Categoria: Latte
BOX Maggio 2021: Dairy Import, Stock Mondiali, Export di Grano Duro
Combattere la volatilità abbattendo le barriere: l’opinione del Produttore latte Andrew Hoggard20 Aprile 2021

Di Andrew Hoggard, Presidente di ‘Federated Farmers of New Zealand’
Traduzione di Leo Bertozzi
Il mondo del latte è molto articolato. Da una parte si trova una grande interconnessione in ogni settore della filiera, espressa a livello mondiale dalla collaborazione in organizzazioni come la Federazione Internazionale di Latteria FIL-IDF. Vi si svolge un lavoro comune a livello pre-competitivo in ambiti quali le norme internazionali, lo scambio di conoscenze su sicurezza alimentare e sistemi produttivi, il tutto in collegamento con altre associazioni internazionali del latte quali Dairy Sustainability Framework e Global Dairy Platform, che operano a livello internazionale per il miglioramento della sostenibilità ambientale, del marketing e della creazione del valore derivanti dal settore latte. Allo stesso tempo, per la politica agricola, il latte è però anche una patata bollente quando si tratta di intervenire per sostegni ed accesso al mercato. Ma perché il latte comporta questo alto livello di politicizzazione? Sinceramente non lo so. Considerando solo il monte ore che un allevatore deve consacrare alla produzione del latte rispetto alle altre attività agricole, verrebbe da dire che non c’è molto tempo per immischiarsi nella questioni politiche. Oppure, tale vivo interesse intorno al mondo del latte deriva dal grande valore nutrizionale che apporta?
L’effetto della volatilità sulle Aziende agricole da latte
Mi è stato chiesto di esprimermi in merito a tali tematiche. Una delle convinzioni che mi sono fatto dal dialogo che ho avuto con i produttori di latte in giro per il mondo è che il fenomeno della volatilità ci colpisce tutti e che proprio la volatilità di mercato può avere un profondo effetto sulla sostenibilità e sulla redditività di molte aziende. Sfortunatamente, quando questo accade, vedo che a livello generale ci sono allevatori che chiedono misure di intervento le quali, francamente, non fanno altro che contribuire alla volatilità peggiorando la situazione.
Osservando il mercato mondiale del latte, ci si accorge che solo una piccola percentuale dei consumi lattiero-caseari deriva dal commercio internazionale. Prendiamo ad esempio il mio Paese, la Nuova Zelanda: esportiamo il 95% di ciò che produciamo, avendo però accesso soltanto al 13% del mercato mondiale pagando dazi inferiori al 10%. Il prezzo del latte neozelandese è il riflesso diretto del prezzo mondiale, senza praticamente nessuno scostamento. Quindi, effettivamente, questo 13% di consumi è ciò che determina il livello di prezzo mondiale del latte.
Il livello di latte nel bicchiere cambia molto più in fretta che non quello nel secchio
Cerchiamo di vederla in questo modo: immaginiamo che il mercato internazionale del latte sia come un grande secchio, di cui la parte commercializzata sia rappresentata da un piccolo bicchiere. Se c’è un aumento nella produzione mondiale di latte, questa non si riversa nel secchio, ma nel bicchiere che tracima. Allo stesso modo, un aumento di domanda pesca dal bicchiere. Ecco da dove origina la volatilità: la ragione è che il livello di latte nel bicchiere cambia molto più in fretta che non quello nel secchio. Questa situazione è correlata ai contributi dati agli allevatori in tante parti del mondo, che determinano una latenza rispetto al momento in cui sono colpiti dai segnali del mercato. In altri termini, con le misure di sostegno e gestione del comparto latte, gli allevatori ricevono lo stimolo a produrre di più o di meno ben in ritardo rispetto all’evento che si determina sul mercato. Questo determina una ulteriore distorsione, che si traduce in una ulteriore volatilità.
Quindi, una domanda è lecita: se invece del bicchiere ci fosse solo il secchio, osserveremmo le stesse fluttuazioni di prezzo? Lo dubito.
Un mercato più aperto e incentivi scollegati alle produzioni
Sono fermamente convinto che sarebbe meglio per gli allevatori avere un mercato più aperto ed anche fare in modo che le misure di incentivo siano scollegate alle produzioni, per evitare effetti distorsivi. Questi incentivi sono veramente necessari? Nei vari scenari mondiali si può osservare che i sostegni monetari sono correlati ai benefici che la società in generale intende trarne, oppure l’insufficienza di sostegni monetari è presa a giustificazione per introdurre barriere non tariffarie all’importazione. Però qualsiasi barriera non tariffaria dovrebbe essere giustificata solo da oggettive ragioni tecniche e scientifiche e non invece dai bisogni del momento. Il problema, se si cambiano solo le regole, come ad esempio vietare il glifosato, è che si elimina qualsiasi stimolo al consumatore per la disponibilità a pagare di più per il prodotto che intende avere. Le regole che sono adottate in genere per il volere di una minoranza della società, portano solo a tenere basso il prezzo del latte per gli allevatori.
Queste regole possono assumere diverse forme. Gli agricoltori francesi mi raccontavano il loro problema di non poter ingrandire le mandrie perché non viste positivamente dall’opinione comune della gente estranea al mondo rurale. Ma questo è vero? Mio nonno mungeva al massimo 80 vacche, io ne mungo 560. Ho sacrificato i risultati qualitativi per raggiungere questo obiettivo? No di certo, perché la tecnologia mi permette di fare molto più di quello che riusciva a fare mio nonno. La dimensione della stalla è irrilevante; i risultati sono ciò che contano.
Spesso sento dire dalla gente estranea al mondo rurale che tutte queste regole non sarebbero un problema per le piccole stalle famigliari, ma solo per le grandi stalle. Invece la realtà è l’opposto. La grande azienda può permettersi di assumere qualcuno che si occupi di tutti gli adempimenti e la compilazione dei moduli, mentre la piccola azienda agricola familiare è sopraffatta dal peso delle carte da compilare.
Consumatori disponibili a pagare il giusto prezzo
Quindi, in sostanza, ciò di cui abbiamo bisogno è un mercato lattiero caseario molto più aperto a livello mondiale, con regole che siano basate solo sui riferimenti scientifici e che mirano al risultato. Abbiamo bisogno di consumatori disponibili a pagare il giusto prezzo per permettere agli agricoltori di fornire loro il prodotto con le qualità che essi desiderano. In fin dei conti, gli allevatori dei vari Paesi nel mondo producono poco meno di 900 milioni di tonnellate di latte all’anno. Se tutta la popolazione mondiale ricevesse la porzione quotidiana raccomandata di latte, bisognerebbe produrne il doppio, cioè 1800 milioni di tonnellate. Questo è un forte segnale di mercato del fatto che abbiamo bisogno di meno barriere, anziché di più.

BOX Marzo 2021: Latte Bio, Formaggi Freschi, Frumento e Orzo25 Marzo 2021
Aziende da latte: il mercato richiede professionalità11 Novembre 2019
Il bisogno di lavoratori qualificati nelle imprese è sempre maggiore, a causa dell’evoluzione tecnica della produzione. Questo riguarda anche le aziende da latte, che fanno dell’alta specializzazione, del controllo e del monitoraggio delle varie fasi produttive, la loro peculiarità, compreso il rispetto delle rigorose norme igienico-sanitari.
Australia20% aziende da latte con più di 6 dipendentinel 2025
La necessità di continuare ad implementare l’uso di tecnologie sempre più sofisticate nell’allevamento da latte richiede dunque anche la possibilità di attrarre operatori con le adeguate professionalità, il che rappresenta una sfida per il futuro, tanto più quanto le aziende si ingrandiscono. In Australia, ad esempio, si ritiene che nel 2025 le aziende da latte con più di sei dipendenti saranno il 20% del totale, rispetto al 4% attuale.
Oltre ai classici aspetti produttivi, come la gestione della mandria o la qualità del latte, l’attività aziendale dovrà poi sempre più considerare anche i parametri di tutela ambientale, dunque residui, emissioni, risorse idriche e ricadute sociali dell’attività produttiva. Per questo il settore dovrà sempre più relazionarsi con scuole ed università in modo da specificare i bisogni formativi ed interessare gli studenti sulle diverse opportunità di lavoro esistenti nelle aziende da latte.
Gestione della mandria: 2.500 giovani australiani connessi sulla Young Dairy Network
Gli imprenditori dovranno però anche prestare attenzione al ventaglio di nuove professionalità richieste dal mercato ed in generale dalla società, anche quelle apparentemente distanti dai ruoli tradizionali della produzione del latte e della gestione della mandria. In questa prospettiva, Dairy Australia ha creato un Young Dairy Network che connette oltre 2500 giovani per diffondere informazioni sulle possibilità di formazione relative agli aspetti sia tecnici che sociali riguardanti la produzione del latte, salute animale, gestione aziendale comunicazione ed informazione.
La scelta del personale da impiegare nell’azienda da latte non può essere lasciata al caso o all’improvvisazione. Questo ora più che mai, vista la rapida evoluzione non solo delle tecnologie produttive ma anche e soprattutto della percezione e delle esigenze dei consumatori.

TESEO.clal.it – Consulta le nuove pagine dedicate alla Struttura delle Aziende Agricole da Latte in UE-28
Fonte: edairynews
USA, Canada e Messico: un mercato libero può essere anche equo?30 Ottobre 2019
Gli allevatori canadesi riescono ad investire grazie ad un prezzo del latte remunerativo
Nonostante l’accordo NAFTA, in futuro USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement), che liberalizza gli scambi commerciali, il prezzo del latte è completamente diverso: remunerativo per gli allevatori canadesi, insoddisfacente per quelli statunitensi, critico per i messicani.
In Canada lo stretto regime di quote latte e le barriere all’importazione hanno assicurato stabilità dei prezzi e margini che permettono agli allevatori di continuare ad investire adottando le tecnologie più innovative.
Competizione insostenibile per il Messico nei confronti degli USA
In Messico, invece, il prezzo non copre i costi e gli alti interessi non permettono di fare investimenti; i prodotti di imitazione ottenuti partendo dalle polveri di latte e siero importate dagli USA esercitano una competizione insostenibile, che porta gli allevatori alla bancarotta. Il Paese non è autosufficiente in latte ed assorbe la metà dell’export USA di latte in polvere ed il 28% di formaggio.
Anche il Canada importa latte e derivati dagli USA, ma con una quantità contingentata ed i prodotti importati fuori quota pagano dazi altissimi, pari al 245% del valore sul formaggio ed al 298% sul burro.
Gli allevatori del Wisconsin si trovano esattamente nel mezzo di queste due realtà: esportano molto in Messico, ma vorrebbero esportare di più in Canada; sono in un contesto di mercato libero, ma non riescono a stare al passo con gli investimenti.
In Messico i consumatori sono stati avvantaggiati rispetto ai produttori dall’apertura del mercato, beneficiando così dei bassi prezzi dei prodotti importati, mentre in Canada l’equilibrio è ancora dalla parte dei produttori.
Dunque tre grandi Paesi, con tre realtà diverse, sia socialmente che economicamente: in che modo un mercato libero potrà risultare anche equo?

Swissmilk green: il progetto del latte sostenibile in tutta la Svizzera3 Settembre 2019
swissmilk green: quasi+3centper kg di latte
Nonostante le norme svizzere lungo tutta la filiera di produzione del latte siano già ad un livello elevato rispetto agli standard internazionali, l’esigenza di rispondere alle crescenti attese dei consumatori in termini di rispetto ambientale, benessere animale, tutela sociale, ha fatto adottare la nuova norma definita “swissmilk green”. Il latte ed i prodotti derivati che ne soddisferanno i criteri, saranno contraddistinti da un apposito logo ed i produttori riceveranno quasi 3 centesimi in più per kg di latte.
La nuova norma è il frutto del patto per un latte sostenibile sottoscritto da una quarantina di organizzazioni di settore. Prevede che nella alimentazione animale rientri una elevata percentuale di foraggio fresco, il divieto di usare ingredienti non rispettosi per l’ambiente, come i prodotti della palma da olio, il contenimento nell’uso di antibiotici, l’impegno a seguire corsi di formazione sulle tematiche ambientali e del cambiamento climatico ed anche l’obbligo per gli allevatori di destinare almeno il 7% dei terreni coltivati ad attività volte ad accrescere la biodiversità.
L’obiettivo è un latte svizzero 100% “swissmilk green”
L’obiettivo è fare in modo che tutto il latte svizzero sia prodotto seguendo i criteri della norma “swissmilk green”, impegnando tutto il settore della trasformazione a riconoscere agli allevatori una remunerazione equa e trasparente, per premiare gli sforzi necessari ad ottenere un latte sostenibile.
La qualità viene ulteriormente declinata attraverso il concetto di sostenibilità, che riguarda tutti, anche e soprattutto i produttori di DOP.

Fonte: Swissmilk
Meno latte in Italia: perché e cosa attendersi? [intervista]1 Agosto 2019
Nei primi mesi dell’anno in corso le consegne di latte in Italia sono state inferiori rispetto allo stesso periodo del 2018.
Giovanni De Vizzi, Produttore latte e Presidente della Cooperativa Agricola Laudense, ha gentilmente messo a fuoco per gli utenti di TESEO i fattori che hanno determinato questa riduzione, ed ha condiviso le sue attese per la campagna 2019/2020.

Quali sono stati i fattori che hanno inciso sul rallentamento delle consegne di latte in Italia nei primi mesi del 2019?
Il caldo e la siccità del 2018 hanno causato ritardi di 20 / 30 giorni nella fecondazione di buona parte delle bovine da latte. Per queste bovine si è dunque perso, nel periodo interessato, circa un mese di produzione, generando una diminuzione complessiva della produzione di latte nell’ordine del -2% / -4%.
Il numero di vacche è in diminuzione. La chiusura delle stalle negli anni passati portava ad un ricollocamento di circa il 70% delle vacche dismesse e il restante 30% alla macellazione. Oggi la ripartizione è opposta.
Cosa ci possiamo attendere per la campagna 2019 / 2020?
Le temperature elevate di quest’anno avranno, probabilmente, effetto sulla base foraggera della prossima campagna. Si teme, infatti, una riduzione della disponibilità di foraggi nell’ordine del -15% / -20%, in alcuni casi anche del -25%.
Vacche ad alta produzione e solidi del latte6 Maggio 2019
Calcolare la produzione delle vacche da latte non semplicemente in litri ma come sostanza solida (milk solids – MS), significa considerare anche la quantità di proteine e grasso. Si tratta di un riferimento generalizzato in Nuova Zelanda e presente anche in paesi quali Irlanda e Regno Unito, che permette di valutare bene il valore produttivo dell’animale. Una vacca che produce 5.000 litri di latte col 3,8% di grasso ed il 3.4% di proteine,avrà il 7.2% di milk solids. La quantità totale di grasso prodotta sarà pari a 196 kg (5.000 x 1,03 x 0.038) mentre le proteine prodotte saranno pari a 175 kg. Quindi questa vacca in una lattazione produrrà 371 kg di milk solids. Si può ritenere che le vacche molto performanti arrivano a produrre anche mille kg di solidi, con un rapporto di 1,5 kg di milk solids per kg di peso vivo dell’animale.
Questi risultati dipendono dal miglioramento generale nella gestione della mandria, ma in particolare bisogna considerare quattro fattori:
- scelta del riproduttore,
- selezione della mandria,
- produzione foraggera,
- somministrazione della razione.
Per incrementare il contenuto in solidi del latte, è importante scegliere un riproduttore che migliori grasso e caseina, ma occorre guardare anche al mantenimento della quantità di latte prodotto.
La migliore genetica deve essere utilizzata non solo per le migliori giovenche, ma per tutta la mandria. Si può infatti considerare che circa il 60% delle vacche giovani siano geneticamente superiori al resto della mandria e dunque un miglioramento produttivo generale non può che considerare tutti gli animali.
Il miglioramento nel contenuto delle sostanze solide del latte non può poi prescindere dalla qualità del foraggio. Dunque sfalciare precocemente e con intervalli regolari per accrescere il valore nutritivo e l’ingestione del foraggio.
Riguardo la somministrazione della razione, diventa essenziale premiscelare gli ingredienti in modo meticoloso. Usando insilato, questo deve essere di qualità elevata, trinciato a circa 10 mm e la cui sostanza secca non dovrebbe essere inferiore al 35%.
Fonte: eDairyNews.com
Il parere dell’Allevatore
Indici riferiti alla produttività ed al contenuto di grasso e proteine nel latte sono diffusi in tutti i Paesi del Mondo.
Le diverse “esperienze” e destinazioni del latte in tali Paesi portano a definire indici differenti: ad esempio in Italia si pone particolare attenzione all’indice di caseificazione.
Tuttavia, sarebbe utile uniformare tali indici tra i Paesi al fine di renderli comparabili.
Nino Andena, allevatore in Bertonico, Lodi – ITALIA

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Cina: la via del latte, fra potere e modernità2 Aprile 2019
La Cina ha un’insaziabile sete di latte.
Fino al XIX secolo questo prodotto era generalmente percepito come una bevanda apportata dai barbari invasori, cioè da quegli stranieri che avevano introdotto le vacche nei territori costieri conquistati durante la cosiddetta guerra dell’oppio. Lo consumavano, peraltro fermentato, solo alcuni gruppi etnici come ad esempio le popolazioni mongole, mentre il 95% della popolazione ne era intollerante. Durante l’epoca di Mao, si contavano in Cina appena 120 mila vacche e l’uso del latte era limitato solo alle persone più deboli, bimbi ed anziani od ai quadri superiori.
Negli anni 80 il latte in polvere apparse nei negozi cinesi come simbolo che proiettava il Paese verso il futuro
Tutto cambiò nel post maoismo: negli anni ’80 cominciò ad apparire nei negozi il latte in polvere il cui consumo venne percepito come una sorta di riscatto dalle umiliazioni del passato ed il simbolo dell’alimento che proiettava il Paese verso il futuro. In più, la progressiva urbanizzazione portava a sostituire una dieta tradizionalmente basata su prodotti vegetali con i prodotti animali in cui la carne, il latte, ma anche gli zuccheri, erano espressione di maggiore prominenza rispetto alla vita rurale. A questo ha contribuito poi lo stravolgimento nelle distribuzione alimentare e dunque la diffusione dei supermercati e la catena del freddo. Oggi la Cina ha circa 13 milioni di vacche, è il terzo Paese produttore al mondo ed il consumo pro capite è arrivato a 30 litri all’anno.

Il potere centrale, abbracciando l’economia di mercato, ha sposato la promessa capitalista di aumentare e diffondere il livello di benessere materiale. Il fatto di avere accesso in ogni parte del Paese al consumo dei prodotti animali, in primo luogo il latte, è uno dei segni tangibili del successo di questa scelta di modello economico centralizzato e capitalista.
Triplicare il consumo di latte e derivati nella dieta dei cinesi, tra gli obiettivi del tredicesimo piano quinquennale
Non sorprende dunque se nel tredicesimo piano quinquennale del partito al potere è indicato l’obiettivo di triplicare il consumo di latte e derivati nella dieta della popolazione cinese, che è pari ad 1,4 miliardi di abitanti, attraverso la conversione dei piccoli allevamenti in grandi fattorie industriali per fare della Cina il “paese del latte”, con uno stravolgimento non solo economico, ma anche sociale ed ambientale.
Per rispondere alla necessità delle imponenti infrastrutture e risorse ambientali, il Paese ha realizzato anche grandi acquisizioni di terreni ed unità produttive all’estero, oltre che accresciuto le importazioni di latte ma anche di materie prime per la nutrizione animale. La Cina già importa, ad esempio, quasi il 60% della soia commercializzata a livello mondiale.
Tutto questo sviluppo produttivo comporta però delle inevitabili ricadute: se i consumi lattieri si incrementeranno come previsto, le emissioni animali di gas in atmosfera aumenteranno del 35% e la Cina avrà bisogno di espandere del 32% le terre coltivabili. Se poi tutto questo latte dovesse essere importato, occorrerebbe la superficie di due Paesi come l’Irlanda.
Dunque questa via cinese del latte avrà delle ricadute a livello globale. Già questo è apparso nella fluttuazione dei prezzi mondiali di latte e derivati, ma diventerà ancor più evidente per l’impatto sull’ambiente. La Cina, con tutte le sue strade, diventa sempre più vicina e, in un certo senso, anche inquietante.

Fonte: The Guardian
Presenza sul territorio e interscambi culturali per agevolare l’export [Intevista a Scanavino – Cia]17 Gennaio 2019
“Quando il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ricevette i 100 uomini del Vino raccontò un aneddoto e cioè che una percentuale altissima di ingegneri cinesi aveva studiato in Germania e che, ritornando da classe dirigente in Cina, portarono la cultura del luogo in cui avevano studiato: la Germania. Ecco, se noi vogliamo crescere in Cina dobbiamo essere presenti, presidiare il luogo, cercare interscambi anche culturali. Solo così il made in Italy sarà vincente. I francesi erano storicamente presenti in Cina e oggi i nuovi ricchi bevono Champagne, Bordeaux e Borgogna. La crescita italiana è molto più lenta”. Parola di Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia-Agricoltori Italiani, che parte dal tema dell’internazionalizzazione in un’intervista con Clal.it.
Presidente Scanavino, l’export è sempre più la strategia vincente per il Made in Italy agroalimentare e il lattiero caseario non fa eccezione. Come si affrontano, però, i mercati esteri?
“Con la presenza sul territorio, come dicevo, e con la qualità. Per avere successo noi italiani dobbiamo pensare al latte con la crosta: o produciamo e commercializziamo formaggio, che ha un maggiore valore aggiunto, oppure non saremo mai competitivi rispetto ad altri paesi e, anzi, avremo difficoltà con tutto il resto del mondo”.
O produciamo e commercializziamo formaggio, oppure non saremo mai competitivi rispetto ad altri paesi
L’Africa è un continente vicino e che potrebbe rappresentare per l’Italia uno sbocco interessante per il lattiero caseario…
“Certamente. L’Africa ha una popolazione molto giovane e un PIL in crescita. Certo, ha anche molti problemi, ma è innegabile che i giovani con un po’ di soldi comprano proteine. Bisogna però avere strategie di mercato, possibilmente condivise e attuate attraverso azioni congiunte”.
Ad esempio?
“I cinesi in Eritrea hanno costruito ferrovie, autostrade, 75 km lineari di zona industriale. Anche noi dovremmo insediare alcune aziende, per diffondere anche la nostra cultura. Non è sufficiente solo vendere. Lo abbiamo visto alla fiera dell’Agricoltura di Meknès, in Marocco. C’è un grande interesse per le macchine agricole usate, che però devono essere certificate sul piano della sicurezza. Ecco, possiamo contare su un ente qualificato come Enama, perché non aprire un ufficio là? Sarebbe un servizio che facciamo anche agli italiani, per instaurare relazioni di contiguità costante, che francesi e olandesi hanno fatto”.
L’India ha intenzione di aumentare le produzioni di latte e ha quantitativi ingenti di polvere di latte. Questo potrebbe avere conseguenze sul prezzo del latte in Europa, che non riesce a smaltire i propri magazzini. Cosa fare?
(intervista rilasciata prima di Ottobre 2018 quando i magazzini hanno incominciato a diminuire a seguito di aste organizzate dalla commissione UE)
“Quello degli stock di polvere di latte è un macigno che può crollarci addosso. Bisogna trovare un sistema efficace per smaltire i magazzini comunitari, magari in ambienti non alimentari, per l’alimentazione zootecnica. E poi monitorare con attenzione i movimenti dell’India, perché se cominciasse a esportare, ad esempio nel vicino Sud Est Asiatico, le ripercussioni sui mercati internazionali credo non si farebbero attendere, con conseguenze negative anche per l’Europa. In questo caso dovremmo essere noi europei a individuare nuovi mercati a più alto valore aggiunto e cercare di occuparli”.
Se l’India cominciasse a esportare, le ripercussioni sui mercati internazionali non si farebbero attendere
Che benefici ha portato l’etichettatura obbligatoria dei prodotti lattiero caseari?
“Come Cia-Agricoltori Italiani siamo sempre stati favorevoli all’etichettatura, come strumento di informazione del consumatore. Ma se ci illudiamo che tutti i consumatori oggi chiederanno solo materia prima italiana al 100%, allora siamo fuori strada. Chi sostiene questo mente sapendo di mentire. L’Italia ha una grande forza, che è frutto delle proprie indicazioni geografiche e che si basa su un sistema di certificazione volontario. Chi non aderisce ai controlli alla fonte e alla vendita rinuncia al marchio e rimane fuori. L’obbligatorietà non è sinonimo di qualità. Anzi. Bisognerebbe, piuttosto, scegliere un sistema e contribuire in modo che diventi virtuoso, incentivando le promozioni sulle DOP e attuare politiche che sostengano effettivamente il Made in Italy. Quando alcune Regioni nei PSR hanno subordinato l’erogazione dei fondi al fatto che trasformassero la materia prima del territorio, hanno fatto bene. Come produttori dobbiamo fare aggregazione e spingere verso consumi virtuosi, che sostengano il territorio”.