Ogni allevatore sa che gli animali richiedono attenzione e che, se trattati bene, producono meglio. Però, si può arrivare a dire che anche le vacche esprimono emozioni?
Da uno studio australiano sulla comunicazione vocale delle vacche e le loro emozioni pubblicato sulla rivista Scientific Reports, sembra proprio di sì. I ricercatori hanno registrato per sei mesi i muggiti di 18 vacche in diversi contesti emotivi positivi, come prima dei pasti o durante l’estro, e negativi, come nella mancanza di cibo o nell’isolamento dalla mandria.
I muggiti sono stati valutati per picco, durata, intensità, ruvidità del suono, identificando oltre venti diverse vocalità. La prima osservazione riguarda l’individualità della voce: come per le persone, ogni animale dimostra di avere una propria vocalità, indipendentemente dal diverso contesto emotivo, la mantiene durante tutto il ciclo vitale e sa farsi riconoscere dai vitelli.
È stato poi dimostrato che i muggiti servono per mantenere l’animale in contatto con la mandria e possono esprimere soddisfazione, rabbia o dolore. Le vacche sanno “parlarsi” e, essendo animali addomesticati, sono socievoli e capaci di esprimere le loro emozioni, sia positive che negative. A livello pratico l’analisi dei muggiti o, per meglio dire, delle vocalizzazioni, potrebbe essere un mezzo semplice, diretto e non invasivo per valutare il grado di benessere animale, l’adattamento alle diverse pratiche aziendali ed anche il grado di interazione fra gli animali e le persone.
Tutto questo non è sorprendente e lo sapevano bene gli allevatori quando in passato usavano dare un nome ad ogni vacca. Bisognerebbe sempre ricordare che in ogni condizione di vita, sia allo stato naturale che nell’allevamento intensivo, si tratta di animali che interagiscono attraverso la loro emotività e cui occorre dunque prestare la dovuta attenzione.
I sistemi alimentari sono sempre più globali ed interdipendenti
Gli ultimi cinquant’anni sono stati caratterizzati, a livello mondiale, da crescita economica ed urbanizzazione, unitamente a sviluppo tecnico e tecnologico. Questo ha riguardato anche l’agricoltura, la lavorazione e la conservazione degli alimenti attraverso sistemi sempre più integrati, che hanno considerevolmente trasformato tutta la filiera, dalla produzione al consumo, al controllo igienico-sanitario fino alla tutela del consumatore ed alla repressione frodi. Dunque, i sistemi alimentari sono sempre più globali ed interdipendenti e le diete alimentari sono in continua evoluzione.
Una analisi dei dati FAO di 171 Paesi dal 1961 al 2013 condotta su 18 gruppi di alimenti, dai cereali ai prodotti animali, ai vegetali agli zuccheri, agli oli, ha cercato di identificare i fattori multidimensionali alla base delle forniture alimentari che debbono far fronte alle mutate richieste nei vari contesti mondiali.
Il 90% della variazioni nelle forniture alimentari ha riguardato la domanda di quattro gruppi di alimenti: prodotti animali e zuccheri; prodotti vegetali, farinacei e frutta; pesce ed olio.
Imaggiori cambiamenti nella dieta alimentare sono avvenuti in Corea del sud, Cina e Taiwan, dove prodotti animali e zuccheri hanno avuto un peso sempre più crescente. All’opposto, nei Paesi industrializzati occidentali il consumo di tali prodotti è in calo, mentre nelle regioni sub sahariane non sussistono evoluzioni particolari sulla composizione delle richieste alimentari.
Questo ha portato ad una generale convergenza nei metodi di produzione, distribuzione, conservazione e forniture alimentari per quanto riguarda soprattutto i prodotti di origine animale e gli zuccheri, con un impatto a livello ecologico e sociale.
L’analisi dei ricercatori guidati dall’università del Kent, UK, evidenziando la crescente interdipendenza fra i molteplici sistemi alimentari nei vari Paesi, permette di capire meglio l’evoluzione dei cambiamenti nelle domanda e dunque prevedere una impostazione delle forniture per assicurare diete bilanciate e sistemi alimentari sostenibili.
“Negli ultimi 10-15 anni la suinicoltura è cambiata radicalmente. Siamo passati da una ciclicità del mercato su base triennale, dove l’andamento dei prezzi era sinusoidale, a una situazione di incertezza perenne. Da tempo siamo alle prese con una volatilità esasperata, che non consente di programmare le produzioni. Fra il 2008 e il 2017 abbiamo attraversato una crisi lunghissima, dove molti allevatori ci hanno lasciato le penne”.
Breve storia triste di un settore che oggi è più che mai in sofferenza, preda di un crollo di mercato che da 1,808 euro al chilogrammo di metà dicembre sono finiti a 1,031 di inizio giugno. La sintesi, efficace, è di Rudy Milani, allevatore di Zero Branco (Treviso), presidente dei suinicoltori di Confagricoltura Veneto.
Fra i primi allevatori ad aderire alla organizzazione di produttori OPAS, della quale è anche componente del consiglio di amministrazione, oggi Milani produce circa 12.000 maiali all’anno a ciclo chiuso, interamente conferiti all’OP.
“Sono entrato nel 2008, quando si
sentiva la necessità di una svolta, di mettersi insieme per fare massa critica
nella vendita degli animali e per contenere le spese di gestione delle aziende,
attraverso acquisti collettivi. Su farmaci ci siamo riusciti, con i cereali si
è rivelato molto complesso”.
Con il macello di Carpi siete diventati il primo macello italiano per
capi macellati. Come avete reagito con il Coronavirus?
“Abbiamo rallentato le
macellazioni, distanziando i lavoratori lungo la catena produttiva. Abbiamo
ridotto chiaramente i volumi”.
L’iter partito con la denuncia di alcuni allevatori sull’uso della
genetica danese ha portato alla modifica dei disciplinari del Prosciutto di San
Daniele e, con un percorso più lento, del Prosciutto di Parma. Eppure il
settore soffre notevolmente. Perché?
Manca una visione strategica della filiera
“Perché manca una visione strategica della filiera. Manca il dialogo, le indicazioni sono parziali, i Consorzi non decidono una politica di programmazione e, in uno scenario povero di soluzioni, regna di fatto l’anarchia. Così gli allevatori producono, ma poi si ritrovano richieste che magari non corrispondono al suino che hanno allevato, pur rispettando tutte le regole. Questo significa che è assente del tutto una strategia”.
Più di una voce solleva il tema di una qualità che negli anni è
diminuita. È così?
“Non sta a me dirlo. Quello che
come allevatori chiediamo è di avere indicazioni chiare, certe e che non
cambiano senza motivazione e senza dare il tempo alla filiera di discuterle e
condividerle. Non possiamo meravigliarci se il Pata Negra spagnolo viene
venduto a 180 euro al chilogrammo: garantisce qualità e uniformità, seppure
nelle sue sfumature. Da noi ultimamente le produzioni sono state troppo
variabili nei risultati, con la conseguenza che il consumatore sceglie altro”.
Il futuro secondo lei è sempre dei prosciutti DOP?
“Non abbiamo alternative, ad oggi. Ma dobbiamo essere molto chiari: il futuro è la filiera. Fino adesso era la filiera dei prosciutti DOP, se continueremo a non trovare una direzione univoca e chiara, finirà in un modo soltanto”.
Come?
“Finirà che la suinicoltura sarà
guidata dalla grande distribuzione organizzata. Risponderemo tutti alla GDO,
perdendo l’identità e la libertà imprenditoriale, perché sarà la GDO a dirci
cosa vuole e a pagarlo di conseguenza quanto vuole”.
Secondo lei quanto ci vuole per recuperare in prestigio?
“Solo per adeguare la genetica
negli allevamenti serve almeno un anno, poi un altro anno per la stagionatura
dei prosciutti. Tutto questo, naturalmente, se parti da allevamenti buoni. Ma
ci sono margini per migliorare più del 50% della produzione. Allo stesso tempo,
bisognerà ragionare su numeri”.
Di quanto?
“Almeno un milione di cosce in
tempi rapidi, se non di più. Il mercato era in affanno già quando la produzione
era a 8,3 milioni di pezzi. Significa che anche quella soglia era troppo
elevata per un mercato che oggi, con le conseguenze del lockdown e con la
difficoltà delle esportazioni, deve procedere speditamente verso una riduzione
dei volumi. Ma attenzione a smarchiare prosciutti ottenuti da maiali allevati
nel rispetto del disciplinare, perché altrimenti subiremmo come allevatori una
doppia penalizzazione, di costi e di remunerazione”.
Cosa cambierà dopo il coronavirus?
“Assolutamente niente. Perché lo
scossone Covid-19 non dura tanto quanto una guerra mondiale, che cambia
radicalmente le abitudini e riporta tutti coi piedi per terra. Non cambierà il
modo di vivere e di pensare, purtroppo, i vegani non capiranno quanto
l’agricoltura è importante”.
In questa fase c’è stata speculazione?
“Sì. La carne al banco andava
alla grande. I prosciutti no, ma il crollo dei prezzi non è spiegabile. In
simili frangenti bisogna sostenere i prezzi, altrimenti gli allevamenti
chiuderanno e si appesantirà tutta la filiera”.
Ridurre le importazioni potrebbe essere una strada percorribile?
“Sarebbe una soluzione, ma solo temporaneamente, perché non dimentichiamo che l’Italia ha la necessità di esportare. Basterebbe però privilegiare i consumi italiani”.
È diffusa l’opinione che quando si hanno dei fieni scadenti basti spingere un po’ col mangime per mantenere la produzione di latte. Uno studio dell’università del Wisconsin dimostra come un simile comportamento sia però molto avventato per portare al risultato sperato.
Il fieno di medica di bassa qualità riduce la produzione di latte
Infatti, alimentando vacche da latte con razioni contenenti il 20%, 37%, 54%, e 71% di mangime e fieno di medica raccolta a quattro stadi crescenti di maturazione, da pre fioritura fino a fioritura molto avanzata è risultato che, nonostante l’aumento della percentuale di concentrato nella razione, l’uso di fieno di medica di bassa qualità comporta una riduzione nella produzione di latte dal 13% fino al 28%.
Questa influenza diventa poi evidente calcolando il prezzo dei fieni di diversa qualità rispetto al latte prodotto ed alla sua composizione. Nelle situazioni di bassi prezzi di mercato, dato che il costo dell’alimentazione rappresenta oltre la metà dei costi di produzione del latte, istintivamente si tende a risparmiare su tutti i componenti della razione, fieno compreso, senza considerare però che il primo elemento per assicurare i margini produttivi è la valorizzazione della qualità dei foraggi.
Questo tanto più quando si opera in situazioni di mercato critiche. Non bisogna mai dimenticare che la base alimentare dei bovini, in quanto ruminanti, sono i foraggi e che dalla loro qualità dipende la resa produttiva e che i mangimi sono un complemento della razione. Lo studio americano dimostra poi che, sebbene il prezzo di un fieno di buona qualità sia superiore a quello di uno scadente, il ricavato dalla maggiore resa in latte può comportare un compenso anche fino a tre volte la maggiore spesa.
È proprio in tali contesti che diventa dunque indispensabile misurare e monitorare con precisione la qualità del fieno impiegato, per cui non bisogna mai dimenticare quanto importante sia tutto il complesso delle operazioni di fienagione, dall’epoca di sfalcio della medica, fino alla sua raccolta e condizionamento.
Aumenta l’Export di Carni suine italiane nel periodo Gen-Feb 2020, con un incremento dei ricavi e nuove importanti opportunità in Oriente. L’Italia importa meno rispetto all’anno precedente, ma a prezzi superiori.
Francesco del Team di TESEO illustra l’andamento del trade di Carni Suine da e verso l’Italia nel seguente video.
L’Italia ha importato circa 190 mila
tonnellate di Carni suine nel
periodo gennaio-febbraio 2020: meno rispetto all’anno precedente, ma a prezzi
superiori.
Export Italia Carni Suine+6% Gen – Feb 2020
L’Export italiano è invece aumentato nel periodo gennaio-febbraio del +6,0% accompagnato da un incremento dei prezzi all’export, in particolare per Carcasse e mezzene fresche
(prezzo medio: 2,05€/kg) e per il Lardo (1,36€/kg). Sebbene siano
inferiori al picco di fine 2019, i prezzi all’export si mantengono a livelli sostenuti.
Come riportato nella news precedente, la Cina abbia raddoppiato le importazioni di Carni fresche, refrigerate o congelate dall’UE nel primo trimestre 2020, acquistando peraltro a prezzi superiori.
Export Italia verso Cina
Carni fresche, refrigerate o congelate1.577tonnellate
Gen – Feb 2020
In merito all’Italia, nel 2019 la
Cina ha fatto la sua comparsa come importante destinatario di Carni fresche,
refrigerate o congelate. Nei primi due mesi del 2020 la Cina ha importato 1.577 tonnellate, divenendo il terzo importatore per questa voce
dopo i Paesi UE ed il Giappone.
Auspichiamo che le imprese italiane
possano aumentare la loro presenza in questa area in rapida crescita.
Segui TESEO.clal.it per gli aggiornamenti di mercato in tempo reale, e registrati per ricevere i prossimi video.
Le Imprese europee hanno aumentato l’export di Carni suine in
volume, ma ancor più in valore, nel primo trimestre 2020. Qual è il principale
driver di questa crescita?
Francesco del Team di TESEO illustra l’andamento delle esportazioni UE nel seguente video.
L’export UE di Carni suine e loro derivati è
aumentato in volume, ma ancor più in valore, nel primo trimestre 2020 rispetto allo stesso
periodo del 2019.
Export UE Carni fresche, refrigerate e congelate 776 mila tonnellate Gen – Mar 2020
L’UE è il principale esportatore
mondiale di Carni fresche,
refrigerate o congelate: sotto
questa voce sono state esportate circa 776
mila tonnellate nei primi tre mesi del 2020, per quasi 2,5 miliardi di dollari. I ricavi all’export sono di conseguenza aumentati del +27%,
passando da 2,92 USD/kg nel primo trimestre 2019 a 3,18 USD/kg nel 2020.
Ma com’è possibile che, sebbene
quasi tutti i Player importatori abbiano ridotto gli acquisti dall’UE, l’export
di questa voce sia aumentato del +26,2%
in quantità e del +60,4% in valore?
Questo aumento è dovuto alla Cina,
che ha raddoppiato le importazioni di Carni fresche, refrigerate o congelate dall’UE
(+114,2%), acquistando peraltro a
prezzi superiori (+56,7%).
Il principale driver di questo
aumento è stata l’epidemia di
African Swine Fever, che ha
coinvolto il Paese nel terzo trimestre 2018 e fino ad oggi ha causato la morte
o l’abbattimento di oltre 1.200.000 capi.
Il trend è confermato in marzo,
ultimo mese disponibile nei dati, periodo in cui la Cina è arrivata ad
assorbire il 69% dell’export UE di Carni fresche, refrigerate o congelate.
E le Carni suine italiane, sono
presenti in Cina? Quali sono le performance del nostro export e del nostro
import?
Queste domande troveranno risposta nel prossimo video: registrati a TESEO.clal.it per rimanere aggiornato.
La svolta in un orecchino. E pensare che lo usavano i pirati come moneta di scambio, per avere una degna sepoltura e non finire in mare. Nel caso di Alessandro Torsani, allevatore quarantenne di Arborea, in Sardegna, gli orecchini sono quelli intelligenti che vengono applicati alle vacche e che monitorano in tempo reale, i calori, la ruminazione e la geolocalizzazione. Il sistema si chiama Smartbow di Zoetis.
“Abbiamo introdotto queste apparecchiature otto mesi fa e abbiamo beneficiato di vantaggi enormi già da subito, a partire dal monitoraggio dei calori, soprattutto notturni, migliorando notevolmente il pregnancy rate – racconta Torsani -. La ruminazione spesso è sinonimo di un disagio della bovina e segnala tempestivamente il malessere di ogni singolo animale, permettendoci di intervenire nell’immediato, ovviando, quindi alla somministrazione di antibiotici. La geolocalizzazione, infine, ci sta risultando molto utile, in quanto ci permette di individuare precisamente il singolo animale all’interno della mandria, per qualsiasi intervento a lui riservato”.
Soluzioni innovative e tecnologiche, che fanno la differenza in una stalla come quella di Torsani, con 140 vacche in mungitura e 100 per la rimonta, 14.600 quintali di latte prodotti ogni anno conferiti alla cooperativa Arborea, e 32 ettari coltivati a mais e loietto in rotazione, interamente al servizio della mandria.
Ricambio generazionale in completa sintonia, con le nuove leve (Alessandro e il cugino Marco) che sono aiutati dai senior, il papà Bruno e lo zio Sergio. La gestione della stalla è affidata ad Alessandro, la campagna a Marco.
Chi
vi ha consigliato l’orecchino intelligente?
“Ho visto la presentazione di questa nuova soluzione a un evento di CLAL e TESEO a Verona e sono rimasto incuriosito. Ho quindi contattato l’azienda che li produce e ci siamo accordati per l’installazione. Chi li ha in stalla da più tempo dice che i risultati migliori di questa innovazione si abbianoin estate, nel rilevamento dei calori. Per cui mi aspetto con l’imminente estate un miglioramento ulteriore”.
Quanto
è costato l’investimento?
“Intorno ai 25mila euro. Siamo la prima stalla in
Sardegna ad installare questo sistema e siamo contenti. Lo consigliamo”.
Quali
altri investimenti avete in mente di fare?
“Puntiamo a migliorare ulteriormente il confort delle bovine e vogliamo modificare le cuccette. Inoltre, stiamo pensando di integrare una terza mungitura, perché siamo arrivati al limite con la seconda”.
Avete
un robot di mungitura?
“No, un impianto 13+13 con inclinazione a 70 gradi,
installata nel 2009. Stiamo pensando anche di introdurre un operaio in azienda,
in modo da alleggerire i nostri genitori dal lavoro, dal momento che hanno 67 e
72 anni”.
Quali
vantaggi avete avuto finora dal benessere animale?
“Vantaggi enormi, perché più gli animali sono in
salute e più aumentano le difese immunitarie, la qualità del latte e si
riducono le spese sanitarie e le anomalie in stalla”.
La
cooperativa Arborea non è solamente il simbolo della Sardegna che produce
latte, ma è anche una delle più all’avanguardia in Italia. Qual è la sua forza,
secondo lei?
“La mentalità del gruppo, direi. Come allevatori siamo molto vicini uno con l’altro. Ci scambiamo molte strategie aziendali. E il fatto di essere una cooperativa aiuta molto”.
Che
suggerimenti daresti alla struttura?
“Di rendere ancora più frequenti gli scambi fra allevatori della zona. Vanno benissimo i confronti europei, ma quello di cui sento più bisogno sono interazioni più rapide, più approfondite a livello territoriale, perché ci si conosce meglio e si conosce il territorio sul quale si opera. È un contesto comune, che rende credo più semplice individuare soluzioni comuni. Gli incontri organizzati da CLAL e TESEO sono molto apprezzati, facciamone qualcuno in più, magari”.
Ha
avuto ripercussioni a causa del Coronavirus?
“A livello locale nessuna grande ripercussione sul
commercio, mi sembra. A livello di categoria ritengo siano diminuiti gli
attacchi di ambientalisti e animalisti. Forse il risvolto positivo è che sono
stati almeno parzialmente riconosciuti gli sforzi degli allevatori e il ruolo
fondamentale che ha l’agricoltura per la sopravvivenza di tutti noi. Finalmente
la gente ci vede come una garanzia e un pilastro per la sicurezza alimentare.
Spero che ci si ricordi di questo anche alla fine dell’emergenza”.
Ha
degli hobby?
“Ritagliarci del tempo libero è la nostra filosofia aziendale, in modo da staccare dalla routine quotidiana, per poi riprendere con più entusiasmo il nostro lavoro. Mi piace molto viaggiare.”
La produzione Mondiale di Soiaper la stagione 2019-20, è
stimata a 336,11 Mio Tons, (-6,7% vs. 2018-19), e in leggero calo
rispetto alla previsione di Aprile.
La produzione di Soia del Brasile è stimata a 124 Mio Tons
per la stagione 2019-20, (+4,2% vs 2018-19).
L’aumento produttivo è dovuto principalmente all’incremento delle aree coltivate,
+3% rispetto alla stagione precedente, e per il maggior rendimento dei
terreni per ettaro (+3%). Unica eccezione per lo Stato Rio Grande do Sul dove
è prevista una diminuzione di produzione causati dalla siccità.
Le produzioni di Soia di Stati Uniti ed Argentina sono previste in diminuzione rispetto alla stagione precedente, rispettivamente a 96,78 Mio Tons (-19,7%), e 51 Mio Tons (-7,8%), rivedendo in diminuzione le stime di Aprile. In Argentina, le situazioni climatiche sfavorevoli hanno ridotto del -10% il rendimento dei terreni.
La produzione Mondiale diSoia per la stagione 2020-21 è
prevista in aumento dell’8% (362,8 Mio Tons) rispetto alle stime della
stagione attuale. Per Stati Uniti e Brasile, principali Paesi produttori di
Soia, è previsto un aumento delle aree coltivate e dalle rese dei terreni.
La produzione del Brasile è stimata a 131 Mio Tons, mentre quella degli Stati
Uniti a 121 Mio Tons.
Consumi, Export e Prezzi
I consumi di Soia per la stagione 2019-20 sono stabili a 348 Mio Tons, mentre per
l’annata 2020-21 sono previsti ad un livello record.
L’export Mondiale di Soia 2019-20 è previsto in aumento (+3,8% vs. 2018-19), attestandosi a 153,98
Mio Tons.
L’export del Brasile è previsto a 84 Mio Tons, (+12,6% vs. 2018-19), riflettendo il
maggiore export nei mesi di Marzo ed Aprile, aiutato da una maggior
competitività nei mercati e da una valuta debole.
Al contrario, le esportazioni degli Stati Uniti, che stanno
soffrendo la competizione con il Brasile, sono stimate a 45,59 Mio Tons, (-4,2%
vs. 2018-19).
I prezzi medi all’export del Brasile per il mese di Marzo 2020 sono in diminuzione a 345$
per ton, leggermente più elevati invece i prezzi degli Stati Uniti a
366$ per ton.
La Cinadovrebbe
rappresentare oltre la metà della crescita dei consumi globalinel
2020/21grazie soprattutto all’espansione della mandria suina cinese,
che si sta riprendendo dalla febbre suina africana.
Se è innegabile che la zootecnia, così come ogni altra attività produttiva, ha un impatto sull’ambiente, è altrettanto innegabile la necessità di produrre cibo per nutrire una popolazione in continua crescita, con una domanda sempre più esigente in termini di principi nutritivi, soprattutto proteine.
Come aumentare le rese con minori risorse e sprechi?
Nonostante l’agricoltura abbia saputo rispondere alla sfida alimentare aumentando quantità e qualità del cibo, sempre più di frequente essa sembra essere messa alla gogna anche sui più diffusi mezzi di comunicazione come se fosse la causa del proprio male. Eppure, qual è l’alternativa, se alternativa esiste, all’attuale modello produttivo, per aumentare le rese con minori risorse e sprechi?
Potrebbe essere la cosiddetta agricoltura cellulare, producendo latte e carne direttamente dalle cellule piuttosto che dall’intero organismo animale? Indubbiamente, la diminuzione delle superfici coltivabili a causa degli usi civili od industriali, e la competizione fra le coltivazioni destinate al consumo umano rispetto a quelle per l’alimentazione animale, senza poi parlare delle criticità ambientali per le sempre maggiori dimensioni degli allevamenti intensivi, inducono a riflettere se il presente modello produttivo sia in linea con gli obiettivi ONU della sostenibilità, in particolare l’obiettivo due, eliminare la fame nel mondo, e l’obiettivo 12, produrre e consumare in modo responsabile.
Nel mondo si allevano circa 270 milioni di vacche e la produzione di latte è raddoppiata negli ultimi 40 anni, con un crescente impatto sulle risorse naturali, per gli aspetti sanitari e di benessere animale. Per vari motivi oltre a quello semplicemente ecologico, nei consumi delle economie avanzate stanno diventando popolari i succedanei del latte ottenuti da fonti vegetali quali soia, avena, riso, che però non ne contengono gli stessi elementi nobili e che in ogni modo si basano sempre sulle coltivazioni convenzionali. Questi prodotti, comunque additivati essi siano, non potranno avere qualità, composizione, gusto, caratteristiche fisiche, di latte, yogurt e formaggio.
Ecco allora il ricorso alle biotecnologie, con la possibilità di produrre latte non più da un animale ma solo dalle sue cellule mammarie coltivate in vitro, il che lascia intravedere uno scenario in cui si potrebbe ridurre il carico di bestiame pur rispondendo alle crescenti esigenze alimentari della popolazione, nel rispetto dell’ambiente.
Questa non è fantascienza, dato che l’azienda biotecnologica TurtleTree Labs, una start-up basata a Singapore ed operante a san Francisco, ne ha annunciato la produzione. Dopo la possibilità di produrre carne direttamente dalla moltiplicazione delle cellule animali, si intravede ora quella di ottenere vero latte da cui produrre veri formaggi, od almeno teoricamente tali.
Tutto ciò sarebbe l’uovo di Colombo: risolti tutti i problemi di impatto ambientale, benessere animale, sicurezza alimentare. Dunque, sarà la biotecnologia a salvare il mondo? Basterà prendere una cellula e moltiplicarla per sostituire tutto il patrimonio delle interrelazioni vitali che comprendono anche i fattori emotivi e sociali, il pathos, l’aspetto morale e spirituale che pure sono parte integrante quanto impalpabile dell’essere, cioè della vita?
Questi fenomeni del nostro tempo in cui tutto cambia in un batter d’ali e la presa di coscienza che il nostro mondo, più che dover essere in guerra contro qualcuno o qualcosa, vedi virus, sia malato ed abbia bisogno di attenzione e cura, dovrebbero spingerci non a sperare in soluzioni semplicistiche od a puntare il dito contro qualcuno, ma ad affrontare la complessità dei processi vitali con estrema umiltà ed attenzione, cercando di comprenderli attraverso le conoscenze che anche scienza e tecnica ci mettono a disposizione.
Questo nello spirito della ecologia integrale, dato che tutti gli esseri vitali sono interdipendenti. Come non mai, oggi non bisogna cadere nella banalizzazione della complessità.
I minerali non possono essere sintetizzati dagli organismi viventi
La supplementazione minerale è un fattore essenziale del razionamento. Mentre macrominerali quali calcio, fosforo, potassio, sodio, magnesio, sono importanti costituenti delle ossa, di altri tessuti e dei fluidi corporei, i micro od oligoelementi minerali quali zolfo, ferro, rame, zinco selenio, iodio, svolgono specifiche funzioni biochimiche come il bilanciamento acido-base, la pressione osmotica, le trasmissioni nervose e rientrano nella composizione di enzimi ed ormoni.
I minerali non possono essere sintetizzati dagli organismi viventi, le piante li assorbono con le radici, e gli animali li ottengono con la razione alimentare.
Usualmente la supplementazione di oligoelementi per la vacca da latte avviene tramite sali minerali (es. solfato di rame) od ossidi (es. ossido di zinco). Il problema però di tali composti inorganici è che una certa parte si perde nel rumine senza raggiungere l’intestino per passare nel sangue, vanificando così la supplementazione alimentare.
Gli oligoelementi possono raggiungere facilmente l’intestino ed essere più biodisponibili
Per superare questo problema e rendere biodisponibili gli oligoelementi in modo da sostenere la fisiologia dell’animale per la produzione di latte, gli oligoelementi possono invece essere somministrati in associazione con aminoacidi, proteine, acidi organici in modo da raggiungere facilmente l’intestino ed essere così più biodisponibili. Questi composti debbono però essere solubili, rimanere stabili lungo il processo digestivo, essere facilmente assorbibili.
Diversi studi dimostrano i benefici degli oligoelementi forniti sotto forma organica per aumentare la produzione di latte, ridurre il tasso di cellule somatiche, contenere le zoppie.
Il loro uso dipenderà poi anche dal beneficio economico che porteranno, il che rimanda comunque alla figura dell’allevatore per una oculata gestione dell’allevamento.