Programmazione ed Export: analizzare la suinicoltura italiana in maniera più ampia [Intervista]
6 Aprile 2021

Ferdinando Zampolli
Rodigo, Mantova – ITALIA

Ferdinando Zampolli - Suinicoltore
Ferdinando Zampolli – Suinicoltore

“Abbiamo perso il treno con la pianificazione produttiva delle DOP negli anni 1999-2000. Era in quel momento che avremmo dovuto fare il punto zero e poi pianificare, magari individuando quote di produzione da assegnare agli allevatori, accompagnando il sistema a una progettazione con almeno due anni di anticipo. In questo modo avremmo gestito meglio i flussi di cosce da destinare ai grandi prosciutti DOP e collocarli sul mercato in base alle dinamiche dei consumi. Tutte le DOP dovrebbero avere una produzione contingentata, perché rispondono a un disciplinare, comportano costi più elevati, devono assicurare alta qualità e devono poter contare su un mercato in grado di remunerare in maniera adeguata tutti gli attori della filiera”.

Il ragionamento di Ferdinando Zampolli, allevatore di Rodigo con circa 10mila maiali allevati ogni anno (venduti a Opas) e 200 ettari coltivati, parte da molto indietro. È in quel periodo che, secondo l’allevatore che è anche componente della Commissione Unica Nazionale (CUN) per i suini grassi, non viene agganciata una rivoluzione di sistema che avrebbe potuto evitare almeno alcune delle crisi successive che hanno compromesso la vitalità del settore, ridisegnandone il perimetro e facendo perdere qualche treno in fase di rilancio complessivo.

I consorzi di Parma e San Daniele, ufficialmente, approvano una programmazione produttiva con cadenza triennale, l’ultimo approvato per il consorzio di Parma è del 2020 e prevede una produzione di 9,5 milioni di pezzi/anno, a fronte di un consuntivo venduto pari a 8,5 milioni di pezzi/anno. “Non credo servano parole per commentare questo genere di politica produttiva: i numeri parlano da soli”, aggiunge Zampolli.

Secondo lei quali sono i motivi?

“I motivi sono sostanzialmente due. Il primo: gli allevatori non fanno parte del consorzio del prosciutto (sia Parma che San Daniele). Il consorzio è interamente nelle mani dei prosciuttai, e questo genere di programmazione produttiva può dettarla solo il consorzio. Secondo: all’epoca erano ben visibili gli effetti provocati dalle quote latte, e ci si guardava bene dal ricadere in un simile potenziale problema.

Questo è un problema che emerge tra gli allevatori ogni volta che il prezzo di mercato va sotto i costi di produzione, tuttavia, nonostante siano anni che i prosciuttifici navigano in cattive acque, ancora fanno orecchie da mercante sul contingentamento delle produzioni per paura di lasciare quote di mercato ai loro competitor. Ad aggiungere danno alla beffa, hanno recentemente avuto occasione di mettere mano in modo organico e strategico al disciplinare di produzione, ma hanno clamorosamente mancato l’obiettivo, caricando il sistema di costi di controllo assurdi a carico di tutta la filiera (senza, tra l’altro, garantire una maggiore qualità), risultato di un disciplinare estremamente farraginoso che Confagricoltura assieme a CIA, CoopAgri, Unapros e altre sigle sindacali ha aspramente criticato ed osteggiato, critiche che il ministero non ha preso in considerazione ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti, tranne di chi si vanta di essere paladino degli agricoltori ma che in realtà ha chiaramente dimostrato di non esserlo, in questa come in altre occasioni”.

Uno degli obiettivi di cui si parla da qualche tempo è anche la ricerca di nuovi mercati. Non crede che l’internazionalizzazione sia una strada valida?

“Guardi, l’abbiamo vista tutti, la sfilata fatta dal presidente cinese con tutta la delegazione al seguito, qui a Roma qualche tempo fa con tutto il nostro governo in pompa magna, a firmare accordi di libero scambio tra la l’Italia e la Cina. Vuole che le dica cosa riusciamo ad esportare in Cina dopo la firma di questi fantomatici accordi tanto decantati?”.

Dica.

Esportare tagli nobili accrescerebbe il prezzo della materia prima

“L’unica carne, se così possiamo chiamarla, che riusciamo con fatica ad esportare sono le frattaglie, gli zampetti e le teste. Tutti prodotti poco nobili che hanno un effetto risibile sul mercato interno. Quindi, se nel periodo pre-covid il prezzo dei maiali era salito in modo importante è stato perché paesi come la Germania e la Spagna esportavano mezzene intere verso la Cina e quindi non rovesciavano nel nostro mercato le loro produzioni, questo ci ha dato qualche mese di respiro. Noi avremmo tutto l’interesse ad esportare tagli nobili, ci permetterebbe infatti di accrescere il prezzo della materia prima qui in Italia, di svuotare le cantine, oggi intasate da prosciutti stagionati, destinando la coscia fresca al mercato cinese, di dare slancio all’intero settore e a tutto l’indotto. Invece siamo al palo, a vedere l’ennesimo treno passare senza poterlo prendere, e tutto questo per colpa di lobby miopi che non saprebbero disegnare un cerchio con un bicchiere e di una burocrazia che, per ragioni di educazione, non definisco”.

Il mercato ha registrato nelle scorse settimane una ripresa, proprio quando storicamente i listini rimanevano stabili o addirittura, diminuivano. Se lo aspettava?

“Sì. E le cause vanno ricondotte in parte all’etichettatura delle carni suine trasformate e in parte alla diminuzione della produzione nazionale e delle importazioni italiane in flessione a causa delle esportazioni verso la Cina da parte dei paesi UE, che storicamente scaricano nel nostro mercato una parte importante delle loro produzioni”.

In tema di etichetta e indicazioni, i salumi sono di nuovo insieme alla carne rossa nel mirino di una comunicazione forse eccessivamente allarmistica, almeno alle latitudini italiane. Cosa ne pensa? 

“Uso questo ‘proverbio’ perché rende bene l’idea: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, infatti, questi continui attacchi, perpetrati da persone con le quali è impossibile sedersi a ragionare, sono basati su convinzioni ideologiche e non su dati scientifici. Portano a giustificazione delle loro affermazioni, tesi scientifiche create ad arte piene di lacune, di errori che però fanno colpo sull’opinione pubblica, e dall’altra parte abbiamo un consumatore che preferisce ascoltare chi alza di più la voce o chi è più presente nei social, piuttosto che cercare di capire le ragioni per cui da millenni l’uomo alleva gli animali e se ne ciba e soprattutto i passi in avanti che la zootecnia ha compiuto nel rispetto del benessere animale e della salubrità alimentare”.

Come sta funzionando la CUN, oggi? Quali sono i punti critici da migliorare?

Un flusso produttivo che non permettete una strategia di vendita

“Non molto bene! Purtroppo la parte allevatoriale all’interno della CUN poco può fare contro i macelli. Abbiamo un prodotto che è fortemente deperibile, un insieme di regole capestro (come il peso massimo di vendita del suino vivo per poter entrare nel circuito DOP), un flusso produttivo alle spalle che non può essere interrotto a piacimento, e questo non ci permette nessuna strategia di vendita. Quando la merce è pronta deve essere avviata alla trasformazione punto e basta. In quest’ottica è necessario che la politica assista il settore garantendo sempre un prezzo e non un ‘non quotato’. Oggi in particolar modo la corda con i macelli è molto tesa, c’è richiesta e quindi il prezzo del suino vivo dovrebbe salire, dall’altra parte i macelli non riescono a trasferire sulle carni i rincari del vivo. A questo aggiungiamo che abbiamo di fronte una estate dove mancheranno suini in modo importante e i macelli sono spaventati, perché saranno costretti a pagare cara la materia prima ma non sanno se riusciranno a ribaltare gli aumenti sulle carni. Stanno di fatto vivendo quello che nel decennio 2008-2017 hanno vissuto gli allevatori a parti invertite: erano aumentati a dismisura le produzioni di suini in Italia e il prezzo era crollato, oggi i numeri sono ridotti e non ci sono maiali per tutti i macelli presenti, quindi, è il loro momento buio”.

Cosa potrebbe accadere se la Cina rallentasse le importazioni dall’Europa? 

“Lo scenario lo abbiamo già visto: con la comparsa della peste suina in Germania le esportazioni tedesche verso la Cina si sono bloccate e il mercato europeo è andato in crisi, raggiungendo quotazioni ben al di sotto del costo di produzione”.

Nella sua azienda ha investimenti in programma? Quale spazio trovano sostenibilità ambientale e benessere animale?

“Per ora siamo fermi e non abbiamo programma investimenti. Quanto alla sostenibilità ambientale, il percorso, senza remunerazione adeguata alle imprese, diventa naturalmente ben più complesso. Ma come azienda siamo attenti. Sul versante del benessere animale bisogna essere chiari: sono necessari investimenti, ma allo stesso tempo il consumatore deve essere disponibile a pagare un valore aggiunto sui prodotti che mirano ad un benessere animale superiore ai requisiti minimi di legge. Bisognerebbe avere coraggio e parlare molto chiaramente ai consumatori”.

I prezzi di cereali e semi oleosi sono cresciuti molto. Come si protegge dall’impennata della razione alimentare? 

I prezzi sono schizzati in alto e la razione alimentare in allevamento è aumentata di oltre il 20 per cento. Personalmente cerco di fare acquisti annuali su mais, farina di soia e orzo, per volumi indicativi di circa 20mila quintali. I maggiori costi erodono però la redditività in allevamento”.

Ci sono alternative ai prosciutti Dop, secondo lei?

Analizzare il quadro della suinicoltura in maniera più ampia

“Spero molto nell’etichettatura e nelle tre I (nato, allevato e macellato in Italia), fermo restando che la produzione DOP è quella che fin ora ha sostenuto il mercato, pur nelle difficoltà. Assistiamo a esperienze diverse, anche legati alla salumeria tradizionale, ma non a Denominazione di Origine Protetta. A volte sono esperimenti che funzionano, ma alla lunga non so quale può essere il ritorno. Certo dobbiamo riflettere, perché se alcuni prosciuttifici sono in difficoltà, probabilmente dovremmo analizzare il quadro della suinicoltura in maniera più ampia”.

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Pubblicato da

Matteo Bernardelli

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.