Agricoltura cellulare: l’alternativa all’attuale modello produttivo?
15 Maggio 2020

Se è innegabile che la zootecnia, così come ogni altra attività produttiva, ha un impatto sull’ambiente, è altrettanto innegabile la necessità di produrre cibo per nutrire una popolazione in continua crescita, con una domanda sempre più esigente in termini di principi nutritivi, soprattutto proteine.

Come aumentare le rese con minori risorse e sprechi?

Nonostante l’agricoltura abbia saputo rispondere alla sfida alimentare aumentando quantità e qualità del cibo, sempre più di frequente essa sembra essere messa alla gogna anche sui più diffusi mezzi di comunicazione come se fosse la causa del proprio male. Eppure, qual è l’alternativa, se alternativa esiste, all’attuale modello produttivo, per aumentare le rese con minori risorse e sprechi?

Potrebbe essere la cosiddetta agricoltura cellulare, producendo latte e carne direttamente dalle cellule piuttosto che dall’intero organismo animale? Indubbiamente, la diminuzione delle superfici coltivabili a causa degli usi civili od industriali, e la competizione fra le coltivazioni destinate al consumo umano rispetto a quelle per l’alimentazione animale, senza poi parlare delle criticità ambientali per le sempre maggiori dimensioni degli allevamenti intensivi, inducono a riflettere se il presente modello produttivo sia in linea con gli obiettivi ONU della sostenibilità, in particolare l’obiettivo due, eliminare la fame nel mondo, e l’obiettivo 12, produrre e consumare in modo responsabile.

Nel mondo si allevano circa 270 milioni di vacche e la produzione di latte è raddoppiata negli ultimi 40 anni, con un crescente impatto sulle risorse naturali, per gli aspetti sanitari e di benessere animale.
Per vari motivi oltre a quello semplicemente ecologico, nei consumi delle economie avanzate stanno diventando popolari i succedanei del latte ottenuti da fonti vegetali quali soia, avena, riso, che però non ne contengono gli stessi elementi nobili e che in ogni modo si basano sempre sulle coltivazioni convenzionali. Questi prodotti, comunque additivati essi siano, non potranno avere qualità, composizione, gusto, caratteristiche fisiche, di latte, yogurt e formaggio.

TESEO.it - Confronto tra numero di capi da latte e produzione complessiva di latte in UE
TESEO.it – Confronto tra numero di capi da latte e produzione complessiva di latte in UE

Ecco allora il ricorso alle biotecnologie, con la possibilità di produrre latte non più da un animale ma solo dalle sue cellule mammarie coltivate in vitro, il che lascia intravedere uno scenario in cui si potrebbe ridurre il carico di bestiame pur rispondendo alle crescenti esigenze alimentari della popolazione, nel rispetto dell’ambiente.

Questa non è fantascienza, dato che l’azienda biotecnologica TurtleTree Labs, una start-up basata a Singapore ed operante a san Francisco, ne ha annunciato la produzione. Dopo la possibilità di produrre carne direttamente dalla moltiplicazione delle cellule animali, si intravede ora quella di ottenere vero latte da cui produrre veri formaggi, od almeno teoricamente tali.

Tutto ciò sarebbe l’uovo di Colombo: risolti tutti i problemi di impatto ambientale, benessere animale, sicurezza alimentare. Dunque, sarà la biotecnologia a salvare il mondo? Basterà prendere una cellula e moltiplicarla per sostituire tutto il patrimonio delle interrelazioni vitali che comprendono anche i fattori emotivi e sociali, il pathos, l’aspetto morale e spirituale che pure sono parte integrante quanto impalpabile dell’essere, cioè della vita?

Questi fenomeni del nostro tempo in cui tutto cambia in un batter d’ali e la presa di coscienza che il nostro mondo, più che dover essere in guerra contro qualcuno o qualcosa, vedi virus, sia malato ed abbia bisogno di attenzione e cura, dovrebbero spingerci non a sperare in soluzioni semplicistiche od a puntare il dito contro qualcuno, ma ad affrontare la complessità dei processi vitali con estrema umiltà ed attenzione, cercando di comprenderli attraverso le conoscenze che anche scienza e tecnica ci mettono a disposizione.

Questo nello spirito della ecologia integrale, dato che tutti gli esseri vitali sono interdipendenti. Come non mai, oggi non bisogna cadere nella banalizzazione della complessità.

Fonte: Research Gate

Vacche, latte e metano: qual è il problema?
7 Febbraio 2020

Si stima che il 15% delle emissioni mondiali in atmosfera di gas serra sia dovuto ai ruminanti e che queste supererebbero perfino le emissioni causate dai trasporti. Il bestiame rilascia metano attraverso i microorganismi che sono coinvolti nel processo di digestione, nonché protossido di azoto attraverso la decomposizione del letame. In particolare, si calcola poi che in media una vacca rilascia in un giorno dai 200 ai 300 litri di metano. Dunque, in modo avventato, si potrebbe anche concludere che produrre latte sia un problema per l’ambiente.

Migliore efficienza nella trasformazione alimentare

Se però esaminiamo in modo meno superficiale i dati, la prospettiva cambia. Prendendo ad esempio gli USA, nel 1950 le vacche erano 22 milioni, con una produzione media per vacca di 2.200 litri di latte all’anno. Oggi la mandria è scesa a 9 milioni di vacche da latte, con una produzione media annua di 9.800 litri per capo. Questo equivale al 79% di produzione in più col 59% di vacche in meno, il che vuol dire una migliore efficienza nella trasformazione alimentare ed una conseguente minore perdita di metano in atmosfera.

Oltre che dalla selezione genetica, per la quale si aprono notevoli prospettive con la genomica, questo è risultato anche dal miglioramento delle condizioni sanitarie e del benessere animale. Fattore di miglioramento essenziale è poi in generale l’uso delle nuove tecnologie per la gestione dell’allevamento, inclusi i digestori.

A fronte di chi punta il dito verso l’allevamento animale per gli effetti sul cambiamento climatico, diventa dunque fondamentale sottolineare il progresso della zootecnia da latte per ridurre l’impatto ambientale. Questo percorso deve essere continuato e migliorato, con l’obiettivo costante di produrre di più e meglio, cioè con minori perdite.

TESEO.clal.it - Produzioni di Latte per Vacca nei 24 Paesi principali USA

TESEO.clal.it – Produzioni di Latte per Vacca nei 24 Stati principali USA

Fonte: Hoards Dairyman

Gli agricoltori e la nuova “fede” ambientalista
21 Gennaio 2020

La società è sempre più sensibile ai temi ambientali. Lotta all’inquinamento, rispetto degli animali, alimentazione naturale sono argomenti che preoccupano e che guidano le scelte dei consumatori.

La risposta dei governi si traduce in norme sempre più stringenti atte a limitare emissioni, uso di concimi e pesticidi, od a garantire il benessere animale. Gli agricoltori/allevatori che ruolo hanno in questo scenario di sensibilità e norme? Sono sempre i soggetti alla base della produzione alimentare, oppure diventano gli oggetti delle sensibilità ambientali?

Agricoltori tedeschi in protesta per norme troppo limitanti

Gli agricoltori tedeschi, arrivati a Berlino con novemila trattori, hanno manifestato contro le sempre più numerose norme che limitano le scelte imprenditoriali e guidano l’attività produttiva. Gli esempi principali sono la riduzione del 20% nell’uso di concimi per rispettare le norme UE sui nitrati, le regole per gli allevamenti, gli adempimenti burocratici e le certificazioni. Tutte tematiche che pongono a rischio l’attività economica, soprattutto delle piccole aziende.

La protesta intende anche però mettere un freno all’immagine distorta dell’agricoltore/allevatore come responsabile dell’inquinamento ambientale che appare sempre più di frequente sui mezzi d’informazione. Se in Francia la mobilitazione degli agricoltori sfocia spesso in manifestazioni energiche come i blocchi stradali, in Germania le proteste delle popolazioni rurali sono sempre state molto contenute.

Le manifestazioni sono prove del crescente malessere degli agricoltori

La manifestazione di Berlino è dunque la prova di un malessere crescente, di sentirsi minoranza nella società e sempre meno ascoltati rispetto a quanti, ambientalisti, animalisti o consumatori in genere, puntano il dito contro qualcuno, avendo perso quel legame naturale con la produzione agricola che da sempre ha caratterizzato la società.

Il rischio è che tutte queste nuove normative, così come le scelte montanti di vegetarianismo/veganismo od altro, siano guidate non da evidenze reali, ma da scelte ideologiche, cioè preconcette, nell’ottica di un nuovo fideismo. Eppure, grazie all’agricoltura, la Germania ha un export alimentare di 70 miliardi di euro ed i consumatori hanno accesso ad alimenti sicuri ed abbordabili.

Ovviamente, una conversione produttiva é sempre possibile, ma a quale prezzo e con quali conseguenze? Inoltre, in un mondo sempre più interconnesso, come dimostra proprio il cambiamento climatico, le scelte ambientali e le politiche verso produzione e consumo non possono che essere prese in modo condiviso e coordinato. A meno che non ci si trovi in una realtà limitata od in un piccolo Paese, dove le logiche produttive dipendono più da scelte di vita o da fattori politici e finanziari, che da logiche di mercato. Temi complessi, che anche la nuova PAC non potrà non affrontare.

Produzione di N2O nel mondo agricolo
Produzione di N2O nel mondo agricolo,
Fonte: Environment Protection Agency

Fonte: Telegraph.co.uk

Multifunzione e benessere, per rispondere alle esigenze dei consumatori [intervista]
26 Luglio 2019

Leonardo Venturin
Spresiano, Treviso – ITALIA

Leonardo Venturin
Leonardo Venturin

Azienda Agricola Venturin
Capi allevati: 550 | 260 in lattazione
Ettari coltivati: 250
Destinazione del latte: formaggi e latte alimentare

Chi l’ha detto che i consumatori di città e di campagna sono uguali?

Guai a pensarlo e la famiglia Venturin, allevatori con un’azienda agricola a Spresiano (Treviso), a pochi chilometri dalle colline del prosecco, lo sa bene.

Innanzitutto, uno sguardo ai numeri. Ce li fornisce Leonardo Venturin, che si occupa di vendita dei prodotti e della parte burocratica, che in un’azienda agricola è un bel peso. In tutto sono quattro fratelli. Oltre a Leonardo, ci sono Lucio, che si occupa del caseificio aziendale; Luca, impegnato nelle operazioni in campagna di coltivazione dei terreni, e Mauro, che gestisce una mandria di 260 capi in lattazione di frisona italiana e jersey. Poi ci sono nove dipendenti, in servizio tutto l’anno.

Ogni giorno vengono lavorati 40 quintali di latte al giorno per la produzione di latte alimentare e formaggi: molli, formaggi a pasta filata, formaggi stagionati a pasta dura e semi-stagionati a pasta semidura.

I restanti 45 quintali di latte prodotti ogni giorno vengono venduti a un caseificio privato con contratto di fornitura annuale.

Gli ettari coltivati sono circa 250 ettari tra proprietà e affitto, seminati a mais, medica, loietto, frumento e sorgo.

Cifre a parte, che sono necessarie comunque per inquadrare le dimensioni e l’attività aziendale, gli aspetti interessanti riguardano la vendita diretta e il ruolo dei consumatori. La sostenibilità, concetto di cui si sente parlare molto di questi tempi, interessa in maniera diversa i consumatori di città e di campagna. Lo conferma Leonardo Venturin, mentre racconta la scelta di avere due punti vendita fissi: uno a Spresiano, dove ci sono azienda e caseificio e uno a Treviso, a ridosso del centro storico.

Perché la scelta della città?

“Perché la città non si muove. Chi vive in città non si mette in macchina per raggiungere il punto vendita che abbiamo a Spresiano. Sono clientele diverse quelle di città e di campagna e hanno consumi diversi”.

Tipo?

I clienti della città si informano sull’allevamento e la filiera

“Sono proprio due tipologie differenti. Un cliente a Treviso tende a venire 3-4 volte alla settimana, predilige il prodotto più fresco e porzioni più piccole, mentre a Spresiano vengono una o massimo due volte alla settimana. Inoltre, a Treviso l’età media del consumatore è più alta, sono pochi i ragazzi in negozio. In città, ancora, chiedono che il prodotto sia rispettoso dell’ambiente, si informano sull’allevamento e la filiera, sulla modalità di trasformazione, cercano più il km0. In campagna danno per scontato il km0, la trasformazione e non chiedono di sostenibilità”.

Come stanno andando le vendite di latte fresco?

“Dai primi anni in cui abbiamo aperto la vendita diretta abbiamo assistito a un calo del 50% e oltre. Noi vendiamo latte fresco intero e parzialmente scremato in formati da litro in pet. Adesso ne vendiamo circa 1.300 quintali l’anno. Prima erano quasi 2.700. Anche in questo caso abbiamo registrato una differenza tra consumatori di città e di campagna. A Treviso cercano un formato più piccolo, da mezzo litro. Erano addirittura disposti a pagarlo di più, sebbene oggi si siano abituati al formato da litro, l’unico che proponiamo”.

Come mai avete deciso di avere un caseificio aziendale?

Stiamo studiando nuove tecnologie per aumentare la shelf life dei formaggi ed esportarli

“Eravamo stanchi di trattare ogni due o tre mesi il prezzo del latte e volevamo dare un valore aggiunto nostro prodotto. Da qui la decisione di un caseificio aziendale, col bollo Ce per vendere alla GDO e ai negozi. Il bollo Ce ci permetterebbe anche di esportare e, proprio con questa finalità, stiamo studiando nuove tecnologie per aumentare la shelf life dei formaggi freschi”.

È stato facile o complicato realizzare il caseificio interno?

“Il primo progetto risale al 2004, mentre il caseificio è entrato in attività il 2 gennaio del 2009. I tempi si sono allungati per colpa della burocrazia. Gli uffici fornivano informazioni centellinate e questo ha rallentato la realizzazione”.

Che margine di guadagno assicura il caseificio e la vendita diretta rispetto alla consegna del latte?

“Un 30% in più sul latte lavorato”.

A quanto vendete il formaggio stagionato?

Un caseificio aziendale per dare un valore aggiunto al nostro prodotto

“Lo proponiamo a 14,50 euro al chilogrammo”.

Possiamo definirlo un formaggio tipo grana?

“Sì, perché è così”.

A livello di innovazioni avete realizzato anche un impianto di biogas con l’azienda Rota Guido. Siete soddisfatti?

“Assolutamente sì. Lo abbiamo costruito nel 2016;ha una potenza di 100 kw ed è totalmente alimentato a deiezioni. Il digestato viene poi utilizzato in campo, dal momento che siamo in zona vulnerabile ai nitrati, essendo vicini al Piave”.

Quando i consumatori vi chiedono di sostenibilità e ambiente, voi cosa rispondete?

Ci stiamo certificando come lotta integrata

“Raccontiamo la nostra posizione. Fino a marzo di quest’anno avevamo la certificazione QV, Qualità Verificata. Adesso ci stiamo certificando come lotta integrata, così prendiamo un raggio più ampio, dal seme al formaggio”.

Fate bio?

“No. Abbiamo alimenti biologici, ma non facciamo biologico. Abbiamo pochi appezzamenti grandi ed essendo superfici medio-piccole sono vicine ad aree convenzionali. Per questo dovremmo avere aree di rispetto enormi”.

Quante lattazioni fa di media una vostra vacca?

“Arriviamo a 5-6 parti. Se le vacche non hanno problemi, non le andiamo a riformare. Abbiamo anche bovine di 12 anni che producono quantità e qualità. D’altronde, chi fa l’allevatore sa bene che rispetto dell’ambiente e benessere animale passano anche da lì”.

Quanto produce una vostra vacca?

“Abbiamo una media di 32 chili di latte al giorno. Siamo sui 90-95 quintali all’anno”.

Quali azioni avete messo in piedi per il benessere animale?

“Gli spazi più ampi permettono all’animale di muoversi. D’estate abbiamo ventilazione forzata con raffrescamenti, alimentazioni equilibrate e salubrità degli alimenti. Tutti accorgimenti che si riflettono sul benessere degli animali”.

Quali sono gli aspetti più entusiasmanti del suo lavoro?

Vedere che ciò che facciamo viene apprezzato dai clienti dà modo di andare avanti

“Lavorare con gli animali e vedere che quello che facciamo viene apprezzato dai clienti dà modo di andare avanti, nonostante le mille difficoltà che ci sono”.

Che investimenti ha fatto di recente e quali investimenti ha programmato?

Offriamo educazione alimentare attraverso una sala degustazione ed incontri su misura

“Oltre al biogas abbiamo rinnovato il parco macchine per la fienagione e abbiamo dato il via all’iter per ampliare di nuovo il caseificio e lo spazio commerciale, in modo da avere una sala degustazione e fare incontri su misura per fare conoscere il prodotto e l’attività dell’azienda. L’educaizone alimentare è per noi un valore aggiunto da offrire. Grazie all’opportunità introdotta con la nuova legge di Bilancio stiamo cercando aziende agricole per vendere anche i loro prodotti e ampliare la gamma di prodotti in vendita. Inoltre, vorremmo anche ampliare l’area per il bestiame e fare un percorso didattico per visite guidate. Ho fatto il corso di agriturismo per le fattorie didattiche e credo sia utile un servizio così”.

Azienda Agricola Venturin
Azienda Agricola Venturin
Il Caseificio dell’Azienda Agricola Venturin
Spaccio di Treviso
Spaccio di Trevis
Spaccio di Spresiano
Spaccio di Spresiano
Furgone Venturin
Furgone Venturin
Azienda Agricola Venturin
Azienda Agricola Venturin

Mantenere la fertilità del terreno
12 Settembre 2018


-33%dei raccolti a causa della minore fertilità del suolo (stima per i prossimi 100 anni)

La perdita di fertilità del terreno rappresenta uno dei maggiori problemi che contribuiscono al fenomeno dei cambiamenti climatici in atto, in quanto viene ridotta la capacità di sequestrare il carbonio e di trattenere l’umidità. La conseguenza è una diminuzione nella capacità produttiva dell’agricoltura convenzionale, che si stima potrebbe portare ad una perdita di un terzo dei raccolti nel corso di un secolo, quando invece la crescita della popolazione richiede sempre più alimenti.

La fertilità del terreno, è rappresentata dai miliardi di batteri, il cosiddetto microbiota del suolo, che vivono intorno alle radici di ogni albero, arbusto od altra essenza vegetale e che si sono evoluti con le piante durante milioni di anni in un rapporto di reciproco interesse. E’ data anche da una intricata rete di interazioni che coinvolge un’enorme quantità di biomassa vivente, pari ad oltre oltre 3000 Kg/ha in un suolo agricolo. Pertanto, tutti i fattori che intervengono in questo complesso sistema possono alterarne l’equilibrio ecologico, con una perdita di fertilità e portando alla degradazione del suolo, problema del nostro tempo. Di conseguenza ogni pratica colturale dovrebbe essere orientata al mantenimento di questa fertilità.

In particolare andrebbero sempre adottati tre principi:

  • ridurre gli interventi fisici sul suolo, cioè le lavorazioni;
  • mantenere una copertura vegetale per impedire l’erosione e favorire l’apporto di sostanza organica;
  • applicare il principio della rotazione, interrompendo la tendenza a piantare ad esempio, mais su mais o riso su riso con sempre maggiori lavorazioni, concimazioni minerali, diserbi.

Bisogna ripensare all’apporto della concimazione organica, rivalutando la simbiosi fra allevamento animale e pratica colturale

Bisogna poi ripensare all’apporto della concimazione organica, rivalutando la simbiosi fra allevamento animale e pratica colturale. Questi principi, insiti nelle pratiche agronomiche che nel corso dei secoli ci hanno lasciato in eredità la fertilità del terreno, si collocano ora in quella che viene definita “agricoltura rigenerativa”.

Il mantenimento del microbioma per la salute è presente anche a livello umano, per contrastare il fenomeno proprio del nostro tempo dell’antibiotico resistenza. Nel libro “Growing a revolution” si afferma come gli sforzi in atto per riconsiderare gli effetti degli antibiotici sull’organismo, debbano trovare riferimento anche per il suolo, in modo da mantenerne ed accrescerne la fertilità, cioè la sostenibilità.

Operare con pratiche che mantengono la fertilità del terreno, rappresenta un grande messaggio anche per avvicinare il produttore al consumatore.

Fonte: NewScientist

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Carne e Latte inquinano più del petrolio?
9 Agosto 2018

Affermare che produrre carne e latte inquina l’atmosfera come e più del petrolio sembrerebbe un paradosso. Eppure questi sono gli scenari che sempre più frequentemente vengono illustrati. L’ultimo in ordine di tempo è lo studio di GRAIN ed Institute for Agriculture and Trade Policy, organismi USA che operano a livello internazionale.

Le emissioni annuali di gas in atmosfera da parte dei cinque maggiori gruppi mondiali di carne e latte sarebbero paragonabili a quelle provocate dai gruppi petroliferi

Lo studio ha misurato le emissioni in atmosfera da parte della filiera produttiva dei 35 maggiori gruppi mondiali di carne e latte, esaminando i loro progetti per contrastare il cambiamento climatico. Ne risulta che le emissioni annuali di gas in atmosfera da parte dei cinque maggiori gruppi mondiali – JBS (carne, Brasile), Tyson (carne, USA), Cargill, Dairy Farmers of America, Fonterra – sarebbero paragonabili od anche superiori a quelle provocate da gruppi petroliferi quali ExxonMobil, Shell, BP.

Con un altro paragone, il totale delle emissioni provocate dalle attività dei venti maggiori gruppi impegnati nella produzione di carne e latte, sarebbero superiori a quelle di intere nazioni come Germania, Francia o Regno Unito.

La maggioranza di tali gruppi non calcola a sufficienza le emissioni di gas effetto serra

Sembra poi che la maggioranza di tali gruppi non calcoli a sufficienza le emissioni di gas effetto serra nell’atmosfera o che lo faccia ma escludendo l’attività della produzione primaria negli allevamenti, che è responsabile dell’80-90% per tali emissioni.

Si tratta di un argomento che rientra a pieno titolo nelle azioni della sostenibilità ed è tanto più importante in quanto la produzione di carne e latte dovrà aumentare significativamente per far fronte alle esigenze alimentari dei prossimi decenni conseguenti all’aumento della popolazione.

Bisognerà prestare la dovuta attenzione a tali rilievi, sempre più numerosi, per l’impatto delle attività zootecniche sull’ambiente. Bisognerà soprattutto adottare pratiche produttive sempre più efficienti, misurabili e verificabili, che siano in grado di rispondere alle esigenze di tutela ambientale, suolo, acque, comunità.

Fonte: GRAIN, OilPrice.com

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Riconquistare la fiducia della società per l’allevamento da latte
3 Agosto 2018

La popolazione neozelandese è sempre più sensibile al benessere animale e alla riduzione delle emissioni

Il settore lattiero-caseario è l’asse portante dell’agroalimentare neozelandese. Eppure, nonostante la leadership indiscussa sui mercati internazionali grazie all’export, sta emergendo un certo malessere tra gli allevatori, che percepiscono la crescente distanza, incomprensione ed anche contrasto da parte della popolazione urbana, sempre più sensibile, negli ultimi anni, verso temi quali il benessere animale o la la riduzione delle emissioni, e che punta il dito sugli allevamenti per il loro impatto, reale o supposto, su aria, acqua e terreni. Questa difficoltà si aggiunge agli alti e bassi nel prezzo del latte, che determina ansietà per un settore dove le decisioni hanno effetto in tempi piuttosto lunghi.

Poi ci sono le crescenti inquietudini a livello sanitario, con il problema sempre più evidente e difficile da risolvere della micoplasmosi bovina.

A tutto questo si aggiunge il problema finanziario, con l’indebitamento degli allevatori che non è sempre compensato dal maggior valore patrimoniale delle aziende.

Alcuni arrivano addirittura a prefigurare una riconversione verso forme di allevamento meno intensive, col ritorno a quello delle pecore che caratterizzava il paese ma che non assicurava certo il valore che l’export prodotto dal settore lattiero caseario assicura all’economia del Paese e che attira capitali di investimento stranieri, prima di tutto quelli cinesi.

Comunque, non bisogna trascurare queste sensibilità e percezioni. Esse vanno affrontate a viso aperto, soprattutto le tematiche ambientali, per ricucire innanzitutto la fiducia della popolazione urbana, il sostegno e la condivisione generale della società che deve sentirsi corresponsabile a pieno titolo verso la filiera produttiva latte.

Si tratta del primo elemento per dare solidità al sistema ed affrontare col giusto peso le sfide dei mercati.

CLAL.it – La Nuova Zelanda rappresenta il 60% dell’export mondiale di WMP (Whole Milk Powder, Polvere di Latte Intero). La Cina ne importa il 35%. [Anno 2017]
Fonte: Stuff.co.nz

L’agroecologia per una produzione sostenibile
6 Luglio 2018

Produrre di più con meno risorse: questa sarà la sfida del futuro. Con l’aumento della popolazione mondiale dagli attuali 7,6 miliardi ai 9,8 miliardi nel 2050 e con meno risorse idriche, meno terreni coltivabili, minore pescosità nei mari, bisogna trovare nuove soluzioni per soddisfare la domanda mondiale di cibo.

Produrre di più con meno risorse: questa sarà la sfida del futuro

Una di queste è la agroecologia, cioè il modo per stimolare i processi naturali che possono migliorare la produttività delle piante così come degli animali, attraverso dieci elementi di sostenibilità:

  • La diversità, cioè sistemi differenziati di produzione agricola;
  • la condivisione delle conoscenze per combinare i dati scientifici globali alle pratiche locali;
  • la sinergia fra suolo, coltivazioni, animali, comunità civile;
  • l’efficienza, cioè la capacità di evitare le dispersioni, massimizzare gli investimenti, conservare le risorse idriche, proteggere la biodiversità e ridurre i costi di produzione;
  • il riciclo, che rappresenta la chiave per qualsiasi sistema autosufficiente che si autoregola;
  • la resilienza, ecologica e socio-economica, cioè la capacità di adattarsi riducendo la vulnerabilità al rischio economico;
  • i valori umani e sociali, cioè il rispetto della dignità, l’equità, l’inclusione e la giustizia, creando opportunità per i giovani;
  • il mantenimento del patrimonio di cultura e tradizione alimentare. Il distacco fra abitudini alimentari e cultura ha contribuito alla coesistenza di situazioni contrastanti come la fame e l’obesità. La promozione di alimenti locali nel contesto di diete salutari, diversificate e culturalmente appropriate, permette un buon livello di nutrizione ed al tempo stesso la crescita di una coscienza che protegge gli ecosistemi e tutela la produzione;
  • un governo responsabile, trasparente, per creare un ambiente favorevole che supporti i produttori nella trasformazione dei loro sistemi;
  • un’economia circolare e solidale, che supporti i mercati locali e le economie che offrono mezzi di sostentamento equi e sostenibili ai membri della propria comunità.

Sebbene l’agroecologia debba considerare molti fattori, la base è rappresentata dalla interconnettività. Produrre di più con meno risorse significa usare meglio ciò di cui disponiamo, riutilizzarlo, non sprecarlo, non scartarlo.  

Fonte: FAO

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Nitrati e coinvolgimento degli allevatori
8 Maggio 2018

Il tema dei residui di nitrati ed anche di fosfati nel terreno è di stringente attualità. In tutti i contesti dove è diffuso l’allevamento animale diventa urgente evitare la percolazione dei liquami nei corsi d’acqua, effettuando i necessari investimenti per contenere un problema che è sempre più sentito dai consumatori e che comunque diventa un tema di sostenibilità ambientale.

In Galles è stato denunciato l’inquinamento di corsi d’acqua con la diffusa moria di pesci ed anche il comportamento di quanti sversano direttamente i liquami contravvenendo alle normative UE. Bisogna considerare che l’agricoltura risulta esposta molto più di altre attività economiche alle condizioni climatiche che influenzano le possibilità di spandimento, per cui nei periodi umidi occorre contenere nelle vasche notevoli quantità di liquami o comunque prevedere il loro trattamento.

Il governo del Galles, per ridurre il pericolo di contaminazione da nitrati nei terreni e nelle acque superficiali delle zone vulnerabili, piuttosto di imporre provvedimenti rigidi ha scelto un approccio flessibile, scegliendo di collaborare con i diretti interessati, gli allevatori, per adottare un sistema basato su norme regolamentari e volontarie, in modo da rendere tutti responsabili delle azioni da compiere.

I rappresentanti agricoli ritengono fondamentale agire in modo proattivo con gli allevatori per avere il loro convinto coinvolgimento ad affrontare e risolvere il problema. Le azioni però debbono essere intraprese in modo proporzionato, isolando quei pochi casi che sono i maggiori responsabili di comportamenti non conformi.

Uno stimolo agli allevatori può derivare dal pagamento di premi aggiuntivi al prezzo del latte per l’adozione di pratiche di eco-sostenibilità, coinvolgendo in questa problematica la distribuzione ed i consumatori.

Le tematiche ambientali riguardano tutti e pertanto tutti debbono essere resi responsabili di azioni virtuose.

Ripartizione delle emissioni di N2O nel mondo agricolo

Fonte: Farmers Weekly Interactive

L’agricoltura rigenerativa per contrastare il cambiamento climatico
3 Maggio 2018

L’aumento delle temperature registrato a partire dai primi decenni del secolo scorso ha avuto un’accelerazione negli anni 2000 rendendo sempre più evidente, in tutto il mondo, il fenomeno del cambiamento climatico.

La conferenza ONU sul clima di Parigi fissa nell’aumento di due gradi a fine secolo il punto di non ritorno per lo stravolgimento climatico. La parola d’ordine diventa dunque la riduzione delle emissioni carboniose ed il settore alimentare dovrebbe essere in prima linea per questo impegno, dato che la produzione di alimenti ha un grande peso nella emissione di gas effetto serra (GHG).

La società vuole alimenti ottenuti nel rispetto delle condizioni ambientali, mentre gli agricoltori si confrontano con avverse condizioni climatiche ed incertezza di mercato. Secondo le stime FAO, al settore dell’allevamento animale (deiezioni, produzione di alimenti, attività ruminale) sono imputabili il 14,5% del totale delle emissioni, la perdita di biodiversità, l’eutrofizzazione, l’uso inefficiente delle risorse. L’agricoltura però è anche l’unica attività che può captare l’anidride carbonica incorporandola nella massa dei prodotti ottenuti.

Dunque la domanda è: quali pratiche possono essere migliorate per ridurre l’impatto ambientale mantenendo il reddito delle imprese? Già le pratiche agronomiche tradizionali come la pacciamatura e la rotazione permettono di aumentare la captazione dell’anidride carbonica, ma sono le tecniche intelligenti (smart) che permettono di aumentare il potenziale naturale dell’attività produttiva.

Questo significa non solo catturare più carbonio dall’aria, ma anche aumentare la sostanza organica nel suolo, dunque la sua fertilità ed il minore ricorso ai concimi chimici. In altre parole, l’agricoltura può essere rigenerativa e per questo esiste già una specifica certificazione, che si basa su tre pilastri: fertilità del suolo, benessere animale, equità sociale.

L’agricoltura può dare un contributo sostanziale alla sostenibilità e dunque alla società in generale.

Ripartizione delle emissioni GHG (Green House Gas) da agricoltura


Fonte: Regeneration International, Farmers Weekly, IFOAM EU