Irrigazione e benessere animale saranno i punti cruciali
30 Novembre 2016

Giuseppe Magoni
Maclodio, Brescia – ITALIA

L'allevatore Giuseppe Magoni
L’allevatore Giuseppe Magoni

Azienda Agricola Magoni Giuliano Giuseppe e Alberto.
Capi allevati: 650 | 330 in mungitura.
Ettari coltivati 340.
Destinazione del latte: Grana Padano DOP
(caseificio Bresciangrana).

“Dove ci stanno 100 vacche bisogna metterne 90, non 110. Il benessere animale è molto di più di una normativa da osservare, è una regola per permettere agli animali di produrre di più e meglio, con meno problemi sanitari e, dunque, con minori costi aziendali”.

È la declinazione della sostenibilità secondo Giuseppe Magoni, allevatore di Maclodio (Brescia), con 340 ettari coltivati e una duplice vocazione zootecnica. “Allevo 650 capi da latte, dei quali 330 sono vacche in mungitura, e 850 scrofe, per una produzione annuale di circa 12.000 suini tra svezzamento e ingrasso”.

Il latte, circa 39.000 quintali all’anno, sono destinati al caseificio Bresciangrana per la produzione di Grana Padano.

Alleva bovine da latte e suini. Qual è il settore che le dà maggiore soddisfazione?

“Non ho mai fatto distinzione tra vacche e suini. Per 30 anni mi sono sentito dire che ero fortunato ad avere i suini. Negli ultimi anni mi sono chiesto se era davvero così. Sinceramente credo che l’impegno in stalla, le problematiche e le soddisfazioni siano uguali”.

Lei ha problemi di direttiva nitrati o 340 ettari sono sufficienti per il carico zootecnico?

“Ho tre aziende e ho terreni a sufficienza. Certo si fatica a rimanere entro i limiti e io opero la separazione fra solido e liquido, in modo da non superare la deroga concessa alla Lombardia di 250 chilogrammi per ettaro/anno”.

In Italia meno di 1.000 aziende hanno beneficiato del programma di riduzione volontaria della produzione, premiato con 14 centesimi al litro. Lei per caso è fra queste imprese?

“No e non conosco nessun allevatore che ha aderito. Forse in Germania il ritorno di 14 centesimi al litro per non produrre è più conveniente, in provincia di Brescia gli allevatori, se potessero, metterebbero le vacche anche sotto il letto”.

Condivide?

“No. La mia regola è: mettere 90 capi dove ce ne starebbero 100. Non capisco perché, invece, i miei colleghi sono masochisti. Il mio motto è: lavorare, non tribolare”.

Con un carico zootecnico come quello delle sue tre aziende, ha mai pensato alle energie rinnovabili?

“Sì, certo. Avrò fatto 10 preventivi per un impianto di biogas, ma poi ho rinunciato”.

Perché?

“Un investimento in quella direzione non mi sembrava logico. Punto a migliorarmi come allevatore, rendendo sempre più efficiente l’attività aziendale. Non voglio avventurarmi in altre attività”.

In quanti lavorate in azienda?

“In 22, sette familiari e 15 dipendenti. Io ho 55 anni, mio figlio 33 e fa il jolly. Si occupa di tutto, dalla fecondazione delle scrofe la domenica al segmento della meccanizzazione, dell’attività in campagna. Ognuno di noi in famiglia ha una propria mansione specifica, supportato dagli operai”.

La Baviera nei giorni scorsi ha annunciato che avvierà una campagna di marketing aggressivo per conquistare il mercato italiano. Qual è il suo commento?

“Loro fanno il loro gioco e fanno bene. Se non reagiremo credo che, Made in Italy o meno, soccomberemo alla Baviera, ammesso che sia più forte e riesca a conquistare i consumatori. Dobbiamo comunque riflettere”.

Ritiene che il latte biologico sia un’opportunità?

“Credo di sì, anche se vi sono due ostacoli principali: la conversione e i foraggi. Intorno a me chi ha provato ad avventurarsi nel comparto biologico è fallito, per cui, anche se so che c’è molta richiesta, quando sento parlare di bio mi si drizzano i pochi capelli in testa. Secondo me è più facile la strada del no-ogm, che è apprezzata comunque dal consumatore. Si rischia di meno ed è più semplice”.

Parlando di ogm e semplificando al massimo, lei è favorevole o contrario?

“Ascolto gli scienziati e mi oriento secondo la logica. Sono però favorevole al loro utilizzo, perché viviamo contraddizioni che complicano la vita di noi allevatori. Non possiamo coltivare prodotti geneticamente modificati, però li dobbiamo acquistare se non vogliamo ritrovarci pieni di aflatossine. Forse se potessimo coltivarli eviteremmo le importazioni, calerebbero i consumi di medicinali e migliorerebbe la qualità della vita degli animali”.

Quali saranno le innovazioni che cambieranno maggiormente il modo di coltivare e allevare?

“Forse l’innovazione nell’irrigazione sarà uno dei punti cruciali, insieme al benessere animale. L’obiettivo è quello di semplificare tutti i passaggi dell’allevamento e dell’agricoltura in campo”.

Quali sono i suoi hobby?

“Il calcio. In passato ho anche fatto l’allenatore nelle squadre giovanili. Poi mi piace leggere, preferibilmente libri di letteratura e filosofia greca, una passione che mi ha trasmesso mio figlio”.

Azienda Agricola Magoni Giuliano Giuseppe e Alberto
Azienda Agricola Magoni Giuliano Giuseppe e Alberto

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Pubblicato da

Matteo Bernardelli

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.

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