Produzioni ed esportazioni mondiali di Mais previste in crescita per la nuova stagione, trainate da Stati Uniti e Brasile. Aumentati i prezzi del Mais in USA, Argentina ed alcuni Paesi UE, inclusa l’Italia.
Michele del Team di CLAL.it e TESEO illustra l’andamento di mercato del Mais nel seguente video
USDA ha recentemente rivisto la Produzione mondiale di Mais per la stagione Settembre 2020 – Agosto 2021 in leggera diminuzione rispetto alla previsione di Ottobre. Se confrontata con l’annata precedente la produzione è comunque stimata in aumento del +2,5%, attestandosi a 1.144,6 Mio Tons.
A guidare l’aumento produttivo sono gli Stati Uniti (+6,5%) e il Brasile (+7,8%). La produzione in Unione Europea, Argentina e Ucraina è invece prevista in diminuzione, a causa di condizioni di siccità.
Positive le previsioni sull’Export
mondiale di Mais, per il quale si attende un aumento dell’8,0% per
la stagione 2020-21. Aumento guidato, ancora una volta, da Stati Uniti (+49,0%)
e Brasile (+14,7%).
L’Unione Europea nel periodo Gennaio – Settembre 2020ha esportato 3.142.400 Ton di Mais, +15,4% rispetto ai primi 9 mesi del 2019. Tuttavia, per la stagione 2020-2021 è prevista una riduzione significativa. Stimato in diminuzione anche l’export di Argentina e Russia.
Continua ad aumentare il prezzo del Mais
negli USA. Il prezzo medio di
Novembre in West Iowa è di 156,8$ per Ton, +5,1% rispetto al mese
precedente.
Anche in Argentina il prezzo del Mais è aumentato sensibilmente, a
partire da giugno, e il prezzo medio di Novembre del Mercado Rosario è 190$
per Ton.
Questo trend si riflette anche sui prezzi
in Olanda, Spagna, Portogallo ed Italia. I prezzi medi attualmente quotati
a Bologna sono: 195€/Ton per il Mais ad uso zootecnico, 199€/Ton
per il Mais ad uso zootecnico con caratteristiche.
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Nonostante L’Export di Mais dell’UE-28 nel cumulato Gennaio – Luglio 2020 rimanga superiore allo stesso periodo del 2019, da Maggio si registra un trend negativo. Continua a diminuire l’Import di Mais: -51,93% in Luglio 2020 rispetto a Luglio 2019.
L’Italia ha importato nella prima metà del 2020 3,03 milioni di tonnellate: una riduzione del -2,76% rispetto ai primi 6 mesi del 2019.
Soia
Si rafforza l’Import europeo di Soia nel mese di Luglio: +9.54% Lugliorispetto a Luglio 2019, per un totale di 9.89 milioni di tonnellate nei primi 7 mesi dell’anno in corso.
Picco in Giugno per l’Import Italiano di Soia: 246.154 tonnellate acquistate, che corrispondono ad un aumento del +40,17% rispetto a Giugno 2019. Nel 2020 le importazioni dagli Stati Uniti sono diminuite notevolmente, a favore di altri Paesi fornitori (Brasile e Canada).
Riso
L’Import UE-28 di Riso sta vivendo un periodo di forte crescita, dopo un inizio 2020 moderato. Nel periodo Gennaio – Luglio sono state acquistati, infatti, 1,69 milioni di tonnellate, +17,48% rispetto ai primi 7 mesi del 2019. Trend che si rafforza in Luglio +42,67%.
L’Italia vede crescere il proprio Export di Riso nei primi 6 mesi del 2020, raggiungendo le421.836 Tonnellate. Il trend è confermato anche per il mese di Giugno, con esportazioni in aumento del +14,22%.
“La suinicoltura italiana ha
bisogno di investimenti, programmazione produttiva, specializzazione e di una
rivoluzione culturale che abbracci tanto la produzione quanto il marketing.
Senza questi elementi, inutile sperare nella competitività e nel futuro del
settore”.
Ha le idee molto chiare e non ci gira troppo intorno Sergio Visini, allevatore bresciano che gestisce due porcilaie tra Grezzana (Verona) e Pegognaga (Mantova), in collaborazione con Bompieri. Circa 800 scrofe sono di fatto il serbatoio per il sito 2 nel Mantovano, dove è stato costruito un allevamento completamente nuovo con svezzamento e ingrasso. In totale sono poco più di 19.000 suini all’anno.
Quali sono i tratti distintivi
dell’impianto?
“Lo svezzamento è su paglia,
mentre l’ingrasso è con pavimento pieno e palchetto parzialmente fessurato. Utilizziamo
solo la ventilazione naturale in tutti i padiglioni monofalda su cui abbiamo
installato due impianti di fotovoltaico da 1 megawatt (uno in autoconsumo).
Abbiamo anche un impianto di biogas per valorizzare i reflui, riutilizzare il
calore e ridurre così l’impatto ambientale. Inoltre, impieghiamo dei
microrganismi per abbattere gli odori”.
Che tipo di animale allevate?
“Dal 2017 abbiamo scelto di
aderire alla filiera antibiotic free e portiamo gli animali a 175 chili”.
A chi vendete?
“A Opas per il circuito del
Prosciutto di San Daniele, marchio Principe, con la quale Opas ha avviato una
collaborazione per valorizzare anche il resto della carcassa per carne fresca o
insaccati, dal momento che è antibiotic free”.
Vi siete orientati su una
produzione molto richiesta e specifica. Qual è la remunerazione in più per
l’allevatore?
“Viene riconosciuto un premio in
più per capo. Il risultato, di fatto, è legato alle cosce, ma, come dicevo,
stiamo sperimentando per estendere i benefit anche al resto dell’animale.
Abbiamo adottato una logica produttiva di tipo industriale, da intendersi in
chiave di organizzazione, efficienza, tracciabilità, servizio tecnico, ma anche
genetica e strutture. Nulla è lasciato all’approssimazione, data la peculiarità
di questo mercato”.
Appunto. Quello suinicolo è un
mercato che sta scontando una marcata volatilità. Perché, secondo lei?
La volatilità è legata all’assenza di programmazione
“La volatilità è legata alla totale
assenza di programmazione. Senza una pianificazione produttiva condivisa e una
progettualità dall’allevamento al prodotto finito non si può pretendere di
governare il mercato”.
“Il dato dell’autosufficienza, in
verità, mi interessa relativamente. Non facciamo carne di macelleria e non abbiamo
mai pensato di farla. Invece, credo che sia giunto il momento di ragionare per
produrre carne di alta qualità. È mai possibile che nei grandi ristoranti
italiani propongano carne suina spagnola e non italiana? E non credo sia colpa
della ristorazione, se noi non ci siamo mai posti l’obiettivo di proporla”.
Fra gennaio e maggio 2020, secondo le elaborazioni di Teseo by Clal, abbiamo esportato meno di 150mila tonnellate di carne e preparati. La Francia 313.500 tonnellate, la Polonia 329.000, per non parlare di Olanda (651.000 tonnellate), Danimarca (605.000), Spagna (1.100.000 tonnellate) o Germania, leader a livello europeo con un export di oltre 1.400.000 tonnellate. Quanto pesa, secondo lei, questo gap e come ridare competitività alle imprese?
Investire sull’export ed eliminare le inefficienze all’interno della filiera
“Pesa moltissimo. Ma non abbiamo
mai investito sull’export e mai, come dicevo prima, puntato sulla carne fresca
di alta qualità. Ha iniziato da qualche tempo Opas con il marchio Eat Pink.
Credo che ci siano spazi, perché il prodotto italiano ha qualità superiori, sia
in termini organolettici che qualitativi. Avendo però un suino pesante, va
trattato di conseguenza, magari con una frollatura idonea. Dovremmo, quindi,
investire sulle celle di frollatura. Allo stesso tempo, dovremmo investire per
eliminare le inefficienze all’interno della filiera.
La Spagna può essere vista
come un modello?
“Parto da un dato. Trenta anni fa
la Spagna aveva circa lo stesso numero di maiali dell’Italia. Oggi noi siamo
sugli stessi volumi, mentre la Spagna alleva più di 30 milioni di capi. Hanno
saputo valorizzare la propria filiera, attraverso leve di marketing vincenti
già 20 anni fa, quando puntavano moltissimo sull’export. Anche loro avranno
avuto i problemi ambientali, la difficoltà nei rapporti con i cittadini, una
classe politica con cui confrontarsi, eppure hanno saputo sfruttare un concetto
di cultura alimentare che è molto simile alla nostra, ma che noi italiani non
abbiamo saputo o voluto valorizzare. Dovremmo imparare dal mondo del vino, che
ha saputo costruirsi una identità territoriale molto forte”.
Come mai l’Italia è rimasta
ingessata?
“Non abbiamo costruito un
progetto. E i macellatori hanno fatto da tappo a qualsiasi progettualità. Di
più, non hanno saputo valorizzare anche i nostri gioielli, come i prosciutti di
Parma e San Daniele. Ma le colpe, probabilmente, sono di tutti. Non siamo stati
in grado nemmeno di far funzionare la Cun”.
Quali sono, secondo lei, i
limiti della Cun?
“È limitativo pensare a un
confronto fra due componenti della filiera senza tutti gli altri. Si
confrontano allevatori e macellatori. E gli altri attori?”.
Chi vorrebbe inserire?
“I prezzi della materia prima,
secondo me, devono essere in funzione del prodotto finito. Se vogliamo dire che
la Cun deve definire un prezzo minimo garantito per chi fa un prodotto base,
può eventualmente anche andare bene. Ma se ci orientiamo, come è il modello
Made in Italy, su filiere, prodotti dop e di alta gamma, allora bisogna ripensare
il sistema di formazione del prezzo. Chi
mi fa investire nelle aziende, nel benessere animale, se non c’è remunerazione?”.
I prosciutti Dop sono ancora strategici per la filiera italiana? Come
ne rilancerebbe i consumi e i prezzi?
“Sì, sono ancora strategici, ma
non dobbiamo dimenticare che, se vogliamo essere protagonisti su un mercato di
alta gamma, dobbiamo garantire credibilità e immagine, qualità del prodotto e,
soprattutto, in maniera costante. Se non distinguo un prosciutto Dop da uno
generico, perché dovrei comprarlo?”.
Dove migliorare?
Serve una standardizzazione di prodotto verso l’alto
“Serve standardizzazione di
prodotto verso l’alto, partendo da materia prima di alta qualità. Non possiamo
pensare che ogni allevamento abbia variazioni qualitative anche marcate. Un
altro punto chiave è il packaging: siamo rimasti indietro e non ci
differenziamo. Questo perché ci manca la cultura del prodotto di alta gamma. Guardiamo
la Spagna, ancora una volta, e il prosciutto Pata Negra: è un brand a tutti gli
effetti, raro e costoso, ma curato anche nei dettagli del packaging, perché
l’immagine di un prodotto di alta gamma non è banale”.
L’export di sorgo USA, dopo una riduzione del -30.2% nel 2019, torna a premiare gli agricoltori, che stanno accogliendo con soddisfazione l’aumento della domanda da parte della Cina. Durante la settimana di ferragosto, USDA ha riportato una vendita di 32 milioni di Bushel di Sorgo al mercato cinese (812.800 Ton), sottolineando che si tratta di un record, superando il precedente picco di 23 milioni di Bushel del 2014.
Tim Lust, CEO di National Sorghum Producers (NSP), afferma che questa vendita rappresenta il 9% dell’intero raccolto di sorgo Statunitense, aggiungendo inoltre che i produttori hanno registrato 90 giorni di consistenti vendite verso la Cina.
L’export di Sorgo Statunitense per il periodo Gennaio-Giugno 2020 ha registrato un incremento del +147,5%, attestandosi ad un totale di 3,25 milioni di tonnellate. La Cina si conferma come principale destinazione e, grazie ad un aumento del +538%, assorbe il 78% delle esportazioni totali di Sorgo Statunitensi.
Una domanda sorge spontanea, ovvero cosa sta determinando
questi acquisti storici, e per quanto tempo la Cina continuerà ad acquistare
queste quantità?
Secondo Lust i motivi di questa forte crescita delle esportazioni sono molteplici. Innanzitutto, la prima fase dell’accordo commerciale tra i due Paesi ha portato ad un maggior interesse verso i prodotti agricoli Statunitensi da parte della Cina, a cui va unito il bisogno crescente di sorgo da parte degli allevatori locali. Occorre inoltre considerare che l’Australia, uno dei maggiori concorrenti degli Stati Uniti in questo mercato, ha avuto un raccolto inferiore all’anno precedente, e sta esportando verso la Cina circa 1 milione di Ton in meno.
Anche osservando i prezzi si notano differenze di
competitività. Lust evidenzia che la tariffa sul sorgo USA è minima, il che
significa che con prezzi delle materie prime più elevati in Cina il sorgo
statunitense risulta più conveniente per l’impiego zootecnico.
Il CEO di NSP afferma inoltre che segnali positivi indicano che la Cina potrebbe continuare ad acquistare questo cereale. “Ci si aspettava che l’impatto della peste suina africana (ASF) avrebbe mantenuto bassa la domanda cinese di alimenti zootecnici per diverso tempo, ma ciò non sembra stia accadendo” dice Lust.
Anche Arland Suderman di StoneX Group si trova d’accordo con Tim Lust, sostenendo che sebbene parte del sorgo importato dalla Cina venga diretto nella produzione di una particolare bevanda alcolica, la maggior parte di esso viene acquistato dall’industria mangimistica. Suderman avverte poi anche che, nonostante i segnali siano positivi, la Cina non è sempre una destinazione affidabile per le esportazioni, specie dal punto di vista politico.
I produttori di sorgo capiscono fin troppo bene la cautela di Suderman; basta infatti ricordare che il governo cinese durante il 2018 ha imposto una tariffa di importazione del 179% sul raccolto americano, accusando gli agricoltori statunitensi di fare dumping. Comunque, nonostante il rischio che la Cina possa smettere di acquistare le materie prime americane, per il momento gli agricoltori celebrano questo rinnovato interesse che sta portando un aumento significativo dei prezzi.
Il costo indicativo dell’alimentazione bovina in Italia evidenzia un leggero aumento nel mese di Luglio. In UE aumentano produzione ed export di Mais nella stagione in corso, mentre diminuisce l’import. In crescita invece l’import di Soia Europeo per il periodo Gennaio-Maggio.
Michele Badolato del Team di CLAL.it e TESEO illustra l’andamento di mercato di Mais e Soia nel seguente video.
Prezzi e alimento simulato
Le quotazioni di Luglio evidenziano che il costo indicativo dell’alimentazione bovina è in leggero rialzo: +0,38% rispetto a Giugno, invertendo il trend dei 2 mesi precedenti.
Il Prezzo del Mais Nazionale, che è driver per la componente energetica della razione, segue un trend in graduale aumento e la media delle quotazioni di Milano in Luglio è 183 €/Ton. Il prezzo della Farina di Soia, driver per la componente proteica della razione, mostra una tendenza negativa, e la media delle quotazioni di Milano in Luglio è 332 €/Ton.
Import – Export UE
La produzione di Mais in UE Settembre 2019 – Agosto 2020 si dovrebbe chiudere con un aumento del 3,6% secondo le stime USDA. Il trend in crescita dovrebbe confermarsi anche nella prossima stagione (+2,5%).
Mais:
Export UE+62% Gennaio – Maggio 2020
Nell’Unione Europea l’aumento produttivo di Mais nella stagione in corso, unito ad un minor utilizzo in campo zootecnico, si è riflesso in una riduzione dell’import (Gennaio-Maggio -32,5%) e un aumento delle esportazioni.
Le esportazioni UE infatti nel periodo Gennaio-Maggio sono aumentate del +62,2% per un totale di2,68 Mio Ton. Le principali destinazioni sono state: Egitto, Turchia ed Iran.
Situazione differente per la Soia, dove a fronte di un calo dell’export europeo per il periodo Gennaio – Maggio, l’import torna ad essere positivo, registrando nel mese di Maggio una variazione del +35%.
L’Italia,importatrice netta di Mais e Soia, nei primi quattro mesi del 2020 ha registrato una diminuzione delle importazioni di questi due prodotti agricoli, rispettivamente -5,4% per il Mais, e -0,7% per la Soia.
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Aumenta l’Export di Carni suine italiane nel periodo Gen-Feb 2020, con un incremento dei ricavi e nuove importanti opportunità in Oriente. L’Italia importa meno rispetto all’anno precedente, ma a prezzi superiori.
Francesco del Team di TESEO illustra l’andamento del trade di Carni Suine da e verso l’Italia nel seguente video.
L’Italia ha importato circa 190 mila
tonnellate di Carni suine nel
periodo gennaio-febbraio 2020: meno rispetto all’anno precedente, ma a prezzi
superiori.
Export Italia Carni Suine+6% Gen – Feb 2020
L’Export italiano è invece aumentato nel periodo gennaio-febbraio del +6,0% accompagnato da un incremento dei prezzi all’export, in particolare per Carcasse e mezzene fresche
(prezzo medio: 2,05€/kg) e per il Lardo (1,36€/kg). Sebbene siano
inferiori al picco di fine 2019, i prezzi all’export si mantengono a livelli sostenuti.
Come riportato nella news precedente, la Cina abbia raddoppiato le importazioni di Carni fresche, refrigerate o congelate dall’UE nel primo trimestre 2020, acquistando peraltro a prezzi superiori.
Export Italia verso Cina
Carni fresche, refrigerate o congelate1.577tonnellate
Gen – Feb 2020
In merito all’Italia, nel 2019 la
Cina ha fatto la sua comparsa come importante destinatario di Carni fresche,
refrigerate o congelate. Nei primi due mesi del 2020 la Cina ha importato 1.577 tonnellate, divenendo il terzo importatore per questa voce
dopo i Paesi UE ed il Giappone.
Auspichiamo che le imprese italiane
possano aumentare la loro presenza in questa area in rapida crescita.
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Le Imprese europee hanno aumentato l’export di Carni suine in
volume, ma ancor più in valore, nel primo trimestre 2020. Qual è il principale
driver di questa crescita?
Francesco del Team di TESEO illustra l’andamento delle esportazioni UE nel seguente video.
L’export UE di Carni suine e loro derivati è
aumentato in volume, ma ancor più in valore, nel primo trimestre 2020 rispetto allo stesso
periodo del 2019.
Export UE Carni fresche, refrigerate e congelate 776 mila tonnellate Gen – Mar 2020
L’UE è il principale esportatore
mondiale di Carni fresche,
refrigerate o congelate: sotto
questa voce sono state esportate circa 776
mila tonnellate nei primi tre mesi del 2020, per quasi 2,5 miliardi di dollari. I ricavi all’export sono di conseguenza aumentati del +27%,
passando da 2,92 USD/kg nel primo trimestre 2019 a 3,18 USD/kg nel 2020.
Ma com’è possibile che, sebbene
quasi tutti i Player importatori abbiano ridotto gli acquisti dall’UE, l’export
di questa voce sia aumentato del +26,2%
in quantità e del +60,4% in valore?
Questo aumento è dovuto alla Cina,
che ha raddoppiato le importazioni di Carni fresche, refrigerate o congelate dall’UE
(+114,2%), acquistando peraltro a
prezzi superiori (+56,7%).
Il principale driver di questo
aumento è stata l’epidemia di
African Swine Fever, che ha
coinvolto il Paese nel terzo trimestre 2018 e fino ad oggi ha causato la morte
o l’abbattimento di oltre 1.200.000 capi.
Il trend è confermato in marzo,
ultimo mese disponibile nei dati, periodo in cui la Cina è arrivata ad
assorbire il 69% dell’export UE di Carni fresche, refrigerate o congelate.
E le Carni suine italiane, sono
presenti in Cina? Quali sono le performance del nostro export e del nostro
import?
Queste domande troveranno risposta nel prossimo video: registrati a TESEO.clal.it per rimanere aggiornato.
Il commercio mondiale di animali vivi ha numeri consistenti. Secondo i dati FAO, nel 2017 raggiungeva valore complessivo di 21 miliardi di dollari, in crescita del141% rispetto al 2000 e riguardava circa 45 milioni di maiali, 16 milioni di pecore, 11 milioni di bovini, 5 milioni di capre, quasi 2 milioni di pollame e poco più di 300 mila cavalli.
I maggiori esportatori di animali vivi sono Francia, Canada ed Australia. La grande maggioranza di questo commercio è dato dagli animali per l’ingrasso e la macellazione fra Paesi confinanti. Significativi in tal senso sono gli scambi tra USA, Canada e Messico, favoriti dal 1974 con l’accordo di libero scambio NAFTA.
Export USA di bovini e suini è nettamente inferiore rispetto all’Import
Gli USA, ad esempio, esportano suini in diversi Paesi, che vanno dal Messico al Brasile, alla Corea del sud, alla Cina, ma in misura pari ad appena l’1% dei maiali che importano, provenienti quasi tutti dal Canada per allevamento e macellazione. Al contrario, gli USA esportano verso il Canada quasi tutti i cavalli per essere macellati in Quebec e la carne poi esportata in Europa e Giappone, dato che la cultura anglosassone non accetta questa pratica.
Export USA Bovini da Latte 2019+30%rispetto al 2018
Nel 2018, l’11% dei bovini esportati era rappresentato da vacche e appena l’1% da tori per migliorare il patrimonio genetico e la produttività di Paesi quali Cina, Pakistan, Vietnam o Paesi africani.
L’export di animali vivi per miglioramento genetico è tecnicamente molto più semplice del commercio di seme od embrioni e dunque è diretto verso i Paesi tecnicamente meno evoluti, ma è più complesso e costoso come logistica, dato che viene spesso effettuato con piccole spedizioni per via aerea.
Il commercio di animali per via marittima avviene spesso in condizioni critiche
A livello internazionale il commercio di animali vivi avviene per via marittima, nel migliore dei casi attraverso imprese specializzate, ma spesso su navi cargo convenzionali, in condizioni spesso critiche per gli animali. Lo scorso novembre in un incidente nel mar Nero che trasportava 14 mila pecore dalla Romania all’Arabia Saudita, perirono quasi tutti gli animali.
Questo comporta la necessità di adottare normative comuni a livello internazionale per assicurare le dovute garanzie per i modi ed i tempi di trasporto, ad una attività così importante per l’allevamento e la produzione alimentare mondiale.
In India il 40% della popolazione è attiva in agricoltura, con una presenza preponderante delle piccole realtà produttive, spesso marginali, nella rete dei villaggi rurali che caratterizzano il grande paese asiatico, che con 176 milioni di tonnellate, è anche il leader mondiale di latte, una delle produzioni basilari dell’agricoltura indiana, radicata nei suoi costumi e tradizioni. Di conseguenza, tutti gli sforzi per accrescere il reddito delle popolazioni rurali passano da un efficientamento del sistema, che si basa su di un modello diffuso di piccolissime realtà aziendali, apparentemente in contrasto col modello produttivo delle grandi realtà mondiali di produzione lattiera, Cina compresa.
Diventa dunque prioritario per il governo indiano migliorare il sistema per rispondere alla domanda interna, con le necessità di sicurezza alimentare ed innovazione delle affluenti fasce di popolazione urbana, ma anche per cercare di trarre profitto dall’export, settore verso cui l’India si è orientata solo recentemente.
Una serie di piani strategici, predisposti dall’agenzia pubblica National Institution for Transforming India, per raddoppiare il reddito degli allevatori entro il 2023
In tale contesto si colloca il piano predisposto dall’agenzia pubblica National Institution for Transforming India, che prevede una serie di misure che ambiscono a raddoppiare il reddito degli allevatori entro il 2023. Prendendo a riferimento il 2015, queste dovrebbero comportare però notevoli sforzi tecnici, infrastrutturali, come l’aumento delle superfici irrigate (19%), l’uso dei fertilizzanti (3%) e delle sementi selezionate (167%) per aumentare il fabbisogno di alimenti zootecnici. Sono stati predisposti una serie di piani strategici lungo tutta la filiera per sostenere il miglioramento delle attrezzature nelle aziende e degli impianti di raccolta, trasporto e lavorazione del latte, con un solido investimento pubblico ed il coinvolgimento delle maggiori aziende, cooperative e private.
L’obiettivo è di arrivare ad una produzione di 250 milioni di tonnellate di latte, il che comporta una crescita annuale del 8,5%, integrando meglio la fitta rete di allevatori ed operatori commerciali, nel contesto delle imprese di trasformazione sia cooperative che private.
Aumentare l’efficienza produttiva, ridurre i costi e ricercare le economie di scala, non basta; occorre anche gestire i surplus ed avere una attenta conoscenza e strategia dei mercati.
“Quando il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ricevette i 100 uomini del Vino raccontò un aneddoto e cioè che una percentuale altissima di ingegneri cinesi aveva studiato in Germania e che, ritornando da classe dirigente in Cina, portarono la cultura del luogo in cui avevano studiato: la Germania. Ecco, se noi vogliamo crescere in Cina dobbiamo essere presenti, presidiare il luogo, cercare interscambi anche culturali. Solo così il made in Italy sarà vincente. I francesi erano storicamente presenti in Cina e oggi i nuovi ricchi bevono Champagne, Bordeaux e Borgogna. La crescita italiana è molto più lenta”. Parola di Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia-Agricoltori Italiani, che parte dal tema dell’internazionalizzazione in un’intervista con Clal.it.
Presidente Scanavino, l’export è sempre più la strategia vincente per il Made in Italy agroalimentare e il lattiero caseario non fa eccezione. Come si affrontano, però, i mercati esteri?
“Con la presenza sul territorio, come dicevo, e con la qualità. Per avere successo noi italiani dobbiamo pensare al latte con la crosta: o produciamo e commercializziamo formaggio, che ha un maggiore valore aggiunto, oppure non saremo mai competitivi rispetto ad altri paesi e, anzi, avremo difficoltà con tutto il resto del mondo”.
O produciamo e commercializziamo formaggio, oppure non saremo mai competitivi rispetto ad altri paesi
L’Africa è un continente vicino e che potrebbe rappresentare per l’Italia uno sbocco interessante per il lattiero caseario…
“Certamente. L’Africa ha una popolazione molto giovane e un PIL in crescita. Certo, ha anche molti problemi, ma è innegabile che i giovani con un po’ di soldi comprano proteine. Bisogna però avere strategie di mercato, possibilmente condivise e attuate attraverso azioni congiunte”.
Ad esempio?
“I cinesi in Eritrea hanno costruito ferrovie, autostrade, 75 km lineari di zona industriale. Anche noi dovremmo insediare alcune aziende, per diffondere anche la nostra cultura. Non è sufficiente solo vendere. Lo abbiamo visto alla fiera dell’Agricoltura di Meknès, in Marocco. C’è un grande interesse per le macchine agricole usate, che però devono essere certificate sul piano della sicurezza. Ecco, possiamo contare su un ente qualificato come Enama, perché non aprire un ufficio là? Sarebbe un servizio che facciamo anche agli italiani, per instaurare relazioni di contiguità costante, che francesi e olandesi hanno fatto”.
L’India ha intenzione di aumentare le produzioni di latte e ha quantitativi ingenti di polvere di latte. Questo potrebbe avere conseguenze sul prezzo del latte in Europa, che non riesce a smaltire i propri magazzini. Cosa fare? (intervista rilasciata prima di Ottobre 2018 quando i magazzini hanno incominciato a diminuire a seguito di aste organizzate dalla commissione UE)
“Quello degli stock di polvere di latte è un macigno che può crollarci addosso. Bisogna trovare un sistema efficace per smaltire i magazzini comunitari, magari in ambienti non alimentari, per l’alimentazione zootecnica. E poi monitorare con attenzione i movimenti dell’India, perché se cominciasse a esportare, ad esempio nel vicino Sud Est Asiatico, le ripercussioni sui mercati internazionali credo non si farebbero attendere, con conseguenze negative anche per l’Europa. In questo caso dovremmo essere noi europei a individuare nuovi mercati a più alto valore aggiunto e cercare di occuparli”.
Se l’India cominciasse a esportare, le ripercussioni sui mercati internazionali non si farebbero attendere
Che benefici ha portato l’etichettatura obbligatoria dei prodotti lattiero caseari?
“Come Cia-Agricoltori Italiani siamo sempre stati favorevoli all’etichettatura, come strumento di informazione del consumatore. Ma se ci illudiamo che tutti i consumatori oggi chiederanno solo materia prima italiana al 100%, allora siamo fuori strada. Chi sostiene questo mente sapendo di mentire. L’Italia ha una grande forza, che è frutto delle proprie indicazioni geografiche e che si basa su un sistema di certificazione volontario. Chi non aderisce ai controlli alla fonte e alla vendita rinuncia al marchio e rimane fuori. L’obbligatorietà non è sinonimo di qualità. Anzi. Bisognerebbe, piuttosto, scegliere un sistema e contribuire in modo che diventi virtuoso, incentivando le promozioni sulle DOP e attuare politiche che sostengano effettivamente il Made in Italy. Quando alcune Regioni nei PSR hanno subordinato l’erogazione dei fondi al fatto che trasformassero la materia prima del territorio, hanno fatto bene. Come produttori dobbiamo fare aggregazione e spingere verso consumi virtuosi, che sostengano il territorio”.