Sebbene le aziende da latte si concentrino ed aumentino di dimensione, sarebbe un errore pensare che il modello di azienda famigliare, su cui da sempre si è basato l’allevamento, sia superato. Descrivere il declino dell’azienda agricola a conduzione familiare e l’ascesa dell’azienda agricola di tipo manageriale non è un quadro accurato della realtà.
Aziende da latte USA, il97%è a conduzione familiare
Questo anche negli USA dove, sebbene il numero di aziende da latte sia diminuito, rimane il predominio di quelle a conduzione familiare. Delle 39.442 aziende agricole con vacche da latte di tutte le dimensioni, secondo i dati dell’USDA più di 38.200 sono a conduzione familiare. Si tratta di ben il 97%, una percentuale consolidata. Ad esempio, nel 2016 le aziende da latte erano oltre 48.000, di cui il 97,3% a conduzione familiare.
La dimensione media di una stalla da latte USA è oggi di 300 vacche, rispetto a 50 nel 1990. Quindi, anche con una dimensione maggiore che richiede nuove professionalità e grandi finanziamenti, l’azienda familiare rimane il fondamento dell’allevamento da latte.
É la realtà di tutti i grandi paesi tradizionalmente produttori di latte, purtroppo sottaciuta.
Se è giusto parlare di imprenditoria, date le competenze richieste a chi conduce l’azienda da latte, è indispensabile parlare di familiarità con tutta l’attenzione per il valore soprattutto sociale, oltre che economico, che la famiglia trasmette alle comunità in cui opera.
TESEO.clal.it – USA: Costi e ricavi delle Aziende da Latte
Cargill, il gigante mondiale delle commodity, Tyson Foods Inc, la maggiore azienda per la carne di pollo, la brasiliana JBS SA, leader mondiale della carne e la National Beef Packing Co, azienda controllata dalla brasiliana Marfrig Global Foods SA, sono i quattro operatori che macellano all’incirca l’85% del bestiame da carne USA. Nel 1977 questa percentuale era appena il 25%, ma nel 1992 aveva raggiunto il 71%. La necessità di ridurre il costo unitario di macellazione ha portato a costruire impianti sempre più grandi soppiantando quelli di piccole e medie dimensioni, come dimostra il fatto che mentre nel 1977 l’84% di vitelli e manze erano macellati in impianti con una capacità inferiore al mezzo milione di capi all’anno, nel 1997 tale percentuale crollava al 20%.
Un sistema concentrato diventa anche più fragile, come dimostrano tre eventi che hanno colpito il settore: nel 2019 il macello di Tyson Foods nel Kansas è stato chiuso per quattro mesi a causa di un incendio; il Covid lo scorso anno ha provocato la chiusura a singhiozzo di vari impianti per infezioni fra i lavoratori ed infine a maggio 2021 JBS ha subito attacchi informatici che hanno portato alla chiusura temporanea nei suoi macelli di bovini e suini.
Queste chiusure nelle attività di macellazione si ripercuotono pesantemente sugli allevatori che non riescono a vendere gli animali mentre, a causa della minore offerta di carne, i prezzi sul mercato aumentano a tutto beneficio degli operatori. L’esempio è l’incendio nel macello della Tyson, dopo il quale la differenza fra il prezzo degli animali e quello della carne raggiunse, secondo USDA, livelli record.
La proposta USDA per proteggere i Suinicoltori da pratiche sleali
Secondo gli allevatori, questa concentrazione di fatto si traduce in una diminuzione della concorrenza ed in uno svantaggio competitivo fra chi deve vendere gli animali e chi commercializza la carne. Da varie parti, compreso un gruppo di Governatori, viene dunque proposta la creazione di un ufficio per verificare le pratiche anti-competitive nel settore della macellazione. USDA intende utilizzare una norma esistente tesa a proteggere allevatori ed agricoltori da pratiche commerciali svalorizzanti, utilizzando parte dei 4 miliardi di dollari destinati a consolidare il sistema alimentare USA.
L’equilibrio fra domanda ed offerta deriva anche dall’assenza di posizioni dominanti e pertanto occorrono autorità di sorveglianza e meccanismi regolatori per assicurare la trasparenza del mercato.
Dei tre fattori di produzione dell’economia classica, terra – lavoro – capitale, l’unico che non emigra né delocalizza è la terra. Questo è un elemento di sicurezza che da sempre ha comportato la corsa all’accaparramento della terra, descritto oggi come land grabbing. Si tratta del fenomeno economico e geopolitico di acquisizione agricola su scala globale, particolarmente acuto in Africa ma che interessa tutti i Paesi che dispongono di questo bene prezioso.
Occorre dimostrare che l’acquisto di terreno comporta benefici per la Nuova Zelanda
Un caso significativo è quello della Nuova Zelanda dove, fra il 2010 ed il 2021, circa 180 mila ettari di terreni agricoli, 460 mila ettari di boschi (39% del totale), 70 mila ettari di terreni per aziende di bovine da latte (16%), 100 mila per allevare pecore ed altri animali da carne (22%) ed anche 8 mila ettari di terre a vigneti, pari al 2% di tutte quelle passate di mano, sono stati venduti a soggetti stranieri. Per queste operazioni, occorre presentare una domanda dimostrando che l’acquisto di terreno comporta dei benefici per la Nuova Zelanda in termini di posti di lavoro, impianti di trasformazione, maggiore export o nuove tecnologie.
Si stima che il valore di queste vendite sia stato di $ 1 miliardo per i terreni di aziende da latte, $ 224 milioni per le altre coltivazioni, $ 370 milioni per i terreni boschivi, $ 325 milioni per le vigne.
Gli operatori USA hanno acquistato il 45% del totale, privilegiando le aziende da latte ed i vigneti, seguiti dai cinesi col 18% e dai tedeschi col 10%. Acquisti di terreni sono stati fatti anche da inglesi ed olandesi. Il terreno passato in mani straniere è pari al 3% della superficie totale del Paese, una percentuale ancora bassa rispetto al 13,8% dell’Australia dove la fanno da padroni i cinesi. Il governo neozelandese è comunque favorevole all’arrivo di questi capitali stranieri per espandere ad esempio il settore boschivo e vitivinicolo e per la trasformazione in loco delle materie prime agricole in modo da aumentare il valore dei prodotti esportati.
In Nuova Zelanda non esistono sussidi agricoli, dunque gli apporti di nuovi capitali e tecnologie sono visti favorevolmente. È un Paese scarsamente popolato con grandi risorse naturali ed il governo è in grado di esercitare un peso nella trattativa con gli stranieri.
La Cina che si conferma una destinazione privilegiata, il Sud Est Asiatico che si mantiene un interessante richiamo per la vicina Australia, la ripresa dei commerci dopo le fasi più critiche del Covid, ma anche rotte “tradizionali”, come quella del Frumento Duro canadese, che subiscono qualche modifica. Ecco come evolve l’export dei cereali per Stati Uniti, Canada e Australia.
USA
È boom dell’export dei cereali per gli Stati Uniti, che tra Gennaio e Maggio 2021, aumentano del 50% le vendite al di fuori dei propri confini nazionali. Dei quasi 56 milioni di tonnellate di cereali esportate nei primi cinque mesi di quest’anno, quasi 39 milioni sono rappresentati dal Mais, che segna un +77,8% in volume e un +149,7% in valore su base tendenziale. Particolarmente marcata la crescita dei prezzi del Mais, che raggiungono i 280 $/Ton nel mese di Maggio 2021.
La Cina è il primo Paese di destinazione, non soltanto per il Mais: nei primi cinque mesi dell’anno ha ritirato dagli Stati Uniti quasi 15,3 milioni di tonnellate di cereali, praticamente quintuplicato gli acquisti (+498,4%). L’Unione Europea non figura fra i principali paesi di destinazione dei cereali Made in Usa. Ripartiranno le rotte europee nei prossimi mesi?
TESEO.clal.it – Stati Uniti: Esportazioni mensili di Cereali
CANADA
Nonostante la frenata nel mese di Maggio, nei primi cinque mesi del 2021 il Canada aumenta l’export dei Cereali del 22,6% in quantità e del 39,5% in valore su base tendenziale.
È boom per l’export di Mais (+153,4% tra Gennaio e Maggio rispetto allo stesso periodo del 2020), con l’Unione Europea che costituisce il 71% del market share. Spagna e Irlanda sono primi porti di destinazione.
Benché i prezzi medi all’export del Frumento Duro siano più bassi rispetto a quelli degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, sembra che le vendite verso l’Italia abbiano un minore slancio rispetto al passato. Fra Gennaio e Maggio 2021, in particolare, le importazioni italiane di Frumento Duro canadese sono cresciute del 6,3% su base tendenziale.
Nel mese di Maggio 2021, invece, le esportazioni di Frumento Duro verso l’Italia hanno subito un sensibile frenata (-41,1% rispetto Maggio 2020), riflettendosi in un rallentamento dell’8% dell’export globale di Frumento Duro canadese. Algeria, Marocco e Tunisia sono altri importanti approdi del Frumento Duro canadese.
TESEO.clal.it – Prezzi medi di esportazione del Grano Duro
AUSTRALIA
Segue altre rotte, ma si mantiene in ottima salute, l’export di cereali dall’Australia, che tra Gennaio e Maggio 2021 vede un +156,1% in quantità rispetto allo stesso periodo del 2020. Frumento Tenero (12,1 milioni di tonnellate) e Orzo (4,4 milioni di tonnellate) sono i Cereali più esportati.
I principali paesi di destinazione sono: Arabia Saudita, Indonesia, Vietnam, Thailandia, Cina, Filippine.
L’Australiaha ripreso a esportare anche Frumento Duro: 266.428 tonnellate nei primi cinque mesi del 2021, delle quali 238.029 tons inviate in Italia.
TESEO.clal.it – Australia: export di Cereali (Gennaio-Maggio)
L’export di CEREALI dagli Stati Uniti nel mese di febbraio è cresciuto del +33,8% in quantità e del +59,6% in valore. In particolare, i prezzi unitari del Mais all’export sono aumentati ulteriormente del +31,2% in confronto a febbraio 2020.
Export Cereali USA+54% Gennaio – Febbraio 2021
Analizzando il primo bimestre 2021, su 18,2 milioni di tonnellate esportate (+53,8% su base tendenziale), circa 12,2 milioni sono rappresentate dal Mais. Giappone, Cina e Messico sono le destinazioni più significative per il Mais, con la Cina che è passata da 1.000 tonnellate importate dagli Stati Uniti nel periodo gennaio-febbraio 2020 a oltre 2,2 milioni di tonnellate nei primi due mesi del 2021.
I rapporti commerciali tra Stati Uniti e Asia sono molto intensi, anche analizzando l’export di Frumento. Accanto a Messico, Giappone e Cina si collocano come destinazioni Filippine, Corea del Sud, Indonesia, ma anche Thailandia e Taiwan, a conferma che l’area è strategica sul piano commerciale e geopolitico ed è ben presidiata dagli USA.
Si mantengono elevate nel primo bimestre del 2021 le esportazioni dagli USA di SEMI OLEOSI e FARINE PROTEICHE, per un valore vicino ai 7,6 miliardi di dollari (+101,8%).
Su quasi 15,5 milioni di tonnellate esportate (+54,7% su base tendenziale), la Soia rappresenta la prima voce dell’export, con volumi vicini ai 13,4 milioni di tonnellate e una crescita delle vendite oltre confine del +65,6%.
I prezzi medi delle esportazioni di Soia statunitense hanno raggiunto a febbraio i 503 dollari alla tonnellata, più elevati rispetto ad Argentina, Brasile e Paraguay.
Export di Soia USA verso la Cina+161% Gennaio – Febbraio 2021
Il 51% della Soia esportata dagli USA ha preso la rotta cinese, con un incremento rispetto al periodo gennaio-febbraio 2020 del +160,7% per questa destinazione.
L’Unione Europea è il secondo mercato per gli Stati Uniti, seguita da Messico, Egitto, Taiwan, Indonesia e Giappone. L’Italia ha ritirato 131.073 tonnellate nel primo bimestre 2021, in crescita del +62% su base tendenziale.
Andrew M. Novakovic – Professore Emerito di Economia Agraria – Cornell University, New York
Di Andrew M. Novakovic, Professore Emerito di Economia Agraria – Cornell University, New York
Il settore lattiero-caseario statunitense è un miracolo avvolto in una tragedia.
La storia di incredibile successo iniziò a metà del 20° secolo, quando gli agricoltori americani si specializzarono sempre di più. Da allora ebbero un invidiabile aumento della produzione, maggiore efficienza, e fornirono ai consumatori un prodotto nutriente e di alta qualità ad un prezzo accessibile. Per gran parte di questo periodo, i prezzi al dettaglio dei prodotti lattiero-caseari aumentarono della metà rispetto all’aumento generale dei prezzi al consumo. Un successo per i produttori di latte.
La tragedia riguarda il cambiamento nella struttura del settore agricolo e la trasformazione delle comunità rurali. Sebbene le aziende agricole gestite dalle famiglie rimangano la norma, le aziende agricole da latte sono diminuite di numero, aumentando di dimensioni. Hanno risultati migliori rispetto a mezzo secolo fa, sia in termini di produttività che di redditività, ma questo è avvenuto a scapito di molte aziende agricole famigliari che semplicemente non potevano sopravvivere, tanto meno prosperare.
Quanto a lungo dureranno queste tendenze? C’è un limite alla crescita del settore lattiero-caseario statunitense? Quando si stabilizzerà il numero delle aziende lattiero-casearie, e quanto presto accadrà?
Un po’ ovunque si sta assistendo ad una diminuzione nel numero delle aziende da latte, con un aumento nella loro dimensione media. Il fenomeno è particolarmente marcato negli USA, dove nei 20 anni dal 1997 al 2017 le aziende di piccola dimensione (10-199 capi) sono passate da 89.912 a 30.373 (-66%), mentre le aziende di grande dimensione (+500 capi) sono passate da 2.257 a 3.464 (+54%). In totale si contano 54.599 aziende da latte, con un numero medio di 173 vacche per azienda. Nella UE (dati 2016) si contano invece 1,2 milioni di aziende con in media 45 vacche da latte per azienda (escluso Paesi est Europa).
Questa tendenza deriva dal fatto che, generalmente, il rapporto tra ricavi e costi migliora all’aumentare della mandria. Get big or get out, dicono gli allevatori USA; in altri termini, se l’azienda non si espande, chiude.
In Wisconsin però si sta sviluppando un altro approccio per aumentare la redditività aziendale basato sulla riscoperta dei prati stabili che ne caratterizzavano il territorio, mantenendo biodiversità, sostanza organica del terreno, qualità delle acque ed ottenere prodotti lattiero-caseari distintivi e salutari. Una iniziativa dell’Università del Wisconsin insieme a quella del Minnesota opera in questa direzione, riunendo agricoltori, ricercatori, trasformatori, distributori e consumatori, ed ha ricevuto un finanziamento di 10 milioni di dollari dall’USDA National Institute for Food and Agriculture. Significativo il caso di un giovane allevatore che, stanco di spendere il ricavato del latte per mangimi, sementi, concimi, nella sua “piccola” azienda di 140 ettari, ha deciso di ritornare alla pratica del pascolamento, tipica della zona.
Il ritorno all’erba comporta minori spese e maggiore valorizzazione del prodotto
Nel 2019 nel Wisconsin hanno chiuso 773 aziende da latte ed altre 266 hanno chiuso nel 2020, ma il numero delle vacche resta invariato. Questo comporta un impatto negativo per le comunità rurali ed anche per l’ambiente, dato che per sostenere una produttività che ha superato i 100 quintali di latte per vacca, vengono privilegiati i concentrati e di conseguenza i seminativi. Aumentano così i bisogni energetici, le emissioni di carbonio, l’erosione del suolo, i residui di fosfati e nitrati. Circa il 90% del latte in Wisconsin è prodotto con questo modello, ma ci si chiede quanto sia sostenibile. Col ritorno all’erba, la produzione per vacca diminuisce, ma si riducono anche le spese. Il prodotto si differenzia ed è meglio valorizzato, compresa la carne.
Non si tratta, ovviamente, di un ritorno al passato ma di usare tutte le conoscenze della scienza e della tecnica per adottare un modello produttivo appropriato alle condizioni territoriali e sociali specifiche. Senza dimenticare il mercato. Il Wisconsin è famoso per i suoi formaggi, prodotti che possono fare la differenza per la remunerazione del latte.
TESEO.clal.it – Costi e ricavi delle Aziende da latte negli Stati Uniti
Sono sempre più frequenti gli annunci di azioni concrete per la sostenibilità. Negli USA l’Innovation Center for U.S. Dairy, organizzazione che lavora per la diffusione delle azioni precompetitive lungo la filiera produttiva, ha sottoscritto un protocollo d’intesa con l’Agenzia della protezione ambientale per raggiungere la neutralità carbonica nel 2050.
L’obiettivo delle emissioni zero entro la metà del ventunesimo secolo per riuscire a contenere il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5° é previsto anche dall’Accordo ONU sul clima di Parigi (COP 21 del 2015) firmato da 195 paesi, inclusa l’UE. Non a caso la Commissione Europea ha presentato il piano Green Deal per rendere l’Europa climaticamente neutrale entro il 2050.
Per raggiungere tale risultato bisogna attivare dei programmi concreti per valutare il livello di sostenibilità delle aziende da latte, indicare gli interventi da adottare, verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il progetto USA prevede ad esempio una premialità per le aziende che attuano gli interventi necessari per migliorare il loro livello, fornendo programmi di assistenza tecnica frutto delle azioni di ricerca tecnica e scientifica.
L’importanza di avere una produzione da latte sostenibile
Avere una produzione da latte sostenibile significa tutelare animali, acqua, terreno. Occorre lavorare il terreno seguendo il principio dell’agricoltura conservativa (no-tillage), spargere letame e liquami in modo più efficiente con le nuove attrezzature, razionalizzare i consumi energetici; occorre prendere coscienza che migliorare la salute ed il benessere degli animali è importante quanto il miglioramento genetico.
Il programma statunitense ha lo scopo di rendere attuabili azioni di sostenibilità per ogni tipo di azienda da latte, indipendentemente dalle loro dimensioni, collocazione geografica e livello tecnologico. Prevede anche dei fondi per la ricerca, la formazione e l’analisi dei dati.
Agire per la sostenibilità significa rendere consapevoli i produttori del valore del loro lavoro migliorando, grazie alle nuove tecnologie, le pratiche produttive. Operare meglio per dimostrare ai consumatori ed alla società quanto sia fondamentale l’attività agricola per una alimentazione sana, pulita e benefica.
TESEO.clal.it – Costi e Ricavi delle Aziende da Latte USA
Produzioni di Soia previste in crescita
per la nuova stagione, guidate da Brasile e Stati Uniti, mentre la Cina si conferma
come principale destinazione per l’export di Soia.
Aumentano i prezzi di Novembre della Soia nelle principali piazze mondiali.
Michele del Team di CLAL.it e TESEO illustra l’andamento di mercato della Soia nel seguente video.
La produzione mondiale di Soia per la stagione Settembre 2020 – Agosto
2021 è stimata in leggera diminuzione rispetto alla previsione precedente, ma
comunque in aumento del +7,7% rispetto alla stagione 2019-20 (Forecast
USDA).
Produzione prevista in crescita per i due principali player mondiali, Brasile (+5,6%) e Stati Uniti (+17,4%). Positive anche le previsioni per Argentina e Unione Europea.
L’Export mondiale di Soia per la stagione 2020-21 è stimato in
leggero aumento, +1,9% rispetto alla stagione precedente, guidato dal trend
positivo delle esportazioni statunitensi (+31,2%).
È previsto invece in diminuzione
l’export di Soia di Brasile e Argentina. I dati di Ottobre mostrano infatti
una riduzione delle esportazioni, rispettivamente -50,9% e -91% rispetto a Ottobre
2019.
La principale destinazione per l’export di
Soia rimane la Cina, che rappresenta circa i ⅔ dell’Import mondiale.
Per l’annata 2020-21 si prevede che la Cina accresca il suo import dell’1,5%,
raggiungendo le 100 Milioni di Tonnellate. Nel solo mese di Ottobre la Cina ha
importato circa 8,7 Mio Tons di Soia, +2,5 Mio Tons rispetto ad Ottobre 2019.
L’Unione Europea per il periodo Gennaio – Settembre 2020 ha importato più di 12 Mio Tons di Soia, registrando un aumento del +7,7% rispetto allo stesso periodo del 2019. Per la stagione 2020-21 si prevede, invece, una diminuzione dell’import di Soia europeo del -1,3%.
Continua ad aumentare il prezzo della Soia
in diverse piazze mondiali. Il prezzo medio di Novembre in Argentina è di 341$ per Ton, +7% rispetto
al mese precedente e +36,4% rispetto a Novembre 2019. Anche per gli Stati
Uniti il trend è positivo, con l’USDA che prevede un prezzo medio
stagionale in crescita di oltre il 20% per la stagione 2020/21.
In Italia, il prezzo dei Semi di Soia
Nazionale è aumentato sensibilmente. Il prezzo medio di Novembre, quotato a Bologna, è di 416€ per Ton, +7,3%
rispetto al mese precedente e +22% rispetto a Novembre 2019.
Per maggiori dettagli sui mercati del latte, agricolo e suinicolo seguiteci sui nostri siti web CLAL.it e TESEO.clal.it.
Pianificare gli interventi per massimizzare le potenzialità del foraggio
Il valore del fieno dipende da due fattori: quantità e qualità. Sostanzialmente, il primo dipende dalla piovosità, mentre il secondo fattore è determinato dalle decisioni dell’imprenditore agricolo, per cui occorre pianificare bene gli interventi in modo da massimizzare la potenzialità del foraggio e contenere i costi di produzione.
Negli USA, in stati come Ohio, Pennsylvania, West Virginia, Wisconsin, dove l’alimentazione delle vacche si basa su fieno ed insilato, la produzione di latte è direttamente correlata alla disponibilità stagionale di foraggio. Quest’anno il primo taglio di medica è stato buono, ma la bassa piovosità comporta degli scarsi raccolti per il secondo ed il terzo taglio. Riguardo al mais, le semine sono state rallentate a causa delle abbondanti precipitazioni, mentre ora la crescita è piuttosto stentata per la siccità.
Questo comporta una incertezza sui foraggi che potranno essere immagazzinati, per cui diventa importante seguire alcune regole: misurare la quantità di fieno del primo taglio e valutarne la qualitàin funzione dei bisogni delle vacche lattifere e di quelle in asciutta – i tagli successivi in genere hanno una qualità migliore; calcolare le scorte di insilato disponibili, tenendo anche conto che il nuovo raccolto dovrà fermentare per uno o due mesi prima di essere dato agli animali; quando possibile, seminare foraggi a rapida crescita se ci si accorge che la produzione di quest’anno non permette di coprire i bisogni alimentari fino alla prossima stagione; se comunque si prevede che il foraggio di buona qualità scarseggi, si può anticipare l’invio al macello delle vacche meno produttive, fino a ridurre il numero di quelle in lattazione.
Valutare sia la quantità che la qualità dei foraggi è sempre importante. Diventa però vitale quando non è possibile sopperire alla loro scarsità, attraverso l’irrigazione o la maggiore supplementazione con i mangimi, come avviene in tanti territori di zootecnia da latte. Lo dimostrano le difficoltà vissute dai produttori USA quando i bassi prezzi del latte non coprono i costi di produzione.
TESEO.clal.it – Alimento Simulato e Prezzo del Latte USA