Come certificare (e comunicare) il Benessere Animale
7 Novembre 2017

di Maria Chiara Ferrarese, R&S Executive Manager, Business Development Executive Manager – CSQA Certificazioni srl

 

Il tema del benessere animale è di grande attualità e di interesse per i consumatori, che sono molto più consapevoli e alla ricerca di garanzie rispetto ai temi etici, sociali e più in generale afferenti alla sfera della sostenibilità.

Proprio perché il benessere animale è diventato elemento di differenziazione e di garanzia, sono state sviluppate diverse iniziative da parte dei big player e delle catene distributive internazionali sul tema. Si tratta tuttavia di approcci molto ”personalizzati” e disomogenei, che riflettono la sensibilità del soggetto promotore.


Questo argomento è stato trattato all’incontro
La Sostenibilità nella filiera lattiero-casearia Trentina
Venerdì 10 Novembre 2017
Vedi il VIDEO  >
o leggi la sintesi dell’incontro  >


in Europa

Non esiste in UE uno standard volontario certificabile e condiviso in materia di benessere animale

La causa di questa frammentazione è da ricercarsi anche nel fatto che non esiste attualmente sul mercato europeo uno standard volontario certificabile e condiviso in materia di benessere animale. Esiste infatti la norma ISO/TS 34700 Animal welfare management Animal welfare management General requirements and guidance for organizations in the food supply chain che però non definisce uno standard, ma rappresenta sostanzialmente una guida per implementare standard pubblici o privati.

In generale questi approcci hanno come base comune i principi di EFSA e/o Farm Animal Welfare Council e/o Terrestrial Animal Health Code (TAHC), ma vengono declinati in indicatori e requisiti molto variabili l’uno rispetto all’altro, oltre che con diversi livelli di profondità.

in Italia

In Italia la responsabilità e il controllo del benessere animale, definito secondo le norme cogenti a livello comunitario, è in capo alle regioni e al Ministero della Salute. Al Ministero della salute fanno riferimento i diversi Istituti Zooprofilattici distribuiti sul territorio nazionale. Il Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale (CReNBA) con sede presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna, sezione di Brescia, è l’autorità scientifica pubblica e consulente del Ministero della Salute con la funzione di sostegno scientifico sui temi del benessere animale.

Il CReNBA ha sviluppato dei manuali di valutazione del benessere nei bovini

Il CReNBA, raggruppando un gruppo di veterinari specialisti del settore bovino, ha sviluppato dei manuali di valutazione del benessere nei bovini al fine di aiutare la veterinaria italiana e  il settore bovino a comprendere meglio e valutare più a fondo il problema del Benessere animale.

Questi manuali, liberamente disponibili sul sito www.IZSLER.it, prevedono requisiti minimi obbligatori previsti per legge (prerequisiti) e requisiti aggiuntivi, più restrittivi rispetto a quelli di legge o non previsti dalla stessa.
L’insieme di questi requisiti è stato utilizzato dagli enti di certificazione per sviluppare un sistema di certificazione volontaria del benessere animale applicabile al settore delle carni bovine e del lattiero-caseario.

Di seguito è possibile consultare una copia dei manuali CReNBA di valutazione del benessere animale e della biosicurezza in allevamento disponibile in data odierna sul sito www.izsler.it:

Questi standard non sono utilizzati nell’ambito delle procedure ufficiali di verifica da parte dei veterinari del sistema sanitario nazionale e non rappresentano pertanto lo strumento utilizzato dal sistema dei controlli ufficiali del Ministero. Gli standard sono volontari, vengono applicati da tutti i veterinari che hanno superato corsi specifici e definiscono criteri di valutazione del benessere animale negli allevamenti di bovini da carne e da latte (stabulazione fissa e stabulazione libera) aggiuntivi rispetto a quelli previsti per legge secondo l’approccio scientifico oramai consolidato a livello internazionale.

Tale approccio prevede la valutazione di 4 diverse aree:

  1. Management aziendale e personale
  2. Strutture e attrezzature
  3. Animali (attraverso valutazioni eseguite sugli animali o Animal based Measures)
  4. Biosicurezza

il benessere animale è una condizione collegata ad una molteplicità di fattori

Per ogni area sono stati definiti indicatori (disponibili a questo link) che valutati nel loro insieme identificano condizioni effettive di benessere animale in allevamento. Gli indicatori sono coerenti con quanto indicato da EFSA, ma anche dal Farm Animal Welfare Council. Risulta fondamentale infatti la consapevolezza diffusa a livello scientifico che il benessere animale non può essere una condizione collegata ad un solo gruppo di indicatori (es. le strutture dell’allevamento) bensì a una molteplicità di fattori che, osservando nel contempo le condizioni animali ed ambientali, devono definire la condizione di vita dell’animale.

Ad ogni indicatore, in relazione alla sua specifica potenzialità di indicare buone o cattive condizioni di benessere, è stato attribuito un valore numerico (“peso”) in base ad un processo di valutazione del rischio (EFSA 2012). A seguito della valutazione di tutti i valori viene calcolato il punteggio ottenuto dall’allevamento.

Gli standard rappresentano un supporto che gli operatori hanno a disposizione per meglio valutare il benessere animale in sede di autocontrollo. Può essere utilizzato da parte degli allevatori o delle loro associazioni o industrie di trasformazione in totale libertà, anche per ottenere una certificazione volontaria a supporto di claim in materia di benessere animale in allevamento.

La validità dello standard CReNBA è stata riconosciuta anche dal MIPAAF che ha previsto e autorizzato l’informazione “Garanzia di benessere animale in allevamento valutato secondo lo standard del Centro di Referenza Nazionale” a diverse Organizzazioni in base al Reg. CE 1760, al Decreto MIPAAF 16 Gennaio 2015 e alla Circolare 7770 del 13/04/2015. L’informazione approvata dal MIPAAF è utilizzabile nell’etichetta delle carni bovine in base ad una specifica procedura concordata con il MIPAAF e inserita nei disciplinari di etichettatura facoltativa delle organizzazioni autorizzate

Si tratta di un grande risultato poiché rappresenta di certo un primato sotto tanti punti di vista: per la prima volta viene identificato e riconosciuto un sistema di valutazione del benessere animale che consente una comunicazione volontaria al consumatore approvata dal MIPAAF. Lo standard quindi non è emanazione del privato ma di una istituzione pubblica riconosciuta specializzata e competente sull’argomento, e armonizza una comunicazione al consumatore che risponde ad una reale e concreta esigenza di mercato. In questo modo vengono definiti e riconosciuti un claim e le attività da fare e dimostrare a supporto dello stesso assicurando una omogeneità di approccio.

la Certificazione

Il settore lattiero-caseario e il settore delle carni bovine trasformate non sono normati da norme di legge verticali in materia di etichettatura volontaria (come nel caso delle I e II lavorazioni di carni bovine ed avicole), pertanto l’utilizzo di diciture in materia di benessere animale non prevede la presentazione di un apposito disciplinare al MIPAAF.

Poiché alcune aziende del settore lattiero-caseario e del settore delle carni bovine trasformate (es. hamburger, spiedini etc.) hanno manifestato interesse a comunicare il benessere animale in etichetta, si è reso necessario individuare uno standard volontario certificabile.

Per ovviare al rischio che ogni azienda / organizzazione definisse proprie regole / procedure / definizioni con il risultato di moltiplicare gli standard e complicare la comunicazione sul benessere animale al consumatore, CSQA ha scelto di adottare lo standard CReNBA come strumento di riferimento per la valutazione del benessere animale in allevamento.

Per poter certificare carni e derivati e prodotti lattiero-caseari è stato indispensabile definire un sistema di autocontrollo aziendale finalizzato a dimostrare la conformità di tutti gli allevamenti coinvolti nella filiera e di assicurare che il prodotto finito certificato che viene identificato con il claim “benessere animale in allevamento” sia ottenuto esclusivamente con il latte / carne degli allevamenti conformi allo standard CReNBA.

Analogamente a quanto sviluppato per le I e II lavorazioni di carni bovine, CSQA ha definito una procedura specifica che prevede l’adozione – da parte delle aziende che intendono certificare i loro prodotti – di un sistema di gestione del requisito “benessere animale in allevamento” e verifiche ispettive da parte dell’OdC (Organismo di Certificazione) finalizzate a verificare il rispetto dei requisiti definiti.

I prodotti certificati possono essere identificati dal logo di CSQA o da logo di fantasia aziendale e possono comunicare la caratteristica certificata al consumatore o al cliente.

L’approccio al benessere animale non deve essere esclusivamente finalizzato al marketing

Il benessere animale rappresenta un tema di crescente interesse per la società.
La percezione di questo requisito tuttavia è complessa e sfaccettata; può essere influenzata da molteplici dimensioni (scientifica, etica, storica, religiosa, economica e politica). Proprio per queste ragioni l’approccio a questa importante tematica deve essere fatto in modo scientifico e non esclusivamente finalizzato al marketing.

Questo sistema di valutazione del benessere animale e le procedure di certificazione volontaria applicate rispondono alla concreta esigenza del mercato di avere uno strumento per la valutazione del benessere animale che possa sostenere in modo oggettivo, scientificamente corretto e verificabile, il claim “benessere animale” utilizzato per differenziazione il prodotto sul mercato.
Potrebbe inoltre armonizzare l’approccio di valutazione e certificazione volontaria evitando il proliferare di iniziative “private” difficilmente giustificabili e comunicabili, tese maggiormente a salvaguardare le ragioni di mercato piuttosto che a migliorare la qualità di vita degli animali.

 

Questo argomento è stato trattato all’incontro
La Sostenibilità nella filiera lattiero-casearia Trentina
Venerdì 10 Novembre 2017
Vedi il VIDEO  >
o leggi la sintesi dell’incontro  >

 

Il lattiero-caseario italiano merita un modello di Sostenibilità condiviso
29 Giugno 2017

di Maria Chiara Ferrarese, R&S Executive Manager, Business Development Executive Manager – CSQA Certificazioni srl

 

Fino a poco tempo fa – in ambito food – i requisiti di igiene e sicurezza costituivano il focus, l’elemento essenziale per produttori e GDO. Nel tempo questo focus è stato integrato con requisiti “valorizzanti” e “spendibili sul mercato in chiave di differenziazione” come ad esempio OGM free, lactose free, etc. In questi ultimi anni abbiamo invece assistito ad uno spostamento dell’attenzione di consumatori e stakeholder sul macro-tema della sostenibilità. Il consumatore infatti ricerca prodotti che, oltre a rispettare i prerequisiti di sicurezza alimentare, rispondano anche ad esigenze di tipo etico come il rispetto dell’ambiente, degli animali, dei lavoratori, della collettività.

La sostenibilità rappresenta di certo un concetto ampio e sfaccettato ma oramai è condiviso e riconosciuto a tutti i livelli. Questo concetto si sostanzia nell’insieme di tre pilastri ovvero:

  • economico: capacità di generare reddito e lavoro;
  • ambientale: capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali;
  • sociale: capacità di garantire condizioni di benessere umano, i diritti umani, le pratiche di lavoro, le pratiche operative leali, tutela dei consumatori, coinvolgimento e lo sviluppo della comunità, la qualità culturale e la salubrità del prodotto e del suo gesto di consumo.

Mancano sistemi di valutazione riconosciuti della Sostenibilità

Se da un lato la definizione di sostenibilità è condivisa da tutti dall’altro mancano sistemi di valutazione riconosciuti della stessa. Esistono sul mercato diverse iniziative volte a valutare la sostenibilità ambientale (LCA, EPD, PEF, CFP, WFP etc.), la sostenibilità sociale (SA 8000, Sedex etc.), la sostenibilità economica (Fair trade). Nessuna di queste iniziative definisce le modalità di valutazione della sostenibilità considerando i tre pilastri e nessuna prevede regole chiare per definire il prodotto finito “sostenibile”.

A livello internazionale esistono iniziative che hanno previsto la definizione di modelli di valutazione della sostenibilità specifici per diverse tipologie di filiere. Ne sono esempi lo standard UTZ applicabile a caffè, the, cioccolato, o MSC applicabile al pesce, o Pro terra applicabile a diverse commodities (soia, zucchero etc.). Si tratta di standard che hanno trovato riscontro sul mercato al punto da essere diventati requisiti necessari per accedere alle catene distributive internazionali.

Anche in Italia esistono progetti specifici in materia di sostenibilità; si tratta di iniziative che hanno previsto la definizione di standard che definiscono requisiti e indicatori per le filiere del vino (Standard Equalitas), dell’olio extravergine di oliva (Standard EVO Sostenibile), dei cereali e dei semi oleosi (Standard cereali e semi oleosi sostenibili).

L’attenzione dell’opinione pubblica rispetto all’impatto delle filiere zootecniche è cresciuta negli ultimi anni. La produzione di latte e derivati rappresenta un settore molto importante della zootecnia e dell’industria alimentare. Pur tuttavia l’allevamento del bovino da latte è spesso associato a pratiche intensive alle quali viene associato ad un grande impatto ambientale ma anche a modalità di allevamento poco etiche in termini di benessere animale, utilizzo del farmaco etc.

Tutti gli studi concordano nell’indicare le attività aziendali (di allevamento e agricole) come le fasi più impattanti su tutta la filiera produttiva del latte.

Uno dei principali impatti ambientali riguarda le emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra (GHG):

  • il metano (CH4) prodotto dalle fermentazioni ruminali e da quelle a carico delle deiezioni, in particolare dai liquami,
  • il protossido di azoto (N2O) emesso dal letame e a seguito della concimazione organica e minerale dei campi,
  • l’anidride carbonica (CO2) emessa dal consumo di energia elettricità e carburanti utilizzata per la gestione della stalla e per le operazioni colturali,
  • l’ammoniaca (NH3) prodotta dalle deiezioni e a seguito della concimazione azotata dei campi.

Un ulteriore impatto ambientale significativo è rappresentato da nitrati e fosfati dovuti alla concimazione dei campi, sia organica che minerale.

Relativamente al pilastro sociale, oltre al tema della gestione dei lavoratori e dei rapporti con la collettività, sono di particolare rilievo – soprattutto in questo ultimo periodo – le condizioni di allevamento degli animali rappresentate dal benessere animale e dalla gestione del farmaco. Si tratta di argomenti di grande impatto per il consumatore e di grande attenzione da parte degli stakeholder al punto da richiedere costanti azioni di valutazione, di monitoraggio e di miglioramento.

Azioni di miglioramento individuando le migliori pratiche

Purtroppo non esiste ancora uno standard in materia si sostenibilità riconosciuto e applicabile a latte e derivati che tenga conto dei tre pilastri e dei requisiti e degli indicatori ascrivibili a ciascun pilastro. L’esigenza / opportunità consiste proprio nel lavorare affinché venga identificato un modello che permetta di valutare la sostenibilità del prodotto, delle aziende, della filiera.
La valutazione permette di identificare non solo lo stato dell’azienda rispetto a requisiti ed indicatori di sostenibilità applicabili, ma – proprio perché esiste una misura – permette anche di definire azioni di miglioramento attraverso l’individuazione delle migliori pratiche di coltivazione, di allevamento, di gestione della mandria etc.
Sostenibilità però non è e non deve essere un esercizio di stile, ma l’adozione di pratiche sostenibili deve portare da un lato ad una riduzione degli impatti e dall’altro ad una migliore gestione dell’azienda con conseguente impatto positivo sul pilastro economico: efficientamento, creazione del valore, miglioramento della reputazione del brand, individuazione di nuovi canali commerciali etc.

Identificare un modello di valutazione

È auspicabile – cosi come realizzato in altre filiere – che il settore identifichi un modello di valutazione della sostenibilità ambientale, sociale, economica della filiera lattiero-casearia in grado di intercettare le esigenze degli stakeholder e al contempo che sia rappresentativo del settore lattiero-caseario italiano. Un sistema di definizione e valutazione della sostenibilità che permetta di testimoniare il rapporto con l’ambiente, con i lavoratori e con la collettività, con la gestione degli animali (condizioni di gestione dell’allevamento, di benessere animale, di gestione del farmaco) e gli eventuali sforzi di mitigazione nell’ottica della riduzione degli impatti e del miglioramento nella gestione dell’azienda e della mandria con un occhio attento alla produttività.
L’ambizione è che questi strumenti siano utili per la valutazione interna delle imprese, per l’affermazione e l’attestazione in un’ottica di grande trasparenza del proprio posizionamento rispetto alla sostenibilità, e che siano riconosciuti anche dai mercati e dal consumatore come strumenti di garanzia e di valorizzazione.

Il progetto Acqua & Energia di TESEO, verso un’agricoltura sostenibile