La Russia, primo esportatore di Grano Tenero, ha adottato strategie che limitano l’esportazione di tale prodotto, quali un prezzo minimo, tasse all’export e limitazioni di quantità vendibili da parte di società straniere. Tale scelta è mirata a contrastare l’inflazione interna che colpisce farina e pane, spinta dalle scarse produzioni (-10,4% nella stagione 2024-25), dalla forte domanda estera e dagli elevati costi militari. Questa dinamica, insieme alla scarsa disponibilità di Grano di buona qualità in Francia, sprona i prezzi internazionali verso l’alto e favorisce le esportazioni Ucraine, che diventano ora maggiormente convenienti. Tuttavia, è atteso che anche l’Ucraina fisserà un prezzo minimo per le esportazioni di Grano a partire da inizio dicembre.
Nel panorama globale si evidenziano d’altra parte anche forze ribassiste nel mercato. Si sta avvicinando il periodo di raccolta nell’Emisfero Sud e le prospettive sono di buone quantità in Australia, ma soprattutto in Argentina, che dovrebbe realizzare la seconda produzione record consecutiva. Anche in Ucraina le aspettative per il futuro raccolto sono di crescita, dato l’aumento delle aree seminate rispetto all’anno scorso. Quanto al Nord America, la semina negli USA procede ad un buon ritmo: più dell’80% del Grano è già stato seminato, e circa il 40% si trova in buone o ottime condizioni. Le previsioni meteo dei prossimi giorni lasciano sperare in condizioni climatiche positive, in particolare nello stato chiave del Kansas.
Le forze in gioco appaiono dunque in equilibrio, suggerendo prospettive di sostanziale stabilità dei prezzi del Grano Tenero per i prossimi mesi.
Il 56% delle aziende da latte inglesi ha difficoltà a reperire manodopera, tanto che il 10,6% ha dovuto ridurre il numero di animali in allevamento e l’86% afferma di non aver avuto risposta alle offerte di lavoro. Questi dati sono il risultato di un sondaggio che ha effettuato Arla, il più grande operatore lattiero-caseario del Regno Unito, su 472 dei suoi duemila fornitori di latte. Ne risulta anche che in media il personale è pagato il 27% in più rispetto al 2019. In questa situazione, se non vi saranno cambiamenti, il 16% degli intervistati afferma di considerare la possibilità di cessare l’attività determinando serie incertezze sulla sicurezza alimentare del Paese.
Mancanza di manodopera qualificata e Giovani che restino
Quello della forza lavoro è un problema presente lungo tutta la filiera. Le sfide più grandi sono l’attrazione di persone qualificate con le competenze corrette per le moderne tecnologie soprattutto nel campo dell’automazione e di attrarre un maggior numero di giovani che poi restino nel settore.
Arla ha già adottato una strategia lungo tutta la sua catena di fornitura per attrarre e trattenere personale, con un’attenzione anche ad una equilibrata rappresentanza di genere, ma ritiene necessario un sostegno pubblico per aiutare a promuovere la produzione alimentare come scelta di carriera tra una popolazione sempre più diversificata. Le richieste comprendono la riduzione delle formalità amministrative per gli agricoltori semplificando gli adempimenti burocratici, l’adeguamento dei programmi scolastici e formativi alle realtà produttive del settore agroalimentare per lo sviluppo delle competenze, l’accelerazione degli investimenti in tecnologia per sostenere l’automazione nelle aziende agricole. La necessità di interventi decisi per dare certezza e futuro alla produzione emerge anche dal sondaggio effettuato da National Farmers’ Union, il maggiore sindacato agricolo inglese, da cui risulta che il grado di fiducia degli operatori è sceso al livello più basso dal 2010.
Tutti i settori di attività agricola manifestano previsioni pessimistiche sui livelli produttivi del prossimo futuro per gli impatti del cambiamento climatico e soprattutto l’aumento dei costi che per la produzione di latte sono cresciuti del 44% negli ultimi cinque anni ed il calo delle marginalità. Il 60% degli agricoltori lamenta un calo nei profitti o delinea la possibilità di cessare l’attività. Pertanto si chiede un adeguamento degli stanziamenti pubblici al settore, che invece negli ultimi cinque anni sono rimasti sostanzialmente stabili, portandoli a 3,4 miliardi di sterline rispetto ai 2,4 attuali.
Negli Stati Uniti i digestori per la produzione di biogas realizzati presso le grandi stalle (megadairies), allevamenti con centinaia o migliaia di vacche da latte, stanno sollevando un dibattito, soprattutto negli Stati lattieri più produttivi come California e Wisconsin, che comprende tematiche relative ad emissioni, rispetto ambientale, produzioni energetiche ma, soprattutto, modello di sviluppo aziendale orientato verso unità produttive di sempre maggiori dimensioni seguendo lo schema industriale.
Ormai da tempo la produzione di biogas dal letame è considerata essere un metodo virtuoso per ridurre le emissioni di metano e tra il 2010 e il 2020 il Dipartimento per l’agricoltura statunitense ha disposto 117 milioni di dollari di sovvenzioni per i digestori anaerobici. A livello internazionale, nel 2021 durante la Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP26) è stato lanciato il Global Methane Pledge, sottoscritto anche dall’UE, che mira a ridurre le emissioni globali di metano del 30% entro il 2030, prendendo come base di riferimento i livelli del 2020. Gli Stati Uniti hanno pubblicato il proprio piano di riduzione del metano che mira a sviluppare ulteriormente il settore attraverso specifiche politiche e ricerche con risorse a favore della produzione di biogas da letame, cui si attribuisce circa il 9% delle emissioni di metano mentre il 27% deriva dalla fermentazione enterica dei ruminanti. Di conseguenza si sono diffusi i biodigestori presso le aziende da latte per trasformare i reflui zootecnici in modo virtuoso per l’ambiente ed anche profittevole per l’impresa. Le voci critiche sostengono però che il biogas usato come combustibile è essenzialmente equiparabile a quelli fossili e dunque non può essere considerata energia pulita per contrastare il cambiamento climatico. Solo per citarne un paio, una ricerca di Friends of the Earth sostiene che i digestori per la produzione di biogas possono costituire un incentivo per aziende con dimensioni sempre maggiori, radicando ulteriormente sistemi alimentari che impattano sia le persone che l’ambiente, mentre in California è stato rilevato che la biodigestione del letame comporta fino al 15% di perdite di metano in atmosfera.
Il dibattito però coinvolge più in generale la natura e la diffusione delle megastalle come modello di industria agricola che comporta molti reflui impattanti sull’ambiente. Quando si hanno troppi animali in un unico luogo si avranno troppi rifiuti in poco spazio, che diventano un problema che va oltre la finalità di un biodigestore. La questione si pone anche in Italia, dato che negli ultimi dieci anni a fronte di un calo del 26% di aziende da latte, quelle con oltre 500 vacche sia aumentato del 54%.
Con una produzione di 1.066 MW nel segmento del biogas e di 720 milioni di Smc/ora nel biometano, l’Italia è il secondo Paese in Europa per lo sviluppo di biogas e biometano. Il valore del settore a vantaggio dell’agricoltura, secondo Piero Gattoni, il presidente del CIB-Consorzio Italiano Biogas, va ben oltre i numeri e consente di promuovere la transizione ecologica, l’economia circolare, la competitività per le aziende agricole.
Alla fine di luglio è stata presentata la Fondazione Farming for Future, presieduta da Diana Lenzi e nata per dare continuità all’omonimo progetto lanciato dal CIB-Consorzio Italiano Biogas nel 2020. L’obiettivo è quello di portare l’agricoltura al centro delle politiche europee per la transizione energetica e agroecologica attraverso le 10 azioni del manifesto Farming for Future.
Presidente Gattoni, qual è la fotografia attuale dell’Italia, se parliamo di biogas e biometano? E come si colloca l’Italia rispetto agli altri Stati dell’Ue?
“L’Italia è secondo le ultime stime elaborate dalla European Biogas Association (EBA) il secondo Paese in Europa, dopo la Germania e prima di Regno Unito e Francia, per lo sviluppo del settore. Inoltre, in base ai dati presentati dalla Mappa europea del Biometano 2024, il nostro Paese è quello che ha visto una maggiore crescita della produzione di biometano in Europa, insieme a Francia, Regno Unito e Danimarca.
Con riferimento allo stato attuale, nel nostro Paese sono circa 1.800 gli impianti biogas per una potenza complessiva pari a 1.066 MW, mentre per quanto riguarda la produzione di biometano la produzione incentivata secondo il decreto ministeriale 2 marzo 2018 è complessivamente pari a 720 milioni di Smc/ora, mentre quella ammessa agli incentivi di cui al decreto ministeriale 15 settembre 2022 (primi due bandi) è, per ora, pari a 130 milioni di Smc/ora.
Ma questi numeri non sono sufficienti a spiegare il vero valore dell’applicazione della digestione anerobica nel settore agricolo italiano. Quello che è stato veramente innovativo è un modello in grado di promuovere la competitività e la transizione ecologica del settore primario. Un esempio di economia circolare, che ha permesso di produrre di più con una maggiore efficienza nell’uso delle risorse, risolvendo il conflitto tra produzione alimentare di qualità ed energetica”.
Dal biogas aziendale al biometano consortile. Sarà questa l’evoluzione o vi sono altre opportunità? Quali sono le potenzialità di crescita per il settore italiano?
“L’aggregazione consortile rappresenta una delle principali evoluzioni del mercato, ma ovviamente non costituisce l’unica opportunità presente, che risiede nella libera decisione dell’azienda agricola nella sua capacità di gestione delle attività, competitività ed esigenze del territorio nel quale opera. Le forme aggregate possono sicuramente ottimizzare l’uso delle risorse, condividere le infrastrutture e migliorare l’accesso agli investimenti, facilitando anche la realizzazione di progetti di economia circolare.
Il mercato italiano si dimostra molto dinamico sia grazie alla disponibilità di biomassa, con differenze tra nord e sud Italia, che riguardo alla capacità di innovazione delle aziende agricole e zootecniche. Ora siamo impegnati con gli investimenti del PNRR ma già il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) delinea uno scenario di crescita al 2030 di 4,9 miliardi di Smc di biometano. Questo deve portarci a lavorare da subito per definire il quadro normativo favorevole, che dovrà condurci a raggiungere i target dei prossimi anni, offrendo alle aziende le condizioni ottimali per mettere a terra gli investimenti”.
La burocrazia è uno dei nodi che rallentano lo sviluppo del biogas e del biometano. Quali sono i passaggi che, secondo lei, possono essere eliminati del tutto o resi più celeri?
“L’eccesso di burocrazia rappresenta uno degli ostacoli più comuni per le aziende che decidono di investire nelle rinnovabili, in quanto può ritardare i progetti e aumentarne i costi. E in questo senso, anche i progetti legati allo sviluppo del biogas e del biometano vedono spesso scontrarsi con la complessità normativa.
Per questo, si dovrebbe intervenire non solo su auspicabili percorsi di semplificazione su procedure e adempimenti che proprio per la loro stratificazione rischiano di determinare ostacoli e rallentamenti ai progetti, ma prima di tutto sull’introduzione di norme che garantiscano tempi certi nella definizione degli iter autorizzativi.
Parliamo di ridurre i tempi di attesa e semplificare il processo, come ad esempio è stato fatto con il DL PNRR per agevolare l’accesso ai bandi biometano. O ancora misure che implementano una maggiore digitalizzazione dei processi per migliorare la trasparenza, senza tralasciare il maggior coinvolgimento dei soggetti interessati per discutere e risolvere eventuali problematiche in modo tempestivo.
Inoltre, assistiamo spesso a un congestionamento delle richieste di autorizzazione nei periodi di apertura dei bandi che sottopongono le pubbliche amministrazioni ad un grosso carico di lavoro a fronte di dotazioni organiche spesso insufficienti. In questo senso ci auspichiamo anche riforme finalizzate a potenziare le Pubbliche Amministrazioni, oltre che a renderle più efficienti”.
Alcuni impianti di biogas stanno terminando il periodo connesso alla tariffa incentivante. Cosa suggerisce di fare Cib in questi casi?
“In questi casi è essenziale adottare una strategia che consenta di mantenere da una parte la redditività e dall’altra l’efficienza dell’impianto.
Il legislatore di recente è intervenuto attraverso il meccanismo dei prezzi minimi garantiti per tutti i soggetti che hanno terminato o che termineranno l’incentivo entro il 31 dicembre 2027, e che non godono di altri incentivi ad esempio per la produzione di biometano. La misura, fortemente voluta dal CIB, riconosce un contributo basato sulla copertura dei costi di funzionamento, al fine di assicurare la prosecuzione della produzione di energia elettrica rinnovabile e il funzionamento efficiente degli impianti.
In questo scenario, si inseriscono anche le opportunità offerte dai nuovi strumenti di incentivazione, come il Decreto FER 2 che renderà di nuovo possibile finanziare la realizzazione, nel periodo 2024-2028, di nuovi impianti di produzione di energia elettrica da biogas con potenza fino a 300 kW.
Ma una delle raccomandazioni resta anche quella di puntare sulla valorizzazione del biometano, cogliendo le opportunità introdotte con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e con gli strumenti che daranno seguito allo sviluppo del biometano anche oltre il PNRR”.
Molti allevatori stanno valutando la realizzazione di impianti di biogas. Quali parametri e azioni dovranno essere presi in considerazione per un investimento corretto?
“Sono sempre di più gli allevatori che decidono di realizzare impianti biogas e questo non può che rappresentare un valore aggiunto per tutta la nostra filiera. Gli effluenti zootecnici sono una risorsa importante per la digestione anaerobica ed il digestato un ottimo fertilizzante organico. Con una pianificazione accurata e una gestione oculata, investimenti e competenze tecniche specifiche, si possono trarre benefici notevoli, sia economici che ambientali. È fondamentale determinare tipologia e dimensione dell’impianto in funzione delle biomasse che ogni azienda ha a disposizione nell’ambito territoriale in cui si colloca. Non dimentichiamoci poi che dopo oltre 15 anni di esperienza anche il settore industriale italiano dei fornitori di tecnologia e sistemi per la produzione di biogas rappresenta un’eccellenza del nostro Made in Italy.
Tra le azioni da intraprendere, è necessario effettuare anche un’analisi delle materie prime disponibili per garantire la sostenibilità della produzione. La collocazione dell’impianto è un’altra considerazione da tenere a mente per ridurre l’impatto dei trasporti e l’impronta ambientale, ma soprattutto per minimizzare i costi di allaccio alla rete del gas, nel caso di produzione di biometano. Ovviamente non deve mancare uno studio accurato di valutazione dei costi iniziali, di manutenzione e operativi, e degli investimenti da affrontare. Oltre a questo è fondamentale tener conto degli aspetti normativi e burocratici, e quindi delle tempistiche per ottenere le autorizzazioni necessarie. CIB Service, la società di servizi del CIB può supportare i produttori ed affiancare i molti studi tecnici competenti del settore”.
L’India, con una superficie agricola appena superiore all’UE-27, ha affrontato la sfida di sfamare oltre un miliardo quattrocentomila persone aumentando le proprie produzioni agroalimentari.
Nel suo percorso è riuscita a diventare il maggior produttore di Latte al Mondo (bufala + vacca), grazie ad un eccezionale modello basato sulla cooperazione.
Questa affascinante impresa ci ha spinti a tracciare i contorni del mercato lattiero-caseario, delle carni bovine e degli alimenti zootecnici in India, e a chiederci: cosa manca all’India per divenire un grande esportatore di prodotti lattiero-caseari?
I prodotti cosiddetti Commodity, siano essi agricoli, energetici, metallurgici od altro, vengono negoziati sul mercato dei futures con dei contratti dove i prezzi sono influenzati (anche) da fattori estranei alla natura dei prodotti stessi, sulla falsa riga di quanto avviene per titoli ed azioni.
Prezzo fissato con largo anticipo
Il prezzo internazionale di prodotti quali Grano, Riso, Zucchero, Olio di Palma, Caffè o Cacao, viene definito dai contratti che gli acquirenti sottoscrivono con i venditori su forniture posticipate (future) per garantirsi da fluttuazioni impreviste nelle quotazioni di mercato. Quindi il prezzo delle commodity viene fissato con largo anticipo prima di effettuare le transazioni fisiche ed è relativamente svincolato dalle richieste dei produttori. Da sempre ed ovunque, dai Souq in Medio oriente, ai mercati in Europa, India o Cina, commercianti ed acquirenti si riunivano in un luogo fisico per stabilire i prezzi accettabili delle merci. Nei tempi moderni, le borse hanno allontanato le contrattazioni dalla presenza fisica del bene, che è diventata superflua col trading elettronico. Questa tipologia di contrattazione da un lato ha aumentato in modo significativo i volumi di trading e la liquidità, dall’altro ha portato ad una maggiore volatilità e ad una minore trasparenza riguardo il reale valore intrinseco del bene contrattato e della equità nel prezzo pagato ai produttori.
Il mercato dei futures pur basandosi sempre sui fattori tangibili nel determinare il prezzo quali domanda ed offerta, dipende in misura considerevole dai fattori intangibili quali l’atteggiamento di rischio degli investitori ed il contesto economico e geopolitico generale. In altri termini dalla finanza.
Quali benefici agli agricoltori?
Se le contrattazioni moderne permettono di negoziare dei beni di massa (commodity) in luoghi fisici o virtuali estranei da quelli di produzione, diventa legittimo chiedersi se e quali benefici apportano agli agricoltori nei loro Paesi d’origine. Un beneficio può essere la trasparenza del prezzo, dato che questo diventa di dominio pubblico essendo reso prontamente disponibile sullo smartphone. Ma non è detto che il prezzo di prodotti quali Caffè o Cacao fissato e reso pubblico nel mercato future ICE (InterContinental Exchange) di New York sia poi quello riconosciuto agli agricoltori nei luoghi di produzione, perché entrano in ballo intermediari ed anche Governi locali che possono offuscarlo per degli accordi stabiliti con importatori esteri, il che comporta il pagamento agli agricoltori di un prezzo inferiore rispetto a quello commodity.
All’opposto si può assistere anche a prezzi maggiori di quelli negoziati nelle borse merci elettroniche come nel caso di prodotti da agricoltura biologica o contrassegnati dal marchi privati di qualità (es. Fairtrade), stabilendo relazioni dirette fra luoghi di produzione e di consumo. Oltre al modo di fissazione del prezzo di riferimento ed alla sua pubblicazione, occorre dunque considerare la trasparenza nel mercato per ogni specifica commodity.
Come sempre, non basta l’accordo sul prezzo concordato fra due entità per definire l’equa ripartizione del valore di quel bene lungo i soggetti della filiera. Infatti il prezzo é un riferimento e non un dato assoluto. Determina il valore del bene, da ripartire fra i soggetti che contribuiscono a realizzarlo. Questi soggetti, dall’agricoltore al trasformatore, al commerciante, hanno un ruolo diverso ed anche un diverso potere contrattuale ed una tempistica diversa.
Prendiamo ad esempio il Cacao: i prezzi sono schizzati alle stelle; chi produce cioccolato in Europa aggiorna prontamente i listini, ma l’agricoltore che produce le bacche di Cacao in Africa occidentale deve aspettare il prossimo raccolto per avere un prezzo maggiore. Ecco perché occorrono organismi di sorveglianza regolatori.
Le quotazioni dei Foraggi si mantengono su valori elevati per effetto dei cambiamenti climatici che, per il secondo anno consecutivo, comportano una riduzione delle quantità raccolte e, soprattutto, della qualità. “La stagione anomala con precipitazioni abbondanti e al di sopra delle medie stagionali ha generato quotazioni al rialzo – commenta Kristian Minelli, Allevatore di San Benedetto Po (Mantova) e Vicepresidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano e di GranTerre -. Stiamo inoltre scontando sul mercato alcune giacenze dello scorso anno che ha paradossalmente rallentato le quotazioni, pur con una qualità non esattamente soddisfacente”.
Le quotazioni potrebbero tuttavia subire repentine impennate, per effetto delle condizioni meteo-climatiche che hanno tagliato la Penisola in due: pioggia al Nord e siccità al Centro-Sud. “Se dovesse persistere la siccità, che ha già provocato molti danni in Sicilia e in generale nel Sud Italia – specifica Minelli – parte della produzione del Nord Italia potrebbe essere venduta per andare in soccorso alle stalle maggiormente in difficoltà, innescando fluttuazioni verso l’alto dei prezzi dei foraggi”.
La scarsa produzione del 2023 a livello europeo ha intanto frenato le esportazioni dell’Ue di erba medica e altri prodotti foraggeri fra Gennaio-Aprile 2024 (-27,7% tendenziale) e dell’Italia, che fra Gennaio e Marzo 2024 ha ridotto le vendite all’estero del 17,9% rispetto allo stesso periodo del 2023.
Sono sempre di più le misure implementate all’interno dell’Unione Europea con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale delle produzioni. Tuttavia, il rischio è quello di ridurre la competitività delle produzioni locali rispetto a quelle in altri Paesi dove i vincoli ambientali sono meno stringenti.
È quindi necessario assumere una visione globale per adottare soluzioni efficaci e che evitino la rilocalizzazione delle emissioni e l’indebolimento degli obiettivi climatici dell’UE. D’altra parte, le emissioni non conoscono confini.
In questo contesto è stato ideato il CBAM, un meccanismo che vuole adeguare il costo delle emissioni associato ai prodotti importati a quello dei prodotti domestici.
Vediamo meglio nella pratica di cosa si tratta e perché potrebbe impattare sui prezzi dei Fertilizzanti, in questa nuova breve presentazione.
Le emissioni azotate derivanti dall’intensificazione delle pratiche agricole e da carichi di bestiame elevati portano alla liberazione di ammoniaca in atmosfera, col conseguente aumento di quel particolato fine nell’aria (PM2,5) responsabile di crescenti patologie respiratorie nella popolazione.
Il problema è serio. Riguarda diverse zone del mondo, inclusa la Pianura Padana dove la concentrazione di elementi inquinanti nell’aria, fra ammoniaca (NH 3), ossidi di azoto (NO) e di zolfo (SO), è fra le più elevate d’Europa, come è stato recentemente dimostrato dal progetto Inhale (Impact on humaN Health of Agriculture and Livestock Emissions), per studiare l’impatto sulla salute umana delle emissioni dell’agricoltura e dell’allevamento in Lombardia.
Ridurre le emissioni di ammoniaca, dato che per l’81% derivano dall’agricoltura, è possibile. Per questo occorre adottare cinque regole:
Uso efficiente delle proteine nella razione, per ridurre l’azoto in eccesso escreto dagli animali sotto forma di urea urinaria;
Pulizia frequente e regolare delle aree di allevamento;
Copertura delle vasche di stoccaggio dei liquami;
Tecniche di spandimento come barre o dischiere;
Gestione con cura dei fertilizzanti, in particolare l’urea.
Poi bisogna considerare il continuo consumo di suolo.
La sostenibilità ambientale è la base per la credibilità delle nostre produzioni, in primis le DOP.
Negli USA, più del 90% di mais, cotone e soia deriva da sementi OGM. Le sementi geneticamente modificate sono state introdotte nel 1996 e poco più di dieci anni dopo interessavano oltre il 50% di tutte le coltivazioni di mais, soia e cotone. Le due principali caratteristiche delle piante geneticamente modificate sono la tolleranza agli erbicidi (HT) e la resistenza agli insetti (Bt). Questi tratti genetici possono essere aggiunti nei semi singolarmente (caso più frequente) oppure in modo combinato.
Nel tempo sono poi state sviluppate caratteristiche anche diverse da HT e Bt, come la resistenza a virus, funghi e siccità, un maggiore contenuto di proteine, olio o vitamine. Le sementi HT sono ampiamente utilizzate anche in erba medica, colza, barbabietola da zucchero.
Tecnicamente, gli Organismi Geneticamente Modificati si possono distinguere in transgenici se i geni inseriti provengono da specie diverse, es. geni di origine animale inseriti in una pianta, oppure in cisgenici quando si modificano dei geni della stessa pianta (od organismo).