Il futuro è raccontare la filiera del latte
2 Agosto 2016

Piergiovanni Ferrarese
Sorgà, Verona – ITALIA

L'allevatore Piergiovanni Ferrarese
L’allevatore Piergiovanni Ferrarese

Azienda Agricola Ferrarese Paolo e Carlo S.s.
Capi allevati: 300 | 130 in mungitura.
Ettari coltivati: 125.
Destinazione del latte: Latte Alimentare (Scaligera Latte).

“La missione del futuro è parlare del prodotto, raccontare la filiera del latte, promuoverla, sostenere l’accesso al credito e le start up, far conoscere ai consumatori che cosa sta dietro un litro di latte, dalla mangimistica all’alimentazione, dalla produzione alla commercializzazione. Invece gli stessi allevatori sono rimasti fermi a farsi la guerra, mentre montava un ambientalismo estremista, che accusava i produttori di inquinamento. A Bruxelles dobbiamo essere uniti, perché non abbiamo più margini per pagare le guerriglie dei Vietcong del no”.

Ha le idee chiare Piergiovanni Ferrarese, 24 anni, una laurea in Giurisprudenza (“con una tesi sull’aggregazione in agricoltura, ci tengo molto che si sappia”, spinge) e un’azienda di famiglia di 125 ettari in proprietà a Sorgà, nel Veronese, con 300 capi, dei quali 150 in mungitura. Il latte viene venduto alla Scaligera Latte, guidata dallo zio Carlo.

Tra i rappresentanti dell’Anga Veneto di Confagricoltura, recentemente Ferrarese ha conquistato la rappresentanza italiana all’interno del Gruppo latte del Ceja, il Consiglio europeo dei giovani agricoltori.

Quali sono le esigenze dei giovani?

“Da noi una delle principali esigenze, forse la prima per importanza, è l’accesso al credito. Troppe volte le banche rendono impossibile l’accesso al credito e troppo speso si lasciano abbindolare dalle mode del momento, non finanziando magari progetti o start up che non rispecchiano le tendenze in atto. A livello nazionale, poi, scontiamo ritardi che penalizzano ulteriormente il sistema agricolo. Sotto la presidenza dell’amico Matteo Bartolini, il Ceja aveva ottenuto dalla Banca degli investimenti europei (Bei) un canale privilegiato per ottenere finanziamenti agevolati in agricoltura. In alcuni paesi l’operazione ha avuto seguito, in Italia non mi risulta”.

La Pac dà sufficienti risposte? Come si potrebbe migliorare?

“La Pac cerca di dare risposte, ma soffre innanzitutto un problema di burocrazia elefantiaca. Invece, dovrebbe trasformarsi rapidamente in uno strumento di rafforzamento di idee concrete, sostenute da business plan ponderati. Dobbiamo metterci in testa che le risorse disponibili saranno sempre meno, mentre gli sforzi richiesti agli agricoltori saranno più pesanti. Noi giovani agricoltori abbiamo una sola missione: migliorare la qualità delle produzioni, ma per farlo è necessario investire. Allo stesso modo, ritengo siano determinanti gli scambi imprenditoriali, per sostenere la circolazione delle idee e delle esperienze”.

Come giudica il Pacchetto Latte anticrisi approvato nelle scorse settimane a Bruxelles?

“Un ottimo punto di partenza, anche se suddivisi tra gli Stati Membri sono briciole. L’Italia è al 17° posto per risorse disponibili, in rapporto alla quantità di latte prodotta. Per essere finalizzati a sostegno della zootecnia è necessario che tali fondi siano impiegati per finanziare progetti veri e concertati con gli agricoltori. Ma se gli allevatori per ottenere gli aiuti dovranno spendere tempo e denaro per compilare carte, allora si cambi strategia e si finanzino l’approccio al mercato e misure per l’export”.

Molto spesso si parla di export come via prioritaria per la ripresa. Quali sono, dal suo osservatorio, le maggiori difficoltà che il sistema lattiero caseario italiano incontra nella fase di export?

“I punti deboli sono molti. Il primo riguarda l’approccio al mercato. Ci sono paesi che hanno studiato la domanda, altri hanno cercato di imporre l’offerta. Se non si conoscono i mercati internazionali è molto complicato avere successo, non si può più andare allo sbaraglio. I produttori dovrebbero essere più etici, più trasparenti, seguire nella filiera lattiero casearia quanto avvenuto nel mondo del vino, aprendo le cantine ai consumatori. E allora: apriamo le stalle ai visitatori, facendo leva sulla forza del territorio. Un altro elemento riguarda le certificazioni: il bollino non è la salvezza di tutto. Ci siamo affidati sempre e solo alle Dop: credo siano la strada maestra, ma non l’unica. Iniziamo a confrontarci con gli altri paesi e troviamo strategie comuni”.

Qual è la sua opinione sulla Brexit?

“È un campanello d’allarme per disegnare un’Europa agricola totalmente diversa da quella che abbiamo. E l’Italia deve contribuire alla costruzione di una Ue più moderna e al passo con le sfide del mercato e le esigenze dei popoli. Bisogna rimanere uniti, perché il futuro è insieme. Chi parla di ritorno alla lira è fuori dal mondo. Si cammina insieme. E per arrivare a politiche più coese e condivise in agricoltura, forse l’Italia dovrebbe riflettere sul fatto che siamo l’unico paese con 21 Psr”.

Pensa sia più corretta la centralizzazione?

“Se in Italia centralizzare vuol dire fare come Agea, allora no, grazie. La regionalizzazione va bene se le Regioni funzionano. La mia azienda si trova in Veneto e in Lombardia e in entrambe le realtà l’amministrazione risponde ai cittadini. In altre parti del Paese non è così e i Programmi di sviluppo rurale stentano a decollare. Questo è un serio problema per il sistema agricolo nazionale”.

Che fare, dunque?

“La soluzione è forse ragionare per macroregioni, tenendo ben presente che alcune politiche di controllo e di sicurezza debbano essere regolamentate a livello comunitario. Abbiamo bisogno di regole comuni per competere e svilupparci allo stesso livello”.

A cosa si riferisce, in particolare?

“Alla farmaceutica: molto spesso abbiamo a che fare con prodotti vietati in Italia, ma ammessi in altri Stati dell’Ue, come in materia di zootecnia da ingrasso o di tempi di sospensione dei farmaci nella produzione del latte, che in Italia sono di cinque giorni e in altri paesi sono di zero. E poi, dobbiamo armonizzare la burocrazia ed eliminare tutte quelle norme anacronistiche”.

Mi faccia un esempio.

“Pensi alle imposizioni legate alla Bse, che sono divieti e costi in più per l’allevatore”.

Cosa pensa del latte biologico?

“Dire sì o no al biologico è folle. Il biologico è un’ottima alternativa; è una possibilità, visto che il mercato lo richiede. Come giovani agricoltori crediamo che il produttore debba osservare innanzitutto un modus operandi etico, ma allo stesso tempo l’Unione europea deve garantire controlli e regole uguali per tutti gli stati Membri. Demandare regolamenti e certificazioni a livello nazionale non ha senso”.

Parliamo di innovazione: cosa pensa dei robot di mungitura?

“Li sto studiando da diversi anni, con molto interesse. Credo che nei prossimi anni non potremo farne a meno; ma si tratta di una tecnologia che non sostituirà mai il ruolo dell’uomo, al massimo, sarà un alleato dell’allevatore”.

Azienda Agricola Ferrarese Paolo e Carlo S.s.
Azienda Agricola Ferrarese Paolo e Carlo S.s.

Mostrate ai consumatori cosa facciamo nelle stalle
25 Maggio 2016

Silvano Cobelli
Cavriana, Mantova – ITALIA

L’allevatore Silvano Cobelli

Azienda Agricola Società Agricola Cobelli
Capi allevati: 210 | 100 in mungitura.
Ettari coltivati 60.
Destinazione del latte: Grana Padano DOP
(Zanetti S.p.A.).

Silvano Cobelli, 48 anni, allevatore di Cavriana con 210 capi allevati, di cui 100 in mungitura; 60 ettari coltivati a medica, mais, prato stabile e vigneto (che è l’altro business dell’azienda), conferisce il latte a Zanetti per la produzione di Grana Padano.

Ha avuto problemi con la consegna di latte?

“Nessuno, ho rinnovato il contratto dal 1° aprile, con un prezzo in linea col mercato”.

Conosce allevatori che sono rimasti a piedi con la consegna del latte?

“No, nella mia zona nessuno. In Liguria so che è stato risolto il problema, ma è una follia arrivare a gettare il latte nei fossi”.

Quali suggerimenti ha per risolvere questa crisi così pesante?

“La crisi deriva dalla cattiva gestione del dopo quote. Tutti hanno aumentato la produzione di latte, l’embargo russo ha fatto venire meno uno sbocco di mercato importante. Era inevitabile: in Europa si producono circa 22 milioni di quintali di latte in più e i prezzi sono crollati”.

Condivide il piano produttivo del Grana Padano?

“Sì, se si decide una linea va seguita. Il piano produttivo non può essere valido per tre mesi sì e due no e viceversa. Una volta adottato si rispetta e si farà annualmente, magari, un controllo di funzionalità. In caso contrario andremmo ad appesantire un mercato già abbastanza gravato da fattori esterni”.

Nella vostra azienda qual è la prima voce di spesa?

“L’irrigazione: paghiamo 600 euro/ettaro all’anno. Per irrigare abbiamo turni settimanali e si innaffia una volta ogni 8 giorni, ma paghiamo comunque la medesima cifra, qualunque coltura sia in campo”.

Che cosa suggerisce?

“Potremmo introdurre contatori dell’acqua sugli idranti e pagare in base ai consumi e non in base alle superfici”.

Producete anche vini DOP dei Colli Morenici. Andando oltre il prezzo, vi dà più soddisfazione il vino o il latte?

“Sono due mondi diversi. Nel vino metti di più della tua iniziativa, puoi scegliere l’etichetta, la destinazione di mercato, hai contatti diretti con i privati, i ristoratori, le enoteche. Ma anche il latte ci dà molta soddisfazione, perché possiamo contare su una buonissima genetica, ottime medie di produzione, una qualità che ci viene riconosciuta. Questo ci porta a lavorare con passione e a continuare a investire”.

Quali investimenti state facendo?

“Abbiamo cambiato il sistema di podometri alle vacche, in un futuro potremmo avere la sala robotizzata o il robot di mungitura. Abbiamo i collari che misurano la ruminazione degli animali, per avere sempre di più le bovine sotto controllo e migliorarci ulteriormente”.

La sua azienda adotta metodi per ridurre il consumo energetico?

“Abbiamo installato un fotovoltaico per autoconsumo già cinque anni fa. Ci riduce la bolletta della luce anche della metà in estate, forse anche di più”.

Che suggerimenti desidera inviare al Consorzio di tutela del Grana Padano?

“Far conoscere di più ai consumatori cosa facciamo nelle stalle, perché spesso passa il concetto che sfruttiamo gli animali, quando non è così. Inoltre, dovremmo spiegare ai consumatori come si fa il Grana Padano. Me ne accorgo quando vendo il vino in cantina: non appena si accorgono che ho anche la stalla, sono tutti incuriositi e affascinati dal nostro lavoro. È bellissimo, raccontiamolo di più”.

Società Agricola Cobelli
L’Azienda Agricola Società Agricola Cobelli

Società Agricola Cobelli

Società Agricola Cobelli

Il nuovo Presidente del Parmigiano Reggiano DOP dovrà fare squadra con il Consiglio
10 Maggio 2016

Matteo Salati
Olmo di Gattatico, Reggio Emilia – ITALIA

L'allevatore Matteo Salati
L’allevatore Matteo Salati

Azienda Agricola Fondo Albarossa Soc. Agr.
Capi allevati: 1.000 | 400 in lattazione.
Ettari coltivati 280.
Destinazione del latte: Parmigiano Reggiano DOP (Caseificio del Milanello Terre di Canossa).

Con 280 ettari coltivati interamente a mais e foraggere (medica, frumento da foraggio, prato stabile, loietto e panico) e una stalla con 1.000 capi (di cui 400 in mungitura), l’azienda in cui Matteo Salati di Olmo di Gattatico (Reggio Emilia) lavora è occupata da 8 lavoratori fissi e 2 part time. Un piccolo esercito.

“Io e mia moglie Ilaria ci occupiamo della gestione dell’allevamento, mio fratello Lorenzo campagna, mio papà Vincenzo dell’amministrazione e del caseificio Milanello di Campegine di cui è presidente e dove destiniamo il latte per la produzione di Parmigiano Reggiano”, spiega Matteo Salati.

Le dimensioni innescano inevitabilmente economie di scala e, allo stesso tempo, l’attenzione alla sostenibilità è elevata.

“Per ridurre il consumo energetico abbiamo cambiato l’impianto di ventilazione. Questo ha portato un beneficio di 5 kwh consumati in meno nei mesi estivi. Inoltre, abbiamo montato le piastre per raffreddare il latte, grazie alle quali risparmiamo i due terzi dell’energia, che prima era necessaria. Il tutto con una spesa sopportabilissima. Il calore recuperato serve per scaldare l’acqua destinata agli animali”.

E sul consumo idrico?

“Abbiamo livellato una quota importante dei nostri terreni, tanto che oggi sia i prati stabili che le superfici che irrighiamo a scorrimento richiedono meno acqua”.

Il Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano nei giorni scorsi ha annunciato l’operazione di valorizzazione del prodotto di montagna. Pensa sia positiva?

“Per me è giusto che si valorizzi la montagna, perché l’agricoltura tutela il territorio e l’occupazione, con un indotto importante. In zona collinare e montana viene fatto circa un quarto del totale del Parmigiano-Reggiano. La mia è un’opinione disinteressata sul piano aziendale, essendo collocato nella Bassa reggiana. Tuttavia, ritengo che sia giusto, a patto che il prodotto sia davvero di montagna e non frutto di una lavorazione in montagna, ma con latte di pianura”.

E come si può garantire la tracciabilità del latte di montagna?

“Guardare innanzitutto dove è ubicata la stalla. E affidare la vigilanza sulla qualità agli organi preposti, potenziando con la condivisione del Consorzio dove è più necessaria”.

L’assemblea del Parmigiano-Reggiano ha votato la prosecuzione del piano produttivo per altri tre anni. È soddisfatto?

“Credo che l’impianto del piano produttivo sia migliorativo rispetto a quello del triennio precedente. La finalità è giusta: mantenere in equilibrio la produzione di forme, in modo da evitare impennate e depressioni di prezzo che hanno punito i nostri bilanci. Serve ora la ratifica da parte di tutti i produttori. Hanno votato almeno i due terzi dei caseifici, adesso almeno i due terzi dei produttori devono approvare”.

Dopo le dimissioni di Alai, chi vorrebbe come presidente?

“Non mi sbilancerò sul nome. Sicuramente al Consorzio serve una persona che abbia le idee ben chiare non su moltissime iniziative, ma sulle più importanti, che devono essere portate a termine. Il presidente dovrà fare squadra col consiglio e puntare su temi cardine: controlli sulla qualità, anche sugli impianti del grattugiato e sugli impianti di trasformazione, la pubblicità deve essere mirata e non generalista e i piani produttivi tenuti monitorati”.

L'Azienda Agricola Fondo Albarossa Soc. Agr.
L’Azienda Agricola Fondo Albarossa Soc. Agr.

Azienda Agricola Fondo Albarossa Soc. Agr.

L'allevatore Matteo Salati

Allevamento: essere uniti fa la differenza
19 Aprile 2016

Fabiano Luppi
Gonzaga, Mantova – ITALIA

L’allevatore Fabiano Luppi

Azienda Agricola Soc. Agr. Luppi S.S.
Capi allevati: 130 | 60 in lattazione.
Ettari coltivati 60.
Destinazione del latte: Parmigiano Reggiano DOP (Latteria Agricola Venera Vecchia).

Fabiano Luppi, 36 anni, è un allevatore di 130 bovine da latte e di 1.400 suini all’ingrasso tra Gonzaga (area milk) e Pegognaga (maiali). La destinazione del prodotto la dice lunga sulla sua filosofia, fortemente ispirata alla cooperazione.

Il latte viene conferito alla latteria Venera Vecchia di Bondeno di Gonzaga, per la produzione di Parmigiano-Reggiano; i suini sono commercializzati tramite Opas, la organizzazione di produttori che ha ampliato i propri orizzonti, affittando il macello Italcarni e stringendo alleanze interessanti con altri player per valorizzare il prodotto.

Gli ettari coltivati dalla famiglia Luppi sono 60, con le coltivazioni classiche per la zootecnia del distretto del Parmigiano-Reggiano: erba medica, mais, erbaio di graminacee e frumento.

Crede molto alla cooperazione. Qual è il valore aggiunto?

“Essere sul mercato uniti come allevatori permette di fare una discreta massa critica e a non soccombere di fronte alle decisioni degli industriali. I vantaggi della cooperazione riguardano anche altri aspetti, come ad esempio mantenere spese più basse. Essere uniti fa la differenza, e vale anche per le stalle di grandi dimensioni, non solo per i più piccoli”.

Un’alleanza tra cooperazione e industria, secondo lei è fattibile?

“Sì, a patto che ci siano obiettivi comuni. Oggi ci confrontiamo con il mondo e dobbiamo allargare gli orizzonti, ma credo che si possa collaborare esclusivamente se c’è unità di intenti”.

Il Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano nei giorni scorsi ha annunciato l’operazione di valorizzazione del prodotto di montagna. Pensa sia una scelta positiva?

“Certamente, perché oggi è indispensabile avere una propria connotazione sul mercato. Non opero in montagna, ma nel Basso Mantovano e, sullo stesso principio del prodotto di montagna, che deve essere controllato e certificato, sono convinto che anche Mantova debba perseguire la strada della caratterizzazione produttiva, lanciando un modello di Parmigiano-Reggiano di pianura o identificato con il distretto di Mantova. La maggior parte delle persone non sa che anche nella parte di Lombardia che sta sulla riva destra del Po si produce Parmigiano-Reggiano. Dobbiamo comunicarlo e valorizzare il più possibile il prodotto. La promozione ormai è parte integrante dell’attività”.

Parlando di alleanze, ritiene auspicabile un’intesa tra Grana Padano e Parmigiano-Reggiano per la commercializzazione, magari anche all’estero?

“Iniziare una formula efficace di collaborazione sui mercati non è male. Se pensiamo che gli industriali già lo fanno, non vedo perché non si possa fare anche nella cooperazione o tra consorzi di tutela. La mia latteria, la Venera Vecchia di Bondeno, conferisce le forme al Virgilio, che commercializza sia il Grana Padano che il Parmigiano-Reggiano. La strada è quella, si può anche accorpare più realtà”.

Cosa pensa del fenomeno dei formaggi “bianchi”?

“Se il disciplinare non vieta le produzioni, si può fare. E credo che il Parmigiano-Reggiano non debba avere paura della concorrenza dei formaggi bianchi, perché è altro: più valore, più storia, qualità migliore. Ma bisogna essere bravi a farlo sapere, perché se pensiamo che basti il blasone per vendere a un prezzo soddisfacente, siamo finiti”.

Qual è l’identikit del futuro presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano?

“Dovrà essere un presidente di unione. Con questo non voglio assolutamente dire che Alai non lo fosse. Le nostre sfide sono continuare a produrre di qualità e su questo versante non si deve cedere. Le ultime norme del consorzio sul grasso e sulla localizzazione delle vacche tutelano di più la qualità del prodotto, dobbiamo farcelo pagare per quello che vale”.

Qual è la prima voce di costo dell’azienda?

“L’alimentazione delle bovine, che incide per circa 25 euro al quintale. Non possiamo, per i vincoli imposti dal disciplinare, comprimere i costi. Inoltre, bisogna anche fare una scelta di campo: per ottenere la qualità serve la qualità degli alimenti. Se mi limitassi a inseguire ogni mese i costi della razione alimentare la dovrei cambiare costantemente, fallendo l’obiettivo della continuità. La flessibilità non deve essere anarchia”.

La sua azienda adotta metodi per ridurre il consumo idrico o energetico?

“Siamo abbastanza attenti ai costi e cerchiamo di contenerli con diverse azioni. Siamo soci della cooperativa San Lorenzo di Pegognaga e ci affidiamo al servizio di separazione dei reflui: la parte liquida viene usata come fertirrigazione dei terreni, con conseguente risparmio della spesa per i concimi chimici. La parte di scarto viene valorizzata nei digestori per la produzione di biogas.

La lotta alla piralide del mais viene fatta in maniera biologica, attraverso il drone. I risultati sono i medesimi del trattamento chimico, ma è più sostenibile e in due anni che seguo tale metodo non ho rilevato controindicazioni.

Sul versante della sostenibilità idrica ho aderito al progetto del consorzio di bonifica Terre dei Gonzaga, grazie al quale riusciamo a sapere qual è il momento migliore per irrigare”.

Azienda Agricola Soc. Agr. Luppi S.S.
Azienda Agricola Soc. Agr. Luppi S.S.

Azienda Agricola Soc. Agr. Luppi S.S.

Formaggio Asiago: scelte partecipate e produttori responsabilizzati
5 Aprile 2016

Andrea Trentin
Thiene, Vicenza – ITALIA

L'allevatore Andrea Trentin
L’allevatore Andrea Trentin

Azienda Agricola Trentin Carlo
Capi allevati: 150 | 80 in lattazione.
Ettari coltivati 50.
Destinazione del latte: Grana Padano DOP, Asiago DOP, Latte Alimentare (Latterie Vicentine).

Andrea Trentin, 35 anni, è un allevatore di Thiene (Vicenza). Alleva 150 capi, dei quali 80 in lattazione e coltiva 50 ettari, due terzi dei quali a prato stabile e un terzo a cereali, in rotazione fra mais, orzo ed erba medica.
Il latte è conferito alla cooperativa Latterie Vicentine, di cui Trentin è vicepresidente, ed è certificato per una triplice destinazione: Grana Padano, Asiago e latte alimentare di alta qualità.

Partiamo dalla cronaca: il Consorzio di tutela dell’Asiago nei giorni scorsi ha bloccato un falso su Amazon. Qual è il suo commento?

“È evidente che internet è uno strumento che tanto è utile come volano di vendita quanto è rischioso. Va monitorato e usato con estrema serietà, perché purtroppo le potenzialità sono uguali sia per chi produce che per chi froda. Ma penso che internet rimanga un’opportunità da sfruttare per vendere”.

Restiamo ancora sul Consorzio dell’Asiago: come commenta la crescita in questi anni?

“La crescita è figlia di un piano di regolamentazione dell’offerta di cui si è dotato il Consorzio, finalizzato non alla riduzione della produzione, ma alla valorizzazione del formaggio Asiago, spiegando che è un prodotto unico, non surrogabile o duplicabile altrove”.

Anche l’export è cresciuto.

“Sì, le performance sono positive. Ci sono amplissimi spazi di crescita, perché ad oggi ci sono ancora piccoli caseifici non organizzati, che potrebbero mettersi in rete e aumentare le esportazioni. E poi, accanto al piano produttivo in questi anni il Consorzio dell’Asiago ha puntato a responsabilizzare i produttori, che vivono in maniera più attiva le scelte consortili, molto più partecipate”.

Quali sono i Paesi nel mirino dell’export?

“Da un lato potremmo dire che i Paesi nel mirino sono tutti, perché siamo poco conosciuti all’estero e le potenzialità sono ovunque. La sensazione è che ci sarà più spazio in quantità in Paesi che consumano già formaggi. Potrebbe essere meno impattante crescere in Paesi vicini a noi, dove il consumo pro capite è più alto. Ma anche nei Paesi dove siamo già apprezzati è bene insistere, perché più ti allontani più diventa oneroso per un prodotto che non è strutturato per l’export”.

Guardando alla sua azienda agricola, qual è la prima voce di costo dell’azienda?

“Il costo alimentare, che incide per 18 centesimi al litro su un prezzo totale di vendita di 36 centesimi. Quindi incide per un 50%, almeno nel mio caso. Nella nostra azienda stiamo molto attenti ai costi dell’alimentazione e agli acquisti delle materie prime necessarie per le bovine. In questa fase, ad esempio, abbiamo strutturato la superficie coltivata per produrre più fieno del nostro fabbisogno, mentre la quantità necessaria di cereali la acquistiamo. Siamo in una zona in cui dobbiamo avere terreni sufficienti per smaltire i reflui zootecnici”.

Quali potrebbero essere i costi comprimibili?

“Uno dei costi che potrebbero essere ridotti è l’energia. Il fotovoltaico è una strada da percorrere, ma oggi è troppo oneroso per l’azienda, almeno in questa fase di mercato. Di certo noi ci siamo orientati, mano a mano che è necessario, ad acquistare macchine e attrezzature a basso assorbimento di potenza. È una caratteristica che osserviamo, prima di comprare qualcosa di utile per l’azienda. È stato così, ad esempio, per i ventilatori delle stalle: abbiamo abbattuto del 70% il consumo, che in termini assoluti incide nei periodi estivi per il 25% dei costi energetici.

Prossimamente installeremo dei pannelli solari termici per riscaldare l’acqua di abbeverata e il latte per i vitelli. Abbiamo già installato pannelli destinati al recupero del calore.

I costi aziendali si riducono anche scegliendo accuratamente le colture. Per il mais, ad esempio, scegliamo colture a ciclo brevissimo, per ridurre il fabbisogno idrico e il rischio aflatossine”.

Oltre a lei quanti lavorano in azienda?

“Due persone fisse per la mungitura, la preparazione degli alimenti e le cuccette; il papà è pensionato, ma dà un aiuto nelle fasi di mungitura. Io invece mi occupo di fecondazioni artificiali, piani di accoppiamento, gestione aziendale anche sui versanti economico e burocratico. Fra l’altro sono vicepresidente della Latterie Vicentine e sono nel consiglio direttivo del Consorzio di Tutela dell’Asiago”.

Azienda Agricola Trentin Carlo

Azienda Agricola Trentin Carlo

Il futuro delle cooperative è unirsi
21 Marzo 2016

Barbara Greggio
Goito, Mantova – ITALIA

L'allevatrice Barbara Greggio
L’allevatrice Barbara Greggio

Azienda Agricola Greggio Giuseppe
Capi allevati: 165 | 74 in lattazione.
Ettari coltivati 40.
Destinazione del latte: Grana Padano
(Latteria Sociale Mantova).

“Il futuro delle cooperative è unirsi, collaborare il più possibile e magari creare sinergie fra consorzi e arrivare ad avere un paniere di formaggi ampio e di qualità, per esportare senza farsi la guerra, ma raggiungendo l’obiettivo di incrementare la vendita al di fuori dell’Italia”.

Concetto chiaro e semplice, che Barbara Greggio, allevatrice di Marmirolo (180 capi e una produzione di latte di 7.600 quintali nel 2015, conferiti alla Latteria Sociale Mantova) ribadisce dopo averlo già espresso come relatrice al convegno di CLAL.it e dell’Associazione mantovana allevatori al Bovimac di Gonzaga.

“Noi della Latteria Sociale Mantova siamo comunque fortunati, perché è una realtà che esporta in tutto il mondo e ha una grande operatività”, precisa Barbara Greggio.

Al Bovimac aveva detto che il consorzio del Grana Padano dovrebbe comunicare di più i valori del formaggio. Conferma?

“Sì. Chiarisco che non è affatto una critica al Consorzio. Anzi, ho parlato con il direttore, Stefano Berni, e mi sono resa conto che stanno lavorando molto e bene. Però non sempre il consumatore riceve una corretta informazione e dovremmo interrogarci, come allevatori e come filiera, su quali azioni possiamo mettere in campo affinché passi il concetto che il Grana Padano è un formaggio buono, sano, completo come il Parmigiano-Reggiano, che forse ha un’immagine più di qualità”.

A cosa si riferisce, in particolare?

“Uno degli aspetti sui quali mi concentrerei è quello del lisozima. Penso che la strada sia quella di eliminarlo dal processo produttivo, perché, pur essendo una proteina assolutamente naturale, deriva dall’uovo e l’uovo è un allergene”.

Qual è la prima voce di costo dell’azienda?

“Fino all’anno scorso era l’alimentazione, perché avevamo meno terra in conduzione ed era tutta coltivata a prato stabile. Il resto delle materie prime per l’alimentazione animale le acquistavamo. Oggi, invece, coltiviamo circa 40 ettari tra proprietà e affitto. Stiamo pensando di coltivare, accanto al prato stabile, una parte a mais, a orzo da fieno o altri cereali come orzo o i miscugli che stanno prendendo piede adesso. Però appunto da alcune settimane, da quando abbiamo siglato il contratto, è l’affitto la prima voce di costo dell’azienda e non sapremmo in realtà come diminuirla”.

La sua azienda adotta metodi per ridurre il consumo idrico o energetico?

“Essendo in affitto come azienda non abbiamo intenzione di adottare i pannelli fotovoltaici, ma qualche attenzione sul recupero dell’acqua calda, ottenuta dal sistema di raffreddamento del latte, lo abbiamo adottato. L’acqua calda viene impiegata d’inverno per i vitelli e alcune volte serve per il lavaggio delle macchine”.

Di che cosa si occupa in azienda?

“Io mi occupo della mungitura e seguo l’amministrazione, il papà si occupa dell’alimentazione, cura le manze, fa le fecondazioni artificiali e segue insieme a mia madre i campi; la mamma, oltre a seguire i campi, fa un po’ il jolly e interviene dove c’è bisogno”.

Che cosa fa nel tempo libero?

“Ho ripreso a studiare Biologia all’Università di Modena e sto preparando la tesi per scoprire se i pollini dei terreni superficiali corrispondono alla vegetazione del prato stabile”.

Azienda Agricola Greggio Giuseppe
Azienda Agricola Greggio Giuseppe

 

 

Il prezzo del latte non mi interessa, la sfida è ridurre i costi
7 Marzo 2016

Tommaso Visca
Carmagnola, Torino – ITALIA

L’allevatore Tommaso Visca

Azienda Agricola Cascina Cervirola
Capi allevati: 400 | 175 in lattazione.
Ettari coltivati 60.
Destinazione del latte: Formaggi Freschi
(Gruppo Caseario Pugliese-Conrado).

Dai salesiani, dove ha studiato come geometra prima di entrare nell’azienda agricola di famiglia, Tommaso Visca da Cuneo ha appreso la caparbietà nel raggiungere l’obiettivo e la tenacia di un lavoro di squadra, che si è tradotta in una gestione collettiva dei mezzi agricoli.

Con 400 bovini allevati e 60 ettari coltivati, ha deciso di scommettere sulla sostenibilità. Partendo dal bilancio proteico.

“Le spese energetiche incidono per l’8-10% delle uscite totali, è importante razionalizzare anche quelle voci, ma la priorità va data alla produzione proteica in azienda, che pesa invece per il 40% del fatturato”, afferma Visca.

In che modo?

“Cerco di sostituire le fonti proteiche come la soia, che non coltivo, ma acquisto, con erba medica, che invece produco e che mi permette di fare rotazione nei campi, di fissare l’azoto e, di conseguenza, di acquistare meno concimi. Anche l’amido, che rappresenta la componente energetica della razione, lo compro, perché coltivarlo nei campi costa molto”.

Oggi come sono coltivati i 60 ettari dell’azienda?

“In questo momento ho 37 ettari a erba medica e sui restanti 23 coltivo loietto, dal quale ottengo una buona fibra per gli animali e una discreta fonte proteica. Poi coltivo mais in secondo raccolto”.

Qual è il suo obiettivo?

“Stare un passo davanti agli altri, in uno scenario in cui la competitività è la chiave per sopravvivere, in questa fase di prezzi del latte non proprio esaltanti”.

Partecipando al convegno al Bovimac di Gonzaga lei ha dichiarato che comunque il prezzo del latte non è il suo primo pensiero. È una affermazione abbastanza spiazzante. Conferma?

“Sì, mi rendo conto. Ma non sono interessato al prezzo del latte, perché è un parametro sul quale non posso incidere più di tanto. Lavoro per ridurre i costi di produzione e aggregare l’offerta, poi cerco di spuntare il miglior prezzo. Produrre in Italia costa di più rispetto agli altri Paesi perché abbiamo poco pascolo e aziende con poca terra, bisogna dunque trovare altre soluzioni per rimanere sul mercato”.

Lei presiede la cooperativa Light Service. Di che cosa si occupa?

“È una cooperativa che commercializza il latte ed è in fase di collocazione del prodotto che cerco di spuntare il migliore realizzo. Però Light Service ci permette di utilizzare in condivisione mezzi agricoli, attrezzature e servizi. Abbiamo acquistato attraverso la cooperativa, anche per avere i vantaggi fiscali previsti dalla legge, carri, botti, spandiletame, che vengono poi utilizzate dalle aziende socie. Fra queste, per le stalle, anche la macchina che solleva gli animali per operare il pareggio podale”.

In azienda lavora con suo padre Giovanni e suo fratello Valerio, di un anno più giovane. Come vi siete suddivisi i compiti?

“Io mi occupo di fertilità e di sviluppo dei nuovi progetti, anche confrontandomi con altre aziende; seguo inoltre i bandi del Psr e ogni opportunità legata ai contributi pubblici. Inoltre, mi occupo di fertilità delle bovine e delle fecondazioni, della parte sanitaria e dei trattamenti, della gestione della vitellaia e tengo i rapporti con il mungitore, che è indiano. Mio fratello invece si occupa di tutti gli aspetti legati all’alimentazione per l’allevamento, mentre mio papà si occupa della gestione dei campi”.

Vi servite di contoterzisti?

“Solo per la raccolta del mais, il resto lo facciamo direttamente noi”.

Azienda Agricola Cascina Cervirola

Tommaso Visca

Sì ai robot di mungitura nel disciplinare Parmigiano-Reggiano
21 Dicembre 2015

Ivo Fedrazzoni
Sermide, Mantova – ITALIA

L’allevatore Ivo Fedrazzoni

Fedrazzoni Ivo e Altri Società Agricola S.S.
Capi allevati: 270 | 120 in mungitura.
Ettari coltivati 117.
Latte prodotto: 13.600 quintali, conferito alla Latteria Mogliese.

Come giudica la bocciatura della modifica del disciplinare del Parmigiano-Reggiano relativa al rigato?

“Ero favorevole alla sua approvazione. Era un primo passaggio per arrivare a dire che un prodotto come il Parmigiano-Reggiano deve essere solo quello marchiato e di qualità, per evitare equivoci. Il secondo passaggio poteva essere quello di promuovere solo quello a marchio, non il mezzano. Era, in sintesi, un’occasione per fare chiarezza e fare in modo che non fosse commercializzato senza crosta, come accade invece oggi”.

Si è parlato più volte in passato di integrazione verticale nella filiera e di accordi fra cooperative e industria. Lei è anche presidente della Latteria Mogliese e voi, come realtà cooperativa, avete anticipato i tempi. Come si configura l’intesa con il gruppo Zanetti?

“È un accordo fra cooperative e industria. Noi abbiamo in conto lavorazione il latte di Zanetti, che conferisce qui il latte e a fine anno faremo i conti dei costi. Parte della stagionatura verrà effettuata da noi, ma non l’intero ciclo per mancanza di spazi. Abbiamo cominciato nel 2015, per cui non abbiamo dei precedenti. Ma posso dire che siamo molto soddisfatti, perché c’è anche stato un salto di qualità nella gestione, grazie alla somma delle esperienze, loro e nostra, anche nella lavorazione”.

Come è migliorata la produzione grazie ai consigli di Zanetti?

“Abbiamo migliorato complessivamente tutte le fasi di lavorazione. Avevamo in verità standard già elevati, ma abbiamo introdotto dei percorsi di verifica più puntuali sulle attività della giornata”.

Lei ha una stalla nuova. Che cosa sta pensando di fare per migliorare le performance? Ha fatto tutto per migliorare?

“Non si è mai fatto tutto per migliorare. Personalmente incrementerò i capi in stalla per ottimizzare la manodopera, che è il punto debole dell’azienda”.

Parlando di manodopera, lei è favorevole ai robot di mungitura?

“Sì. Abbiamo appena approvato il nuovo disciplinare del Parmigiano-Reggiano, ma non abbiamo toccato il tema dei robot di mungitura. I cambiamenti nel consorzio avvengono ogni 10 anni circa e temo che sarà un dibattito molto acceso, come capitò in passato per l’introduzione dei carri unifeed. Ma sono anche convinto che il robot consenta di ottimizzare il sistema di controllo della mandria, che può dare qualche vantaggio”.

Azienda Agricola di Ivo Fedrazzoni

Oggi non basta lavorare, bisogna ragionare
14 Dicembre 2015

Roberto Chizzoni
Bozzolo, Mantova – ITALIA

L'allevatore Roberto Chizzoni
L’allevatore Roberto Chizzoni

Azienda Agricola Canili di Chizzoni Roberto.
Capi allevati: 650 | 300 in mungitura.
Ettari coltivati 180.
Destinazione del latte: Granarolo.

Da tempo Granarolo ha pagato il latte alla stalla 37 centesimi, anche quando i prezzi che circolavano erano sensibilmente più bassi. È ancora così?

“Sì, fino a fine anno saranno 37 centesimi. Poi il prossimo consiglio di Granarolo deciderà quale prezzo applicare”.

Che cosa sta pensando di fare per migliorare le performance in stalla?

“Negli ultimi 15 anni sono passato da 30 vacche a 300. Stiamo mungendo tre volte, siamo molto attenti al benessere animale, all’alimentazione, anche ai costi di produzione. È molto difficile oggi pensare di migliorare, ma rimaniamo vigili”.

Cosa potrebbe fare ancora per migliorare?

“Dobbiamo dare ancora di più attenzione al benessere animale e monitorare per scoprire dove abbiamo ancora spazi per migliorare. La vacca è un animale che risponde agli stimoli: se dai e la tratti in un certo modo, ti restituisce. Dunque faremo in modo di aumentare gli spazi a disposizione per gli animali e, per l’inverno, prevedere acqua calda negli abbeveratoi e prevediamo di terminare i lavori nel giro di una ventina di giorni. Con il freddo è meglio che l’acqua sia a temperatura più elevata, per migliorare l’impatto del rumine. Ventilazione e docce per il caldo, invece, le abbiamo già”.

Quali saranno i prossimi investimenti in azienda?

“Abbiamo appena realizzato la vitellaia nuova e l’allattatrice, per togliere gli animali dalle strutture vecchie e migliorare gli spazi. Per qualche anno staremo fermi. Mio figlio, 21 anni, già da due anni è con me in azienda, dopo aver finito di studiare come perito agrario. Stiamo comunque pensando anche alla robotizzazione della mungitura e dell’alimentazione, ma col prezzo del latte attuale staremo un attimo alla finestra”.

Lei è anche vicepresidente dell’Associazione mantovana allevatori. Quali sono i servizi dell’Ama che ritiene più utili per migliorare la redditività nella stalla?

“Non si può fare una classifica. Io usufruisco di tutti i servizi dell’Associazione allevatori e, ultimamente, ho anche adottato il sistema informatico si@lleva. Il monitoraggio completo della stalla permette di avere sotto mano parametri utili per impostare progetti di crescita dell’azienda. Oggi non basta più solo lavorare, bisogna anche ragionare”.

 

Recuperiamo 10-15 centesimi al litro grazie alla cooperazione
7 Dicembre 2015

Carlo Mori
Pietole di Virgilio, Mantova – ITALIA

L’allevatore Carlo Mori

Azienda Agricola Corte Canova.
Capi allevati 400 | 190 in mungitura.
Ettari coltivati 80
Latte prodotto 20.000 quintali, conferito a Latteria Sociale Mantova.

Mori, quanto è importante l’aggregazione per la redditività dell’azienda agricola?

“Oggi l’aggregazione è fondamentale. Direi che in una scala da 1 a 100 è 100. Oggi, col prezzo del latte così basso, grazie alla cooperazione, riusciamo a recuperare fino a 10-15 centesimi in più al litro. E sono quelli che ti permettono di chiudere il bilancio in pareggio, anche se con estrema fatica. Direi che oggi l’aggregazione è necessaria”.

Conferisce alla Latteria Sociale Mantova, che è una realtà importante e non solo sul piano dei numeri. Qual è il vantaggio?

“Il vantaggio di conferire alla LSM è la fase di commercializzazione, grazie al rapporto diretto con la gdo, a una spinta forte all’internazionalizzazione. Come conferenti alla Santa Maria Formigada siamo nuovi soci della LSM, ma siamo fiduciosi che la serietà e il lavoro svolto sul piano del marketing porti a un risultato positivo, anche se lievemente, a causa dei prezzi di mercato non certo esaltanti”.

Che cosa sta pensando di fare per migliorare le performance? Ha fatto tutto per migliorare?

“Non ho fatto tutto, ma credo di aver fatto molto, soprattutto per il benessere, dotandomi di strutture al passo coi tempi, che mettono l’animale nelle condizioni ottimali per esprimere la sua potenzialità. Sul piano degli alimenti, producendo il 70-80% del fabbisogno, crediamo di essere sulla buona strada. Sulla genetica, che è il terzo pilastro fondamentale insieme a benessere e alimentazione, usiamo i migliori tori per k caseine e proteine. Direi che rimane poco da fare. L’obiettivo è comunque alzare l’asticella negli indici di stalla come il tasso gravidanza, il rapporto parto/concepimento, gli indici di conversione dell’alimento”.

Che cosa consiglierebbe a un giovane che vuole fare l’allevatore?

“Consiglierei di mettersi in gioco fin dall’inizio e di non prendere tutto per partito preso. Di metterci il massimo della passione e dell’impegno. I risultati nel tempo verranno. Personalmente cerco di essere ottimista e di inculcare l’ottimismo in uno più giovane di me. E dico con certezza che è la passione a muovere tutto. Chi decide di fare l’allevatore perché è una tradizione di famiglia, ma allo stesso tempo vuole il weekend libero e fare l’orario di fabbrica, allora è meglio che non cominci”.