Nuova Zelanda: riconsiderare l’uso dei concentrati nella produzione di latte
25 Maggio 2023

Diversamente dai Paesi industrializzati, la Nuova Zelanda si trova in una posizione insolita in quanto circa la metà di tutte le emissioni di gas serra proviene dall’agricoltura e quasi un quarto è dovuto alle emissioni del settore lattiero-caseario, sottoforma di protossido d’azoto e metano.

Le vacche da latte, rispetto al 1990, sono pressoché raddoppiate

L’allevamento in Nuova Zelanda era tradizionalmente di tipo estensivo, basato sul pascolo, ma il grande sviluppo produttivo che ha fatto del Paese il maggiore esportatore lattiero-caseario del mondo, ha comportato l’uso sempre più massiccio di concentrati e di concimi per aumentare le rese agricole. Questo è dimostrato dal fatto che le vacche da latte, rispetto al 1990, sono pressoché raddoppiate arrivando a 6,4 milioni di capi. Si è fatto dunque ricorso ad una massiccia importazione di cereali e proteaginose, che nel 2022 ha raggiunto le 3,7 milioni di tonnellate a fronte di una produzione nazionale pari a 2,1 milioni di tonnellate. Il 75% di questi alimenti è andato al settore bovino ed il 12% a quello avicolo, mentre il consumo umano ha rappresentato il 9% del totale.

L’ intensificazione produttiva con l’ampio ricorso ai mangimi porta ad un sistema tecnicamente più efficiente, dato che permette di aumentare le rese aziendali e di conseguenza i redditi. E’ stato però dimostrato che questo comporta un significativo aumento dei costi, che incide sui margini di profitto. Il vero punto da considerare, dunque, più che la quantità è la redditività dell’azienda, che è determinata congiuntamente dal prezzo del latte (e dai suoi contenuti) e dai costi dei fattori produttivi, come i mangimi. Essendo questi ultimi per lo più fattori esterni all’azienda, gli allevatori non possono controllarne direttamente le variazioni di prezzo e neanche trasferirle sul prezzo del latte.

Gli allevatori sono stimolati ad adottare pratiche con meno emissioni

In Nuova Zelanda si fa largo uso di palmisto (pannello di palma), che comporta emissioni elevate (0,51 kg di CO₂ equivalente per kg di sostanza secca) rispetto ad altri ingredienti dei mangimi. Ne è il più grande importatore al mondo per una quantità di oltre 2 milioni di tonnellate, oltre la metà da Indonesia e Malesia. È opinione diffusa che questa grande richiesta abbia contribuito alla deforestazione nei Paesi fornitori, aumentando le emissioni ed i rischi legati al cambiamento climatico. Date le rigide norme ambientali introdotte in Nuova Zelanda, gli allevatori vengono ora stimolati ad adottare pratiche che possano far ridurre le emissioni attraverso la massimizzazione della resa dei pascoli e l’utilizzo di mangimi a minore intensità di carbonio, come quelli prodotti in loco od i sottoprodotti della produzione di alimenti e bevande.

Occorre attuare una inversione di tendenza che però richiede cambiamenti significativi sia nelle pratiche di gestione che nelle infrastrutture. I prezzi elevati dei fertilizzanti, le normative più stringenti e l’introduzione di una tassa sulle emissioni stimolano la transizione verso modelli produttivi più sostenibili. Però è anche tempo di riconsiderare il ruolo dei mangimi, ripensando alla fisiologia del ruminante ed al modo più appropriato di alimentarlo, sia sotto l’aspetto fisiologico che per quello ambientale.

Clal.it – Numero di vacche da latte e produzioni in Nuova Zelanda

Fonte: edairy news

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Pubblicato da

Leo Bertozzi

Agronomo, esperto nella gestione delle produzioni agroalimentari di qualità e nella cultura lattiero-casearia.