Una OP che coltiva dolcezza [Intervista]
18 Luglio 2022

Francesca Nadalini
Santa Croce di Sermide, Mantova – ITALIA

Francesca Nadalini – Nadalini Soc. Agr. S.S.

Chi pensa che il terroir sia un’espressione da addetti alle degustazioni e solo riferito ai vini non ha ancora parlato con Francesca Nadalini, imprenditrice ortofrutticola di Santa Croce di Sermide e vicepresidente della Op Sermide Ortofruit (una realtà con 42 soci e un fatturato di 26 milioni di euro), e forse non ha ancora sentito parlare del marchio “Valli Salse”, brand dietro cui sta naturalmente la Op sermidese e che caratterizza un’area specifica di circa 1.500 ettari che la Op ha saputo individuare e valorizzare. E proprio qui si troverebbe una composizione specifica del terreno, con una particolare salinità (anticamente l’area era coperta dal mare), caratteristiche minerali uniche, composizione argillosa che permette alle radici di trarre nutrienti da quello che si può appunto definire – esattamente come per il vino – il terroir.

Usciamo dai tradizionali canoni di intervista (non parliamo di lattiero caseario e nemmeno di suini o cereali) per celebrare uno dei frutti simbolo dell’estate – il melone, ma arriverà anche l’anguria sotto i riflettori di Teseo – e per raccontare il grado di innovazione che sta alla base di un prodotto che è per molti altri aspetti ancora tradizionale. Almeno così lo interpreta Francesca Nadalini, famiglia di tradizione agricola proprio nel settore del melone, del cocomero e della zucca.

I numeri attuali dicono che l’azienda coltiva 330 ettari, dei quali circa 220 proprio con le tre colture orticole simbolo del territorio e, per la rotazione, un centinaio di ettari di grano, “che lascia il terreno secco e lo libera presto”.

Partiamo dalla cronaca. In occasione di un recente incontro di TESEO abbiamo assaggiato i suoi meloni fantastici. Come sta andando la stagione?

“Quest’anno abbiamo dovuto fare i conti con una stagione siccitosa, particolarmente calda, con l’ultima fase senza grande escursione termica con la notte. Questo ha fatto sì che ci sia stata una concentrazione del prodotto, seguita in alcune fasi, come quella attuale, da scarsità produttiva. Il melone è indubbiamente di qualità, ma l’accalcamento delle produzioni ha portato a una concentrazione dell’offerta, con prezzi che erano partiti molto bene e che oggi sono decisamente più contenuti. Ma con i cambiamenti climatici, dalla siccità alla grandine, temo che purtroppo dovremo farci i conti sempre più spesso”.

Come vi organizzate contro i rischi climatici?

“Abbiamo cercato di fare impianti solidi come serre, coperture, costruzioni e anche in campo aperto coltiviamo nelle migliori condizioni perché tutto proceda per il meglio, ma non basta. E con le assicurazioni non sempre si trova un punto di incontro, perché le nostre valutazioni sono anche di tipo qualitativo”.

Che tipo di investimenti ha fatto negli ultimi anni e quali nuove tecnologie ha introdotto?

“Negli ultimi anni abbiamo investito su attrezzature 4.0, dai macchinari semoventi per i trattamenti in campo dotati di tracciatura digitale e la guida satellitare, fino ai droni per rilevare la temperatura interna alle serre e ai sensori che servono calibrare l’irrigazione, che è a goccia per ottimizzarne l’utilizzo in campo.

Inoltre, abbiamo investito per l’ampliamento strutturale del magazzino, allargando la zona di servizio per i dipendenti e inserendo un’area specifica per la lavorazione di prima gamma evoluta del cocomero, così da poter tagliare il prodotto a fette e confezionarlo”.

Sul cocomero avete scelto di mantenere le pezzature giganti. Come mai?

“Il mercato è cambiato negli anni. Si sono affacciate le angurie medie, che noi non coltiviamo perché ad oggi riteniamo non essere ancora soddisfacenti a livello qualitativo. Poi sono arrivate le mini-angurie, che abbiamo voluto provare, ma che hanno costi di produzione elevati che raramente il mercato riconosce. Per cui abbiamo continuato a valorizzare le angurie grandi, del peso dai 12 ai 20 kg e abbiamo promosso la tradizione, ma con la possibilità per il consumatore di scegliere la versione già tagliata a fette.”

Che cosa ha fatto la differenza in questi anni?

Innovazione tecnologica mantenendo la tradizione

“Sembrerà banale ma la marcia in più è arrivata dalla coniugazione della tradizione con l’innovazione: andare avanti ma mantenere le cose buone dell’esperienza già avuta. Vale a dire l’innovazione tecnologica, introducendo strumenti come la lettura automatica del grado zuccherino, i sensori in campo, l’utilizzo dei droni per visionare impianti con altri occhi. Ma allo stesso tempo mantenere le tradizioni dal punto di vista colturale, per rispettare la caratteristica e la fisiologia delle piante, gli impianti, la coltivazione, tutto per non stravolgere l’evoluzione del frutto. Paradossalmente, un intervento eccessivo in alcune fasi di coltivazione cambia gusto, retrogusto e peculiarità del prodotto, penalizzandoci sul mercato. Aver mantenuto la tradizione in questo ambito è stata, per le aziende di Sermide, un’arma vincente.

Un altro aspetto che ha fatto la differenza è stato il gruppo, con la nascita del consorzio e del marchio del melone mantovano IGP, ma anche la costituzione della Op Sermide, alla quale aderiscono tutti imprenditori di lungo corso, insieme alle nuove generazioni. Rimanere in rete ci permettere di condividere un percorso, di migliorare sul fronte della specializzazione e di rimanere coesi, perché senza il gruppo non si può evolvere”.

A livello di tecnica colturale utilizzate fertilizzanti organici?

“Quando lo troviamo disponibile utilizziamo ancora il letame, ma per lo più utilizziamo compost da umido organico in un’ottica di economia circolare, che rappresenta una fonte di sostanza organica e perché è la texture ottimale per l’apparato radicale. Rende più soffice il terreno e aiuta la partenza delle radici, che sono la chiave della naturalità della pianta. Se la pianta non radica bene, infatti, non riusciamo a portare a compimento la fruttificazione”.

Ha problemi di manodopera?

“Certo, come tutti, purtroppo. Ormai per tenere i dipendenti di anno in anno non devi solamente garantire un salario più alto, ma devi creare un rapporto personale che va oltre e che ti porta, talvolta, a svolgere funzioni di assistenza e consulenza che dovrebbero essere proprie di altri soggetti. In questo modo abbiamo ridotto moltissimo il turnover e così evitiamo con la formazione di ripartire da zero ogni anno. Ma ci sentiamo come Don Chisciotte contro i mulini a vento, il nostro settore è davvero poco considerato come opportunità professionale”.

Quali sono i vantaggi di una Op?

Nella OP mettiamo in comune interessi e opportunità

“La nostra Organizzazione di Produttori porta numerosi vantaggi, a volte non immediatamente percepiti, ma nel tempo sicuramente quantificabili, perché mette in comune interessi e opportunità a vantaggio degli imprenditori. Si possono fare acquisti di gruppo e ridurre i costi e insieme si ha più forza per garantire un servizio a vantaggio dei clienti e viceversa, perché grazie alla quantità riusciamo a dare continuità alle vendite. Inoltre il confronto tra di noi è fondamentale per leggere ed interpretare rischi e opportunità della produzione e del mercato”.

Molti agricoltori sono spaventati dagli effetti dei cambiamenti climatici, dalle incognite di mercato, dalla scarsa reperibilità della manodopera. Cosa è cambiato rispetto al passato?

I rischi dell’effetto domino

“Tutto, ma non voglio tornare sui problemi. Certo è che tutti questi fattori hanno ridotto la visione a noi imprenditori. Prima immaginavo un futuro a lunga gittata, adesso ci sono troppe incognite e ci si rende conto sempre di più che siamo tutti interconnessi nei vari settori produttivi, quindi l’effetto domino può avere conseguenze impressionanti (come sta succedendo per le criticità sulle materie prime)”.

Quale futuro immagina per il melone mantovano?

“Il Melone Mantovano IGP, quindi la produzione che si svolge nelle province di Mantova, Cremona, Bologna, Ferrara e Modena, ha sicuramente prospettive di crescita, a partire dalle zone Centro-Sud dove ancora non è molto conosciuto. In questi giorni è uscito uno spot sulle reti televisive nazionali prodotto dal Consorzio di Valorizzazione e Tutela, che serve per traghettare il messaggio che la dolcezza ha molti volti, ma un solo nome: quella del melone mantovano IGP”.

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Pubblicato da

Matteo Bernardelli

Giornalista. Ha scritto saggi di storia, comunicazione ed economia, i libri “A come… Agricoltura” e “L’alfabeto di Mantova”.