Nove vacche francesi su 10 vanno al pascolo
8 Gennaio 2018

In Francia il 92% delle vacche, cioè più di 9 animali su 10, è al pascolo per un periodo variabile da 4 a 9 mesi secondo che l’azienda si trovi in montagna od in pianura. Questa pratica è resa possibile dalle condizioni pedoclimatiche del paese transalpino e ne caratterizza anche il paesaggio, oltre che l’attività zootecnica. I disciplinari dei formaggi DOP, oltre alla razza animale, spesso specificano le condizioni di questa pratica.

Nel caso del Comté, ad esempio, il maggior formaggio francese DOP, viene specificato che le vacche debbono poter pascolare il più presto possibile dopo l’inverno e fino a che la stagione lo permette. Inoltre, il pascolo deve fornire almeno la metà della razione quotidiana del foraggio assunto dall’animale .

L’applicazione delle normative UE e nazionali sul benessere animale, che comprendono gli aspetti della gestione dell’allevamento, l’identificazione individuale degli animali od i trattamenti veterinari, sono verificate dai servizi pubblici dell’agricoltura, che includono i servizi veterinari e le Camere dell’agricoltura, con numerosi controlli sulle aziende da latte.

In Francia il 95%delle aziende da latte aderisce alla Carta delle buone pratiche dell’allevamento 

Il riferimento generale è rappresentato dalla Carta delle buone pratiche dell’allevamento, elaborata nel 1999, cui aderisce il 95% delle aziende da latte. Si tratta di un percorso volontario dell’allevatore che intende verificare le condizioni dell’allevamento rispetto ad aspetti quali benessere animale, presenza di stalle sufficientemente capienti, areate, illuminate e comunque idonee ai bisogni degli animali, rispetto delle condizioni igieniche in tutte le stagioni.

La Carta prevede l’impegno a rispettare 41 pratiche essenziali, raggruppate in 6 ambiti. Esiste un servizio tecnico per verificare le condizioni dell’allevamento ed aiutare l’allevatore nella validazione delle proprie scelte gestionali, con verifiche biennali.

Fonte: CNIEL

CLAL.it – Francia | Grafico di confronto fra i prezzi dei Formaggi

 

Cosa pensano gli allevatori italiani del Benessere Animale?

Erba medica: i nuovi orizzonti dell’export
21 Dicembre 2017

Nei vasti Stati occidentali degli USA, come California ed Arizona, ampie superfici sono destinate ad erba medica per soddisfare i bisogni dei grandi allevamenti da latte californiani. Emerge però sempre più l’interesse per l’export verso quei paesi dove la produzione di foraggi è insufficiente a sostenere l’allevamento da latte, soprattutto Arabia Saudita e Cina ma anche mercati tradizionali che importano medica dagli USA come Corea e Giappone.

Stati Uniti +13%export di fieno di medica verso la Cina
(Gen-Set 2017)

L’interesse per il mercato cinese è dimostrato dal fatto che nei primi 9 mesi del 2017 l’export di fieno di medica è cresciuto del 13%. La necessità degli allevatori di contenere i costi alimentari per far fronte ai risicati prezzi del latte ha comportato il dimezzamento fra il 2002 ed il 2017 della quantità di medica nella razione e la sua sostituzione con sottoprodotti del mais o della frutta secca, la cui coltivazione è sempre più estesa dato l’interesse del mercato per tali alimenti.

Le variabili che si trovano a dover fronteggiare gli agricoltori nel decidere se ampliare o meno le superfici coltivate a medica sono il prezzo del latte, quello delle coltivazioni alternative, come il tabacco per l’Arizona, le mandorle ed il pistacchio per la California, le condizioni meteorologiche.

Ci sono poi anche le scelte dei paesi importatori, come nel caso dell’Arabia Saudita dove si prevede che la richiesta di fieno da importare aumenterà a causa della decisione di ridurre l’acqua per l’irrigazione delle superfici desertiche che erano state convertite a foraggio per i bisogni dei sofisticati allevamenti locali.

In tale contesto diventano poi cruciali i costi di spedizione e di conseguenza la scelta dei porti da utilizzare, fra Seattle al nord e Long Beach in California, per i lunghi trasporti nell’oceano Pacifico.

Quindi, anche per le coltivazioni di foraggio diventano cruciali le scelte imprenditoriali.

Italia, Milano – Prezzi settimanali del Fieno di erba medica pressato

Fonte: Western FarmPress

La Montagna nel Cuore: sostenibilità in Trentino [video]
12 Dicembre 2017

Gli attori della filiera lattiero-casearia del Trentino si incontrano venerdì 10 Novembre 2017 presso la Fondazione Edmund Mach a San Michele all’Adige (TN). Per l’occasione accolgono numerosi Operatori da altre zone d’Italia: l’obiettivo è confrontarsi sui temi legati alla Sostenibilità della filiera lattiero-casearia.

L’incontro è stato organizzato dal Consorzio dei Caseifici Sociali Trentini (CONCAST) con la collaborazione di CLAL.it e TESEO. Dopo due presentazioni sulle Buone Pratiche, tre Produttori Latte della filiera Trentingrana testimonieranno gli sforzi fatti per il sociale, l’economia della stalla e la tutela del territorio. A seguire la presentazione del Prof. Frey sulla sostenibilità e lo sviluppo delle produzioni locali in una prospettiva internazionale, ed il dibattito.

 

Apre la giornata Saverio Trettel, Presidente del CONCAST, che saluta la platea con parole di fiducia verso il percorso di Sostenibilità intrapreso dal Consorzio. E per primo rivolge l’attenzione dei presenti verso il consumatore:

per noi produttori è doveroso far comprendere ai consumatori le ricadute positive in termini di sostenibilità economica, sociale ed ambientale derivanti dalle loro scelte d’acquisto.

 

Giuliana D’Imporzano illustra poi il progetto Life DOP, in veste di Project manager. Capofila del progetto è il Consorzio Virgilio (Mantova), che con Life DOP si è proposto di rispondere alla crescente esigenza di intraprendere un percorso di Sostenibilità.

 

Maria Chiara Ferrarese propone le soluzioni per la certificazione del benessere animale offerte dal CSQA, del quale è Vice direttore. Maria Chiara va oltre l’aspetto della pura certificazione, mettendo in luce la necessità di uno standard unico, condiviso e riconosciuto per il benessere animale.

Se dovessimo seguire le richieste di ogni singola azienda, nel giro di 6 mesi avremmo 50 diversi standard di benessere animale. La conseguenza sarebbe l’incomunicabilità più assoluta.

La soluzione proposta dal CSQA è lo standard CReNBA, che è possibile consultare in questa TESEO News (cliccare qui).

Lo standard CReNBA è di fatto già diffuso: ad esempio la Latteria Sociale Valtellina, come ci informa il Direttore Marco Deghi, lo ha adottato nel nuovo regolamento di conferimento.

 

Dopo le due presentazioni prende la parola Franco Morandini, Allevatore della filiera Trentingrana, il quale racconta il rispetto per il territorio, per la popolazione circostante alle aziende agricole e per i turisti. Questo l’appello al termine della sua testimonianza:

Produrre qualità, perché pensiamo sia l’unica cosa che può pagare, essere onesti col cliente e cercare di convivere con la società che abbiamo attorno.

 

Apprezzatissimo dalla platea l’intervento di Monica Brunelli, la seconda Allevatrice, che mette in luce aspetti di Sostenibilità sociale e di benessere animale nella sua realtà in alta Val di Non. Ci informa che, per i masi che ne fanno richiesta, è stato attivato un progetto nel quale i turisti, soprattutto tedeschi, aiutano gli allevatori lavorando per l’azienda da latte. Questo favorisce un’alta considerazione del lavoro agricolo ed allevatoriale, ed i turisti una volta a casa scelgono i prodotti che hanno contribuito a produrre, potendo dire “c’ero anch’io”.
Il caseificio che valorizza il latte di Monica è portato come esempio di integrazione, in quanto raccoglie il latte di allevatori che vivono tutti nella zona circostante ma parlano molte lingue diverse. Anche il ruolo sociale dell’Associazione Allevatori è ritenuto molto importante.
Da una gestione che prevedeva un’alta produzione per capo, Monica ha preso le distanze intraprendendo un percorso di etica dell’allevamento che l’ha portata tra le altre cose all’assenza di mastiti in stalla negli ultimi 4 anni.

Come allevatrice è meno stressante vedere i miei animali sani. Non si perde tantissima produzione.

La sua conclusione è rivolta direttamente ai colleghi allevatori:

Il mio progetto più importante è quello di avere la coscienza a posto, sapendo che le vacche che producono il mio latte hanno veramente la montagna nel cuore.

Sia Franco che Monica richiamano l’attenzione sul problema derivante dal ritorno dei grandi predatori (lupi ed orsi) in un territorio dove sono presenti molte piccole aziende isolate, quindi particolarmente difficili da proteggere, frequentato per di più dai turisti.

 

Conclude le testimonianze degli allevatori Alessio Zomer, giovane Produttore latte che si è diplomato alla Fondazione Mach ed ha intrapreso la vita dell’allevatore “perché avevo la passione della zootecnia nel sangue”.

Non è solo produrre latte e formaggio, ma anche far girare l’economia di una regione.

 

Il Prof. Marco Frey, Direttore dell’Istituto di Management “Sant’Anna” di Pisa, nella sua presentazione delinea il contesto internazionale in materia di Sostenibilità, per poi rientrare in una dimensione territoriale.

Viviamo in un mondo insostenibile ed è necessario un nuovo modello economico

spiega, per poi indicare come questo nuovo modello dovrebbe essere:

  • green: un’economia capace di produrre un benessere, di migliore qualità e più equamente esteso, migliorando la qualità dell’ambiente e salvaguardando il capitale naturale. Le imprese italiane che investono in Green hanno migliori performance rispetto a tutte le altre, esportando di più e meglio;
  • capace di risparmiare le risorse: disaccoppiare la crescita dall’uso delle risorse consente di fare meglio con meno, cioè crescere in valore. L’Italia, come frutto della crisi, sta dando segnali positivi nell’efficientare l’uso della materia prima;
  • circolare: le risorse devono rimanere nel territorio, e la logica della circolarità è sempre stata naturale nell’agricoltura;
  • di corresponsabilità tra Imprese ed Istituzioni;
  • finalizzato alla creazione di valore condiviso: l’obiettivo delle imprese non è più il profitto in sé, ma il valore della comunità in cui si vive.

Frey propone per lo scenario lattiero-caseario l’aggettivo

               glocal (= global + local)

ovvero bisogna guardare alla dimensione internazionale come una grande opportunità, ma anche contribuire al mantenimento del territorio.
Dal punto di vista strategico, insieme al prodotto occorre “vendere” il territorio. Il prodotto contiene elementi di caratterizzazione e innovazione che poi si legano ad un consumo sensibile.
Malgrado la crisi, i consumatori si stanno infatti orientando sempre di più verso una scelta consapevole che, spiega il Prof. Frey, ha 3 componenti: il portafoglio, il senso di responsabilità ed il benessere personale.

Un’indagine del 2013 sui cittadini europei ha evidenziato un’inversione di tendenza. Per la prima volta i cittadini hanno infatti riconosciuto se stessi come il principale soggetto che può spingere di più l’economia ad andare verso la Sostenibilità. Al secondo posto le imprese, e solo al terzo le istituzioni.

 

Le presentazioni del Prof. Frey e dei tre allevatori innescano il dibattito.

Franco Pasquali, Presidente del forum di Symbola, si rivolge proprio agli allevatori trentini con ammirazione, sottolineandone l’orgoglio per la difesa del territorio. “Siete un riferimento per il Paese”, ed ancora: “voi siete già proiettati in un futuro”.

Danio Federici, Vice presidente di Granarolo S.p.A., evoca il senso di responsabilità che accomuna gli allevatori trentini con i conferenti a Granarolo, mentre Stefano Cattaneo, General Manager di Bel Italia, sottolinea che per Bel la Sostenibilità non è uno strumento di marketing, ma una questione di sopravvivenza. Paolo Fabiani, Presidente di Trevalli-Cooperlat, apprezza il senso di condivisione dei valori degli Allevatori trentini e sottolinea l’importanza di un ritorno ai valori iniziali aggreganti della cooperazione, che si sono un po’ persi, specialmente nelle grandi strutture.

Provocatoria la domanda posta alla giovane Martina Brazzale, di Brazzale S.p.A.: la Sostenibilità è una favola da raccontare al consumatore, o veramente un modo responsabile di lavorare e vivere?
Martina risponde prontamente:

al consumatore non basta una favola

La Sostenibilità si può fare, occorre definire parametri oggettivi, in base ai quali fissare degli obiettivi e raggiungerli: questo è il metodo adottato dalla famiglia Brazzale.

 

Noi italiani dovremmo lavorare di più sulla comunicazione

afferma Claudio Truzzi, Responsabile ufficio qualità di METRO. “La percezione del Made in Italy all’estero è bassissima” ribadisce, “a partire dalle istituzioni (nazionali ma anche locali), se non diamo visibilità ai prodotti rischiamo che tutto il lavoro fatto a monte, bellissimo, venga vanificato.”
Truzzi auspica che la Sostenibilità divenga sempre più un aspetto integrante nei prodotti tipici. E mette in guardia da movimenti quali l’antibiotic free:

la normativa è un’altra, queste sono forzature commerciali che stanno confondendo il concetto della Sostenibilità e possono portare dei danni.

 

È Vincenzo Giuliani, Responsabile acquisti formaggi di CONAD a concludere il dibattito, sottolineando l’importanza della Sostenibilità come valore di marketing.

Dietro la Sostenibilità c’è passione, competenza, una grande responsabilità, e questi valori vanno comunicati nella loro complessità.

Questa comunicazione, afferma ancora Giuliani, non può essere una responsabilità della sola Distribuzione.
Gli interventi degli allevatori vengono definiti “illuminanti”, e Giuliani propone anche un’autocritica della Distribuzione dal punto di vista ambientale. Infatti si è lavorato molto per efficientare la logistica, ma

nella selezione dei prodotti potremmo sicuramente essere un po’ più attenti, soprattutto in tema di packaging, e sviluppare una coscienza un po’ più critica. 

 

Romano Masè, Direttore Generale del Dipartimento territorio, agricoltura, ambiente e foreste della Provincia Autonoma di Trento, tenta di riassumere la grande quantità di contributi che hanno animato la mattinata. Pone in risalto l’importanza di riconoscere la centralità del territorio ed il ruolo che le attività agricole giocano nel mantenimento del paesaggio.

 

Tira le conclusioni dell’incontro l’Assessore all’agricoltura, foreste, turismo e promozione, caccia e pesca della Provincia Autonoma di Trento Michele Dallapiccola. Accanto alle definizioni precise di Sostenibilità date durante la mattinata, Dallapiccola ne propone una fatta con termini di uso comune:

nel mio modo di pensare, sostenibile significa per sempre

“Quando chiedo a me stesso se posso fare una cosa in modo sostenibile significa: posso fare per sempre questa cosa?” Tuttavia la sostenibilità significa investire risorse, e secondo Dallapiccola non c’è altra strada se non farsi pagare la qualità, per compensare questi investimenti.

 

La mattinata si conclude con un buffet offerto da CONCAST. I partecipanti si confrontano sui tanti spunti emersi, gustando eccellenze trentine tutte accomunate dal Marchio Qualità Trentino. Protagonisti indiscussi gli Allevatori, che hanno espresso una cultura del paesaggio e della cooperazione unica.

Consulta le presentazioni della giornata >

glocal = global + local

La rivoluzione dei droni
28 Novembre 2017

I droni possono cambiare l’agricoltura e l’allevamento. Permettono di lavorare meglio ed in minor tempo, di operare su grandi superfici senza interferire con le culture o gli allevamenti. Dunque i droni possono rivoluzionare coltivazioni ed allevamento.

I droni possono rivoluzionare coltivazioni ed allevamento.

Innanzitutto possono prendere centinaia o migliaia di immagini che permettono di verificare minuziosamente le coltivazioni ed il terreno con l’uso di un computer in modo molto più preciso e frequente che non andando direttamente sul campo. La possibilità di filtrare le immagini con la visione all’infrarosso (NIR) permette di verificare precocemente l’insorgere di fitopatologie, insetti e funghi, invisibili ad occhio nudo.

Oltre che la visione dall’alto, è possibile vedere il terreno ad una distanza anche di 50 cm il che permette di definire con precisione la quantità di fertilizzanti od insetticidi da somministrare. I droni poi rendono evidente la conformità del terreno, pendenze, drenaggio e zone di ristagno d’acqua attraverso le camere fotografiche termiche.

Esistono poi vantaggi anche per l’allevamento: le immagini dei droni possono rendere evidenti animali con patologie ed in stato febbricitante; è possibile monitorare lo stato dei fabbricati e delle attrezzature. Infine, i droni rendono possibile determinare con precisione i danni atmosferici, es da grandinate, in modo sistematico su ogni frazione aziendale.

Per questo i droni possono essere definiti i nuovi trattori del cielo

Acqua&Energia : focus sull’irrigazione di precisione

Fonte: Botlink

La Sostenibilità nella filiera lattiero-casearia Trentina [presentazioni]
20 Novembre 2017

Un’aula magna affollata Venerdì 10 Novembre in occasione dell’incontro “La Sostenibilità nella filiera lattiero-casearia Trentina”, organizzato da Concast (Consorzio dei Caseifici Sociali Trentini), con il Patrocinio della Provincia Autonoma di Trento e la collaborazione di CLAL.it e TESEO, presso la Fondazione Edmund Mach a San Michele all’Adige (TN).

Alla presenza di amministratori dei caseifici aderenti al Concast, dei vertici della cooperazione trentina e di enti ed organizzazioni agricole, operatori esperti del settore lattiero-caseario nazionale, il Presidente Concast Saverio Trettel, il Direttore Concast Andrea Merz, il Direttore Generale FEM Sergio Menapace, insieme ad Angelo Rossi e Francesco Branchi di CLAL.it, hanno aperto i lavori del convegno finalizzato ad una valorizzazione sostenibile del territorio trentino.

Le Buone Pratiche di Sostenibilità nel settore dell’industria casearia di eccellenza e del benessere animale sono state presentate da Giuliana D’Imporzano, Project Manager Progetto Life DOP, da Maria Chiara Ferrarese, Vice Direttore CSQA, e da tre appassionati Produttori Latte della Filiera Trentingrana, Franco Morandini, Monica Brunelli e Alessio Zomer, che hanno raccontato come applicano le tre dimensioni della Sostenibilità (ambientale, sociale ed economica).

Il Prof. Marco Frey, Direttore dell’Istituto di Management “Sant’Anna” di Pisa, ha affrontato con entusiasmo il tema della Sostenibilità e sviluppo delle produzioni locali in una prospettiva internazionale.

Il dibattito ha coinvolto operatori della filiera lattiero-casearia esperti a livello nazionale: produttori latte, imprese di trasformazione e grande distribuzione. Le conclusioni sono state affidate a Romano Masè, Direttore Generale del Dipartimento Territorio, agricoltura, ambiente e foreste della Provincia Autonoma di Trento ed a Michele Dallapiccola, Assessore all’Agricoltura, foreste, turismo e promozione, caccia e pesca della Provincia Autonoma di Trento.

Consulta le presentazioni della giornata:

Giuliana D’Imporzano – Project Manager Progetto Life DOP
1 - Progetto Life DOP pratiche di sostenibilità nell industria casearia di eccellenza
Giuliana D’Imporzano – Project Manager Progetto Life DOP
pdf 2 MB | 519 clicks
Maria Chiara Ferrarese – Vice Direttore CSQA
2 - Benessere animale certificato
Maria Chiara Ferrarese – Vice Direttore CSQA
pdf 1 MB | 750 clicks
Marco Frey – Direttore dell'Istituto di Management “Sant’Anna” di Pisa
3 - Sostenibilità e sviluppo delle produzioni locali in una prospettiva internazionale
Marco Frey – Direttore dell'Istituto di Management “Sant’Anna” di Pisa
pdf 7 MB | 764 clicks

L’Agenda dell’evento “La Sostenibilità nella filiera lattiero-casearia Trentina”

Come certificare (e comunicare) il Benessere Animale
7 Novembre 2017

di Maria Chiara Ferrarese, R&S Executive Manager, Business Development Executive Manager – CSQA Certificazioni srl

 

Il tema del benessere animale è di grande attualità e di interesse per i consumatori, che sono molto più consapevoli e alla ricerca di garanzie rispetto ai temi etici, sociali e più in generale afferenti alla sfera della sostenibilità.

Proprio perché il benessere animale è diventato elemento di differenziazione e di garanzia, sono state sviluppate diverse iniziative da parte dei big player e delle catene distributive internazionali sul tema. Si tratta tuttavia di approcci molto ”personalizzati” e disomogenei, che riflettono la sensibilità del soggetto promotore.


Questo argomento è stato trattato all’incontro
La Sostenibilità nella filiera lattiero-casearia Trentina
Venerdì 10 Novembre 2017
Vedi il VIDEO  >
o leggi la sintesi dell’incontro  >


in Europa

Non esiste in UE uno standard volontario certificabile e condiviso in materia di benessere animale

La causa di questa frammentazione è da ricercarsi anche nel fatto che non esiste attualmente sul mercato europeo uno standard volontario certificabile e condiviso in materia di benessere animale. Esiste infatti la norma ISO/TS 34700 Animal welfare management Animal welfare management General requirements and guidance for organizations in the food supply chain che però non definisce uno standard, ma rappresenta sostanzialmente una guida per implementare standard pubblici o privati.

In generale questi approcci hanno come base comune i principi di EFSA e/o Farm Animal Welfare Council e/o Terrestrial Animal Health Code (TAHC), ma vengono declinati in indicatori e requisiti molto variabili l’uno rispetto all’altro, oltre che con diversi livelli di profondità.

in Italia

In Italia la responsabilità e il controllo del benessere animale, definito secondo le norme cogenti a livello comunitario, è in capo alle regioni e al Ministero della Salute. Al Ministero della salute fanno riferimento i diversi Istituti Zooprofilattici distribuiti sul territorio nazionale. Il Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale (CReNBA) con sede presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna, sezione di Brescia, è l’autorità scientifica pubblica e consulente del Ministero della Salute con la funzione di sostegno scientifico sui temi del benessere animale.

Il CReNBA ha sviluppato dei manuali di valutazione del benessere nei bovini

Il CReNBA, raggruppando un gruppo di veterinari specialisti del settore bovino, ha sviluppato dei manuali di valutazione del benessere nei bovini al fine di aiutare la veterinaria italiana e  il settore bovino a comprendere meglio e valutare più a fondo il problema del Benessere animale.

Questi manuali, liberamente disponibili sul sito www.IZSLER.it, prevedono requisiti minimi obbligatori previsti per legge (prerequisiti) e requisiti aggiuntivi, più restrittivi rispetto a quelli di legge o non previsti dalla stessa.
L’insieme di questi requisiti è stato utilizzato dagli enti di certificazione per sviluppare un sistema di certificazione volontaria del benessere animale applicabile al settore delle carni bovine e del lattiero-caseario.

Di seguito è possibile consultare una copia dei manuali CReNBA di valutazione del benessere animale e della biosicurezza in allevamento disponibile in data odierna sul sito www.izsler.it:

Questi standard non sono utilizzati nell’ambito delle procedure ufficiali di verifica da parte dei veterinari del sistema sanitario nazionale e non rappresentano pertanto lo strumento utilizzato dal sistema dei controlli ufficiali del Ministero. Gli standard sono volontari, vengono applicati da tutti i veterinari che hanno superato corsi specifici e definiscono criteri di valutazione del benessere animale negli allevamenti di bovini da carne e da latte (stabulazione fissa e stabulazione libera) aggiuntivi rispetto a quelli previsti per legge secondo l’approccio scientifico oramai consolidato a livello internazionale.

Tale approccio prevede la valutazione di 4 diverse aree:

  1. Management aziendale e personale
  2. Strutture e attrezzature
  3. Animali (attraverso valutazioni eseguite sugli animali o Animal based Measures)
  4. Biosicurezza

il benessere animale è una condizione collegata ad una molteplicità di fattori

Per ogni area sono stati definiti indicatori (disponibili a questo link) che valutati nel loro insieme identificano condizioni effettive di benessere animale in allevamento. Gli indicatori sono coerenti con quanto indicato da EFSA, ma anche dal Farm Animal Welfare Council. Risulta fondamentale infatti la consapevolezza diffusa a livello scientifico che il benessere animale non può essere una condizione collegata ad un solo gruppo di indicatori (es. le strutture dell’allevamento) bensì a una molteplicità di fattori che, osservando nel contempo le condizioni animali ed ambientali, devono definire la condizione di vita dell’animale.

Ad ogni indicatore, in relazione alla sua specifica potenzialità di indicare buone o cattive condizioni di benessere, è stato attribuito un valore numerico (“peso”) in base ad un processo di valutazione del rischio (EFSA 2012). A seguito della valutazione di tutti i valori viene calcolato il punteggio ottenuto dall’allevamento.

Gli standard rappresentano un supporto che gli operatori hanno a disposizione per meglio valutare il benessere animale in sede di autocontrollo. Può essere utilizzato da parte degli allevatori o delle loro associazioni o industrie di trasformazione in totale libertà, anche per ottenere una certificazione volontaria a supporto di claim in materia di benessere animale in allevamento.

La validità dello standard CReNBA è stata riconosciuta anche dal MIPAAF che ha previsto e autorizzato l’informazione “Garanzia di benessere animale in allevamento valutato secondo lo standard del Centro di Referenza Nazionale” a diverse Organizzazioni in base al Reg. CE 1760, al Decreto MIPAAF 16 Gennaio 2015 e alla Circolare 7770 del 13/04/2015. L’informazione approvata dal MIPAAF è utilizzabile nell’etichetta delle carni bovine in base ad una specifica procedura concordata con il MIPAAF e inserita nei disciplinari di etichettatura facoltativa delle organizzazioni autorizzate

Si tratta di un grande risultato poiché rappresenta di certo un primato sotto tanti punti di vista: per la prima volta viene identificato e riconosciuto un sistema di valutazione del benessere animale che consente una comunicazione volontaria al consumatore approvata dal MIPAAF. Lo standard quindi non è emanazione del privato ma di una istituzione pubblica riconosciuta specializzata e competente sull’argomento, e armonizza una comunicazione al consumatore che risponde ad una reale e concreta esigenza di mercato. In questo modo vengono definiti e riconosciuti un claim e le attività da fare e dimostrare a supporto dello stesso assicurando una omogeneità di approccio.

la Certificazione

Il settore lattiero-caseario e il settore delle carni bovine trasformate non sono normati da norme di legge verticali in materia di etichettatura volontaria (come nel caso delle I e II lavorazioni di carni bovine ed avicole), pertanto l’utilizzo di diciture in materia di benessere animale non prevede la presentazione di un apposito disciplinare al MIPAAF.

Poiché alcune aziende del settore lattiero-caseario e del settore delle carni bovine trasformate (es. hamburger, spiedini etc.) hanno manifestato interesse a comunicare il benessere animale in etichetta, si è reso necessario individuare uno standard volontario certificabile.

Per ovviare al rischio che ogni azienda / organizzazione definisse proprie regole / procedure / definizioni con il risultato di moltiplicare gli standard e complicare la comunicazione sul benessere animale al consumatore, CSQA ha scelto di adottare lo standard CReNBA come strumento di riferimento per la valutazione del benessere animale in allevamento.

Per poter certificare carni e derivati e prodotti lattiero-caseari è stato indispensabile definire un sistema di autocontrollo aziendale finalizzato a dimostrare la conformità di tutti gli allevamenti coinvolti nella filiera e di assicurare che il prodotto finito certificato che viene identificato con il claim “benessere animale in allevamento” sia ottenuto esclusivamente con il latte / carne degli allevamenti conformi allo standard CReNBA.

Analogamente a quanto sviluppato per le I e II lavorazioni di carni bovine, CSQA ha definito una procedura specifica che prevede l’adozione – da parte delle aziende che intendono certificare i loro prodotti – di un sistema di gestione del requisito “benessere animale in allevamento” e verifiche ispettive da parte dell’OdC (Organismo di Certificazione) finalizzate a verificare il rispetto dei requisiti definiti.

I prodotti certificati possono essere identificati dal logo di CSQA o da logo di fantasia aziendale e possono comunicare la caratteristica certificata al consumatore o al cliente.

L’approccio al benessere animale non deve essere esclusivamente finalizzato al marketing

Il benessere animale rappresenta un tema di crescente interesse per la società.
La percezione di questo requisito tuttavia è complessa e sfaccettata; può essere influenzata da molteplici dimensioni (scientifica, etica, storica, religiosa, economica e politica). Proprio per queste ragioni l’approccio a questa importante tematica deve essere fatto in modo scientifico e non esclusivamente finalizzato al marketing.

Questo sistema di valutazione del benessere animale e le procedure di certificazione volontaria applicate rispondono alla concreta esigenza del mercato di avere uno strumento per la valutazione del benessere animale che possa sostenere in modo oggettivo, scientificamente corretto e verificabile, il claim “benessere animale” utilizzato per differenziazione il prodotto sul mercato.
Potrebbe inoltre armonizzare l’approccio di valutazione e certificazione volontaria evitando il proliferare di iniziative “private” difficilmente giustificabili e comunicabili, tese maggiormente a salvaguardare le ragioni di mercato piuttosto che a migliorare la qualità di vita degli animali.

 

Questo argomento è stato trattato all’incontro
La Sostenibilità nella filiera lattiero-casearia Trentina
Venerdì 10 Novembre 2017
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o leggi la sintesi dell’incontro  >

 

Produrre latte in modo alternativo
23 Ottobre 2017

Nell’allevamento delle vacche da latte si va sempre più diffondendo un modello industriale basato su grandi numeri dove, sostanzialmente, suddividere i costi e moltiplicare i margini. Mega stalle con migliaia di capi esistono negli USA come in Cina e stanno prendendo piede anche in Europa.

Dunque sempre più tecnologia ed investimenti, capitali finanziari, ma anche ricadute sull’ambiente per le emissioni e per una alimentazione dove i foraggi (per non dire il pascolo nei paesi vocati) passano in secondo piano. Nella UE questo modello ha ricevuto una spinta con la liberalizzazione della produzione dopo le quote latte ed ha comportato una drastica riduzione nel numero degli allevamenti.

circa 9500 stalle attualmente presenti nel Regno Unito

Nel Regno Unito, ad esempio, questi sono diminuiti di due terzi negli ultimi dieci anni ed attualmente ci sono solo circa 9.500 stalle con una media di 148 capi per stalla, ma aumentano quelle con oltre mille capi. Questo ha comportato uno stravolgimento nella tradizionale tecnica di allevamento al pascolo, che viene ora praticato solo in un terzo delle aziende.

L’allevamento al pascolo viene ora praticato solo in un terzo delle aziende nel Regno Unito

Se gli allevatori sono pressati per seguire il modello industrializzato basato sui grandi numeri per far fronte ad un mercato sempre più competitivo, essi debbono però considerare anche la crescente pressione di un’opinione pubblica preoccupata per l’aumento di terre arabili per la produzione di alimenti animali, l’uso di pesticidi, erbicidi, fertilizzanti chimici, tutti fattori che contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas effetto serra.  

Sempre più, però, non solo i piccoli punti vendita specializzati, ma anche i grandi supermercati, come Asda, catena posseduta dal gigante USA Walmart, si stanno interessando a produzioni rispettose dell’ambiente e della tradizione, offrendo nuove opportunità di mercato.

Non deve dunque sorprendere se, a fronte del modello dominante, stanno sorgendo allevamenti che riprendono, in chiave moderna e con un appropriato apporto tecnico e scientifico, i metodi tradizionali di produzione, per essere competitivi sul mercato con un modello alternativo a quello dei grandi numeri.

Dunque, anche un contesto globalizzato e tecnologicamente avanzato, può offrire possibilità di di mercato per chi si indirizza verso prodotti appropriati, garantiti e riconoscibili.

UE-28 | Struttura delle Aziende Agricole da Latte

Fonte: DW Akademie

In malga siamo più avanti del biologico [intervista]
10 Ottobre 2017

Sara Strazzabosco
Canove, Vicenza – ITALIA

L’allevatrice Sara Strazzabosco

Azienda Agricola Frigo Roberto.
Capi allevati: 120 | 70 in lattazione.
Destinazione del latte: Caseificio Aziendale e Caseificio Finco di Enego.

Nell’azienda Frigo Stöff di Canove, uno dei sette comuni dell’Altopiano di Asiago, la qualità fa rima con multifunzionalità e diversificazione produttiva. Il concetto di zootecnia si declina nel settore della produzione del latte e della carne suina, sublimata nell’arte norcina. Per non parlare della vendita diretta e dell’agriturismo, che d’estate girano a pieno regime, agevolati dal flusso turistico che anima il territorio e che trova approdo nella malga Larici di Sotto.

La diversificazione ci ha permesso di andare avanti

La diversificazione ci ha permesso di andare avanti, perché è capitato, anche nel recente passato, di attraversare alcuni mesi in cui la fattura del mangime è più alta del prezzo del latte alla stalla”, ammette Sara Strazzabosco, 22 anni, che conduce l’azienda insieme allo zio Roberto Frigo e alla mamma Lorella. D’estate, quando non è impegnato a scuola, alle attività partecipa anche il fratello di Sara, Alessandro, che frequenta la quarta superiore.

I capi allevati sono 120, dei quali 70 in lattazione, che nel periodo estivo salgono in malga. Sono 25, invece, i suini allevati, utilizzando anche il siero della caseificazione. Per vedere come trovano sublimazione il latte e la carne suina, è altamente consigliabile una visita sul sito www.frigostoff.it.

Trasferire le bovine in malga porta benefici?

“Sì, di vario genere. Innanzitutto, c’è un risparmio in termini economici sia per l’alimentazione che per i farmaci. Gli animali sintetizzano meglio la vitamina D, rimanendo al sole e anche i piedi e le unghie si sanificano rispetto al periodo passato in stalla. Persino una nostra vacca che ha ormai sette anni e soffre di depressione post partum rinasce, quando è in malga”.

Quanto latte producete?

18-20kg di latte per capo al giorno

“Circa 15 quintali all’inizio dell’estate, che a settembre scendono intorno ai 10 quintali. Siamo sui 18-20 chilogrammi per capo al giorno, al 3,6% di grasso e 3,3% di proteine. Sono quasi tutte di razza Frisona, anche se il divario con le performance della Bruna è palese, che ha valori di grasso e proteine superiori e un’attitudine alla caseificazione più spiccata. Abbiamo solamente cinque brune, più una manza gravida. Abbiamo anche un toro aziendale bianco e nero”.

Di cosa si occupa in azienda?

“Curo gli animali, seguo l’agriturismo e la vendita diretta, mentre mio zio è il casaro e si occupa di foraggi e alimentazione. Mia madre fa la spola, quando siamo in malga. Con la vendita diretta e l’agriturismo il carico di lavoro è aumentato, ma stiamo avendo delle grandi soddisfazioni”.

Che ritorni avete dalla vendita diretta?

9-10€/kg è il prezzo per il consumatore

“Quando parliamo di Asiago, se al commerciante vendi a 7,50 euro al chilogrammo, al consumatore arrivi comodamente a 9-10 euro al kg. E se il prodotto è stagionato, il prezzo è ancora più alto. Noi fortunatamente riusciamo a vendere quasi tutta la produzione al consumatore.”.

Sta riscuotendo molto interesse da parte dei consumatori il cosiddetto “milk grass”, il latte prodotto da animali alimentati al pascolo o col fieno. Lo producete?

“No, perché nel periodo invernale facciamo unifeed con il nostro fieno, ma anche con una miscela di mais e soia. È una questione anche di carburante, se posso utilizzare questo termine che semplifica il concetto. Una frisona ha bisogno di introdurre altri elementi, oltre al fieno, per stare in piedi. Anche in malga, dove i capi mangiano invece solo erba, in fase di mungitura beneficiano di circa 3 chili di mangime, fondamentale per dare energia all’animale. E se c’è poca erba, solitamente nelle ultime settimane di alpeggio, integriamo con il fieno, tutto di nostra produzione, anche per tenerle vicino alla malga ed evitare che vaghino in maniera incontrollata. Non usiamo comunque insilati”.

Dove producete il formaggio?

“Fino all’anno scorso facevamo la caseificazione solamente in malga nel periodo estivo. Dallo scorso inverno, invece, abbiamo realizzato a Canove una bottega aziendale e un laboratorio per la lavorazione dei formaggi freschi durante l’inverno, da affiancare a quelli stagionati prodotti in malga. Siamo soci del Consorzio tutela dell’Asiago DOP e produciamo la tipologia Prodotto della Montagna.

Il marchio della montagna rappresenta un valore aggiunto?

“Sì. È difficile quantificare il valore, ma anche nella GDO i consumatori cercano il marchio legato alla malga, alla montagna, l’alimentazione a fieno o il pascolo erba. Pensano sia più buono, anche se magari è solo un discorso di immagine”.

Pensate di convertirvi al biologico? Il consumatore cerca i prodotti bio.

Nella produzione in malga siamo anche più avanti del biologico

“No, perché personalmente non ci credo. È meglio per i consumatori conoscere direttamente i produttori, come li realizzano e che parametri rispettano. Anche perché, ad essere sinceri, nella produzione in malga siamo anche più avanti del biologico. Basta solo saperlo comunicare”.

Il latte che non trasformate direttamente dove va?

“Lo conferiamo al Caseificio Finco di Enego”.

Quanto conta il benessere animale?

“Moltissimo e lo capiamo immediatamente dal comportamento dei nostri animali. Le nostre vacche stanno benissimo: le teniamo molto pulite, su cuccette a paglia. Abbiamo installato il rullo perché possano grattarsi. In malga, poi, il livello è massimo, sono di fatto in vacanza 3-4 mesi”.

Come mungete?

“A Canove abbiamo una sala mungitura da cinque posti in tandem, in malga invece è una 4+4 a spina di pesce, che è più veloce”.

Che cosa fate, invece, per la sostenibilità?

“Sul fronte dell’alimentazione animale utilizziamo solo il nostro fieno e all’alimentarista chiediamo che i cereali e le materie prime vengano da più vicino possibile; per il mais è complicato, per il problema delle aflatossine. Cerchiamo anche di premiare i clienti che ci riconsegnano i vasetti di vetro dove è contenuto il nostro yogurt: ogni cinque restituiti ne diamo uno in omaggio”.

Chi viene in montagna deve vivere la natura

Una delle politiche sostenute dall’Unione europea per le aree rurali è la diffusione della banda larga per le comunicazioni. Che risultati ha dato?

“Pochi. Non abbiamo il wi-fi in malga e sinceramente non lo vorrei. Chi viene in montagna deve vivere la natura”.

La mandria al pascolo presso l’Azienda Frigo Stöff

Foraggi di qualità per un’elevata produzione di latte
2 Ottobre 2017

È risaputo come la qualità dei foraggi sia fondamentale per la produzione di latte e si ritiene che per sostenere alte produzioni occorra avere razioni con grandi quantità di concentrati. Ora però uno studio condotto in Wisconsin su allevamenti che producono oltre 130 quintali di latte per vacca, dimostra che tale produzione dipende non tanto dalla quantità di mangime ma dalla qualità dei foraggi somministrati.

Lo studio è stato condotto per una decina d’anni in 15 stalle, analizzando le razioni delle vacche con elevata produzione di latte. La razione era costituita da un misto di insilato di medica e di mais, in genere con un apporto di fieno. La medica aveva un contenuto variabile dal 17 al 26% di proteina grezza, con una fibra NDF variabile dal 34 al 47% ed una digeribilità in vitro a 30 ore variabile dal 39 al 59%, mentre l’amido del mais oscillava dal 25 al 41% .

60% 

della produzione di latte derivava dai nutrienti presenti nel foraggio

È stato calcolato come su di una produzione di 40-45 litri di latte al giorno, il 60% derivasse dai nutrienti presenti nel foraggio di alta qualità somministrato alle vacche e solo il 40% dai concentrati o dai cerali della razione. Oppure, detto in altri termini, il 45% della proteina grezza, il 40% dell’amido, il 55% dei carboidrati ed il 50% dell’energia della razione deriva da insilato di mais altamente digeribile, che apporta anche il 75% della fibra al detergente neutro (NDF) e l’85% di quella effettiva.

Così, da ogni tonnellata di sostanza secca di foraggio si possono ottenere 1.300 litri di latte. La stalla con la produzione di latte più elevata, usava una medica insilata al 24.5% di proteina grezza e con il 52% di fibra al detergente neutro NDF. Però la base della razione e degli apporti era basata sulla grande qualità del mais insilato, raccolto in modo da massimizzare la digeribilità di fibra ed amido.

Dunque, una buona tecnica di allevamento non può prescindere da adeguate pratiche colturali e di gestione dei foraggi, per massimizzarne le loro potenzialità

TESEO: Strumento per valutare la convenienza economica dell’auto-produzione di materie prime e foraggi. Calcola il costo della tua razione!

Fonte: Dairy Herd

Partire dalle stalle per ridurre l’effetto serra (GHG)
25 Settembre 2017

Questo è l’imperativo della filiera lattiero-casearia neozelandese, leader mondiale nell’export di latte e derivati. Proprio la propensione ad esportare sui mercati internazionali, ha fatto prendere coscienza a tutti gli operatori della necessità di impegnarsi per rendere l’allevamento sostenibile e dunque presentarsi al mondo come un comparto pulito e non impattante sull’ambiente.

Dato che la metà delle emissioni di gas ad effetto serra in Nuova Zelanda deriva dall’agricoltura, di cui il settore lattiero ne rappresenta il 46%, si capisce come quella del rispetto ambientale sia una priorità assoluta per la zootecnia da latte. Nell’allevamento, infatti, si produce l’85% delle emissioni globali derivanti dalla filiera latte; solo il 10% è prodotto dagli stabilimenti di trasformazione ed il 5% dai trasporti.

Di conseguenza, per ridurre le emissioni di GHG bisogna agire a livello degli allevamenti, che già sono caratterizzati da un pascolo diffuso, una alimentazione basata sui foraggi ed un basso indice di rimonta.

Però la Nuova Zelanda, nel suo ruolo di leader mondiale nell’export dei prodotti dairy, deve dare l’esempio e nel paese esiste un consenso generale a tutti i livelli per dar seguito a quanto sottoscritto nell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, cioè l’obiettivo minimo di ottenere entro il 2030 una riduzione del 30% nelle emissioni di gas ad effetto serra. Ecco dunque che Fonterra, col sostegno dei vari ministeri, ha adottato un piano di azione per il cambiamento climatico in essere già nel 2017-2018.

Gli allevatori sono i primi attori per la sostenibilità.

Un centinaio di allevatori soci della coop. neozelandese si sono impegnati per fare dei loro allevamenti in varie zone del Paese, delle aziende pilota dove attuare degli interventi di riduzione delle emissioni, valutandone i risultati su produttività e margini operativi. Questo servirà per far prendere coscienza della tematica delle emissioni gassose in atmosfera ed adottare tecniche e tecnologie adeguate per contenerle.

TESEO – Sono chiamati gas serra (spesso indicati con GHG = GreenHouse Gases) tutti i gas che si addensano nell’atmosfera


Fonte: NZ Farmer