Rischi informatici per l’agricoltura di precisione
13 Settembre 2022

Essendo giunto il tempo in cui occorre massimizzare l’efficienza produttiva, si espande la cosiddetta agricoltura di precisione che utilizza i dati raccolti da GPS, immagini satellitari, sensori collegati a Internet ed altre tecnologie per coltivare ed allevare in modo più razionale. Le moderne tecnologie informatiche per efficientare il processo decisionale e le operazioni di gestione della produzione agricola consentono di usare terra, acqua, carburanti, fertilizzanti, pesticidi, così come di intervenire in allevamento, per produrre di più e minimizzare l’impatto sull’ambiente, in modo da aumentare le rese e ridurre i costi. Tutto positivo? No di certo, perché queste nuove tecnologie possono subire attacchi informatici dagli effetti dirompenti.

Questi attacchi stanno già avvenendo. Negli USA, ad esempio, lo scorso anno un ransomware, cioè un virus informatico che prende il controllo del computer e chiede un riscatto per ripristinarne il normale funzionamento, rivendicato dal gruppo russo REvil ha costretto un quinto degli impianti di lavorazione della carne bovina ad interrompere la lavorazione, con un’azienda che ha pagato quasi 11 milioni di dollari ai terroristi informatici.  Allo stesso modo, una cooperativa di stoccaggio di cereali in Iowa è stata presa di mira da un gruppo chiamato BlackMatter. Sebbene gli attacchi abbiano colpito finora grandi imprese con l’obiettivo di estorcere denaro, non si può escludere il pericolo che in questo tempo di tensioni internazionali anche le aziende agricole possano essere un obiettivo allettante per gli hacker.

Ad esempio, un aggressore potrebbe cercare di sfruttare le vulnerabilità delle tecnologie di applicazione dei concimi, degli antiparassitari o dei diserbanti, che potrebbero portare un agricoltore ad usarne troppi o troppo pochi, ritrovandosi quindi con un raccolto inferiore alle aspettative o con sprechi ed impatti ambientali negativi. Lo stesso potrebbe avvenire per gli impianti di mungitura robotizzati e comunque per tutti i casi in cui opera un computer.

Il settore agricolo tarda a riconoscere i rischi di cybersecurity

A differenza di altri settori strategici come la finanza e la sanità, il comparto agricolo però tarda a riconoscere i rischi di cybersecurity e ad adottare misure per contrastarli. Manca poi anche una attenzione da parte delle autorità pubbliche. Così, mentre altri settori operativi hanno sviluppato numerose contromisure e best practices per la sicurezza informatica, lo stesso non si può dire per il settore agricolo.

Oltre all’urgente necessità di linee guida e risorse da parte dei governi, occorre agire nella ricerca attraverso sforzi multidisciplinari che riuniscano i settori  dell’agricoltura di precisione, della robotica, della sicurezza informatica e delle scienze politiche, in modo da identificare soluzioni appropriate per la cybersicurezza. Questo riguarda in particolare la produzione di impianti ed attrezzature agricole che debbono essere progettati non solo per massimizzare le rese ma anche per ridurre al minimo l’esposizione ai cyberattacchi.

TESEO.clal.it –  Mondo: Rese per cereale dei principali Paesi produttori.

Fonte: The Conversation

La rincorsa fra prezzo del latte e costi di produzione
5 Settembre 2022

Il problema in fin dei conti è sempre quello: trarre un giusto reddito dalla propria attività. Ma come risolverlo nella produzione di latte, quando i costi crescono più dei prezzi pagati agli allevatori?

Come prezzo, l’ultimo anno è andato apparentemente bene per i produttori di latte USA dato che ha  avuto una crescita continua. Questa dinamica era iniziata con la ripresa dei vari settori dell’economia dopo il lockdown, con una domanda che ha richiesto grandi quantità di prodotti lattiero-caseari e che è stata spinta dall’export.

CLAL.it – Stati Uniti: Prezzo del latte

I prezzi record del latte sono stati però in gran parte vanificati dagli aumenti dei costi di produzione, uno fra tutti quelli dei mangimi che  rimangono ben al di sopra della media e per i quali l’incertezza sulle aspettative dei raccolti a livello mondiale continua ad esercitare una pressione al rialzo.

Un’analisi più approfondita dei costi di produzione e di gestione dell’azienda da latte evidenzia questo problema di marginalità. Se gli alimenti, compresi anche quelli prodotti in azienda ed il pascolo, hanno rappresentato la parte più consistente delle spese, aggravate anche dall’eccezionale siccità che ha colpito alcuni Stati, la seconda categoria in ordine di importanza è quella del capitale investito per la gestione dell’allevamento, che comprende spese per strutture di stabulazione, macchinari ed attrezzature, movimentazione del letame, stoccaggio degli alimenti od altro. Bisogna poi considerare anche il costo della manodopera, un ulteriore elemento rilevante dell’equazione. Tutti questi parametri evidenziano un margine operativo negativo in tutte le dimensioni aziendali.

Quindi, sebbene  le entrate siano apparentemente più elevate, di fatto il potere d’acquisto dei produttori sul mercato si è generalmente indebolito. Il problema è sempre lo stesso: avere un prezzo del latte che dia certezza al produttore per la sua attività, contrastando la volatilità del mercato.  

Le politiche agricole si pongono l’obiettivo di dare prospettive alla crescita produttiva, tenendo presenti gli aspetti economico, sociale, ambientale ed anche tecnologico, ma non saranno risolutive senza una visione globale e non settoriale. Di fatto, occorre affrontare la questione nella sua complessità  in modo coordinato a livello internazionale, innanzitutto attenuando i conflitti che sono forieri di stravolgimenti che non possono che aumentare le incertezze. Occorre poi unire le forze per contrastare i dirompenti effetti dei cambiamenti climatici ed il depauperamento delle risorse naturali.  

La domanda cui rifuggiamo è sempre quella: quanto è reale il postulato della crescita infinita?
Celebre a tal proposito è l’affermazione dell’economista inglese Kenneth Boulding: «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista».

TESEO.clal.it – Stati Uniti: Precipitazioni totali

Fonte: Dairy Producer

Allevamento da latte, fonte di cibo ed energia
23 Agosto 2022

È opinione diffusa che gli allevamenti intensivi creino gravi problemi ambientali, senza possibili soluzioni al riguardo. In realtà, il metano prodotto dalle mandrie non impatta sul riscaldamento globale, ma fa parte di un ciclo biogenico e viene riciclato attraverso la fotosintesi.

Dagli allevamenti bovini derivano molti benefici per l’uomo: il latte è fondamentale per un’alimentazione salutare, per lo sviluppo cognitivo e la cultura culinaria. Inoltre, proprio le vacche possono ridurre la dipendenza della nostra società dai combustibili fossili, ritenuti tra i principali responsabili dell’accelerazione dei cambiamenti climatici in atto.

Attraverso il trattamento dei rifiuti organici generati dagli allevamenti è possibile ottenere biogas, prodotto dalla fermentazione anaerobica dei reflui. In questo modo, i liquami non sono più uno scarto da smaltire, ma diventano un sottoprodotto utile per generare energia.

Non solo l’energia prodotta dall’impianto di biogas di un’azienda agricola può essere utilizzata dalla stessa per ridurre il proprio fabbisogno energetico, ma la produzione di biogas riduce anche le emissioni di elementi inquinanti: è possibile ottenere metano che, se ricavato da una fonte rinnovabile e biologica e in seguito bruciato, ha impronta di carbonio pari a zero.

Produrre e consumare latte significa essere attenti alla natura e al benessere animale, capace di fornire non solo cibo, ma anche energia.

TESEO.clal.it – Italia: Patrimonio zootecnico (Bovini da Latte)

Fonte: eDairyNews

Prezzi alimentari: una nuova era?
9 Agosto 2022

Siamo tutti impegnati a riflettere su come frenare l’aumento del costo degli alimenti, dai responsabili degli approvvigionamenti che osservano con ansia i prezzi delle materie prime, fino ai consumatori che vedono lievitare il conto della spesa.

L’inflazione nei prezzi alimentari è uno dei temi più scottanti, che occupa le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma se invece di un fenomeno congiunturale derivante dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, fosse anche un presagio delle cose che verranno in modo strutturale? La crisi climatica fa sì che si discuta sempre più sul costo della produzione alimentare e sugli investimenti necessari per rendere il sistema più sostenibile.

La crisi climatica potrebbe dunque significare che dovremmo aspettarci di entrare in una nuova era di prezzi alimentari più alti?

Al centro del problema e della soluzione

I costi che le aziende alimentari dovranno sostenere per ridurre le emissioni, assicurarsi gli approvvigionamenti, favorire la biodiversità, rendono evidente che qualcosa deve cambiare se, come società, vogliamo affrontare seriamente la crisi climatica, dato che il settore nel suo complesso è al centro sia del problema che della soluzione. Siamo dunque di fronte alla necessità di fare dei cambiamenti che non saranno certo gratuiti. Eppure è molto importante per il pianeta, per i nostri figli e per le generazioni future, che si facciano, anche se saranno costosi. E tutti noi consumatori dovremo pagarli. Questo non è certo uno scenario che piacerà. Si potrebbe obiettare che si tratta di una posizione più facile da applicare per gli alimenti di alta gamma, ma il problema riguarda tutti, nessuno escluso.

Negli scorsi decenni abbiamo assistito (nei Paesi ad economia avanzata) alla continua riduzione della percentuale di spesa dedicata all’alimentazione.  Ma, ad un certo punto, di fronte alla crescente richiesta ad imprese e governi di fare di più per quanto riguarda il clima, dovremo  verosimilmente abituarci ad una nuova situazione per quanto riguarda il prezzo degli alimenti.

Quindi si verrebbe delineando quella che potrebbe essere definita come “inflazione verde”, una nuova era di prezzi alimentari più alti in conseguenza delle scarsità dovute alla crisi climatica ma anche della necessità di investire per contrastarla. Almeno ne beneficerà, sempre nei Paesi ricchi, il disgustoso fenomeno dello spreco alimentare.

TESEO.clal.it – Italia: Indice dei Prezzi al Consumo nel mese di Giugno 2022 rispetto al 2015.
L’indice della categoria “Alimentazione e bevande” è di 115,7

Fonte: Just Food

La famiglia, riferimento per l’azienda da latte
4 Agosto 2022

Sebbene le aziende da latte si concentrino ed aumentino di dimensione, sarebbe un errore pensare che il modello di azienda famigliare, su cui da sempre si è basato l’allevamento, sia superato. Descrivere il declino dell’azienda agricola a conduzione familiare e l’ascesa dell’azienda agricola di tipo manageriale non è un quadro accurato della realtà.

Aziende da latte USA, il97% è a conduzione familiare

Questo anche negli USA dove, sebbene il numero di aziende da latte sia diminuito, rimane il predominio di quelle a conduzione familiare. Delle 39.442 aziende agricole con vacche da latte di tutte le dimensioni, secondo i dati dell’USDA più di 38.200 sono a conduzione familiare. Si tratta di ben il 97%, una percentuale consolidata. Ad esempio, nel 2016 le aziende da latte erano oltre 48.000, di cui il 97,3% a conduzione familiare.

La dimensione media di una stalla da latte USA è oggi di 300 vacche, rispetto a 50 nel 1990. Quindi, anche con una dimensione maggiore che richiede nuove professionalità e grandi finanziamenti, l’azienda familiare rimane il fondamento dell’allevamento da latte.

É la realtà di tutti i grandi paesi tradizionalmente produttori di latte, purtroppo sottaciuta.

Se è giusto parlare di imprenditoria, date le competenze richieste a chi conduce l’azienda da latte, è indispensabile parlare di familiarità con tutta l’attenzione per il valore soprattutto sociale, oltre che economico, che la famiglia trasmette alle comunità in cui opera.

TESEO.clal.it – USA: Costi e ricavi delle Aziende da Latte

Fonte: Hoosier

Siccità: agire subito per contrastare il cambiamento climatico
1 Agosto 2022

Secondo un rapporto pubblicato dal Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione europea, il 44% del territorio dell’UE e del Regno Unito si trova ad un livello siccità di allarme, mentre un altro 9% definito di allerta, una situazione che i ricercatori definiscono sconcertante.

L’indice di allarme è definito dal deficit di umidità del suolo, mentre quello di  allerta si riferisce allo stress idrico della vegetazione.

Il rischio siccità è aumentato negli ultimi mesi in territori che comprendono la Francia, la Germania occidentale, la Romania e diverse regioni mediterranee fra cui parti dell’Italia, ma ne risentono anche Polonia, Ungheria, Slovenia e Croazia.

In cinque regioni italiane è stata dichiarata l’emergenza siccità e l’insufficiente disponibilità di acqua ha portato a molteplici restrizioni d’uso nei comuni. In Francia sono state adottate misure simili a quelle delle regioni italiane per limitare l’uso dell’acqua; in Spagna, i volumi idrici immagazzinati negli invasi sono attualmente inferiori del 31% rispetto alla media decennale, mentre In Portogallo, l’energia idroelettrica ottenibile negli invasi è la metà della media degli ultimi sette anni. Il JRC avverte poi che nel prossimo futuro, tra luglio e settembre ci saranno condizioni climatiche molto più secche del normale in 14 Paesi, dall’Irlanda alla Romania settentrionale. Queste previsioni, se confermate, aggraveranno l’impatto della siccità non solo sull’agricoltura e gli approvvigionamenti alimentari, ma anche sull’energia e per tutti gli usi civili ed industriali.

Se diventa estremamente importante adottare con urgenza delle strategie di mitigazione della siccità, è invece imperativo affrontare la causa alla radice del problema: il cambiamento climatico e la sua alterazione del ciclo dell’acqua a livello globale. Sono necessari ulteriori sforzi anche per adattarsi preventivamente al cambiamento dei modelli meteorologici, rendendo le risorse e gli usi energetici compatibili col clima, ed applicando soluzioni sostenibili in agricoltura.

Andamento dell'indice di Siccità (SPI-3) nelle regioni del Nord Italia
TESEO.clal.it – Andamento dell’indice di Siccità nelle regioni del Nord Italia

Fonte: European Drought Observatory

Conduzione aziendale ed effetti sull’impronta idrica
12 Luglio 2022

In una società molto sensibile ai temi ambientali e vista la necessità di una immagine positiva all’export per il settore del latte che rappresenta un assetto vitale per la Nuova Zelanda, anche la qualità delle acque diventa un fattore rilevante.

Prendendo a riferimento l’impronta idrica (water footprint), l’università di Wellington ha effettuato uno studio nella zona di Canterbury, area ad alta densità dell’allevamento neozelandese con oltre un milione di vacche da latte, per misurare la componente definita “acqua grigia” cioè  il volume di acqua necessario a diluire gli inquinanti; questo per trovare un indice di riferimento atto a misurare la sostenibilità dell’attività zootecnica. 

Dalla ricerca risulta che per produrre un litro di latte occorrono da 400 ad 11 mila litri di acqua, con una variabilità molto ampia che dipende da fattori di conduzione aziendale come razione alimentare e concimazioni, operazioni queste ultime che comportano residui come i livelli di nitrati nel sistema acqua/terreno.

Nella regione dove sono state condotte le misurazioni è stata rilevata una correlazione fra l’elevato uso di concentrati nella razione, di fertilizzanti chimici, le ridotte precipitazioni ed i tenori di nitrati nelle acque superficiali di falda. Queste arrivano a contenere fino a 21 mg/litro, cioè quasi il doppio del limite di potabilità pari a 11,3 mg/litro, il che significa che il sistema ambientale non è più in grado di neutralizzare gli inquinanti che vi si riversano.
É stato poi calcolato che per riportare la situazione entro parametri accettabili occorrerebbe o moltiplicare per dodici le precipitazioni  o ridurre di dodici volte il numero di animali allevati. A parte tali scenari catastrofici, diventa comunque inderogabile ridurre drasticamente gli apporti di sostanze azotate al terreno.

Non si tratta più dunque solamente di affrontare la percezione del mercato ma di rendere la produzione compatibile con la tutela della salute, delle persone e dell’ambiente.

TESEO.clal.it – Acqua & Energia: Impronta Idrica | Mappa interattiva

Fonte: Taylor & Francis Online

L’obiettivo non dovrebbe essere la Sostenibilità
30 Giugno 2022

Dennis Meadows è stato coautore del rapporto “I limiti dello sviluppo” che il Massachusetts Institute of Technology pubblicò per conto del Club di Roma. Nel 50° anniversario di quella ricerca in cui venne presa in considerazione l’esigenza di uno sviluppo sostenibile, in una intervista a Le Monde il fisico americano ora 79enne constata come stiamo continuando a consumare più risorse di quante la terra ne possa rigenerare, siano esse combustibili fossili o terreni fertili.

Consumiamo 1,6 pianeti all’anno

Non a caso lo scorso 14 maggio è caduto il nostro Overshoot day, cioè la data di superamento delle risorse biologiche rigenerabili in un anno calcolata dal Global Footprint Network, che ha il compito di calcolare l’impronta ecologica di ogni paese sulla base dei consumi e dell’impatto ambientale delle loro attività.
Nella classifica dei paesi che inquinano e consumano di più c’è in testa il Qatar, che ha finito le proprie risorse il 10 Febbraio, seguito da Canada, gli Stati Uniti ed Emirati Arabi, mentre i più sostenibili risultano essere Jamaica, Ecuador, Indonesia, Cuba. Lo scorso anno l’Overshoot Day Mondiale è caduto il 29 Luglio. Questo significa che stiamo consumando l’equivalente di 1,6 pianeti all’anno, cifra che dovrebbe salire fino a due pianeti entro il 2030, il che è palesemente insostenibile.

Abbiamo forgiato una civiltà ad alta intensità energetica e materiale, con la ricerca di una crescita continua nel contesto limitato del nostro pianeta, in un evidente paradosso. Infatti, le risorse diventano più costose, la domanda aumenta e l’inquinamento pure. Sintomi di questa situazione sono  il cambiamento climatico, l’estinzione delle specie, l’aumento dei rifiuti di plastica. 

Il prodotto interno lordo (PIL) continua a crescere, ma è un buon indicatore del benessere umano? Le sue componenti cambiano, perché si tratta sempre più spesso di riparare i danni ambientali. Un tempo le persone si aspettavano di avere una vita migliore di quella dei loro genitori, ora pensano che i loro figli staranno peggio perché la società non produce più ricchezza reale. In tale prospettiva, anche il termine di sviluppo sostenibile diventa un ossimoro, dato che non possiamo avere una crescita fisica senza danneggiare il pianeta.

Serve il coraggio di risolvere i problemi a lungo termine

Quindi, secondo Meadows, i paesi devono passare alla dimensione qualitativa dello sviluppo, migliorando aspetti quali l’equità, la salute, l’istruzione, l’ambiente. Diventa imperativo avere il coraggio di iniziare a risolvere i problemi a lungo termine, come il cambiamento climatico, l’aumento dell’inquinamento o la disuguaglianza e per questo occorre anche un cambiamento nelle percezioni e nei valori personali

La soluzione non è solo la tecnologia, perché se gli obiettivi impliciti della società sono lo sfruttamento della natura, l’arricchimento delle élite o l’ignoranza del lungo termine, allora svilupperà le tecnologie per farlo. Ad esempio per ridurre la fame nel mondo occorre solo ridistribuire meglio il cibo che produciamo. Poi si impone una drastica riduzione del nostro fabbisogno energetico oltre che uscire dai combustibili fossili, aumentare l’efficienza energetica e sviluppare le energie rinnovabili. 

Invece della sostenibilità, l’obiettivo dovrebbe essere dunque la resilienza per adattarsi meglio ai cambiamenti, da applicare a tutti i livelli: globale, regionale, comunitario, familiare e personale.

La finalità dovrebbe essere il raggiungimento di una maggiore felicità.

Fonte: Le Monde

Crescita del PIL mondiale | TESEO.clal.it

CBAM: contrastare equamente il cambiamento climatico
21 Giugno 2022

ll Consiglio dell’Unione Europea ha recentemente raggiunto un accordo sul Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), un  “meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere” pensato per tutelare l’industria europea in fase di decarbonizzazione.

Come funziona il CBAM

In pratica, gli importatori dell’UE dovrebbero acquistare dei certificati di carbonio pari alla carbon tax che avrebbe dovuto essere pagata se  i beni fossero stati prodotti nella UE. Ritenendo che lo strumento del prezzo sia nei fatti il più efficace per ridurre le emissioni di anidride carbonica e combattere il cambiamento climatico, la carbon tax mira a contrastare le esternalità legate a determinati comportamenti di produzione e di consumo.

Già in passato l’Europa aveva tentato di introdurre un “carbon pricing” modificando la struttura della tassazione dell’energia. Poi aveva deciso di ricorrere a uno strumento alternativo definito Emissions Trading System (Ets), che nei fatti consente di controllare soltanto il 43% delle emissioni di carbonio, concentrate nella produzione di elettricità e nei settori carbon intensive come la siderurgia, ma che esclude importanti attività come il trasporto e l’agricoltura. Da qui l’introduzione di un’accisa commisurata alla quantità di carbonio contenuta nelle fonti di energia fossile utilizzata, nella prospettiva di un’economia carbon free e socialmente equa.

ridurre la rilocalizzazione delle emissioni

Il CBAM è inteso a ridurre il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ma anche a stimolare i produttori dei Paesi terzi a rendere più ecologici i loro processi produttivi. È una delle misure ambientali previste nel Pacchetto clima “Fit for 55” sulla riduzione delle emissioni di carbonio necessaria per evitare impatti negativi sul mercato, distorsioni di concorrenza e perdita di competitività da parte delle imprese europee. Questo strumento regolatore, con forti riflessi a livello globale,  si applicherebbe inizialmente alle importazioni in cinque settori ad alta intensità di emissioni di carbonio ritenuti a maggior rischio di rilocalizzazione: cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti ed elettricità.

In tal modo si concretizza il percorso della transizione ecologica UE stabilito lo scorso anno del Green Deal europeo per realizzare l’obiettivo di ridurre entro il 2030 le emissioni di carbonio del 55% rispetto ai livelli del 1990 e raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. L’introduzione di meccanismi regolatori con incentivi e penalizzazioni diventa indispensabile per sostenere ed accompagnare gli sforzi delle imprese, inclusa la necessità di investimento nelle nuove tecnologie.

implicazioni economiche e sociali

Il percorso per liberarsi dalla dipendenza dei combustibili fossili ed agire nei confronti del cambiamento climatico ha forti implicazioni economiche ma anche sociali, pertanto deve avvenire senza trascurare nessuna persona e nessun luogo.

Si tratta certo di una materia complessa ed anche controversa per i tanti settori economici interessati e per i risvolti internazionali. Però le conferenze sul ONU sul clima, ad iniziare dalla COP 21 di Parigi fino alla COP26 di novembre a Glasgow, hanno impegnato i Paesi ad azioni concrete per contrastare il cambiamento climatico. Occorre dunque trovare un equilibrio fra gli ambiziosi obiettivi UE  e la necessità di cooperazione a livello mondiale. 

Fonte: Parlamento Europeo

I Paesi del Mondo sono fortemente interconnessi | Elaborazione: CLAL

Prezzi locali e produzioni di Soia aumentano in Cina
26 Maggio 2022

Con oltre 66 milioni di tonnellate di Cereali e più di 102 milioni di tonnellate di Semi oleosi importati nel 2021, la Cina è il primo Paese importatore a livello planetario. Inoltre, la Cina detiene il 68% degli stock mondiali di Mais, il 36% degli stock di Soia e quasi il 51% del Frumento mondiale.

Con questi volumi rappresentati dal gigante asiatico, è quanto mai essenziale conoscere i prezzi dei prodotti agricoli, le indicazioni dei possibili andamenti di mercato, il valore delle commodity sulla piazza cinese e nelle principali località di esportazione verso la Cina, così come il trend delle semine e le stime di coltivazione.

Nella prossima annata agraria 2022-23, ad esempio, la Cina incrementerà le produzioni interne di Soia rispetto alla campagna precedente (+6,7%, fonte USDA), mentre dovrebbero diminuire le produzioni di Mais (-0,6%) e di Frumento (-1,4%). Le produzioni previste dovrebbero attestarsi intorno a 271 milioni di tonnellate di Mais, 17,5 milioni di tonnellate di Soia, 135 milioni di tonnellate di Frumento.

TESEO.clal.it - Cina: Produzioni di Soia
TESEO.clal.it – Cina: Produzioni di Soia

L’aumento dei prezzi locali di Mais, Soia e Frumento è proseguito anche in Aprile 2022. I prezzi interni si collocano sistematicamente su valori più elevati rispetto ai prezzi di importazione, con ogni probabilità per una volontà politica di sostenere la produzione domestica di commodity.

TESEO.clal.it - Cina: prezzo locale del Mais
TESEO.clal.it – Cina: prezzo locale del Mais

La nuova pagina di TESEO “Cina: prezzi dei prodotti agricoli” consente di osservare i prezzi e i trend di Mais, Soia, Frumento e anche Pomodoro, che vede la Cina al primo posto al mondo per produzione.
Queste informazioni, insieme alle previsioni delle Produzioni Cinesi su base stagionale, permettono alle imprese di pianificare in parte le proprie azioni future, contribuire ad avere un bilancio sempre più affidabile e completo al proprio interno, con l’avvertenza che elementi di incertezza e incognite di varia natura possono modificare i prezzi, i mercati e i piani.

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