Una OP per allevamento e macello migliora la conoscenza [intervista]
25 Novembre 2019

Lorenzo Fontanesi
ITALIA

Lorenzo Fontanesi, produttore di 50mila maiali all’anno allevati su più siti a cavallo delle province di Mantova, Reggio Emilia e Modena, è una figura di spicco del settore suinicolo. Presidente di OPAS, organizzazione di produttori che conferisce circa un milione di suini al macello cooperativo di Carpi di cui è proprietaria, Fontanesi è riuscito ad aggregare i suinicoltori intorno al progetto ambizioso di gestire un macello, portandolo su numeri da primi della classe in Italia. Partiamo proprio da qui.

Lorenzo Fontanesi – Presidente OPAS

Presidente Fontanesi, quali sono i vantaggi di poter gestire, come OP, un macello?

“Il vantaggio più importante è la maggiore conoscenza della filiera, perché solo gestendo un macello riesci a capire più approfonditamente le dinamiche di mercato e le esigenze della catena produttiva. In questo modo trasmetti direttamente a chi produce le necessità di chi sta a valle del macello, dall’industria di trasformazione ai prosciuttifici”.

È stata un’evoluzione inaspettata?

“Sì. Siamo relativamente giovani nella gestione del macello di Carpi, dal 2014. Ma è stata una scelta naturale, che ha permesso di salvare l’ex macello Italcarni e ci ha fatto crescere, diversificando le produzioni e garantendo in prima persona come allevatori della genuinità dei processi di allevamento, attraverso filiere diversificate e mirate a rispondere alle richieste dei consumatori”.

Eat Pink Opas

Dove si stanno orientando i consumatori?

“La qualità è ormai un prerequisito. Oggi l’attenzione è legata al benessere animale, all’uso consapevole del farmaco, ai prodotti pronti all’uso, che noi vendiamo con il marchio Eat Pink. Rispondiamo in maniera più fluida alle necessità  del consumatore, dell’industria e della grande distribuzione organizzata, grazie a un dialogo più aperto e collaborativo, perché chi si confronta con noi sa che siamo anche allevatori”.

Quali sono invece le difficoltà principali nella gestione del macello?

“Sicuramente, visto che siamo diventati in pochissimo tempo il primo macello in Italia per numeri di capi macellati, il punto più critico riguarda la gestione finanziaria, con risorse impiegate molto ampie e una velocità di processo rapida e costante”.

L’esposizione finanziaria e la gestione operativa sono le principali difficoltà del macello

Che cosa significa, concretamente?

“Significa che come macello paghiamo subito i maiali, mentre i tempi per incassare dalla vendita dei vari tagli sono più lunghi, con conseguente esposizione finanziaria. Ancora più impegnativa è la gestione operativa del macello, che ha volumi e ritmi impressionanti: ogni settimana è un bilancio a sé e la settimana successiva non è mai uguale alla precedente. Tutto questo impone tempi di reazione velocissimi, garantendo sempre il ritiro e la macellazione dei suini”.

Cosa prevede per il mercato da qui a fine anno?

“La pesantezza del mercato del prosciutto dovrebbe continuare anche nel primo semestre 2020”

“Fare le previsioni è sempre un azzardo. Diciamo, però, che si consolida una situazione non particolarmente fluida per effetto del mercato dei prosciutti. Temo però che la pesantezza del mercato del prosciutto si trascinerà per buona parte del primo semestre 2020”.

Quali sono le cause di quella che definisce pesantezza del mercato del prosciutto?

“Spiace dirlo, ma credo che la situazione in cui oggi si trova il mercato sia figlia di una programmazione superficiale da parte del Consorzio di Tutela del Prosciutto di Parma. I dati ufficiali relativi al bilancio 2018 del Consorzio evidenziano una produzione di 9,1 milioni di prosciutti, a fronte di quote produttive di 9,5 milioni di cosce e di un mercato che, però, ne assorbe 8,5 milioni”.

Quindi?

“Purtroppo si sono sbagliati i conti, forse illusi da un biennio 2016-2017 molto positivo, ma che ha portato a forzare le produzioni nel 2018, con conseguente stoccaggio eccessivo di pezzi nei magazzini e crollo dei listini. Ma così si è dovuto ricorrere a una svendita di una Dop prestigiosa. Non ultime, le vicende sul benessere animale e delle genetiche, gestite in maniera scandalistica, con effetti destabilizzanti sulle vendite. Uno scenario che ha condizionato i prezzi di tutto il maiale, dal momento che oggi le cosce rappresentano il 50% del valore dell’intero animale”.

Questa situazione ha avuto conseguenze anche sulla qualità del prosciutto?

“Quello che vediamo è sempre frutto di un percorso. La situazione attuale nasce e si sviluppa nell’ultimo decennio, che ha portato inevitabilmente a una spaccatura della filiera, con ciascun soggetto coinvolto che si limitava a guardare il proprio orticello.

Nel periodo ante 2016 l’allevatore ha sofferto molto, rispondendo così alla crisi cercando di produrre suini più performanti in termini di resa, impattando così negativamente sulle reali necessità della salumeria Dop, che necessita invece di animali più grassi. Così facendo ci siamo andati a confondere con il suino estero, creando molta più variabilità nelle caratteristiche organolettiche del prosciutto, andando a compromettere i livelli raggiunti di un’ottima standardizzazione qualitativa delle produzioni. Abbiamo così avuto un abbassamento non tanto della qualità, ma della uniformità dei risultati. Effetto anche di una crociata dei consumatori contro i grassi, che ha portato ad avere non più un solo mercato, ma molti mercati, dalla GDO all’estero, alle nicchie, con esigenze qualitative diverse. L’allevatore, inevitabilmente, si è adeguato. Parallelamente, è emersa l’esigenza di segmentare le produzioni per dare maggiore chiarezza. Una richiesta che è stata avanzata anche al Consorzio del Prosciutto di Parma e che richiede che il consumatore sia adeguatamente informato”.

Il Consorzio del Prosciutto di Parma è disponibile a diversificare l’offerta, pur rimanendo nell’ambito della DOP

Il Consorzio ha recepito?

“Sì. Sembra finalmente disponibile a recepire in senso generico la possibilità di diversificare l’offerta, pur rimanendo nell’ambito della Dop. Una risposta che evita il rischio di disaffezionare il consumatore al prodotto prosciutto di Parma”.

Avete progetti come OP per migliorare il benessere animale?

“Al nostro interno abbiamo un servizio tecnico che collabora con i veterinari e che accompagna gli allevatori nello sviluppare diverse filiere, fra le quali anche quella sul benessere animale. Il fatto di essere una OP e di gestire un macello ci porta a individuare le best practice in allevamento e condividerle con gli altri allevatori, per portare benefici collettivi”.

Il macello cooperativo di OPAS

Multifunzione e benessere, per rispondere alle esigenze dei consumatori [intervista]
26 Luglio 2019

Leonardo Venturin
Spresiano, Treviso – ITALIA

Leonardo Venturin
Leonardo Venturin

Azienda Agricola Venturin
Capi allevati: 550 | 260 in lattazione
Ettari coltivati: 250
Destinazione del latte: formaggi e latte alimentare

Chi l’ha detto che i consumatori di città e di campagna sono uguali?

Guai a pensarlo e la famiglia Venturin, allevatori con un’azienda agricola a Spresiano (Treviso), a pochi chilometri dalle colline del prosecco, lo sa bene.

Innanzitutto, uno sguardo ai numeri. Ce li fornisce Leonardo Venturin, che si occupa di vendita dei prodotti e della parte burocratica, che in un’azienda agricola è un bel peso. In tutto sono quattro fratelli. Oltre a Leonardo, ci sono Lucio, che si occupa del caseificio aziendale; Luca, impegnato nelle operazioni in campagna di coltivazione dei terreni, e Mauro, che gestisce una mandria di 260 capi in lattazione di frisona italiana e jersey. Poi ci sono nove dipendenti, in servizio tutto l’anno.

Ogni giorno vengono lavorati 40 quintali di latte al giorno per la produzione di latte alimentare e formaggi: molli, formaggi a pasta filata, formaggi stagionati a pasta dura e semi-stagionati a pasta semidura.

I restanti 45 quintali di latte prodotti ogni giorno vengono venduti a un caseificio privato con contratto di fornitura annuale.

Gli ettari coltivati sono circa 250 ettari tra proprietà e affitto, seminati a mais, medica, loietto, frumento e sorgo.

Cifre a parte, che sono necessarie comunque per inquadrare le dimensioni e l’attività aziendale, gli aspetti interessanti riguardano la vendita diretta e il ruolo dei consumatori. La sostenibilità, concetto di cui si sente parlare molto di questi tempi, interessa in maniera diversa i consumatori di città e di campagna. Lo conferma Leonardo Venturin, mentre racconta la scelta di avere due punti vendita fissi: uno a Spresiano, dove ci sono azienda e caseificio e uno a Treviso, a ridosso del centro storico.

Perché la scelta della città?

“Perché la città non si muove. Chi vive in città non si mette in macchina per raggiungere il punto vendita che abbiamo a Spresiano. Sono clientele diverse quelle di città e di campagna e hanno consumi diversi”.

Tipo?

I clienti della città si informano sull’allevamento e la filiera

“Sono proprio due tipologie differenti. Un cliente a Treviso tende a venire 3-4 volte alla settimana, predilige il prodotto più fresco e porzioni più piccole, mentre a Spresiano vengono una o massimo due volte alla settimana. Inoltre, a Treviso l’età media del consumatore è più alta, sono pochi i ragazzi in negozio. In città, ancora, chiedono che il prodotto sia rispettoso dell’ambiente, si informano sull’allevamento e la filiera, sulla modalità di trasformazione, cercano più il km0. In campagna danno per scontato il km0, la trasformazione e non chiedono di sostenibilità”.

Come stanno andando le vendite di latte fresco?

“Dai primi anni in cui abbiamo aperto la vendita diretta abbiamo assistito a un calo del 50% e oltre. Noi vendiamo latte fresco intero e parzialmente scremato in formati da litro in pet. Adesso ne vendiamo circa 1.300 quintali l’anno. Prima erano quasi 2.700. Anche in questo caso abbiamo registrato una differenza tra consumatori di città e di campagna. A Treviso cercano un formato più piccolo, da mezzo litro. Erano addirittura disposti a pagarlo di più, sebbene oggi si siano abituati al formato da litro, l’unico che proponiamo”.

Come mai avete deciso di avere un caseificio aziendale?

Stiamo studiando nuove tecnologie per aumentare la shelf life dei formaggi ed esportarli

“Eravamo stanchi di trattare ogni due o tre mesi il prezzo del latte e volevamo dare un valore aggiunto nostro prodotto. Da qui la decisione di un caseificio aziendale, col bollo Ce per vendere alla GDO e ai negozi. Il bollo Ce ci permetterebbe anche di esportare e, proprio con questa finalità, stiamo studiando nuove tecnologie per aumentare la shelf life dei formaggi freschi”.

È stato facile o complicato realizzare il caseificio interno?

“Il primo progetto risale al 2004, mentre il caseificio è entrato in attività il 2 gennaio del 2009. I tempi si sono allungati per colpa della burocrazia. Gli uffici fornivano informazioni centellinate e questo ha rallentato la realizzazione”.

Che margine di guadagno assicura il caseificio e la vendita diretta rispetto alla consegna del latte?

“Un 30% in più sul latte lavorato”.

A quanto vendete il formaggio stagionato?

Un caseificio aziendale per dare un valore aggiunto al nostro prodotto

“Lo proponiamo a 14,50 euro al chilogrammo”.

Possiamo definirlo un formaggio tipo grana?

“Sì, perché è così”.

A livello di innovazioni avete realizzato anche un impianto di biogas con l’azienda Rota Guido. Siete soddisfatti?

“Assolutamente sì. Lo abbiamo costruito nel 2016;ha una potenza di 100 kw ed è totalmente alimentato a deiezioni. Il digestato viene poi utilizzato in campo, dal momento che siamo in zona vulnerabile ai nitrati, essendo vicini al Piave”.

Quando i consumatori vi chiedono di sostenibilità e ambiente, voi cosa rispondete?

Ci stiamo certificando come lotta integrata

“Raccontiamo la nostra posizione. Fino a marzo di quest’anno avevamo la certificazione QV, Qualità Verificata. Adesso ci stiamo certificando come lotta integrata, così prendiamo un raggio più ampio, dal seme al formaggio”.

Fate bio?

“No. Abbiamo alimenti biologici, ma non facciamo biologico. Abbiamo pochi appezzamenti grandi ed essendo superfici medio-piccole sono vicine ad aree convenzionali. Per questo dovremmo avere aree di rispetto enormi”.

Quante lattazioni fa di media una vostra vacca?

“Arriviamo a 5-6 parti. Se le vacche non hanno problemi, non le andiamo a riformare. Abbiamo anche bovine di 12 anni che producono quantità e qualità. D’altronde, chi fa l’allevatore sa bene che rispetto dell’ambiente e benessere animale passano anche da lì”.

Quanto produce una vostra vacca?

“Abbiamo una media di 32 chili di latte al giorno. Siamo sui 90-95 quintali all’anno”.

Quali azioni avete messo in piedi per il benessere animale?

“Gli spazi più ampi permettono all’animale di muoversi. D’estate abbiamo ventilazione forzata con raffrescamenti, alimentazioni equilibrate e salubrità degli alimenti. Tutti accorgimenti che si riflettono sul benessere degli animali”.

Quali sono gli aspetti più entusiasmanti del suo lavoro?

Vedere che ciò che facciamo viene apprezzato dai clienti dà modo di andare avanti

“Lavorare con gli animali e vedere che quello che facciamo viene apprezzato dai clienti dà modo di andare avanti, nonostante le mille difficoltà che ci sono”.

Che investimenti ha fatto di recente e quali investimenti ha programmato?

Offriamo educazione alimentare attraverso una sala degustazione ed incontri su misura

“Oltre al biogas abbiamo rinnovato il parco macchine per la fienagione e abbiamo dato il via all’iter per ampliare di nuovo il caseificio e lo spazio commerciale, in modo da avere una sala degustazione e fare incontri su misura per fare conoscere il prodotto e l’attività dell’azienda. L’educaizone alimentare è per noi un valore aggiunto da offrire. Grazie all’opportunità introdotta con la nuova legge di Bilancio stiamo cercando aziende agricole per vendere anche i loro prodotti e ampliare la gamma di prodotti in vendita. Inoltre, vorremmo anche ampliare l’area per il bestiame e fare un percorso didattico per visite guidate. Ho fatto il corso di agriturismo per le fattorie didattiche e credo sia utile un servizio così”.

Azienda Agricola Venturin
Azienda Agricola Venturin
Il Caseificio dell’Azienda Agricola Venturin
Spaccio di Treviso
Spaccio di Trevis
Spaccio di Spresiano
Spaccio di Spresiano
Furgone Venturin
Furgone Venturin
Azienda Agricola Venturin
Azienda Agricola Venturin

Crisi suinicoltura, la ricetta di Claudio Veronesi [intervista]
8 Aprile 2019

Claudio Veronesi
Sustinente, Mantova – ITALIA

Mala tempora currunt per la suinicoltura italiana. Fra Ottobre e Marzo i listini dei suini grassi da macello, punto di riferimento per i distretti produttivi dei prosciutti Dop, hanno perso il 27%, comportando una perdita per maiale di circa 65 €.

Claudio Veronesi, allevatore di suini di Sustinente (MN)

TESEO by Clal.it ne ha parlato con Claudio Veronesi, allevatore di Sustinente (Mantova). Conduce un’azienda a ciclo chiuso gestita tramite otto siti produttivi, con 1.200 scrofe e 32.000 maiali allevati ogni anno, tutti rigorosamente antibiotic free, conferiti al macello Mec Carni.

Veronesi, da cosa è dipesa la crisi dei prezzi dei maiali?

“La crisi è di natura mondiale. La sovrapproduzione di alcuni Paesi europei influisce sulle quotazioni. Se la materia prima si riversa in Italia, inevitabilmente diminuiscono i listini anche del prodotto italiano, benché sia strutturalmente e intrinsecamente diverso il suino pesante allevato per le produzioni Dop come i prosciutti di Parma e San Daniele”.

Quali soluzioni possono invertire tali effetti?

L’etichettatura è una delle soluzioni più attuabili

“L’etichettatura è una delle soluzioni attuabili, perché ad oggi è marginale. Completare ed estendere la tracciabilità permettere al consumatore di acquistare più informato e, soprattutto, di caratterizzare meglio le produzioni Made in Italy”.

Gli allevatori da sempre sono contrari all’attuale versione del “decreto salumi”. Cosa si dovrebbe fare, a suo avviso?

“Andrebbe rivisto. Oggi si parla di prevalenza di carne suina italiana nei salumi lavorati in Italia, ma per prevalenza si intende anche il 50,5% o il 51%. Invece con una tracciabilità più completa e con l’obbligo di impiegare solo carne italiana, andremmo a ristabilire un maggiore equilibrio, finiremmo di dipendere dal sistema internazionale e daremmo maggiore soddisfazione agli allevatori di casa nostra”.

Serve una rappresentanza con diritto di voto all’interno dei consorzi dei prosciutti di Parma e San Daniele?

“Assolutamente sì e si sta lavorando al ministero delle Politiche Agricole per ottenere un risultato che potrebbe cambiare pesantemente le politiche di indirizzo dei principali consorzi di tutela. Come allevatori vogliamo essere rappresentati da un terzo dei consiglieri nominati all’interno dei consorzi. Questa posizione degli allevatori non piace, ovviamente, ai macellatori. Poco importa, su questa strada siamo decisi ad andare avanti”.

Come si declina il benessere animale?

Allevare animali felici significa produrre di più e meglio

“Non solo assicurando maggiori spazi agli animali. Anche aspetti come la pulizia, i giochi sono altrettanto indispensabili. Molto spesso gli allevatori sono sotto attacco sul fronte del benessere. Eppure non esiste allevatore che non cerchi di allevare animali felici, perché significa avere animali sani, ridurre i farmaci, produrre di più e meglio. Molto spesso una frangia dell’opinione pubblica è contro a prescindere o pubblicizza qualche caso isolato per montare campagne contro l’allevamento”.

Quali sono, secondo lei, le principali azioni che vanno in direzione della sostenibilità?

“Vi sono molti aspetti sui quali è indispensabile lavorare. Penso ad esempio al riutilizzo dell’acqua in allevamento, per ridurre l’impronta idrica. Il riciclo dell’acqua è un elemento basilare. Anche l’abbattimento degli odori è un esempio di miglioramento da intraprendere, così come, in un’ottica di sostenibilità sia ambientale che economica è necessario prevedere soluzioni per l’interramento dei reflui zootecnici. In questo caso, ad esempio, si potrebbe ridurre l’apporto di sostanze chimiche nel terreno e migliorarne la fertilità”.

Quali investimenti ha in programma?

L’UE ha previsto spazi liberi per le scrofe dal 2025

“In questo momento stiamo finendo una struttura destinata alla rimonta, dove ospiteremo le scrofe dai 30 ai 120 chilogrammi, un mese prima cioè della fase di ingravidamento. Stiamo costruendo degli spazi aperti, dove le scrofe saranno libere di muoversi. L’Unione Europea ha previsto l’abolizione delle gabbie per le scrofe, e dunque spazi liberi, dal 2025. Noi vogliamo portarci avanti. Proprio in quest’ottica, stiamo già costruendo un capannone dedicato alle sale parto, che sarà in funzione entro la fine dell’anno”.

Quali sono i suoi hobby?

“Uscire con gli amici durante la settimana. E poi viaggiare, preferibilmente al mare”.

Scopri lo Slideshow con i dati aggiornati:
patrimonio suino, carne suina, import e quotazioni! >

TESEO amplia l’informazione per il mondo agricolo con la nuova area dedicata ai SUINI.

Un allevamento sano si può raccontare [intervista]
29 Marzo 2019

Arianna Nordera
San Martino Buon Albergo, Verona – ITALIA

Azienda Agricola: Società Agricola Nordera
Capi allevati: 1.100 | 550 in lattazione
Ettari coltivati: 150
Destinazione del latte: Parmalat

“Gli allevatori e la zootecnia sono costantemente posti all’indice, sotto attacco da una seria spropositata di fake news che non fa bene alla società, all’economia, ai consumi, alla qualità di vita. Non ci basta la burocrazia, oggi dobbiamo mettere in conto una quota del nostro tempo già scarso per cercare di smentire notizie totalmente false, create per danneggiarci”.

L'allevatrice Arianna Nordera
L’allevatrice Arianna Nordera

C’è preoccupazione nelle parole di Arianna Nordera da San Martino Buon Albergo (Verona), allevatrice con una super-stalla di 1.100 capi di Frisona, dei quali 550 in lattazione. La produzione di latte si aggira sui 6,2 milioni di chilogrammi di latte all’anno, conferiti a Parmalat.

Un’azienda che potrebbe essere presa a modello in questo decennio in cui la Fao celebra l’agricoltura familiare: ci lavorano, infatti, sette cugini. Luca gestisce la stalla, Arianna l’amministrazione e la contabilità, Matteo il biogas e l’allevamento di trote, Ivano segue l’allevamento di maiali, mentre Mariano, Alessandro e Andrea gestiscono semine, raccolti e terreni. In più, ci sono sei dipendenti.

Un’azienda multifunzionale, in cui anche il fabbisogno energetico è coperto (in parte) da un impianto biogas da 100kwatt, che funziona esclusivamente con le deiezioni animali.

L’alimentazione del bestiame è assicurata quasi integralmente dalle produzioni aziendali: mais, frumento, sorgo e prato stabile ottenuti con la lavorazione di 150 ettari di superficie tra proprietà e affitto.

Per la cronaca dobbiamo menzionare come attività aziendale anche i due allevamenti di trota iridea con annesso incubatoio, nel quale si fanno schiudere le uova già embrionate, e un allevamento per lo svezzamento dei suini con 3.300 capi a ciclo per sei cicli annuali. Con Arianna Nordera ci concentriamo però sull’indirizzo lattiero dell’azienda.

I dati raccontano di consumi di latte in calo. Che cosa suggerirebbe per incrementare i consumi?

“Bisogna cominciare a contrastare le fake news. È desolante dover subire attacchi scomposti e ingiustificati, ai quali molta gente purtroppo crede. In troppi hanno pregiudizi sbagliati contro il latte. Questo oscura l’attività di molti allevatori onesti e si mettono in crisi filiere che lavorano”.

Avete un’azienda multifunzionale e di grandi dimensioni. Che attenzione riservate alla sostenibilità?

“Abbiamo la massima cura verso animali per incrementare il benessere e ridurre l’impatto dei medicinali. Nel 2018 abbiamo speso meno di 50 euro a capo per le spese mediche, una cifra che comprende il vaccino e la cura per l’asciutta. Due volte l’anno facciamo la mascalcia generale a tutti i capi, che ha effetti positivi contro le zoppie e, di conseguenza, anche sulla produttività e l’animal welfare. Inoltre, da due anni abbiamo introdotto un nuovo metodo di pulizia della mammella, con straccetti in microfibra, che vengono lavati due volti al giorno. In questo modo abbiamo calato sensibilmente le cellule somatiche, la carica batterica e le patologie alla mammella.

Ogni mercoledì si fanno le diagnosi di gravidanza sulle vacche fecondate per migliorare il pregnancy rate. Abbiamo una gestione informatizzata della mandria, con appunto fecondazioni sincronizzate, piani di accoppiamento studiati per il miglioramento genetico della mandria.

Le stalle sono state realizzate completamente aperte, anche in inverno. E in estate, quando aumentano le temperature, abbiamo installato un impianto di raffrescamento sia nelle stalle che nella sala d’attesa prima della mungitura. Questo ci ha permesso di migliorare la quantità e la qualità del latte e il benessere dei capi.

La sostenibilità è un continuo investimento, ma assicura ritorni positivi in chiave economica, di benessere e di immagine

La sostenibilità è un continuo investimento, ma che assicura ritorni positivi in chiave economica, di benessere e di immagine. Un allevamento sano si può raccontare”.

Infatti voi cercate di raccontarlo.

Desideriamo che i giovani siano consapevoli di come viene prodotto ciò che mangiano

“Sì. Ospitiamo spesso gli alunni delle scuole, perché conoscano la zootecnia, imparino a rispettare gli animali e vedano come si produce il latte. I giovani sono i consumatori di domani, desideriamo siano consapevoli di quello che mangiano e come viene prodotto”.

Quali investimenti avete in programma?

“Stiamo ipotizzando a un ampliamento della stalla. Prima una nuova struttura e poi un incremento del numero delle bovine. Ci stiamo pensando”.

Avete la giostra rotante da 40 posti per la mungitura. Come vi trovate?

“L’abbiamo installata nel 2007, siamo stati fra i primi in Italia. Ci troviamo molto bene”.

Come utilizzate il digestato ottenuto dalla fermentazione anaerobica per la produzione di biogas?

“Lo usiamo nei terreni e come conseguenza abbiamo un 20% di produzione in più sui foraggi. Allo stesso tempo abbiamo ridotto l’acquisto di concimi chimici. Un duplice vantaggio”.

Come mai voi che siete in una zona di produzione di formaggi Dop conferite a Parmalat per la produzione di latte alimentare?

“Sono 40 anni che consegniamo il latte allo stabilimento di Zevio. Abbiamo avuto qualche perplessità dopo il crac di Parmalat e l’acquisizione da parte di Lactalis, ma sinceramente il nostro rapporto non è mai cambiato, sempre nel massimo rispetto e secondo i patti stabiliti. Ci troviamo bene e la fiducia è ben riposta”.

Che aspettative ha per il 2019?

“La speranza è che salga di prezzo. Siamo sui 40 centesimi e rispetto agli anni scorsi si respira, ma sono aumentati i costi di produzione. Servirebbe un riconoscimento più alto sul latte”.

Società Agricola Nordera

Ricerca e attenzione ai cambiamenti climatici nel futuro di Assalzoo [intervista]
24 Gennaio 2019

È un settore cruciale per l’agricoltura, una cerniera fra zootecnia e industria. La mangimistica oggi ha di fronte molteplici sfide, dai cambiamenti climatici alla sostenibilità, dalla sicurezza alimentare alla qualità igienico-sanitaria. Ne abbiamo parlato con Marcello Veronesi, presidente di Assalzoo, l’associazione di rappresentanza delle industrie mangimistiche, aderente a Confindustria.

Marcello Veronesi – Presidente Assalzoo

I cambiamenti climatici influiscono sempre di più sulla produzione dei mangimi. Quali soluzioni si devono adottare in campo e nella fase di trasformazione e quanto incide sui costi?

I cambiamenti climatici rappresentano un’incognita con cui il settore agricolo deve confrontarsi ad ogni annata. Un settore come il nostro, fortemente dipendente dalla produzione di cereali e semi oleosi risente in modo importante di quelli che possono essere gli effetti dei cambiamenti climatici sulla produzione, esponendolo così alla volatilità dei prezzi.

Se penso all’andamento meteoclimatico degli ultimi anni in Italia è evidente che l’agricoltore è esposto ad una incertezza e ad un rischio costante. Risulta fondamentale l’applicazione delle buone pratiche agricole, ma occorre anche mettere a disposizione dei nostri agricoltori gli strumenti per far fronte alle nuove sfide imposte dai cambiamenti climatici: fitosanitari, capacità di irrigazione e soprattutto sementi sviluppate per far fronte a problematiche specifiche del nostro territorio. Attualmente la grossa problematica che stiamo vivendo è legata alla disponibilità e alla qualità del mais, le semine sono in calo ed è più che comprensibile considerate le difficoltà cui l’agricoltore deve far fronte per gestire il fenomeno micotossine.

Occorre mettere a disposizione dei nostri agricoltori gli strumenti per affrontare le nuove sfide imposte dai cambiamenti climatici

Non è così immediato quantificare i costi, occorrerebbe fare una analisi distinta per tipologie di problemi. A titolo di esempio l’Italia, un tempo autosufficiente per il mais, lo scorso anno ha importato un quantitativo di mais per un controvalore di circa 1 miliardo di euro. Un valore che come “Sistema Italia” preferiremmo remunerasse i nostri agricoltori.

L’assenza di accordi internazionali o il rischio di dazi che riflessi avrà sulle commodity?

L’Italia è un paese fortemente deficitario. Il comparto food-feed importa oltre il 50% del suo fabbisogno, pertanto l’approvvigionamento dall’Europa o da Paesi Terzi è di importanza strategica, se non addirittura vitale. Per noi il mercato unico a livello europeo e gli accordi commerciali di libero scambio sono fondamentali. Mettere in discussione gli accordi determinerebbe barriere tariffarie che, aumentando il costo delle materie prime, costituirebbe un handicap dal punto di vista della competitività delle nostre produzioni.

Il mercato unico europeo e gli accordi di libero scambio sono fondamentali

Ancor più subdole le cosiddette barriere non tariffarie che di fatto possono avere ricadute molto pesanti sino alla mancata disponibilità del prodotto. Un paio di esempi su tutti: la presenza di residui di fitosanitari superiori ai limiti imposti dalla UE e la presenza di eventi GM non ancora autorizzati in Europa, ma coltivati in altre parti del mondo, comportano il rischio di bloccare l’importazione da interi Stati o continenti. Su quest’ultimo punto la situazione potrebbe divenire ancor più difficile alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea secondo cui i prodotti ottenuti con le New Breeding Techniques (NBT) dovranno seguire il medesimo processo autorizzativo degli OGM, a differenza di quanto sta avvenendo in altri Stati.

Inutile e controproducente demonizzare alcuni accordi internazionali perché non tutelano il 100% di prodotti nazionali: guardiamo, piuttosto, all’aspetto positivo ossia che tutelano una parte importante del nostro Made in Italy.

Quali saranno le linee guida del suo mandato? Quali sono le prospettive di Assalzoo?

Sto strutturando il mio mandato per ridare la giusta centralità e dignità al nostro settore. Un settore che è legato a doppia mandata al nostro comparto agricolo e che rappresenta un partner fondamentale per raggiungere la competitività del settore zootecnico.

Le parole d’ordine della mangimistica di domani sono: sostenibilità, sicurezza e visione comune.

Occorre ridurre al minimo le distorsioni di mercato e garantire la sicurezza alimentare lavorando sul nostro tessuto imprenditoriale, per coinvolgerlo e sensibilizzarlo a guidare l’innovazione che ci permetterà di garantire anche produzioni più sostenibili. Un lavoro di squadra lungo tutta la filiera per salvaguardare e proteggere i nostri prodotti alimentari.

Cosa ritiene prioritario nella discussione della Pac 2021-2027? Quali sono le richieste di Assalzoo?

In vista della discussione della nuova PAC, Assalzoo auspica che il governo italiano garantisca una costante presenza ai tavoli di trattativa a Bruxelles. Considerata l’importanza strategica del settore agricolo è fondamentale che il bilancio destinato alla PAC non subisca ulteriori tagli.

Assalzoo ritiene che occorrerebbe agire su 4 punti:

  1. rivedere il sistema di aiuti all’agricoltore per fare fronte agli oneri aggiuntivi richiesti dall’UE sul rispetto di parametri sempre più severi in termini di sicurezza alimentare, qualità igienico-sanitaria, benessere animale, condizionalità ambientale, lavoro, ecc. Parametri che rischiano di creare seri problemi di competitività rispetto ai Paesi terzi. In questo caso è certamente utile ipotizzare forme di aiuto accoppiato alla reale produzione e specificamente mirate al perseguimento degli adempimenti richiesti;
  2. prevedere misure di gestione del rischio, con l’introduzione di sistemi di assicurazione per proteggere il reddito;
  3. promuovere un programma coordinato di ricerca in agricoltura; fondamentale, accanto ai Big Data, all’Agricoltura di Precisione, è l’utilizzo delle nuove biotecnologie, ampiamente accessibili anche ai centri di ricerca pubblica, per migliorare le produzioni, garantendo la loro sostenibilità economica e ambientale, nonché la tutela della specificità di molte produzioni tradizionali tipiche;
  4. favorire una forte semplificazione per l’accesso alle misure della Pac oggi eccessivamente complessa, burocratizzata e costosa, con tempi incerti dei pagamenti e con oneri che spesso superano i benefici.

Marcello Veronesi – Presidente Assalzoo

Si sta diffondendo in Pianura Padana l’alimentazione a secco per la produzione di latte fieno? Quale sviluppo prevede e quali altri cambiamenti investiranno la zootecnia da latte nei prossimi anni?

La definizione latte di solo fieno è delle produzioni dell’Alto Adige, mentre a livello nazionale per latte e fieno intendiamo un’alimentazione a secco costituita da fieni e mangimi composti, senza utilizzo di insilati.

Il loro crescente utilizzo a scapito dell’insilato è funzionale all’obiettivo principale dei nostri allevatori: la qualità del latte. La maggior parte del latte prodotto in Italia è destinato a produzione casearie di eccellenza Parmigiano Reggiano, Grana Padano ma anche Gorgonzola, Taleggio, Provolone, Asiago e molti altri.

La diffusione dell’alimentazione a secco dipende da diversi fattori che nelle diverse tipologie aziendali indirizzano verso questa scelta.

L’alimentazione a secco presenta vantaggi tecnologici ed economici:

  • da un punto di vista nutrizionale è più costante e rispetta maggiormente le esigenze fisiologiche della vacca;
  • favorisce le tradizionali attitudini casearie del latte (non è un caso che nella produzione del Parmigiano Reggiano gli insilati siano proibiti) e permette di ottenere prodotti migliori dal punto di vista organolettico;
  • semplifica moltissimo l’organizzazione aziendale e di conseguenza riduce i costi di produzione;
  • permette in molte realtà di liberare parte del terreno destinato alla produzione degli insilati destinandolo a colture più remunerative.

Che risposta sta dando Assalzoo (e la sua azienda) al tema della sostenibilità?

Per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, per ora Assalzoo ha puntato molto su conoscenza e formazione: il nostro Comitato Scientifico per l’Innovazione ha collaborato con l’Associazione scientifica per le Produzioni Animali (ASPA) raggiugendo la pubblicazione di due testi sulla sostenibilità ambientale e l’allevamento. Una importante raccolta di principi ed analisi delle singole filiere sulla base di dati italiani.

Per troppo tempo si è parlato di sostenibilità, di impronta ambientale senza avere una metodologia di calcolo condivisa ed univoca, lasciando troppo spazio a strumentalizzazioni. Assalzoo ha lavorare a livello europeo con FEFAC, la nostra Federazione europea, raggiungendo l’approvazione, da parte della Commissione europea, del cosiddetto PEFCR ossia i Criteri per la valutazione di impatto ambientale di prodotto, che, finalmente, stabiliscono regole uniche, condivise e riconosciute dalle autorità. Adesso vi sono i presupposti per passare ad una fase più operativa.

Il settore mangimistico e la Sostenibilità

Ritengo importante sottolineare che il settore mangimistico è da anni, fin dalla sua nascita, impegnato a valorizzare i sottoprodotti dell’industria alimentare, si pensi, ad esempio, al legame con il settore molitorio, siamo un settore che ha precorso il concetto di economia circolare. Senza dimenticare l’impegno profuso dall’industria mangimistica per studiare formule bilanciate e specifiche sempre più performanti che hanno permesso di migliorare notevolmente gli indici di conversione e la produzione di latte rendendo gli allevamenti più sostenibili e riducendone l’impatto ambientale.

Made in Italy e innovazione nelle aziende per la competitività del settore [intervista a Giansanti – Confagricoltura]
17 Gennaio 2019

La produzione di latte europea sta crescendo, mentre la domanda mondiale sembra abbastanza stabile. Inoltre, la Cina sembra aver circoscritto le importazioni dall’UE-28 al latte per l’infanzia e l’India punta all’export e non più a produrre solo per il mercato interno. Quali conseguenze prevede e come sostenere il Made in Italy lattiero caseario?

Massimiliano Giansanti – Presidente di Confagricoltura

“Le dinamiche del mercato internazionale hanno sempre presentato un andamento altalenante, condizionato molto dalle richieste a singhiozzo della Cina che ha sempre adottato una politica commerciale con periodi di forti acquisti e stoccaggio del prodotto alternati a periodi di intenso rallentamento delle importazioni. L’imprevedibilità del mercato internazionale e degli eventi che lo condizionano è stato messo in luce dall’Embargo Russo, che ha praticamente coinciso con la fine del sistema delle quote latte, creando una forte crisi del settore lattiero caseario europeo. Tale circostanza ha evidenziato ai produttori italiani ed europei la vulnerabilità del settore rispetto alle dinamiche di mercato non più calmierate da un sistema di contingentamento. Infatti, questo nuovo stato di liberalizzazione ha prodotto eccessi di produzione rispetto alle reali condizioni di mercato ed ha evidenziato un disequilibrio tra i Paesi europei con forte pressione sul mercato comunitario da parte di quelli del centro nord Europa già eccedentari della loro produzione che, non trovando sbocco sui mercati esteri, hanno fatto crollare i prezzi europei cercando sfogo soprattutto sui mercati del sud Europa, non autosufficienti. Confagricoltura ha denunciato a suo tempo tale situazione e stimolato le Istituzioni europee a prevedere, tra le misure per affrontare la crisi, incentivi per ridurre le produzioni in eccesso. Misura utilizzata soprattutto da quei Paesi eccedentari, proprio come si sperava, con esiti positivi sui prezzi. A mio avviso oggi i produttori sono molto più attenti alle dinamiche di mercato e stanno attuando corrette politiche di aggregazione del prodotto primario per avere più forza sul mercato e calibrare le produzioni a seconda delle necessità richieste. La chiave per affrontare il mercato internazionale non è legato solo alla promozione del marchio Made in Italy, ma a politiche di innovazione delle aziende zootecniche per ottimizzare i costi di produzione e rendere i prodotti nazionali commercialmente competitivi, mantenendo standard elevati di qualità”.

Quali potrebbero essere i mercati internazionali dove potersi espandere? E con quali prodotti? Le DOP possono essere l’apripista di un paniere più ampio, che comprende anche nuovi prodotti? Quali, ad esempio?

L’India costituisce un immenso mercato su cui poter puntare per l’esportazione di prodotti del Made in Italy

“L’Italia si è sempre distinta per le sue produzioni rispetto a tutti gli altri Paesi europei incentrando la sua produzione sui formaggi ed è innegabile che un ruolo centrale lo detengano i prodotti DOP. Per quanto questa differenza di produzione non permetta spesso alle produzioni italiane di accedere direttamente a misure di intervento comunitarie quali quella del latte in polvere e del burro, avendone quindi solo indirettamente un beneficio, proprio questa peculiarità di produzioni tipiche, uniche al mondo, è la forza per conquistare i mercati internazionali in modo concorrenziale. Non a caso Confagricoltura stimola sempre il riconoscimento e la salvaguardia delle denominazioni di origine a livello internazionale e negli accordi bilaterali. E’ proprio su tali ragionamenti che si devono percepire i rischi come opportunità e l’India, avendo già una tradizione lattiero casearia con una popolazione, quindi, abituata al gusto dei formaggi, costituisce un immenso mercato su cui poter puntare per l’esportazione di prodotti del Made in Italy che va sostenuto con programmi di promozione finalizzati a conquistare quella fascia medio alta della popolazione mondiale che può permettersi prodotti di eccellenza come i nostri. Una spinta potrà anche derivare dai nuovi accordi bilaterali se, come per il Ceta, saranno previsti contingenti specifici e tutela rafforzata per le Ig, motore trainante dei nostri prodotti lattiero caseari.

Nell’ottica poi di prevedere nuovi sbocchi di mercato per il settore lattiero caseario, sia in ambito interno che estero, la filiera sta orientando la ricerca sull’utilizzo dei componenti del latte per la creazione di prodotti nell’ambito della nutraceutica e della farmaceutica, come suggerito anche nell’ultimo incontro tenutosi al ministero delle Politiche agricole alimentari forestali e del Turismo sull’utilizzo delle risorse del fondo per gli investimenti nel settore lattiero caseario -“Fondo Latte”- per il budget destinato alla ricerca”.

Massimiliano Giansanti – Presidente di Confagricoltura

All’estero i principali player esportatori hanno politiche condivise e più aggressive. Come potrebbe la filiera italiana affacciarsi in maniera più efficace e coordinata all’estero?

“Come dicevo i produttori italiani si sono trovati a confrontarsi maggiormente con le dinamiche di mercato internazionale e questo ha stimolato una maggiore aggregazione della parte produttiva. Si è visto con favore la nascita della prima AoP italiana, Aop Latte Italia, che aggrega circa il 10% della produzione nazionale, e si continua a stimolare una sempre più incisiva aggregazione del comparto primario. Certo questo non basta per affrontare i mercati internazionali. Si deve creare un “Sistema-Italia” con finalità comuni e coordinate tra produttori, trasformatori, commercianti e Istituzioni. Confagricoltura ha sempre sostenuto e cercato tale dialogo e collaborazione con le altre organizzazioni della filiera per aiutare gli operatori, non a caso recentemente si è costituita l’Associazione “Organizzazione Interprofessionale Carni Bovine (O.I.C.B.)” in cui si prevede anche l’adesione delle AoP. Non voglio dire che il modello delle Organizzazioni Interprofessionali sia l’unica strada da intraprendere per il settore lattiero caseario, ma certo dimostra la nostra disponibilità e apertura ad una collaborazione di filiera”.

Il biologico ha registrato tassi di crescita lusinghieri. La filiera, però, ha mostrato più prudenza rispetto ad altre realtà all’estero. Come evitare il corto circuito di una produzione che potrebbe diventare in eccesso? Il segmento della trasformazione in che modo potrebbe rilanciare la domanda?

In Italia l’agricoltura biologica non è sufficiente a soddisfare la domanda

“Escluderei che la produzione biologica possa diventare in eccesso, visto che le rese sono sempre minori di quelle delle altre tecniche produttive e che è più soggetta agli effetti dei cambiamenti climatici. In Italia l’agricoltura biologica rappresenta il 15,5% della Superficie agricola utilizzata (SAU), certamente un gran risultato, ma non sufficiente a soddisfare la domanda soprattutto quella dell’esportazione che, per questo settore, rappresenta più del 40% del fatturato. Credo che la trasformazione e la produzione primaria debbano essere preoccupate delle nuove politiche commerciali aggressive che stanno portando avanti le grandi catene di distribuzione straniere, ad esempio in Francia e in Belgio, sostenendo la possibilità di vendere il prodotto biologico e quello non biologico allo stesso prezzo. Chi pagherà le rese minori ed i maggiori costi gestionali che ha l’agricoltura biologica? Che margine avrà chi li trasformerà? Solo un patto tra produttori e trasformatori potrà salvare il biologico da queste logiche commerciali”.

L’Olanda ha ridotto il numero di capi e, di conseguenza, la produzione lattiera. Inoltre, per agevolare un percorso di sostenibilità, ha introdotto le quote sui fosfati. Come dovrebbe comportarsi l’Italia? E quali suggerimenti avete per le stalle italiane?

“La situazione olandese è un monito di quanto sia importante prevedere modelli sostenibili di produzione proprio per evitare che la scelta sia quella di incidere sulla mandria per esserlo. Confagricoltura ha sempre ritenuto che occorra davvero ridimensionare le accuse spesso ingenerose e le forzature mediatiche che imputano solo al settore zootecnico la responsabilità della maggior quantità di emissioni, ma la ricerca di nuovi processi di produzione e l’applicazione dell’innovazione alle aziende devono essere la primaria necessità per affrontare le produzioni future. Partecipiamo direttamente alla diffusione di pratiche sostenibili per l’ambiente, partecipando, ad esempio, al progetto europeo Reinwaste per ridurre i rifiuti inorganici nel settore agricolo che vede proprio il coinvolgimento nella sperimentazione del comparto lattiero caseario in Emilia-Romagna. Di certo la sostenibilità ambientale è una necessità sociale e come tale si devono prevedere i giusti sostegni finanziari agli agricoltori, per attuare i cambiamenti strutturali necessari per andare in questa direzione”.

Presenza sul territorio e interscambi culturali per agevolare l’export [Intevista a Scanavino – Cia]
17 Gennaio 2019

Dino Scanavino – presidente nazionale della Cia-Agricoltori

“Quando il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ricevette i 100 uomini del Vino raccontò un aneddoto e cioè che una percentuale altissima di ingegneri cinesi aveva studiato in Germania e che, ritornando da classe dirigente in Cina, portarono la cultura del luogo in cui avevano studiato: la Germania. Ecco, se noi vogliamo crescere in Cina dobbiamo essere presenti, presidiare il luogo, cercare interscambi anche culturali. Solo così il made in Italy sarà vincente. I francesi erano storicamente presenti in Cina e oggi i nuovi ricchi bevono Champagne, Bordeaux e Borgogna. La crescita italiana è molto più lenta”. Parola di Dino Scanavino, presidente nazionale della Cia-Agricoltori Italiani, che parte dal tema dell’internazionalizzazione in un’intervista con Clal.it.

Presidente Scanavino, l’export è sempre più la strategia vincente per il Made in Italy agroalimentare e il lattiero caseario non fa eccezione. Come si affrontano, però, i mercati esteri?

“Con la presenza sul territorio, come dicevo, e con la qualità. Per avere successo noi italiani dobbiamo pensare al latte con la crosta: o produciamo e commercializziamo formaggio, che ha un maggiore valore aggiunto, oppure non saremo mai competitivi rispetto ad altri paesi e, anzi, avremo difficoltà con tutto il resto del mondo”.

produciamo e commercializziamo formaggio, oppure non saremo mai competitivi rispetto ad altri paesi

L’Africa è un continente vicino e che potrebbe rappresentare per l’Italia uno sbocco interessante per il lattiero caseario…

“Certamente. L’Africa ha una popolazione molto giovane e un PIL in crescita. Certo, ha anche molti problemi, ma è innegabile che i giovani con un po’ di soldi comprano proteine. Bisogna però avere strategie di mercato, possibilmente condivise e attuate attraverso azioni congiunte”.

Ad esempio?

“I cinesi in Eritrea hanno costruito ferrovie, autostrade, 75 km lineari di zona industriale. Anche noi dovremmo insediare alcune aziende, per diffondere anche la nostra cultura. Non è sufficiente solo vendere. Lo abbiamo visto alla fiera dell’Agricoltura di Meknès, in Marocco. C’è un grande interesse per le macchine agricole usate, che però devono essere certificate sul piano della sicurezza. Ecco, possiamo contare su un ente qualificato come Enama, perché non aprire un ufficio là? Sarebbe un servizio che facciamo anche agli italiani, per instaurare relazioni di contiguità costante, che francesi e olandesi hanno fatto”.

Dino Scanavino – presidente nazionale della Cia-Agricoltori

L’India ha intenzione di aumentare le produzioni di latte e ha quantitativi ingenti di polvere di latte. Questo potrebbe avere conseguenze sul prezzo del latte in Europa, che non riesce a smaltire i propri magazzini. Cosa fare?
(intervista rilasciata prima di Ottobre 2018 quando i magazzini hanno incominciato a diminuire a seguito di aste organizzate dalla commissione UE)

“Quello degli stock di polvere di latte è un macigno che può crollarci addosso. Bisogna trovare un sistema efficace per smaltire i magazzini comunitari, magari in ambienti non alimentari, per l’alimentazione zootecnica. E poi monitorare con attenzione i movimenti dell’India, perché se cominciasse a esportare, ad esempio nel vicino Sud Est Asiatico, le ripercussioni sui mercati internazionali credo non si farebbero attendere, con conseguenze negative anche per l’Europa. In questo caso dovremmo essere noi europei a individuare nuovi mercati a più alto valore aggiunto e cercare di occuparli”.

Se l’India cominciasse a esportare, le ripercussioni sui mercati internazionali non si farebbero attendere

Che benefici ha portato l’etichettatura obbligatoria dei prodotti lattiero caseari?

“Come Cia-Agricoltori Italiani siamo sempre stati favorevoli all’etichettatura, come strumento di informazione del consumatore. Ma se ci illudiamo che tutti i consumatori oggi chiederanno solo materia prima italiana al 100%, allora siamo fuori strada. Chi sostiene questo mente sapendo di mentire. L’Italia ha una grande forza, che è frutto delle proprie indicazioni geografiche e che si basa su un sistema di certificazione volontario. Chi non aderisce ai controlli alla fonte e alla vendita rinuncia al marchio e rimane fuori. L’obbligatorietà non è sinonimo di qualità. Anzi. Bisognerebbe, piuttosto, scegliere un sistema e contribuire in modo che diventi virtuoso, incentivando le promozioni sulle DOP e attuare politiche che sostengano effettivamente il Made in Italy. Quando alcune Regioni nei PSR hanno subordinato l’erogazione dei fondi al fatto che trasformassero la materia prima del territorio, hanno fatto bene. Come produttori dobbiamo fare aggregazione e spingere verso consumi virtuosi, che sostengano il territorio”.

All’estero non solo con le DOP, ma anche con latte e mozzarella [intervista a Prandini – Coldiretti]
17 Gennaio 2019

La produzione di latte europea sta crescendo, mentre la domanda mondiale sembra abbastanza stabile. Inoltre, la Cina sembra aver circoscritto le importazioni dall’UE-28 al latte per l’infanzia e l’India punta all’export e non più a produrre solo per il mercato interno. Quali conseguenze prevede e come sostenere il Made in Italy lattiero caseario?

Ettore Prandini – presidente nazionale di Coldiretti

“In un mercato con le produzioni in crescita, la tutela del vero prodotto Made in Italy e del settore lattiero caseario in particolare deve necessariamente passare dalla distintività. La difesa e la valorizzazione delle produzioni DOP e IGP e la certezza della trasparenza con l’indicazione dell’origine in etichetta per i prodotti che non sono tutelati per disciplinare, sono fondamentali per potersi svincolare dall’esclusiva logica della battaglia sul prezzo”.

Quali potrebbero essere i mercati internazionali dove potersi espandere? E con quali prodotti? Le DOP possono essere l’apripista di un paniere più ampio, che comprende anche nuovi prodotti? Quali, ad esempio?

“Aldilà delle buone performance del nostro export lattiero caseario degli ultimi anni, ci sono ancora ampi margini di crescita sui mercati cosiddetti ricchi come Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, ma anche la stessa Europa con un’attenzione particolare ai Paesi del Nord, senza tralasciare la Russia dove continuiamo a pagare gli effetti dell’embargo, sancito con decreto n. 778 del 7 agosto 2014, più volte rinnovato e ancora in vigore, come ritorsione alle sanzioni europee.

Un prodotto con ampi margini di crescita sui mercati esteri è la mozzarella da realizzare con latte italiano

In questo scenario, nel Paese del Cremlino le esportazioni agroalimentari Made in Italy hanno perso complessivamente oltre un miliardo di euro a causa del blocco che ha colpito un’importante lista di prodotti agroalimentari tra cui proprio i formaggi, oltre che frutta e verdura, carne e salumi ma anche pesce, provenienti da UE, Usa, Canada, Norvegia ed Australia. Un prodotto con ampi margini di crescita sui mercati esteri è la mozzarella da realizzare con latte italiano. Si tratta di uno dei prodotti del comparto lattiero caseario più consumati al mondo e al contempo più scopiazzato, spesso con pessimi risultati. Non sottovalutiamo poi i margini di crescita che potrebbero avere tutti quei prodotti che vedono il latte come uno dei componenti come i prodotti da forno, le merendine, gli snack, il gelato industriale”.

Qual è la posizione di Coldiretti sulla Brexit? Teme di più l’etichetta a semaforo, i possibili dazi oppure le difformità in tema di requisiti sanitari o di mancato riconoscimento delle Indicazioni Geografiche?

“Come Coldiretti da tempo diciamo che a pagare il conto della Brexit non deve essere l’agricoltura, che è un settore chiave per vincere le nuove sfide che l’Unione deve affrontare, a cominciare dai cambiamenti climatici. Nel prossimo bilancio dell’UE indebolire l’agricoltura, che è l’unico settore realmente integrato dell’Unione, significherebbe minare le fondamenta della stessa Unione Europea in un momento particolarmente critico per il suo futuro. Il 90% dei cittadini europei, secondo Eurobarometro, sostiene infatti la politica agricola a livello comunitario per il ruolo determinante che essa svolge per l’ambiente, il territorio e salute. Le minacce per il vero Made in Italy agroalimentare arrivano da più parti: tra queste c’è il pericoloso diffondersi di sistemi di informazione fuorviante sulle qualità intrinseche dei prodotti, come ad esempio l’etichettatura a semaforo, che vanno spesso a penalizzare prodotti universalmente riconosciuti per gli effetti benefici sulla salute, se consumati in maniera corretta nel quadro di un’alimentazione diversificata ed equilibrata. Il bisogno di informazioni del consumatore sui contenuti nutrizionali deve essere soddisfatto nella maniera più completa e dettagliata, ma anche con chiarezza, a partire dalla necessità di usare segnali univoci e inequivocabili per certificare le informazioni più rilevanti per i cittadini, mentre sistemi troppo semplificati cercano di condizionare in modo ingannevole la scelta di chi va ad acquistare i prodotti da portare in tavola”.

Il bisogno di informazioni del consumatore sui contenuti nutrizionali deve essere soddisfatto, ma con chiarezza

Ettore Prandini – presidente nazionale di Coldiretti

L’e-commerce sta crescendo. A quali condizioni potrebbe essere un’opportunità per gli allevatori?

“La spesa media sul web degli italiani ha raggiunto i 595 euro a testa all’anno con un aumento dell’8% nell’ultimo anno, con un andamento destinato a modificare l’assetto della distribuzione commerciale tradizionale. Sul podio dei prodotti più acquistati dagli italiani ci sono però l’abbigliamento e i prodotti di bellezza seguiti dalle vacanze e i viaggi e dai giocattoli ed hobbies. Molto distanziato con un importo di 1,2 miliardi di dollari il settore del “food & personal care” che però con un aumento del 15% è quello che fa registrare l’incremento maggiore nell’arco dell’anno. Per il cibo si registra in realtà una polarizzazione nei comportamenti di acquisto con un numero crescente di consumatori che privilegia il rapporto diretto con i produttori come dimostra il successo dei mercati di vendita diretta degli agricoltori dove hanno fatto la spesa almeno una volta al mese 30 milioni di italiani nel 2017 secondo i dati Coldiretti/Ixè per la fondazione Campagna Amica. In quest’ottica si aprono molte opportunità per tutti gli imprenditori agricoli, allevatori compresi”.

Filiere e prodotti etici col progetto Latte Dop Italia [intervista a Verrascina – Copagri]
17 Gennaio 2019

Franco Verrascina – Presidente Copagri

Franco Verrascina è presidente di Copagri dal 2009. Dal 3 luglio 2018, inoltre, guida il coordinamento di Agrinsieme, che riunisce Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Alleanza delle Cooperative italiane dell’agroalimentare e Copagri, rappresentando oltre i due terzi delle aziende agricole italiane, il 60% del valore della produzione agricola e della superficie nazionale coltivata, con oltre 800mila persone occupate nelle imprese rappresentate.

La produzione di latte europea sta crescendo, mentre la domanda mondiale sembra abbastanza stabile. Quali conseguenze prevede e come sostenere il Made in Italy lattiero caseario?

“È indubbio che negli ultimi dieci anni, a prescindere dalla fine del sistema delle quote latte, la produzione lattiero-casearia comunitaria stia crescendo, e questo avviene soprattutto grazie a un’espansione verso nuovi mercati, tra i quali ci sono certamente quelli del BRICS, ovvero di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, i quali rappresentano per l’Europa un’opportunità che bisogna continuare a sfruttare, sia in termini di quantità che di qualità.
Negli ultimi anni, infatti, le dinamiche europee stanno mostrando sempre maggiori criticità; nel Nord dell’Europa sembra ci si stia concentrando più sulla quantità, tanto che abbiamo tanto latte per conquistare le commodity di latte in polvere e sottoprodotti proteici, mentre il Sud del Continente, con l’Italia in testa, appare maggiormente concentrato sullo sviluppo della qualità. Riteniamo che, nonostante gli aumenti interni in area BRICS in termini di produzione, i prodotti lattiero caseari italiani possano riscuotere un successo ancora maggiore in termini di sviluppo, visto l’aumento del tenore di vita di queste aree. Questo benessere in aumento, infatti, porterà sempre più spesso i consumatori a ricercare prodotti agroalimentari di qualità, quali appunto le eccellenze lattiero-casearie del nostro Paese”.

L’area geografica che in prospettiva può darci più soddisfazioni è quella del BRICS

Quali potrebbero essere i mercati internazionali dove potersi espandere? Le DOP potrebbero essere l’apripista di un paniere più ampio, che comprende anche nuovi prodotti?

L’area geografica che sicuramente in prospettiva può darci più soddisfazioni è, come anticipato poco sopra, quella del BRICS, anche se non bisogna trascurare l’America del Nord, così come l’Asia, con gli Emirati Arabi in testa, e l’Oriente.
In questi Paesi tutto il nostro sistema di DOP è all’avanguardia e la continua richiesta di questi ultimi anni lo dimostra. Proprio in questi Paesi, però, nell’ambito di una seria politica che miri allo sviluppo dell’internazionalizzazione, si potrebbe puntare sulla produzione di latte in polvere con determinate caratteristiche, magari per l’infanzia; tale produzione, infatti, sebbene quasi abbandonata da lungo tempo in Italia, potrebbe dare grandi prospettive ai produttori nazionali e comunitari”.

Come potrebbe avvenire questa espansione sui mercati esteri?

“I formaggi duri sono la nostra prima modalità di conquista dei mercati esteri; per questo motivo noi sosteniamo che le politiche di internazionalizzazione vadano migliorate e debbano essere più coraggiose.
In questo senso sostenere e istituire il riconoscimento del Latte “Dop Italia”, come più volte chiesto dalla Copagri, potrebbe rappresentare un aiuto concreto per molti prodotti del segmento formaggi duri italiani 100%, che molta attenzione stanno avendo in questi ultimi due anni. Tale riconoscimento, che non vuole ovviamente andare a condizionare in negativo e togliere valore alla produzione di Grana Padano e di Parmigiano Reggiano, che sono in un certo senso i “principi” dei formaggi italiani nel mondo, servirebbe inoltre a evitare tutte le sperequazioni che ci sono tra le varie Regioni, oltre a soddisfare la “fame di Italia” all’estero”.

Franco Verrascina – Presidente Copagri

L’Olanda ha ridotto il numero di capi e, di conseguenza, la produzione lattiera. Inoltre, per agevolare un percorso di sostenibilità, ha introdotto le quote sui fosfati. Come dovrebbe comportarsi l’Italia?

“L’Olanda è da sempre il paese europeo dove nel settore zootecnico, e in particolare in quelli lattiero caseario e suinicolo, le misure ambientali hanno causato forti criticità. Basti pensare che in un territorio grande meno del doppio di quello della Lombardia vi sono una volta e mezza le vacche di tutta Italia, oltre a milioni di suini.
La Direttiva UE sui nitrati ha quindi obbligato questo Paese a una netta inversione di tendenza sul carico zootecnico, tanto che a livello amministrativo sono state introdotte le quote nitrati, con un mercato in continua ascesa speculativa, che ha svantaggiato gli allevatori con uno scarso capitale-terra; basti pensare, ad esempio, al fatto che il costo per sostenere lo smaltimento dei nitrati è di migliaia di euro all’anno per ogni bovina adulta, con le immaginabili conseguenze che questo comporta per le stalle di medio-grandi dimensioni. In Italia, tranne in alcune particolari zone della Pianura Padana, non si registrano particolari problematiche. Possiamo quindi rivendicare con forza il grande lavoro verso la sostenibilità ambientale e il benessere animale che i nostri produttori stanno sviluppando negli ultimi anni, tant’è che oggi tale fattore è tra i più premianti in tutte le aree a produzione DOP, requisiti richiesti nei disciplinari”.

Il benessere animale al giorno d’oggi è purtroppo un grande costo non riconosciuto dal sistema della catena del valore

Quanto incide il benessere animale nelle stalle da latte? È più un costo o un’opportunità?

“Quanto detto evidenzia come i produttori da molti anni stiano investendo in sostenibilità e benessere animale, anche se questo al giorno d’oggi è purtroppo un grande costo non riconosciuto dal sistema della catena del valore.
Il progetto della Copagri per il riconoscimento del Latte “DOP Italia” va, infatti, proprio nella direzione di costruire filiere e prodotti etici; vogliamo e dobbiamo essere partecipi del sistema virtuoso che fa riferimento all’economia circolare, nel quale i nostri prodotti straordinariamente unici possano essere riconosciuti e valorizzati dal consumatore, non solo italiano ma mondiale”.

 

I formaggi del Trentino vanno esportati [intervista]
29 Novembre 2018

Franco Morandini
Predazzo, Trento – ITALIA

L’allevatore Franco Morandini

Azienda Agricola Morandini Franco.
Capi allevati: 150 | 50-70 in lattazione.
Ettari coltivati: 46.
Destinazione del latte: Puzzone di Moena Dop e altri formaggi tipici locali.

Un marchio sui prodotti di montagna come valore aggiunto per il prodotto e per il paesaggio: il rilancio del settore lattiero caseario Trentino passa (anche) da qui, secondo Franco Morandini, allevatore di Predazzo, nella alta Val di Fiemme.
Appassionato di sci e alpinismo (e come potrebbe essere altrimenti?), 56 anni, è alla guida dell’azienda agricola insieme al fratello Alberto e al nipote Matteo: 150 i capi allevati, prevalentemente di razza Pezzata Rossa e Bruna.
Nel 2008 l’azienda è stata spostata da Predazzo a Bellamonte per motivi logistici: la vecchia stalla di famiglia, attiva da oltre 40 anni, si trovava infatti proprio al centro del paese, con tutti gli inevitabili problemi legati allo smaltimento dei reflui.
La stalla è un serbatoio per formaggi di qualità. Il latte ottenuto, infatti, è conferito interamente alla Latteria sociale di Predazzo e Moena per la produzione del Puzzone di Moena Dop e altri formaggi tipici locali.

Solo con i fondi non si va molto lontano, se manca l’etica e lo sguardo al mercato

Come vede il futuro della zootecnia da latte in quest’area?

“Credo sia legata a due fattori: da un lato i finanziamenti europei, indispensabili, e dall’altro la politica regionale, che deve necessariamente indirizzare gli agricoltori verso strade corrette. Solo con i fondi non si va molto lontano, se manca l’etica e lo sguardo al mercato”.

In che senso?

“Se da un lato noi abbiamo l’obbligo di continuare a fare un prodotto di qualità, salvaguardando l’ambiente, dall’altro all’Unione Europea e alla politica spetta il compito di valorizzare quello che facciamo, non limitandosi semplicemente a erogare finanziamenti a pioggia. Ecco che un buon modo potrebbe essere quello di creare un marchio unico riservato ai prodotti di montagna, che trasmetta l’idea della genuinità e della salubrità dell’ambiente”.

La promozione può fare la differenza?

“Indubbiamente sì. Noi come cooperativa ci affidiamo a Trentingrana, sia per la pubblicità che per la promozione generale dei prodotti trentini. I risultati sono buoni, ma ci sono ancora margini di miglioramento”.

In Trentino ci sono tanti buoni prodotti: perché allora non puntare sull’export?

In che direzione?

“In relazione alla gestione della produzione, alla commercializzazione e alle vendite. L’80% del prodotto è venduto, infatti, in Trentino: bene, dico io, ma si può fare di meglio. Ci sono tanti buoni prodotti e i contadini del territorio lavorano bene: perché allora non puntare sull’export? Basta seguire l’esempio del vino, che ha saputo varcare i confini locali e spaziare”.

Analogamente, un’altra spinta può arrivare dal turismo, non crede?

“Esatto. La sinergia col turismo è fondamentale. Il turista conosce i prodotti attraverso il territorio, per questo può essere considerato, a ragione, un veicolo di promozione a costo zero. Anche per questo motivo non possiamo permetterci di trascurare il nostro ecosistema: chi viene da noi in vacanza cerca malghe e rifugi, vale a dire tutto quello che è ancora autentico e legato alla tradizione del posto. Lo deve trovare e, inoltre, deve poter vivere un’esperienza che lo emozioni. Solo così sarà un sostenitore delle nostre montagne e dei nostri prodotti”.

Bisogna partire dalla cooperazione per modernizzare, servono esperienza e professionalità per restare a galla

La cooperazione può essere applicata anche al contesto montano?

“Certo. La cooperazione è una grandissima cosa, se gestita bene; se viziata dai finanziamenti, si rischia invece di finire in un vicolo cieco. Per il nostro comparto esiste il Consorzio dei Caseifici sociali e dei produttori latte trentini (CON.CA.S.T.), nato nel 1951 come consorzio di secondo grado tra i caseifici sociali del Trentino. Al momento si occupa prevalentemente di analisi e commercializzazione, oltre ad affrontare e gestire le problematiche comuni del settore. Ne fanno parte tutti i contadini di Predazzo, che sono una decina di aziende. È da lì che bisogna partire per modernizzare, perché il mondo corre veloce e servono necessariamente esperienza e professionalità per restare a galla”.

Azienda Agricola Morandini Franco

Franco Morandini è intervenuto nell’incontro “La Sostenibilità nella filiera lattiero-casearia Trentina” del 10 Novembre 2017. Esplora i punti salienti dell’evento!