Il 24 Febbraio 2022 la Russia invadeva l’Ucraina. I prezzi delle materie prime, già da alcuni mesi alle prese con una fase rialzista (in parte a causa dei significativi acquisti da parte della Cina e in parte per gli effetti dei cambiamenti climatici), si impennarono immediatamente (Russia e Ucraina sono fra i principali esportatori di cereali e il conflitto rappresentava un ostacolo alle esportazioni).
In poche settimane il costo totale dell’ALIMENTO SIMULATO (cioè una razione alimentare teorica destinata ai suini e definita inserendo mais, frumento, orzo, farina di soia, crusca, altri ingredienti e i costi industriale per la produzione del mangime), si impennava fino a raggiungere la media di 1,63 €/kg di carne (dato elaborato medio, relativo al mese di Marzo 2022).
Due anni dopo l’inizio della guerra in Ucraina, il costo medio mensile simulato della RAZIONE ALIMENTARE (ripetiamo: costo simulato), è sceso a 1,11 €/kg di carne.
Dopo l’avvio del conflitto russo-ucraino, ad alzarsi notevolmente furono anche i prezzi energetici, alla luce del fatto che la Russia era il principale esportatore di gas verso l’Europa.
Sul sito TESEO.clal.it è possibile ricostruire il prezzo dell’Energia Elettrica in Ue. La media mensile di Marzo 2022 toccò i 247,39 €/MWh a livello comunitario. Oggi le quotazioni di Febbraio 2024 segnano un costo di 65,85 €/MWh.
Andamento analogo anche per il prezzo del Gas Naturale, passato da 56,43 €/MWh di Marzo 2022 agli attuali 29,9 €/MWh. Il picco venne raggiunto nell’Agosto 2022 con la cifra record di 185,63 €/MWh.
Ridimensionamento anche per il prezzo del Petrolio, passato dai 117,25 $/barile di Marzo 2022 a 82,99 $/barile nel mese di Febbraio 2024.
Da anni l’export mondiale del Mais e della Soia è per la maggior parte nelle mani di due Paesi: gli USA e il Brasile. Le prospettive dei due Paesi, tuttavia, sono diverse: mentre gli USA sono vicini al massimo del loro potenziale, in Brasile c’è molto più margine di miglioramento sia per le aree coltivate che per le rese. Questi processi sono già in corso in Brasile e stanno modificando gli equilibri commerciali associati ai due prodotti.
L’India è il secondo produttore mondiale di Riso al mondo, dopo la Cina, con 132 Mio Ton per la stagione 2023-24, secondo le stime USDA. Con un’autosufficienza del 112%, sono i primi esportatori mondiali con un export di più di 20 Mio Ton per la stagione 2022-23, coprendo circa il 37% dell’export mondiale.
Nel 2023, la stagione monsonica Indiana è stata caratterizzata da piogge scarse che hanno danneggiato il raccolto principale del Paese e, negli ultimi mesi, la carenza di umidità ha avuto un impatto negativo anche sul secondo raccolto. Di conseguenza, la disponibilità di Riso nel Paese è limitata.
Per questo motivo, già lo scorso Luglio il governo Indiano aveva vietato le esportazioni di Riso bianco non basmati, nel tentativo di frenare l’inflazione dei prezzi alimentari, che lo scorso Dicembre era del +10% rispetto un anno prima. Inoltre, sull’export del Riso parboiled è stata fissata una tassa del 20%. Adesso, il governo ne sta considerando l’estensione oltre il 31 Marzo, data in cui dovrebbe terminare.
Queste tensioni potrebbero avere un effetto rialzista sui mercati del Riso, che vedono già prezzi a livelli elevati nei mercati Asiatici, ma anche Africani e del Medio Oriente.
La South Dakota State University ha sperimentato nella razione dei Bovini da Carne la sostituzione di un 30% di Mais con la Segale ibrida lavorata.
Il risultato dello studio ha mostrato che tale sostituzione porta a risultati molto simili nonostante la Segale abbia un apporto energetico inferiore rispetto al Mais.
L’inclusione di una quota importante di Segale nella dieta dei bovini ridurrebbe la dipendenza dal Mais nelle razioni e questo si tradurrebbe in un vantaggio economico, dato che il suo prezzo è in genere inferiore a quello del Mais.
Inoltre, questa modifica faciliterebbe la rotazione delle colture come anche la lotta ai parassiti. Lo stesso studio ha anche dimostrato che la coltivazione della Segale, oltre ad essere resistente a diverse condizioni meteo, può avere effetti positivi sulle rese delle successive produzioni di Mais e Soia.
Altri studi hanno indagato l’efficacia della Segale nell’alimentazione bovina, non necessariamente come sostituto del Mais.
Uno studio condotto dall’Università del Saskatchewan (Canada) ha testato la combinazione di insilato di Segale e insilato di Orzo come foraggio nella dieta dei bovini da carne. Questa combinazione, secondo i ricercatori, potrebbe essere quella ottimale. Per quanto riguarda la Segale è importante, tuttavia, ridurre al minimo i rischi della presenza di Segale cornuta anticipando il taglio della pianta.
Un altro studio effettuato dall’ Università del Wisconsin ha esaminato l’impatto dell’inclusione della segale e del triticale nella razione per le vacche da latte. In questo caso, però, non si tratta di un’alternativa al mais, ma al fieno fino ad un terzo della sostanza secca. Lo studio ha evidenziato che entrambi possono essere un’ottima fonte di fibre digeribili se raccolte nella fase di avvio soprattutto per le vacche in lattazione, mentre per le manze gravide possono essere utilizzate anche se raccolte ad una maturità più avanzata.
A livello mondiale, il trade delle Carni Bovine sta aumentando negli anni. In particolare, negli ultimi due anni sono cresciute, rispetto allo storico, le esportazioni da Brasile e Argentina. Anche l’India presenta un export con trend positivo, favorita dai prezzi competitivi ma si tratta principalmente di carne di bufalo prodotta da animali da latte a fine carriera e non rispetta gli standard di qualità sanitari degli altri principali esportatori.
A questi si aggiunge l’Australia, secondo Paese per quantità esportate di Carni Bovine al Mondo, che nel 2023 ha aumentato le esportazioni approfittando della sua maggiore competitività rispetto ad altri player, in particolare gli USA.
Negli USA, che pur essendo deficitari sono al quarto posto tra gli esportatori mondiali, a causa della siccità è stata ridotta la mandria bovina e questo ha provocato una spinta rialzista sui prezzi della carne. Di conseguenza il Paese ha perso competitività sui mercati e le quantità esportate si sono ridotte del 21% nel 2023 rispetto al 2022.
L’Unione Europea è l’ottavo esportatore di Carni Bovine a livello mondiale, ma negli ultimi anni ha registrato un export in rallentamento, dovuto anche ad una minore produzione domestica. Tuttavia, nel 2023, l’UE ha visto quantità esportate e prezzi medi unitari sugli stessi livelli del 2022.
Dal lato della domanda, i principali acquirenti sono Cina e USA. La Cina, dopo alcuni anni di aumento della domanda, ha rallentato la crescita arrivando quasi a stabilizzarsi nel 2023. Gli USA mantengono, invece, un trend di crescita significativa, registrando un aumento delle quantità importate del 19,3% nel 2023 rispetto al 2022. In particolare, cresce l’import di Sego e quello delle Carni fresche o refrigerate e Carni congelate, a prezzi più competitivi rispetto a quelli di esportazione.
Il mercato del suino in Italia si mantiene remunerativo per gli Allevatori, grazie anche soprattutto a un costo medio mensile del mangime per chilo di carne in flessione. La diminuzione delle sigillature del Prosciutto di Parma e San Daniele convive con una importazione marcata di cosce o suini dall’estero: 53,5 milioni nel 2022, contro i 18,1 milioni di cosce di suini italiani (delle quali 10,4 milioni nel circuito DOP).
Fra Gennaio e Ottobre 2023, in un contesto di crescita in Italia delle importazioni di carne suine fresche o congelate (+4% in volume, per complessive 824.000 tonnellate), cambiano le rotte commerciali. Mentre calano, infatti, le quantità acquistate da Germania e Danimarca, crescono le rotte da Spagna e Paesi Bassi.
Parallelamente, si intensificano le vendite all’estero di salumi Made in Italy, con un incremento nei primi dieci mesi del 2023 del 6,8%, che portano i volumi esportati vicini a 170.000 tonnellate.
A livello mondiale, le previsioni per il 2024 sono di una ripresa delle importazioni (+5,4%), con Cina e Giappone che dovrebbero tornare a crescere in termini di volumi acquistati.
A preoccupare fortemente la filiera è la presenza della peste suina africana (PSA), che potrebbe provocare blocchi all’export particolarmente pesanti e alterare anche a fondo il mercato dei suini. Sono alcune delle tendenze emerse a Fieragricola di Verona, alla quale TESEO ha partecipato.
L’etanolo viene utilizzato come carburante in combinazione alla benzina in diverse percentuali. In genere, la presenza di etanolo varia tra il 5 e il 10%, ma alcuni carburanti sono composti all’85% da etanolo e il restante 15% da benzina.
Nelle ultime settimane la produzione Statunitense di etanolo è diminuita in modo significativo. I fattori determinanti sono la minore redditività della produzione e il freddo che ha ostacolato la fornitura di gas naturale agli impianti di produzione.
Anche dal lato della domanda si sono verificati dei rallentamenti: il freddo ha portato a ridurre i consumi di carburante. Allo stesso tempo, anche le esportazioni si sono ridotte. Questo ha permesso agli stock di etanolo di crescere. La maggiore disponibilità sta esercitando una pressione ribassista sui prezzi influenzando negativamente la redditività della produzione.
Tuttavia, la redditività della produzione di etanoloè strettamente legata anche all’andamento delle materie prime, di queste la più utilizzata negli USA è il Mais. Le stime USDA indicano che la disponibilità di Mais dovrebbe aumentare nel 2024, rispetto al 2023, e questo avrebbe un effetto ribassista sui prezzi del Mais e, di conseguenza, dell’etanolo.
Per quanto sia un carburante economico, non può essere paragonato alla benzina perché non tutti i motori a benzina possono utilizzarlo ed ha un’efficienza molto inferiore. Negli USA, però, si sta investendo nell’utilizzo di etanolo sostenibile come carburante per l’aviazione, e recentemente è stato aperto il primo impianto per la produzione di etanolo sostenibile da utilizzare in aviazione. Lo sviluppo di tale settore garantirebbe ai produttori di Mais un ruolo di rilevanza nel panorama energetico.
Negli ultimi vent’anni il numero totale di stalle USA è più che dimezzato, mentre il numero medio di vacche per stalla è cresciuto del 139%. Oltre il 70% del latte statunitense viene prodotto in aziende con almeno 500 vacche, con punte di oltre 25.000 capi. Si tratta di una trasformazione significativa, in gran parte guidata da politiche volte ad incrementare i volumi e ad espandere i mercati di esportazione, ma che ha determinato effetti negativi sulle aziende agricole a conduzione familiare e sull’ambiente, a vantaggio delle imprese di agribusiness di grandi dimensioni. Negli ultimi 20 anni, le esportazioni di prodotti lattiero-caseari USA sono aumentate di otto volte e ciò ha coinciso con un rapido accorpamento delle aziende.
Quindi in sintesi la scelta per lo sviluppo lattiero-caseario è drastica: cresci o chiudi.
Questo consolidamento è avvenuto con una dinamica più rapida rispetto a qualsiasi altro settore agricolo ad eccezione di quello avicolo e suinicolo. È una evoluzione che si sta verificando sia a livello di aziende agricole – meno aziende, più mega stalle – sia a livello di trasformazione – meno imprese ma gruppi più grandi. Per gli allevatori questa evoluzione ha comportato spesso una spirale di debiti e fallimenti, collegata anche a suicidi ed al declino della popolazione rurale. Durante questo periodo gli allevatori hanno faticato per raggiungere il pareggio di bilancio a causa dell’aumento dei costi di produzione, più rapido del prezzo del latte. Ciò è in parte dovuto ad un importante cambiamento nella politica lattiero-casearia degli Stati Uniti, che è passata da una stabilizzazione delle quotazioni ottenuta attraverso garanzie di prezzo minimo e l’ammasso dei prodotti in eccesso per gestire l’offerta ad una politica che incoraggia la produzione e l’espansione verso i mercati di esportazione.
Per smaltire l’eccesso di offerta gli allevatori debbono sobbarcarsi dei costi obbligatori per finanziare campagne di promozione di latte, burro e crema presso i consumatori e le aziende di fast-food. Ad esempio, tra il 2005 e il 2018 gli allevatori hanno versato circa 4 miliardi di dollari al programma obbligatorio Dairy Checkoff di cui però non si vedono ricadute positive sul settore primario.
Altrettanto preoccupanti sono le ricadute ambientali di tale evoluzione. Un esempio sono le emissioni più che raddoppiate di metano proveniente dal letame dato che le aziende, aumentando notevolmente di dimensione, hanno meno possibilità di far pascolare il bestiame e debbono raccogliere il letame nelle vasche di stoccaggio. Anche la modalità della leva finanziaria attraverso l’acquisto dei certificati di carbonio per compensare le emissioni non è la migliore risposta ad una evoluzione che destabilizza la filiera produttiva.
In conclusione, occorrerà valutare se continuare nella dinamica seguita da due decenni per l’aumento delle produzioni e delle esportazioni che ha determinato notevoli ricadute economiche, sociali ed ambientali. Oppure se sia necessario ricercare un modello che sostenga le aziende agricole a conduzione familiare, protegga l’ambiente e garantisca un margine equo agli allevatori.
La nostra alimentazione si basa su poche, grandi coltivazioni quali grano, riso, mais, soia, oppure banane, presenti sulle tavole in tutto il mondo.
Diffusione di parassiti e difficoltà di conservazione degli alimenti
Il cambiamento climatico mette a rischio la sicurezza alimentare mondiale. Non si tratta solo dell’impatto sui raccolti, ma anche della maggiore diffusione di parassiti e patologie, delle difficoltà nella conservazione degli alimenti per la presenza di insetti e muffe resistenti alle crescenti temperature. Esiste poi il rischio che la crisi climatica accresca la malnutrizione, riducendo la disponibilità di nutrienti e la qualità del cibo. Ad esempio, le temperature più elevate e l’aumento delle concentrazioni di CO2 nell’aria possono comportare la riduzione di proteine, ferro zinco e microelementi in colture come soia, grano o riso. Questo problema renderebbe molto più esposte le popolazioni di quei Paesi in cui l’alimentazione si basa su uno o due alimenti di base. I cambiamenti climatici influenzano poi anche prodotti quali caffè e cacao, che sono ormai trasformati e consumati abitualmente nei paesi economicamente più avanzati.
Alcuni esempi: la produzione globale di maissubirà probabilmente una massiccia riduzione entro il 2050 a causa delle variazioni di temperatura e della diminuzione delle precipitazioni. Se negli Stati Uniti od in Brasile saranno colpite le potenzialità di export, in luoghi come il Mozambico dove il mais viene coltivato per il consumo locale, l’effetto sarà probabilmente devastante.
In India, Paese che produce il 14% del grano mondiale, la diminuzione della produzione nelle regioni di coltivazione più calde e secche avrà un impatto significativo sulla popolazione. Lo stesso in America centrale ed in Africa, dove le rese potrebbero diminuire del 3% o più. Invece nelle regioni temperate, come in Nord America ed in Europa, la produzione di grano potrebbe registrare un aumento delle rese di oltre il 5%.
Prospettive inquietanti poi per il riso, alimento base per oltre 3,5 miliardi di persone in Asia ed Africa, le cui rese a livello mondiale secondo alcune stime potrebbero diminuire anche dell’11% entro il 2050.
Gli effetti del cambiamento climatico sulle rese della soiasono contrastanti, in quanto è stato riscontrato che le piante rispondono positivamente alle maggiori concentrazioni di CO2 nell’aria. I raccolti di soia potrebbero anche aumentare se la sua coltivazione potesse avvenire in aree che oggi sono troppo fredde, come lo Stato di New York ed il Canada meridionale, sebbene a scapito del grano. Tuttavia, si prevede che l’intensificarsi dello stress idrico e termico comporti una diminuzione delle rese nel corso del secolo.
Stessa dinamica anche per le banane, coltivate ai tropici come colture da reddito o come fonti alimentari locali. A causa dell’aumento delle temperature negli ultimi 20 anni, le produzioni diminuiscono ed aumenta la diffusione delle patologie. Tuttavia i cambiamenti climatici previsti potrebbero rendere coltivabili le banane anche in zone più vaste delle attuali.
Infine il cacao ed il caffè, colture che sostengono le economie dei Paesi produttori attraverso l’export e che sono un business notevole nei Paesi consumatori. La domanda di cioccolato è in crescita, ma in Africa occidentale, Costa d’Avorio e Ghana in testa, dove si ottiene metà della produzione mondiale di cacao, già sono evidenti piogge irregolari e venti caldi che impattano sulle rese. Per il caffè, l’Etiopia, primo produttore africano, potrebbe perdere il 25% dei suoi raccolti entro il 2030.
Allora, che fare per evitare interruzioni dell’approvvigionamento, prezzi più alti ed un numero maggiore di persone sottonutrite?
Uno sforzo comune per affrontare gli stravolgimenti climatici
Occorrerebbe espandere la produzione, ma questo richiederebbe più terreno agricolo che invece viene continuamente consumato. Sarebbe opportuno adottare tecniche di agricoltura di precisione e conservativa. Diventerà necessario coltivare varietà più resistenti. Forse si dovranno introdurre nuove colture adatte alle nuove condizioni climatiche e di conseguenza nuovi alimenti.
Di certo gli stravolgimenti climatici coinvolgono nel proprio vortice i produttori come i consumatori, in tutto il mondo. Quindi la soluzione del problema (di cui nessuno ha la ricetta) non può che essere uno sforzo comune.
Di: Elisa Donegatti, Ester Venturelli e Mirco De Vincenzi
Si completa l’anno 2023 per i dati sul trade della Cina, dandoci l’occasione per riassumerne l’andamento.
Il Mais ha registrato un’impennata a partire da Ottobre raggiungendo un aumento complessivo del 30% sul 2022. Tale crescita è dovuta soprattutto agli accordi stipulati tra Cina e Brasile, che hanno portato quest’ultimo al primo posto tra i fornitori del Paese con 12,8 Mio Ton. In aumento anche le quote dall’UE: seppure si parli di quantità notevolmente inferiori, il flusso è aumentato di cinque volte rispetto al 2022, superando le 700.000 Tonnellate.
Anche per i Semi Oleosi, nel complesso, si è verificato un aumento della domanda che, nonostante un rallentamento nell’ultima parte dell’anno, ha portato ad una crescita delle quantità acquistate del 15,3% nel 2023 rispetto al 2022. A crescere è soprattutto la Soia con +10 Milioni di Tonnellate, seguita dalla Colza con +3,5 Milioni di Tonnellate.
Nonostante sia attivo un piano di riduzione della dipendenza del Paese dalle importazioni per gli alimenti zootecnici, l’aumento della domanda di prodotti agricoli è determinato, in particolare, da un spinta produttiva sulla zootecnia locale. Gli effetti di questo si percepiscono anche sull’import di prodotti lattiero-caseari, che nel 2023 ha registrato un calo complessivo del -9,9% (-300.000 tonnellate).
Nel dettaglio, è diminuita la domanda di WMP (polvere di latte intero, -38,5%) e Latte confezionato, mentre le importazioni di SMP (polvere di latte scremato) sono piuttosto stabili. Al contrario, la domanda di Siero, probabilmente in parte destinato al consumo animale, è cresciuta del +9,5% e quella di Formaggi del +22,5%, con aumenti in quasi tutte le tipologie e soprattutto per i grattugiati.