soprattutto nel settore zootecnico.

Un’equa condivisione del reddito lungo la catena agroalimentare

Anche il contesto macroeconomico dei prossimi 10 anni è particolarmente impegnativo, con i conflitti che aumentano l’incertezza. In questo scenario, l’impegno degli agricoltori deve estendersi in modo solidale ai consumatori per un’equa condivisione del reddito lungo la catena agroalimentare. È inoltre essenziale che in ogni Paese le politiche agricole, così come quelle del lavoro, dei salari e dell’ambiente, vengano applicate in maniera uniforme e risultino adeguate e stabili. Il contesto commerciale internazionale deve consentire la necessaria fluidità e trasparenza, senza privilegiare i consumatori a scapito degli agricoltori. Inoltre, nei Paesi esportatori ad economia avanzata, i sussidi agli agricoltori non devono tradursi in una concorrenza sleale nei confronti dei loro colleghi del mondo “in via di sviluppo”, che quindi  non si svilupperà mai.

L’attività agricola è uno stile di vita

In ogni luogo l’attività agricola, più che un mestiere, è uno stile di vita i cui valori sono spesso tramandati di generazione in generazione. Rappresenta la salvaguardia e la promozione del territorio. Per questo ogni nazione libera e sovrana deve dotarsi di una politica agricola che tuteli e sostenga chi opera in agricoltura  per prendersi cura di quel grande spazio fisico, sociale ed economico collocato oltre  la città, chiamato campagna.

Senza dubbio, l’impegno degli agricoltori è per un mondo senza fame, per un mondo migliore.

Dunque, lunga vita  agli agricoltori!

CLAL – Produzione mondiale di Frumento

Articolo raccolto e tradotto da Leo Bertozzi.

Rischi informatici per l’agricoltura di precisione
13 Settembre 2022

Essendo giunto il tempo in cui occorre massimizzare l’efficienza produttiva, si espande la cosiddetta agricoltura di precisione che utilizza i dati raccolti da GPS, immagini satellitari, sensori collegati a Internet ed altre tecnologie per coltivare ed allevare in modo più razionale. Le moderne tecnologie informatiche per efficientare il processo decisionale e le operazioni di gestione della produzione agricola consentono di usare terra, acqua, carburanti, fertilizzanti, pesticidi, così come di intervenire in allevamento, per produrre di più e minimizzare l’impatto sull’ambiente, in modo da aumentare le rese e ridurre i costi. Tutto positivo? No di certo, perché queste nuove tecnologie possono subire attacchi informatici dagli effetti dirompenti.

Questi attacchi stanno già avvenendo. Negli USA, ad esempio, lo scorso anno un ransomware, cioè un virus informatico che prende il controllo del computer e chiede un riscatto per ripristinarne il normale funzionamento, rivendicato dal gruppo russo REvil ha costretto un quinto degli impianti di lavorazione della carne bovina ad interrompere la lavorazione, con un’azienda che ha pagato quasi 11 milioni di dollari ai terroristi informatici.  Allo stesso modo, una cooperativa di stoccaggio di cereali in Iowa è stata presa di mira da un gruppo chiamato BlackMatter. Sebbene gli attacchi abbiano colpito finora grandi imprese con l’obiettivo di estorcere denaro, non si può escludere il pericolo che in questo tempo di tensioni internazionali anche le aziende agricole possano essere un obiettivo allettante per gli hacker.

Ad esempio, un aggressore potrebbe cercare di sfruttare le vulnerabilità delle tecnologie di applicazione dei concimi, degli antiparassitari o dei diserbanti, che potrebbero portare un agricoltore ad usarne troppi o troppo pochi, ritrovandosi quindi con un raccolto inferiore alle aspettative o con sprechi ed impatti ambientali negativi. Lo stesso potrebbe avvenire per gli impianti di mungitura robotizzati e comunque per tutti i casi in cui opera un computer.

Il settore agricolo tarda a riconoscere i rischi di cybersecurity

A differenza di altri settori strategici come la finanza e la sanità, il comparto agricolo però tarda a riconoscere i rischi di cybersecurity e ad adottare misure per contrastarli. Manca poi anche una attenzione da parte delle autorità pubbliche. Così, mentre altri settori operativi hanno sviluppato numerose contromisure e best practices per la sicurezza informatica, lo stesso non si può dire per il settore agricolo.

Oltre all’urgente necessità di linee guida e risorse da parte dei governi, occorre agire nella ricerca attraverso sforzi multidisciplinari che riuniscano i settori  dell’agricoltura di precisione, della robotica, della sicurezza informatica e delle scienze politiche, in modo da identificare soluzioni appropriate per la cybersicurezza. Questo riguarda in particolare la produzione di impianti ed attrezzature agricole che debbono essere progettati non solo per massimizzare le rese ma anche per ridurre al minimo l’esposizione ai cyberattacchi.

TESEO.clal.it –  Mondo: Rese per cereale dei principali Paesi produttori.

Fonte: The Conversation