OGM: parliamone
12 Giugno 2018

La pubblicazione lo scorso Febbraio sulla rivista Scientific Reports della meta-analisi condotta dai ricercatori di Pisa che hanno analizzato i lavori di ricerca a livello mondiale relativi a 21 anni di coltivazioni del mais OGM, con la conclusione della mancanza di evidenze per la salute umana o per l’ambiente, ha alimentato il dibattito su questa contrastata tematica.

Il punto sono le tecniche utilizzate per il miglioramento genetico, sia nel campo vegetale che animale, le loro ricadute per l’uomo o l’ambiente ed il loro controllo.

Le tecniche di per sé non sono totalmente buone o cattive, dipende di cosa si tratta e quali ricadute hanno se utilizzate per il miglioramento genetico

Le tecniche di per sé non sono totalmente buone o cattive, dipende di cosa si tratta e quali ricadute hanno. Ad esempio che la tecnica della ibridazione comporta il sorgere di individui sterili con il conseguente ricorso alla necessità di acquistare le sementi dalle ditte specializzate, ma questo non é motivo per rifiutarla. Anche perché vorrebbe dire negare l’utilità dell’incrocio fra asino e cavallo.

Da sempre la selezione per migliorare le performance è andata di pari passo col progredire delle coltivazione e dell’allevamento, ma sono le scoperte dell’abate Mendel nel 1800 che hanno stabilito quelle basi matematiche che hanno portato alle moderne conoscenze sui meccanismi dell’ereditarietà e che hanno dato origine a tecniche di selezione sempre più perfezionate per sfruttare utilmente la diversità naturalmente presente in una popolazione di individui.

L‘obiettivo resta migliorare le performance riducendo i tempi del miglioramento genetico

Di fatto, l’obiettivo resta poi sempre quello di migliorare le performance (produttività, resistenza alle malattie, adattamento ambientale), riducendo i tempi del miglioramento genetico. La problematica è il mantenimento della biodiversità presente in natura. In tempi a noi recenti, lo sviluppo della genomica ha permesso di accrescere la conoscenza dei meccanismi genetici e dunque di utilizzare le metodiche di selezione più appropriate per guidare le mutazioni che da sempre sono state sfruttate dall’uomo e che Darwin spiegava con la teoria dell’evoluzione.

Queste mutazioni possono riguardare una singola porzione di DNA così come intere porzioni di cromosomi (inserzioni, traslocazioni, duplicazioni e delezioni). Per questo l’incrocio è la tecnica più nota e diffusa e la differenza sostanziale di miglioramento apportata dall’ingegneria genetica (alla base dello sviluppo degli OGM) sta nella modalità con cui l’uomo induce le modificazioni.

Infatti, mentre nel caso della mutazione o dell’incrocio viene effettuata una selezione fenotipica, cioè basata sulle caratteristiche visibili, all’interno di popolazioni molto grandi di piante od animali, nell’ingegneria genetica è possibile “progettare” la modifica da effettuare. Inoltre, gli organismi geneticamente modificati, possono venire selezionati genotipicamente, cioè in base alle loro caratteristiche genetiche, e non più unicamente da come appaiono esternamente.

Il Mais transgenico è notevolmente più produttivo

Lo studio dell’università di Pisa, in base ai dati di ricerche indipendenti condotte in USA, Europa, Sud America, Asia, Africa ed Australia, paragona le varietà transgeniche con le parentali non transgeniche. Ne risulta che il Mais transgenico è notevolmente più produttivo (dal 5,6% al 24,5%), che non ha effetto sugli altri organismi, salvo la diminuzione di un insetto (Braconide parassitoide), e che comporta minori concentrazioni di micotossine (28,8%) nella granella.

L’ultimo studio sui risultati delle ricerche relative agli OGM in agricoltura, pubblicato a maggio da ricercatori USA di Berkeley, dimostra che con questa tecnica di miglioramento genetico, si aumenta la produttività, si riducono i costi e si diminuisce l’impatto dell’attività agricola sull’ambiente.

Gli OGM sono il prodotto di biotecnologie diversificate, con molte applicazioni dai molteplici effetti. Ognuna deve essere valutata secondo i rischi ed i benefici che apporta, nel contesto di un quadro regolamentare che permetta di raggiungere il potenziale che può offrire. Ovviamente nel contesto del principio di precauzione, cioè della evidenza scientifica obiettiva che determina con sufficiente certezza l’esclusione del rischio.

Fonte: Nature, MDPI, Proversi

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Pubblicato da

Leo Bertozzi

Agronomo, esperto nella gestione delle produzioni agroalimentari di qualità e nella cultura lattiero-casearia.