Le conseguenze per gli allevatori dell’accordo A2milk-Fonterra
2 Luglio 2018

La decisione di Fonterra di ottenere prodotti derivati dal latte contenente beta caseina A2 pagando un premio ai produttori, pone un serio interrogativo ai conferenti della coop neozelandese. Infatti, si erano sempre sentiti dire che il latte A2 fosse solo uno specchietto di marketing ed ora si trovano a dover decidere se convertire o meno la propria mandria.

Diventa difficile decidere di iniziare a convertire la mandria, perché questo richiede tempo e scelte oculate.

Le maggiori imprese di inseminazione ed anche il LIC neozelandese (Livestock Improvement Corporation) propongono seme di tori miglioratori per il carattere A2 di frisona, jersey o della kiwicross, l’incrocio 70% frisona e 30% jersey, che meglio si adatta alle condizioni di pascolo della Nuova Zelanda. Però, a parte i pochi allevatori convinti, che da tempo hanno selezionato le vacche per avere latte solo con beta caseina A2, adesso diventa difficile decidere di iniziare a convertire la mandria, perché questo richiede tempo e scelte oculate.

Circa il 44% delle vacche di razza frisona, 53% di kiwicross e 66% di jerset hanno un latte con beta caseina A2 e dunque il lavoro di conversione è grande. Pur iniziando ad usare tori A2A2, occorreranno diverse generazioni di vacche per avere tutta la mandria in purezza. Bisogna dunque adottare un programma di selezione molto preciso, che deve scartare le vacche A1 e tenere il maggior numero di vitelle A2. Oppure si può ricorrere all’acquisto di animali A2A2, ma ad un prezzo maggiore, tutte decisioni che dipendono dalle singole situazioni.

La prospettiva è quella di produrre un latte che sarà venduto ad un prezzo migliore

La prospettiva comunque è quella di produrre un latte che sarà venduto ad un prezzo migliore. Fonterra non ha ancora precisato l’entità del premio che pagherà agli allevatori con una mandria in purezza A2, ma la Synlait già da qualche tempo stimola la conversione delle stalle riconoscendo agli allevatori oltre al premio, anche le spese per l’analisi del DNA sugli animali ed un incentivo per le operazioni di conversione della mandria.

Le opportunità sono a portata di mano, ma se l’allevatore resta fermo e non innova, di certo non potrà sfruttarle. In ballo c’è la capacità dell’allevatore a compiere scelte strategiche, ma anche la responsabilità delle aziende ad indicare il percorso da fare.

Fonte: edairynews

TESEO | Scopri di più sugli scambi di Bovini da Latte della Nuova Zelanda!

Gestire la produzione di latte per contrastare la volatilità
4 Giugno 2018

In Irlanda, l’aumento del prezzo del latte a partire da metà del 2017 ha portato ad un incremento produttivo, e questa situazione lascia presupporre di dover far fronte, presto o tardi, al ricorrente problema della volatilità.

Avere dati di mercato aggiornati e affidabili per un equilibrio tra offerta e domanda

Le fluttuazioni delle quotazioni, fatto che ha caratterizzato negli anni il mercato lattiero-caseario della Unione Europea, rendono evidente la necessità di gestire la quantità di latte prodotta. Controllare la produzione non significa però reintrodurre le quote latte, ma prendere atto della necessità di avere dati di mercato aggiornati ed affidabili per fornire ai produttori previsioni realistiche per agire in modo da raggiungere un equilibrio tra offerta e domanda.

Questo a maggior ragione per il fatto che, essendo oggetto degli scambi internazionali solo una piccola quantità del latte mondiale, anche modeste variazioni dei volumi offerti sui mercati internazionali possono avere effetti molto ampi sui prezzi.

372mila tons

di SMP sono stoccate nei magazzini comunitari europei

La Commissione Europea ha affermato chiaramente che non intende reintrodurre gli interventi di mercato come meccanismo di stabilizzazione; la sua priorità è invece, semmai, quella di alleggerirsi dalle 372 mila tonnellate di latte in polvere giacenti nei magazzini comunitari.

Gestire la produzione non significa però mettere necessariamente in questione le scelte fatte da ogni singolo imprenditore, ma piuttosto monitorare attentamente l’offerta rispetto alla domanda, nelle varie tipologie di prodotti immessi sul mercato, per ottenere il necessario livello di stabilità.

In tale contesto, le imprese cooperative irlandesi possono giocare un ruolo essenziale, in quanto sono nella migliore posizione per trasmettere ai loro conferenti le evidenze del mercato e possono agire insieme ad essi per affrontare la volatilità.

Fonte: AgriLand

TESEO | Consulta l’analisi sull’andamento del numero di vacche macellate in Irlanda!

Composizione del grasso e qualità del latte
2 Gennaio 2018

Il grasso del latte é composto da centinaia di acidi grassi, distinti secondo il numero di atomi di carbonio (catena corta,media, lunga) ed il grado di saturazione (saturi/insaturi). La composizione in acidi grassi del latte è influenzata dal tipo di razione delle vacche e l’integrazione con semi oleosi ne induce variazioni più o meno favorevoli. I semi della palma da olio, il cosiddetto palmisto o palm kernels in in inglese, rappresentano un prodotto presente sul mercato in notevole quantità dati gli usi alimentari dell’olio di palma, ma la quantità nella razione deve essere calcolata attentamente per non modificare la naturale composizione in acidi grassi del latte.

Per questo Fonterra in Nuova Zelanda ha introdotto una penalità qualora all’analisi risulti un uso eccessivo di pannello di palmisti (Palm Kernel Expeller). Il test analitico rientra nel nuovo indice di valutazione del grasso del latte che la coop neozelandese ha introdotto dallo scorso marzo dopo aver consultato oltre 700 allevatori. Il latte può così risultare classificato in quattro classi, A, B, C, D ed i valori analitici sono trasmessi giornalmente agli allevatori. Il latte classificato C o D per tre giorni consecutivi subirà una analisi di verifica. Qualora il valore fosse confermato, il latte così classificato subirebbe delle penalizzazioni di prezzo.

La ragione di tale intervento è che alcuni prodotti derivati dal latte di vacche alimentate con quantità eccessive di palmisti, hanno una peggiore qualità e risultano meno graditi ai consumatori proprio a causa del modifiche nella composizione in acidi grassi. Gli allevatori potranno comunque avere un periodo per aggiustare la razione alimentare in modo da evitare il rischio dipenalizzazioni.

Dunque, i contratti di fornitura latte, oltre che per la percentuale di grasso, dovranno considerare anche a sua composizione e l’allevatore dovrà modulare l’alimentazione secondo tali parametri.

Questa è la riprova, se ce ne fosse bisogno, che l’alimentazione animale determina la qualità del latte.

Fonte: NZFarmer

Lombardia – Qualità del latte: la materia grassa

Un piano nazionale del Regno Unito per la sostenibilità
30 Ottobre 2017

Il governo inglese ha appena pubblicato il piano d’azione strategico al 2050 sulla riduzione delle emissioni ed il miglioramento dell’efficienza produttiva per il comparto di alimenti e bevande (Food & Drink Joint Industry Industrial Decarbonisation and Energy Efficiency Action Plan). Si tratta di un complesso di interventi a sostegno di nuove tecnologie e forme di collaborazioni lungo la filiera produttiva.

I produttori di latte inglesi, consapevoli del loro ruolo, hanno accolto favorevolmente questa iniziativa che li stimola a collaborare intensamente con le strutture pubbliche e con i diversi operatori per assicurare un futuro a tutto il settore lattiero caseario del paese.

30%di emissioni di carbonio in meno al 2025

Il piano prevede misure di sostegno ed accompagnamento al settore lattiero caseario per raggiungere degli obiettivi ambiziosi di efficientemente energetico, uso appropriato delle risorse idriche e riduzione delle emissioni. I primi risultati concreti sono attesi al 2020 ed al 2025 per ridurre del 30% le emissioni di carbonio in termine di consumi energetici ed azzerare i residui dispersi nel terreno.

Dairy UK, l’organizzazione del settore lattiero-caseario inglese, ha costituito un apposito gruppo di lavoro per individuare i punti cruciali di produzione degli scarti lungo la filiera ed un comitato che si confronta sulla tematica della sostenibilità con le associazioni ambientali e caritative.

Questo permette di avere una collaborazione sinergica fra le diverse realtà pubbliche, produttive e dei consumatori, comprese anche quelle finanziarie, per un unico obiettivo: sviluppare l’attività economica in modo efficace e duraturo, per soddisfare la domanda di prodotti ottenuti in modo trasparente e rispettoso dell’ambiente e delle realtà sociali.

Agire per la sostenibilità significa non solo operare bene nella propria azienda, ma adottare azioni condivise lungo tutta la filiera produttiva, fino ai consumatori.

Ripartizione delle emissioni di N2O nel mondo agricolo

Fonte: New Food magazine

Foraggi di qualità per un’elevata produzione di latte
2 Ottobre 2017

È risaputo come la qualità dei foraggi sia fondamentale per la produzione di latte e si ritiene che per sostenere alte produzioni occorra avere razioni con grandi quantità di concentrati. Ora però uno studio condotto in Wisconsin su allevamenti che producono oltre 130 quintali di latte per vacca, dimostra che tale produzione dipende non tanto dalla quantità di mangime ma dalla qualità dei foraggi somministrati.

Lo studio è stato condotto per una decina d’anni in 15 stalle, analizzando le razioni delle vacche con elevata produzione di latte. La razione era costituita da un misto di insilato di medica e di mais, in genere con un apporto di fieno. La medica aveva un contenuto variabile dal 17 al 26% di proteina grezza, con una fibra NDF variabile dal 34 al 47% ed una digeribilità in vitro a 30 ore variabile dal 39 al 59%, mentre l’amido del mais oscillava dal 25 al 41% .

60% 

della produzione di latte derivava dai nutrienti presenti nel foraggio

È stato calcolato come su di una produzione di 40-45 litri di latte al giorno, il 60% derivasse dai nutrienti presenti nel foraggio di alta qualità somministrato alle vacche e solo il 40% dai concentrati o dai cerali della razione. Oppure, detto in altri termini, il 45% della proteina grezza, il 40% dell’amido, il 55% dei carboidrati ed il 50% dell’energia della razione deriva da insilato di mais altamente digeribile, che apporta anche il 75% della fibra al detergente neutro (NDF) e l’85% di quella effettiva.

Così, da ogni tonnellata di sostanza secca di foraggio si possono ottenere 1.300 litri di latte. La stalla con la produzione di latte più elevata, usava una medica insilata al 24.5% di proteina grezza e con il 52% di fibra al detergente neutro NDF. Però la base della razione e degli apporti era basata sulla grande qualità del mais insilato, raccolto in modo da massimizzare la digeribilità di fibra ed amido.

Dunque, una buona tecnica di allevamento non può prescindere da adeguate pratiche colturali e di gestione dei foraggi, per massimizzarne le loro potenzialità

TESEO: Strumento per valutare la convenienza economica dell’auto-produzione di materie prime e foraggi. Calcola il costo della tua razione!

Fonte: Dairy Herd

Estendere la lattazione conviene
29 Marzo 2017

Una lattazione ed un parto all’anno non sono più un paradigma. Infatti, secondo i risultati di una ricerca danese, meno parti e lattazioni estese a 500 giorni darebbero più vantaggi. La ricerca è il risultato del progetto “REPROLAC – Extended lactation in dairy production in favor of climate, animal welfare and pro­ductivity” che associa l’università di Aarhus ad Arla con l’INRA francese e singoli allevatori, per un finanziamento di 2,4 milioni di €.

Prolungando di sei mesi la lattazione, si possono ottenere effetti positivi su produttività, benessere animale ed impatto ambientale contenendo le emissioni di gas effetto serra (GHG) e riducendo in modo significativo la quantità di alimento per kg di latte prodotto. Inoltre, contrariamente a quanto comunemente asserito negli studi precedenti che comunque rimontano a diverso tempo fa e non tengono in considerazione le moderne tecniche di allevamento, la qualità del latte non ne risentirebbe.

A fronte di una ridotta produzione, il prolungamento della lattazione comporta un aumento dei tenori di proteine e grasso nel latte, con effetti positivi sulla trasformazione casearia. All’analisi sensoriale, il latte risulta più cremoso, ma non presenta alterazioni nel sapore e nell’aroma come precedentemente ritenuto.

Confronta le performance della tua Azienda da latte

Fonte: Aarhus University

Adeguare le relazioni di filiera per affrontare il mercato
6 Marzo 2017

Il gruppo Müller ha un ruolo importante sul mercato inglese, dove conta 1900 fornitori di latte. Per razionalizzare la posizione contrattuale sul mercato, l’azienda tedesca ha sollecitato i propri allevatori a costituire una OP (organizzazioni di produttori, art. 152 del Reg UE n.1308/2013 sulla organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli). Ha poi anche deciso di rendere più flessibili le condizioni di fornitura: vengono cancellate le penalizzazioni per chi sfora fino al 7,5% la produzione di latte prevista, che risultano comunque attenuate per variazioni fino al 20% e vengono introdotti parametri migliorativi riguardo i contenuti di grasso. L’azienda ha poi deciso di investire oltre 120 milioni di euro per migliorare l’efficienza degli impianti ed ottenere nuovi prodotti ad elevato valore aggiunto fatti col “British milk”. Prossimamente si svolgeranno le elezioni fra gli allevatori per scegliere i 21 rappresentanti del Milk Group Farmer Forum, che deciderà sulla costituzione della OP e di un comitato latte che si confronterà mensilmente col management dell’azienda.

Nell’ottica di contenere la volatilità, Müller ha poi proposto agli allevatori un nuovo contratto di fornitura con la possibilità di indicizzare sul mercato futures una parte della loro produzione di latte.

Ora tocca agli allevatori partecipare attivamente in questo processo e scegliere i migliori rappresentanti.

In un contesto di mercato aperto e competitivo, occorre conoscere e valutare i nuovi strumenti contrattuali per stabilire relazioni di filiera eque e profittevoli. La parola d’ordine è organizzarsi!

Analisi della Qualità del latte in Lombardia

Fonte: theScottishFarmer

Produrre meno latte: una questione di prezzo?
26 Settembre 2016

Secondo un recente sondaggio dell’Irish Examiner, un terzo degli allevatori irlandesi è attualmente disposto a ridurre la produzione di latte per ottenere il sussidio europeo. In questi ultimi anni le aspettative sono mutate notevolmente; basti pensare che nel 2014 quasi la metà degli allevatori intendeva aumentare la produzione del 10-30%.

Ora invece la metà degli allevatori irlandesi afferma di voler proseguire a produrre la quantità di latte programmata, nonostante il previsto sussidio di 14 centesimi al litro per ridurne la produzione in ottobre, novembre e dicembre, mentre il 18% pensa di aderire a tale incentivo solo se gli acquirenti non aumentano il prezzo del latte raccolto. Leggermente meno interessati al sussidio gli allevatori nella fascia di età 45-54 anni, e le aziende molto piccole.

Un dato da considerare con attenzione è poi l’attitudine degli allevatori verso le cooperative a cui consegnano il latte: il 38% ritiene che queste dovrebbero associarsi fra loro per fronteggiare meglio il mercato, rispetto al 23% dello scorso anno; il 74% pensa di continuare a fornire il latte alla stessa cooperativa nei prossimi 5 anni rispetto all’82% nel 2015. Si abbassa anche il numero di coloro che si dichiarano soddisfatti sugli attuali contratti di fornitura del latte.

Gli allevatori con le aziende di maggiori dimensioni e quelli più anziani ritengono comunque insufficienti gli interventi UE e nazionali per fronteggiare la crisi del latte.

Si diffonde dunque l’incertezza, ma anche la necessità di collaborare lungo la filiera per una migliore gestione delle aziende, dei volumi produttivi e dunque per affrontare meglio il mercato.

 

Monitoraggio delle Consegne di latte in UE e delle esportazioni lattiero-casearie su CLAL.it
Monitoraggio delle Consegne di latte in UE e delle esportazioni lattiero-casearie su CLAL.it
CLAL.it - Produzioni Latte dei principali Paesi Esportatori
CLAL.it – Produzioni Latte dei principali Paesi Esportatori

Fonte: Irish Examiner

Produrre latte (e derivati) in Australia
30 Maggio 2016

Si prevede che nel 2016 la produzione di latte in Australia raggiunga le 9,8 milioni di tonnellate, con una dinamica in leggera crescita. Dall’indagine di Dairy Australia, risulta come tre quarti dei produttori di latte continuino ad avere una visione ottimistica del settore nonostante le basse quotazioni, in ragione del potenziale di export verso i paesi asiatici. Due terzi degli intervistati ritengono che gli accordi di libero scambio (Free Trade Agreements – FTAs) sottoscritti con Corea, Giappone e Cina avranno un impatto positivo nel lungo termine. Circa il 40% della produzione viene esportata soprattutto verso questi mercati, per lo più formaggi e polveri. L’export lattiero australiano rappresenta il 7% sul totale del commercio mondiale. Sei aziende, Murray Goulburn, Fonterra, Lion, Warrnambool, Parmalat, Bega, trasformano il 90% del latte e quattro di queste rappresentano investimenti esteri: Fonterra, Parmalat (Lactalis), Lion (Kirin, Giappone), Warrnambool (Saputo, Canada).

L’allevamento è basato sul pascolo ed è molto influenzato dalla piovosità. Lo stato di Victoria produce due terzi del latte australiano, che viene ottenuto in allevamenti a carattere familiare, mentre circa il 10% di aziende ha oltre 600 capi in mungitura. Il picco produttivo si raggiunge in ottobre.

Il consumo pro capite di latte liquido nel 2015 sarà di 110 litri, in crescita rispetto ai 104 litri del 2010 e tende a spostarsi dal latte intero a quello magro, aromatizzato o modificato; ad esempio, nel 2015 il consumo di latte senza la beta caseina A1 è in crescita del 8%.

Il formaggio è una produzione di punta e si stima raggiunga le 340 mila tonnellate nel 2016. Il mercato interno è maturo, a 13,5Kg per abitante, col cheddar che rappresenta il 55% dei consumi, seguito da mozzarella, formaggi freschi, paste dure da grattugia ed erborinati. La metà della produzione è esportata (155 mila tonnellate nel 2015), col Giappone come maggior mercato. Le importazioni di formaggio (75 mila ton), polveri di latte e burro (20 mila ton cadauno), provengono in particolare dalla Nuova Zelanda, mentre dalla UE vengono importati formaggi di specialità; dagli USA, cheddar e mozzarella.

La produzione di burro si prevede stabile a 122 mila tonnellate, con una domanda in crescita e scorte in aumento per la necessità di ricollocare il prodotto risultante dal blocco russo. Riguardo alle polveri di latte, si prevede una minor produzione di polvere di latte intero (WMP) rispetto alle 95 mila tonnellate preventivate per il 2015; in crescita invece la polvere di latte scremato (SMP) , attesa nel 2016 a 240 mila tonnellate. Il 75% viene esportato verso Cina, Indonesia, Singapore, Malesia.

Gli accordi di libero scambio, compreso il recente TPP, sembrano costituire un ambito favorevole per facilitare l’export e dunque sostenere la produzione.

CLAL.it - AUSTRALIA: Export mensile dei prodotti lattiero-caseari negli ultimi 2 anni
CLAL.it – AUSTRALIA: Export mensile dei prodotti lattiero-caseari negli ultimi 2 anni

Fonte: FAS-USDA

Prezzo del latte: gli allevatori Neozelandesi rimproverano i colleghi Europei
22 Febbraio 2016

Agli eventi Global Dairy Trade (GDT) di febbraio, piattaforma quindicinale di vendite all’asta retta dal leader mondiale nell’esportazione dairy, la coop neozelandese Fonterra, i prezzi delle commodity lattiero-casearie sono calati del 7,4% (2 Febbraio) e successivamente del 2.8% (16 Febbraio). Anche nelle due aste precedenti, le quotazioni sono state al ribasso. Il calo è stato ancora maggiore per la polvere di latte intero (Whole Milk Powder – WMP), di cui la nuova Zelanda è l’incontrastato leader all’export: – 10,4% (2 Febbraio) e -3.7% (16 Febbraio).

Questo ha messo in agitazione gli allevatori, che affermano come la colpa di questa situazione sia da imputare ai loro colleghi europei. Affermano infatti che, mentre in Nuova Zelanda nel 2015 la produzione è stata tagliata, nell’Unione Europea, senza più i vincoli delle quote latte, è stata notevolmente aumentata. Agli allevatori europei è imputato il fatto di poter essere competitivi sul prezzo del latte per i sussidi che ricevono, poiché senza tali aiuti sarebbero costretti a chiudere.

Ad onor del vero, la Nuova Zelanda è coinvolta in questa situazione di ingolfamento sul mercato mondiale del latte: nel 2014 aveva aumentato in modo considerevole la produzione, nell’euforia di acquisti cinesi senza fine e nell’attesa di prezzi ancor superiori ai picchi elevati già raggiunti.

Comunque, l’andamento dell’asta GDT rappresenta un indice di riferimento per i prezzi del latte a livello mondiale, dunque anche europeo. Il 2016 inizia come anno di quotazioni in calo e produzioni sostenute, con una domanda mondiale contrastata dalle turbolenze finanziarie.

Se la Nuova Zelanda soffre una concorrenza europea senza più quote, l’Italia rischia di soffrire molto di più data la sua debolezza competitiva.

In ogni caso, biasimare l’altro per le proprie difficoltà non è la soluzione. Occorre definire una strategia per competere. Le “guerre del latte” servono solo a mietere vittime.

 

CLAL.it – Produzioni di Latte in UE e Nuova Zelanda
Clal.it - GlobalDairyTrade: Quantità offerte e prezzi medi ponderati mensili
CLAL.it – Andamento dell’Asta GDT

 

Fonte: stuff