Mais e Soia: prezzi e aggiornamenti di mercato | Febbraio 2021 [VIDEO]
16 Febbraio 2021

I prezzi di Mais e Soia si mantengono elevati sulle principali piazze. L’import Cinese di Mais potrebbe triplicare nell’annata in corso, mentre per gli Stati Uniti è stimata una riduzione delle scorte di Soia del -77,2%.

Michele del Team di CLAL.it e TESEO commenta il forecast e gli andamenti di mercato nel seguente video.

MAIS

Il Ministero dell’Agricoltura Statunitense ha pubblicato l’aggiornamento di Febbraio sui mercati del Mais e della Soia.

Leggermente più ottimista il forecast del 10 Febbraio riguardo le Produzioni Mondiali di Mais 2020/21, se confrontato con la previsione precedente. La produzione è stimata ora in aumento di 17,5 milioni di tonnellate rispetto alla stagione 2019/20. 

Al contrario, il forecast dei Consumi ha subito una leggera contrazione, passando da +1,7% a +1,5%.
Ne risulta che l’erosione degli Stock Mondiali di Mais prevista per l’annata 2020/21 sia più contenuta (-5,4% rispetto all’annata precedente).

L’import Cinese di Mais potrebbe triplicare nell’annata in corso, a vantaggio degli Stati Uniti, il cui export verso la Cina è in deciso aumento. 
L’import dell’Unione Europea (Regno Unito incluso) è stimato a 15,5 milioni di tonnellate, ovvero 3,1 milioni di tonnellate in meno rispetto la stagione 2019/20.

I prezzi medi di vendita dall’1 al 10 Febbraio rilevati in West Iowa (USA) si mantengono a livelli elevati, attestandosi a 206,5 $/ton, in aumento del +7,1% rispetto al mese precedente.
Anche in Francia, il prezzo medio del Mais dall’1 al 12 Febbraio è in leggero aumento rispetto al mese di Gennaio, con un prezzo medio di 209,7 €/ton. 

I prezzi medi quotati l’11 Febbraio a Bologna sono 231€/Ton per il Mais nazionale ad uso zootecnico e 235€/Ton per il Mais nazionale ad uso zootecnico con caratteristiche.

SOIA

Il Forecast USDA di Febbraio riporta Consumi di Soia in aumento rispetto alla previsione precedente. Questo comporta un’ulteriore diminuzione degli Stock Finali per l’annata in corso: -11,49 milioni di tonnellate rispetto all’annata 2019/20.

Il calo degli stock è attribuibile principalmente agli Stati Uniti, per i quali è stimata una riduzione delle scorte del -77,2% rispetto alla stagione precedente. 

I prezzi medi dei semi di Soia in USA e in Brasile mostrano segni di stabilità.
Il prezzo medio di vendita dall’1 al 10 Febbraio in Western Illinois (USA) è 529,7$/ton.
Il prezzo medio nello stesso periodo in Brasile si attesta a 508,4$ per tonnellata. 
Il prezzo medio dei Semi di Soia quotato l’11 Febbraio a Bologna è stabile a 500€/Ton.  

Per maggiori dettagli sui mercati del latte, agricolo e suinicolo seguiteci sui nostri siti web CLAL.it e TESEO.clal.it.

Politiche agricole UE: obiettivi e limiti nel contrastare il cambiamento climatico
15 Febbraio 2021

Del Prof. Corrado Giacomini, Economista Agroalimentare, Università degli Studi di Parma

Prof. Corrado Giacomini
Prof. Corrado Giacomini

In tutto il mondo cresce la preoccupazione sul cambiamento climatico e si cerca di arrivare a degli accordi internazionali per riuscire ad agire sulle cause, in particolare, controllando e riducendo le emissioni di gas serra. Come scrive Jean Tirole, premio Nobel per l’economia nel 2014: “i vantaggi legati all’attenuazione del cambiamento climatico restano sostanzialmente globali e remoti, mentre i costi dell’attenuazione sono locali e immediati”.

È così che si può spiegare il comportamento del Presidente Trump quando ha deciso di togliere la firma degli USA dall’accordo di Parigi. Mantenerla avrebbe comportato di adottare subito misure per ridurre le emissioni di gas serra imponendo vincoli all’economia americana per effetti raggiungibili solo in un lontano futuro e solo se tutti gli altri Paesi adottassero veramente quanto deciso nell’accordo.

L’UE prevede di ridurre l’uso di pesticidi, sostanze antimicrobiche e fertilizzanti

Anche i cittadini europei sono molto sensibili a questa minaccia e la Commissione Ue ha delineato le politiche da adottare nei Paesi Membri, oltre che in una comunicazione quadro “Il Green Deal europeo”, in un’altra “Dal produttore al consumatore”, che definisce gli obiettivi e i limiti nel settore agroalimentare. Secondo questa comunicazione, la Commissione adotterà misure per ridurre, entro il 2030, del 50% l’uso di pesticidi chimici, del 50% le vendite di sostanze antimicrobiche per gli animali da allevamento, del 20% l’uso di fertilizzanti e per spingere la diffusione dell’agricoltura biologica fino al 25% del totale dei terreni agricoli.  

È evidente che questi limiti da applicare in un termine piuttosto breve, 10 anni, preoccupano non poco gli agricoltori europei. Inoltre, l’azione della Commissione UE, che prevedeva una serie di provvedimenti da assumere tra il 2019 e il 2021, è stata certamente frenata dalla grave situazione nella quale è piombata tutta l’economia mondiale a causa della pandemia da Covid-19. Ma, a parte gli effetti della pandemia, bisogna tener conto delle ricadute sull’ambiente del rapporto tra domanda ed offerta, che inevitabilmente si confronteranno entro il 2030 a livello mondiale con risposte del tutto diverse da parte dei paesi sviluppati, in via di sviluppo e sottosviluppati.

A luglio del 2020 l’OCDE ha dato alle stampe “Perspectives agricoles de l’OCDE e de la FAO 2020-2029”, in tempo per poter tener conto anche dei primi effetti della pandemia, con l’obiettivo di valutare al 2029 l’andamento della domanda, della produzione e degli scambi mondiali delle principali produzioni agricole (25 sono i prodotti di base presi in considerazione), analizzando anche i fattori su cui si basa il raggiungimento degli obiettivi previsti.

L’Asia-Pacifico avrà il maggior peso sull’incremento della domanda

Secondo l’OCDE, l’aumento della popolazione mondiale (a 8,4 miliardi) resterà il principale fattore di crescita della domanda di prodotti alimentari di base che, misurata in calorie, dovrebbe crescere al 2029 del 15%, di cui le materie grasse dovrebbero rappresentare circa il 50%. E saranno le regioni dell’Asia-Pacifico, le più popolose del pianeta, che avranno il maggior peso sull’incremento della domanda. L’aumento della produzione, data l’impossibilità di ottenerlo con incrementi significativi di superfici da coltivare, dovrà avvenire soprattutto attraverso l’aumentato impiego di mezzi tecnici (fertilizzanti, antiparassitari, fitofarmaci, ecc.), l’incremento del numero dei capi in allevamento e quindi anche del fabbisogno di alimenti, e l’impiego di nuove tecnologie generate dai progressi della ricerca.

Se l’incremento della produzione disponibile dovrà soddisfare la domanda soprattutto dei paesi emergenti e sottosviluppati, pare di poter prevedere che questo avverrà soprattutto attraverso l’intensificazione delle colture e inciderà anche sull’aumento degli scambi mondiali.  Queste poche note sui dati della pubblicazione dell’OCDE mettono in evidenza che lo sviluppo della domanda e della produzione mondiale di prodotti agricoli entro il 2030, e proprio perché proveniente soprattutto da Paesi emergenti, difficilmente potrà dare un contributo all’obiettivo della neutralità climatica, cioè a zero emissioni di gas serra, che la UE si è data per il 2050.

Ha ragione Jean Tirole: è difficile conciliare vantaggi globali e remoti con costi immediati e individuali. Forse proprio la pandemia potrà dare un piccolo aiuto a raggiungere questo obiettivo perché, secondo l’OCDE, la caduta del potere d’acquisto generata dalla crisi economica concorrerà a ridurre la domanda alimentare al 2029 di circa l’1%.

Passare da agricoltura tradizionale a conservativa [Intervista a Giuseppe Alai]
1 Febbraio 2021

Giuseppe Alai - Agricoltore
Giuseppe Alai – Agricoltore

Giuseppe Alai

Dopo una intensa carriera alla guida di imprese ed organizzazioni cooperative, culminata con la presidenza del Consorzio Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai si dedica all’azienda di famiglia adottando la tecnica dell’agricoltura conservativa. Perché questa scelta?

La scelta di passare da agricoltura tradizionale a quella conservativa è di 4 anni fa, sofferta ma nello stesso tempo ponderata, ben consapevoli, mia figlia ed io, che compiendola avremmo certamente incontrato delle difficoltà vista la scarsa diffusione del metodo di agricoltura conservativa, che viene attuata solo nel 5% dei seminativi ed anche perché le conoscenze tecniche ed una meccanizzazione idonea sono ancora limitate. Avevamo un obiettivo, cioè la riduzione dei costi e la necessità di incrementare la presenza di sostanza organica nei nostri terreni, dato che iniziava ad avvicinarsi alla soglia critica del 2%. Questi furono i due elementi diretti più importanti che ci portarono a compiere questa decisione oltre ad aspetti riguardanti il miglioramento dell’ambiente per il sequestro del carbonio e le minori emissioni in conseguenza delle minori lavorazioni.

Andy Warhol dice che “avere a disposizione la terra e riuscire a non rovinarla è la più alta forma d’arte che si conosca”.

Siamo stati spronati inoltre da un ulteriore supporto economico: la Regione Emilia-Romagna ha pianificato la misura del PSR 10.1.04 che prevede contributi di sei anni per chi attua la conversione dell’agricoltura da tradizionale a conservativa. Vengono sostenute la semina su sodo e lo streep tillage, a differenza di altre regioni in cui sono ammesse anche le lavorazioni minime. Abbiamo convertiti tutti i nostri 43 ettari a semina su sodo coltivando cereali vernini ed estivi e foraggere come medica e loietto. All’inizio della nostra esperienza (fortunatamente) trovammo presso il C.R. P.A. di Reggio Emilia un supporto tecnico che ci diede un valido aiuto. Abbiamo dovuto risolvere molti problemi, data anche la scarsa presenza di tecnici preparati in materia, ma abbiamo avuto anche fortuna.

Ma conviene usare l’agricoltura conservativa?

Agricoltura conservativa: conviene ma richiede approccio innovativo

Fare agricoltura conservativa e guardando esclusivamente al conto economico conviene già dall’inizio quando, per effetto del passaggio dal tradizionale, si ha una limitata riduzione delle produzioni, compensata grazie al contributo del PSR oltre che dal risparmio sulle lavorazioni del terreno. In sintesi non si ara il terreno, non si prepara il letto di semina, si limitano al minimo i passaggi sul terreno, si risparmiano le emissioni e la spesa per almeno 60 litri di gasolio ad ettaro.
Va precisato per converso che la semina su sodo costa il 40% in più.

La cosa più importante da tenere ben presente è il fatto che necessita un cambiamento di tecnica colturale (rotazione oculata, corretta gestione dei residui colturali lasciati sul campo e gestione delle cover crops), perché non si deve pensare che basti fare la sola semina su sodo. Inoltre si deve sempre considerare un periodo di transizione di 2/3 anni affinché si modifichi la struttura del terreno. Il cambiamento lo si denota dal significativo incremento di meso e macrofauna tellurica (batteri, funghi, lombrichi etc) presente negli strati superficiali del terreno. Infine bisogna fare grande attenzione al calpestio del terreno evitando di andare a far lavorazioni su terreni ancora troppo umidi, poiché le orme lasciate dagli pneumatici delle macchine operatrici restano presenti per anni.

Quindi occorre un approccio mentale innovativo rispetto al “si è sempre fatto così”.

Veniamo alle risorse idriche: nella zona dove c’è scarsità di acqua irrigua sempre più prati stabili vengono arati per farne medica o seminativi; l’alternativa potrebbe essere l’applicazione dell’agricoltura conservativa ?

Sulla base delle mie esperienze mi sento di affermare che sarebbe la soluzione idonea, seppur occorra tenere presente la necessità della distribuzione delle deiezioni bovine. Con un’adeguata organizzazione della gestione dei terreni credo sia possibile, utile ed economicamente vantaggioso.

L’agricoltura conservativa limita l’evaporazione delle scorte idriche del suolo

Inoltre bisogna tenere ben presente che con la coltivazione conservativa si forma nella parte superiore del terreno una sorta di “materassino superficiale” funzionale alle coltivazioni che limita anche l’evaporazione delle scorte idriche del suolo.

Alcuni agricoltori che praticano questo metodo di coltivazione ritengono dannose le arature poiché liberano carbonio, favoriscono la mineralizzazione degli elementi di fertilità, si interrano gli strati superficiali su cui i batteri hanno svolto la loro azione per portare in superficie terreno strutturalmente diverso. In pratica sostengono che le arature servano solo quando sia necessario interrare letame.

Alla luce delle esperienze professionali vissute in particolare nell’ambito economico, che valore possono avere le tecniche di agricoltura conservativa per il mercato?

Ad oggi ritengo non si possa affermare che vi sia un vantaggio derivante da una migliore quotazione delle produzioni ottenute da agricoltura conservativa; quindi sul fronte dei ricavi non esistono quelle differenze che invece esistono sui costi.

Penso invece che l’agricoltura conservativa sia il modello di coltivazione che meglio si adatta ai provvedimenti che stanno avanzando nell’ambito delle politiche dell’Unione Europea. La linea proposta del Green New Deal si sposa con questo modello di coltivazione dei nostri terreni, quindi guardando al futuro, credo sia sempre più necessario incominciare a pensare a metodi alternativi di ottenimento delle nostre produzioni agricole, rispettose dell’ambiente, dei terreni, del clima e di minor impatto di lavoro per gli agricoltori. In linea con questi indirizzi, nella nostra azienda stiamo studiando la possibilità di fare agricoltura conservativa biologica perché si unirebbero diversi fattori premianti (o perlomeno difensivi) sul mercato per le nostre produzioni.

Prati stabili: un’alternativa al ‘Get big or get out’ statunitense?
8 Gennaio 2021

USA aziende da latte -66% tra 1997 e 2017

Un po’ ovunque si sta assistendo ad una diminuzione nel numero delle aziende da latte, con un aumento nella loro dimensione media. Il fenomeno è particolarmente marcato negli USA, dove nei 20 anni dal 1997 al 2017 le aziende di piccola dimensione (10-199 capi) sono passate da 89.912 a 30.373 (-66%), mentre le aziende di grande dimensione (+500 capi) sono passate da 2.257 a 3.464 (+54%). In totale si contano 54.599 aziende da latte, con un numero medio di 173 vacche per azienda. Nella UE (dati 2016) si contano invece 1,2 milioni di aziende con in media 45 vacche da latte per azienda (escluso Paesi est Europa).

Questa tendenza deriva dal fatto che, generalmente, il rapporto tra ricavi e costi migliora all’aumentare della mandria. Get big or get out, dicono gli allevatori USA; in altri termini, se l’azienda non si espande, chiude.

In Wisconsin però si sta sviluppando un altro approccio per aumentare la redditività aziendale basato sulla riscoperta dei prati stabili che ne caratterizzavano il territorio, mantenendo biodiversità, sostanza organica del terreno, qualità delle acque ed ottenere prodotti lattiero-caseari distintivi e salutari. Una iniziativa dell’Università del Wisconsin insieme a quella del Minnesota opera in questa direzione, riunendo agricoltori, ricercatori, trasformatori, distributori e consumatori, ed ha ricevuto un finanziamento di 10 milioni di dollari dall’USDA National Institute for Food and Agriculture. Significativo il caso di un giovane allevatore che, stanco di spendere il ricavato del latte per mangimi, sementi, concimi, nella sua “piccola” azienda di 140 ettari, ha deciso di ritornare alla pratica del pascolamento, tipica della zona.

Il ritorno all’erba comporta minori spese e maggiore valorizzazione del prodotto

Nel 2019 nel Wisconsin hanno chiuso 773 aziende da latte ed altre 266 hanno chiuso nel 2020, ma il numero delle vacche resta invariato. Questo comporta un impatto negativo per le comunità rurali ed anche per l’ambiente, dato che per sostenere una produttività che ha superato i 100 quintali di latte per vacca, vengono privilegiati i concentrati e di conseguenza i seminativi. Aumentano così i bisogni energetici, le emissioni di carbonio, l’erosione del suolo, i residui di fosfati e nitrati. Circa il 90% del latte in Wisconsin è prodotto con questo modello, ma ci si chiede quanto sia sostenibile. Col ritorno all’erba, la produzione per vacca diminuisce, ma si riducono anche le spese. Il prodotto si differenzia ed è meglio valorizzato, compresa la carne.

Non si tratta, ovviamente, di un ritorno al passato ma di usare tutte le conoscenze della scienza e della tecnica per adottare un modello produttivo appropriato alle condizioni territoriali e sociali specifiche. Senza dimenticare il mercato. Il Wisconsin è famoso per i suoi formaggi, prodotti che possono fare la differenza per la remunerazione del latte.

TESEO.clal.it – Costi e ricavi delle Aziende da latte negli Stati Uniti

Fonte: eDairyNews

È possibile fermare la deforestazione?
28 Ottobre 2020

La conversione nelle zone tropicali delle superfici naturali a terreni coltivati per prodotti quali soia, carne, olio di palma, cellulosa, è ritenuto essere uno dei maggiori fenomeni di degradazione ambientale per l’impatto negativo sul clima. Alla deforestazione è attribuito il 15% delle emissioni di anidride carbonica. Le foreste sono essenziali per mitigare i cambiamenti climatici, contrastare l’erosione di terreni fragili, favorire la biodiversità.

Ai grandi operatori sono richiesti sistemi di sostenibilità ambientale e sociale

Nel contempo, coltivare soia o palma da olio può essere vitale per intere comunità ed economie nazionali. In Indonesia, che con la Malesia assicura l’85% della produzione mondiale di olio di palma, la metà delle coltivazioni è assicurata da piccoli agricoltori.
In tale contesto, ai grandi operatori mondiali che raccolgono e trasformano queste materie prime è sempre più richiesto di agire per attuare sistemi di sostenibilità ambientale e sociale per le finalità economiche.

Unilever ha assunto l’impegno di eliminare la deforestazione dalle proprie forniture di materie prime entro il 2020. All’avvicinarsi della scadenza, questo colosso alimentare mondiale ha adottato un sistema di tecnologia satellitare con geo-referenziamento ed intelligenza artificiale messo a punto dall’azienda californiana Northrop Grumman (ex Orbital) per monitorare sul terreno le singole aziende fornitrici.

Riguardo la soia acquistata in Brasile, Cargill ha assunto l’impegno di non ritirare soia ottenuta da terreni sottratti alla foresta dopo il 2008, conformandosi all’accordo Amazon Soy Moratorium del 2006. Cargill, inoltre, collabora con associazioni locali per attuare soluzioni sostenibili volte agli agricoltori ed alle loro comunità. Una di queste è la collaborazione con l’associazione degli agricoltori del Bahia, regione collocata nel Cerrado, una vasta area che copre una superficie di 200 milioni di ettari.

Anche in questo caso, le moderne tecniche di mappatura permettono di dare trasparenza alle diverse azioni, la cui finalità resta quella di realizzare sistemi sostenibili di produzione, ricercando di migliorare le condizioni di vita dal punto di vista economico, sociale ed ambientale e fornendo al consumatore prodotti etici.

Ambiente, condizioni sociali, etica produttiva e dei consumi dimostrano un destino comune a tutti, filiera produttiva e consumatori ma anche comunità sociali ed ambiti economici.

Fonti: Food Navigator; Cargill

Massimizzare la fertilità del terreno conoscendo il carbonio
7 Ottobre 2020

Se il carbonio sotto forma di gas atmosferici rappresenta una delle più preoccupanti fonti di inquinamento, come sostanza organica assicura la fertilità del terreno. Il terreno, infatti, contiene il 65% del carbonio presente negli ecosistemi terrestri, mentre il 16% lo si ritrova nella vegetazione ed il 19% nell’atmosfera.
Dunque, la sostanza organica del suolo rappresenta il maggior serbatoio di carbonio e conoscerne la dinamica diventa importante non solo per la fertilità dei terreni ma come strategia per attuare pratiche colturali atte ad implementare il sequestro del carbonio.

La pratica del prato stabile come strumento di tutela ambientale

La pratica del prato stabile rappresenta una delle condizioni migliori per favorire tale sequestrazione accumulando materia organica. Grazie alla maggior quantità di radici ed alla capacità di fissare i nutrienti durante la maggior parte dell’anno rispetto ai seminativi, il prato stabile se ben gestito e curato, offre tutte le sue potenzialità anche in termini di tutela ambientale. 

Per massimizzare la fertilità del terreno diventa importante poter fare il bilancio del carbonio attraverso la misurazione del suo apporto e della successiva decomposizione e mineralizzazione. Questo in funzione delle coltivazioni e delle varie tecniche agronomiche, fra le quali le rotazioni, le concimazioni e l’apporto idrico. Uno studio argentino denominato Rotaciones en Tambo identifica la metodologia per calcolare l’apporto di carbonio al terreno nei sistemi delle aziende da latte valutando l’effetto sulla sostanza organica da parte delle colture foraggere perenni ed annuali, permettendo così di simulare varie possibilità di rotazioni e pratiche colturali.

Conoscere la dinamica del carbonio organico è importante non solo per valutare la fertilità del terreno ma anche per sequestrare il carbonio dall’atmosfera. Nelle aziende da latte, un’attenta valutazione delle varie coltivazioni anche in funzione del bilancio del carbonio, permetterà di iscriversi in una dinamica di sostenibilità ambientale, dimostrando tutto l’apporto che l’allevamento può fornire a questa fondamentale finalità.

Fonti: Todo Lecheria e Todo Agro

Biologico: da nicchia a riferimento, ma i consumatori chiedono di più
30 Settembre 2020

Il riferimento al prodotto biologico come garanzia e sicurezza di qualità alimentare, ha avuto un’importanza sempre più crescente nelle scelte d’acquisto. Nella UE la superficie destinata a coltivazione biologica è cresciuta del 70% negli ultimi 10 anni ed il valore delle vendite al dettaglio di prodotti bio ha raggiunto 34 miliardi € nel 2017 .

Negli USA, secondo la Organic Trade Association le vendite al dettaglio dei prodotti bio nel 2019 hanno raggiunto un valore di 50 miliardi $, pari al 5,8% di tutte le vendite alimentari rispetto al 3,4% nel 2010 e durante la pandemia la fiducia verso l’Organic label è aumentata, stante la ricerca di alimenti sani e salutari.

Da quanto emerso nello studio Organic and Beyond 2020 condotto da Hartman Group, questo successo non deve però essere interpretato come un riferimento assoluto, dato che fra i consumatori più consapevoli sta emergendo una richiesta in merito alle garanzie dei metodi di coltivazione, allevamento, trasformazione, che va oltre il biologico. Si tratta di aspetti quali benessere animale, condizioni di lavoro e tutele sociali, salute dei suoli, aspetti che il biologico considera, ma che i consumatori ritengono sempre più rilevanti, nell’ottica di produzioni sostenibili, di mantenimento della biodiversità e di contrasto al cambiamento climatico.

I Consumatori USA vorrebbero norme più stringenti

Secondo lo studio, il 78% dei consumatori USA ritiene che le norme USDA sulla produzione biologica dovrebbero essere più stringenti riguardo al benessere animale. È pure emerso che il 41% dei consumatori sceglie prodotti ottenuti da animali allevati senza antibiotici e senza ormoni ed il 76% ritiene che i prodotti bio dovrebbero avere criteri più rigorosi riguardo condizioni e tutele sociali dei lavoratori. Si tratta della stessa dinamica è ufficializzata dal Green Deal della UE, con gli obiettivi  di riduzione nell’uso di concimi, pesticidi, chemioterapici, tutela dei territori, aumento delle superfici ad agricoltura biologica, benessere animale.

L’aspetto della salute del suolo come recupero del valore biologico del terreno e del potenziale di sequestrazione del carbonio rispetto al suo riferimento di semplice substrato per le colture, ha portato alla cosiddetta agricoltura rigenerativa, cioè alla riscoperta in chiave moderna delle pratiche agronomiche di miglioramento della fertilità del terreno. Sempre più consumatori sensibili alle tematiche ambientali ed al bio prestano attenzione a questa tematica, che ha avuto vasto eco a livello mondiale da personalità quali Vandana Shiva.

Il bio, apparso sullo scaffale qualche decennio fa come prodotto di nicchia e con caratteristiche sensoriali anche a volte inferiori al convenzionale, è ormai divenuto una realtà che caratterizza praticamente tutti i prodotti alimentari. Negli USA solo una minoranza di consumatori dichiara di non aver mai acquistato un prodotto biologico e l’82% dei consumatori dice di consumarne in modo saltuario. Anche il differenziale prezzo non é più così dissimile rispetto al convenzionale.

Dunque, il bio oggi è sempre più percepito od immaginato come un riferimento che va oltre la naturalità del prodotto. Deve poter garantire una qualità a tutto tondo e che dunque tocca tutti gli aspetti della sostenibilità: sociale, ambientale ed anche economica.

CLAL.it - Rapporto consegne di Latte Convenzionale e Bio in Francia
CLAL.it – Rapporto consegne di Latte Convenzionale e Bio in Francia

Fonte: Hartman Group

Il valore del fieno per l’allevatore Statunitense
25 Settembre 2020

Pianificare gli interventi per massimizzare le potenzialità del foraggio

Il valore del fieno dipende da due fattori: quantità e qualità. Sostanzialmente,  il primo dipende dalla piovosità, mentre il secondo fattore è determinato dalle decisioni dell’imprenditore agricolo, per cui occorre pianificare bene gli interventi in modo da massimizzare la potenzialità del foraggio e contenere i costi di produzione.

Negli USA, in stati come Ohio, Pennsylvania, West Virginia, Wisconsin,  dove l’alimentazione delle vacche si basa su fieno ed insilato,  la produzione di latte è direttamente correlata alla disponibilità stagionale di foraggio. Quest’anno il primo taglio di medica è stato buono, ma la bassa piovosità comporta degli scarsi raccolti per il secondo ed il terzo taglio.
Riguardo al mais, le semine sono state rallentate a causa delle abbondanti precipitazioni, mentre ora la crescita è piuttosto stentata per la siccità.

Questo comporta una incertezza sui foraggi che potranno essere immagazzinati, per cui diventa importante seguire alcune regole: misurare la quantità di fieno del primo taglio e valutarne la qualità in funzione dei bisogni delle vacche lattifere e di quelle in asciutta – i tagli successivi in genere hanno una qualità migliore;  calcolare le scorte di insilato disponibili, tenendo anche conto che il nuovo raccolto dovrà fermentare per uno o due mesi prima di essere dato agli animali; quando possibile, seminare foraggi a rapida crescita se ci si accorge che la produzione di quest’anno non permette di coprire i bisogni alimentari fino alla prossima stagione; se comunque si prevede che il foraggio di buona qualità scarseggi,  si può anticipare l’invio al macello delle vacche meno produttive, fino a ridurre il numero di quelle in lattazione.

Valutare sia la quantità che la qualità dei foraggi è sempre importante. Diventa però vitale quando non è possibile sopperire alla loro scarsità, attraverso l’irrigazione o la maggiore supplementazione con i mangimi, come avviene in tanti territori di zootecnia da latte. Lo dimostrano le difficoltà vissute dai produttori USA quando i bassi prezzi del latte non coprono i costi di produzione.

TESEO.clal.it - Alimento Simulato e Prezzo del Latte USA
TESEO.clal.it – Alimento Simulato e Prezzo del Latte USA

Fonte: Farm and Dairy

Mais, Soia e Riso: aggiornamenti Import/Export | Settembre 2020
17 Settembre 2020

Mais

Nonostante L’Export di Mais dell’UE-28 nel cumulato Gennaio – Luglio 2020 rimanga superiore allo stesso periodo del 2019, da Maggio si registra un trend negativo. Continua a diminuire l’Import di Mais: -51,93% in Luglio 2020 rispetto a Luglio 2019.

L’Italia ha importato nella prima metà del 2020 3,03 milioni di tonnellate: una riduzione del -2,76% rispetto ai primi 6 mesi del 2019.

Soia

Si rafforza l’Import europeo di Soia nel mese di Luglio: +9.54% Luglio rispetto a Luglio 2019, per un totale di 9.89 milioni di tonnellate nei primi 7 mesi dell’anno in corso.

Picco in Giugno per l’Import Italiano di Soia: 246.154 tonnellate acquistate, che corrispondono ad un aumento del +40,17% rispetto a Giugno 2019.
Nel 2020 le importazioni dagli Stati Uniti sono diminuite notevolmente, a favore di altri Paesi fornitori (Brasile e Canada).

Riso

L’Import UE-28 di Riso sta vivendo un periodo di forte crescita, dopo un inizio 2020 moderato. Nel periodo Gennaio – Luglio sono state acquistati, infatti, 1,69 milioni di tonnellate, +17,48% rispetto ai primi 7 mesi del 2019. Trend che si rafforza in Luglio +42,67%.

L’Italia vede crescere il proprio Export di Riso nei primi 6 mesi del 2020, raggiungendo le 421.836 Tonnellate. Il trend è confermato anche per il mese di Giugno, con esportazioni in aumento del +14,22%.

TESEO.clal.it - Trade di Mais, Soia e Riso
TESEO.clal.it – Trade di Mais, Soia e Riso

I produttori di Sorgo USA celebrano il rinnovato interesse della Cina
1 Settembre 2020

L’export di sorgo USA, dopo una riduzione del -30.2% nel 2019, torna a premiare gli agricoltori, che stanno accogliendo con soddisfazione l’aumento della domanda da parte della Cina. Durante la settimana di ferragosto, USDA ha riportato una vendita di 32 milioni di Bushel di Sorgo al mercato cinese (812.800 Ton), sottolineando che si tratta di un record, superando il precedente picco di 23 milioni di Bushel del 2014.

Tim Lust, CEO di National Sorghum Producers (NSP), afferma che questa vendita rappresenta il 9% dell’intero raccolto di sorgo Statunitense, aggiungendo inoltre che i produttori hanno registrato 90 giorni di consistenti vendite verso la Cina.

L’export di Sorgo Statunitense per il periodo Gennaio-Giugno 2020 ha registrato un incremento del +147,5%, attestandosi ad un totale di 3,25 milioni di tonnellate. La Cina si conferma come principale destinazione e, grazie ad un aumento del +538%, assorbe il 78% delle esportazioni totali di Sorgo Statunitensi.

TESEO.clal.it - Export Sorgo USA
TESEO.clal.it – Export Sorgo USA

Una domanda sorge spontanea, ovvero cosa sta determinando questi acquisti storici, e per quanto tempo la Cina continuerà ad acquistare queste quantità?

Secondo Lust i motivi di questa forte crescita delle esportazioni sono molteplici. Innanzitutto, la prima fase dell’accordo commerciale tra i due Paesi ha portato ad un maggior interesse verso i prodotti agricoli Statunitensi da parte della Cina, a cui va unito il bisogno crescente di sorgo da parte degli allevatori locali. Occorre inoltre considerare che l’Australia, uno dei maggiori concorrenti degli Stati Uniti in questo mercato, ha avuto un raccolto inferiore all’anno precedente, e sta esportando verso la Cina circa 1 milione di Ton in meno.

Anche osservando i prezzi si notano differenze di competitività. Lust evidenzia che la tariffa sul sorgo USA è minima, il che significa che con prezzi delle materie prime più elevati in Cina il sorgo statunitense risulta più conveniente per l’impiego zootecnico.

Il CEO di NSP afferma inoltre che segnali positivi indicano che la Cina potrebbe continuare ad acquistare questo cereale. “Ci si aspettava che l’impatto della peste suina africana (ASF) avrebbe mantenuto bassa la domanda cinese di alimenti zootecnici per diverso tempo, ma ciò non sembra stia accadendo” dice Lust.

Teseo.clal.it - Export Sorgo USA, Top Importers
TESEO.clal.it – Export Sorgo USA, Top Importers

Anche Arland Suderman di StoneX Group si trova d’accordo con Tim Lust, sostenendo che sebbene parte del sorgo importato dalla Cina venga diretto nella produzione di una particolare bevanda alcolica, la maggior parte di esso viene acquistato dall’industria mangimistica.  Suderman avverte poi anche che, nonostante i segnali siano positivi, la Cina non è sempre una destinazione affidabile per le esportazioni, specie dal punto di vista politico.

I produttori di sorgo capiscono fin troppo bene la cautela di Suderman; basta infatti ricordare che il governo cinese durante il 2018 ha imposto una tariffa di importazione del 179% sul raccolto americano, accusando gli agricoltori statunitensi di fare dumping. Comunque, nonostante il rischio che la Cina possa smettere di acquistare le materie prime americane, per il momento gli agricoltori celebrano questo rinnovato interesse che sta portando un aumento significativo dei prezzi.

Fonte: Agroprofessional