Il Commento: Come sarà il 2024 per la suinicoltura italiana? [Giuseppe Villani, Prosciutto San Daniele]
9 Gennaio 2024

Come sarà il 2024 per la suinicoltura italiana? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Villani, Presidente del Consorzio del Prosciutto di San Daniele DOP.

Giuseppe Villani – Presidente del Consorzio del Prosciutto di San Daniele

“In questa fase la filiera è troppo squilibrata, con gli Allevatori che hanno avuto una buona marginalità nel 2023 e gli anelli a valle che hanno dovuto fare i conti con riduzione delle macellazioni, costi molto elevati, sforzi notevoli sul piano economico e finanziario – analizza Villani -. Ritengo che si vada verso un nuovo equilibrio del sistema e che il prezzo del suino torni sotto i 2 €/kg, anche abbastanza rapidamente”.

Se parliamo di anomalie, “mai avevamo vissuto una riduzione così forte del patrimonio suinicolo e dei prosciutti DOP, una condizione che temo metterà fortemente sotto pressione il comparto dei prosciutti a denominazione d’origine, che dovrà fare i conti con prezzi ancora molto sostenuti”.

Il 2024 resterà, quindi, un anno particolarmente critico per chi stagiona e vende prosciutti DOP, con una minore propensione ad acquistare cosce fresche, aspetto che contribuirà a mantenere i listini su valori elevati, secondo Villani.

Chi, invece, non sarà vincolato ad acquistare carne suina italiana, “potrebbe rivolgersi all’estero per tagli come spalla, trito, pancetta, innescando molto probabilmente una discesa dei prezzi”.

Altro elemento di rottura rispetto al passato riguarda la tipologia dei suini. “Il suino estero non è più così diverso da quello italiano: una volta il divario era fra i 100-120 kg del maiale estero contro i 180 di quello italiano; oggi con i nuovi disciplinari della DOP, che giudico positivamente perché avremo una produzione di capi più uniforme, si riduce il gap di peso con l’estero; fuori Italia sono arrivati ad allevare maiali fra i 120 e i 140 kg di media. Questo dovrebbe orientare il mercato su un calo dei tagli del suino italiano”.

Altra variabile inedita riguarda i nuovi Consumatori e l’offerta sugli scaffali. “Oggi il Consumatore si trova una gamma di offerta maggiore rispetto al passato e fra Millenial e nuove generazioni è venuta meno l’esperienza storica di acquistare i famosi due etti di prosciutto DOP – osserva Villani -. A questo si aggiunge la campagna di comunicazione che invita a ridurre i consumi di carne e salumi, che temo registreranno un trend discendente fisiologico, ma senza cali vertiginosi. Siamo un mercato maturo, con andamenti più o meno stabili, non dovremo allarmarci”.

Essenziale sarà “continuare a migliorare sul fronte della qualità, del benessere animale, perché un suino che sta meglio è anche più buono”. E in questo contesto Villani tributa un riconoscimento agli Allevatori, “oggi più consapevoli del loro ruolo nell’ambito della sostenibilità, in ragione del quale mi sento ottimista”.

TESEO.clal.it – Suini: prezzi dei tagli freschi €/kg
TESEO.clal.it – Suini: prezzi dei tagli freschi €/kg

Il Commento: coniugare sostenibilità e convenienza [Alessandro Masetti, Coop Italia]
11 Dicembre 2023

Il consumatore è molto attento a ciò che acquista, soprattutto in una fase come quella attuale in cui ha minore potere di acquisto e, quindi, presta molta attenzione a una combinazione di prezzo e di etichetta, dove la sostenibilità gioca un ruolo non marginale. Nel medio periodo non credo si riuscirà a recuperare il potere reale di spesa delle famiglie italiane, per cui bisognerà lavorare per avere prodotti più sostenibili anche sul piano economico e più competitivi da subito, coniugando aspetti etici e valoriali e convenienza”.

Alessandro Masetti – responsabile Grocery di Coop Italia

La visione sul futuro dei consumi la tratteggia Alessandro Masetti, responsabile Grocery di Coop Italia, cogliendo l’occasione per stimolare le Imprese a puntare sulla formazione, l’innovazione, la cooperazione o, comunque, la collaborazione per condividere pratiche comuni, i mezzi, così come la manodopera specializzata, in una fase in cui non è sempre facile reperirla.

Quanto ai consumi, Masetti vede una correlazione in questa fase tra “filiera lattiero-casearia e filiera carni suini e salumi, con volumi che flettono in entrambi i comparti a causa, prevalentemente, dei costi dei prodotti aumentati di circa dieci punti percentuali. Si va dal +15% per il latte al +8% dello yogurt, fino al +5% di media nella filiera dei suini”.

Le conseguenze, inevitabilmente, pesano sulle vendite. “Gli incrementi hanno pesato sull’andamento dei volumi che è significativamente in perdita – precisa Masetti -. Il prodotto che si comporta meglio è lo yogurt, mentre il latte perde oltre il 6% a volume e i salumi a libero servizio perdono il 5% in quantità”.
Frenate che rischiano di deprimere gli investimenti della filiera anche nel medio e lungo periodo, con il rischio che l’aumento dei costi fissi e una minore redditività minacci le prospettive delle Aziende più piccole, tanto nella filiera lattiero-casearia che in quella suinicola.
Da qui la necessità di ripensare in maniera costruttiva al futuro delle filiere, attraverso un dialogo condiviso fra tutte le parti protagoniste.

Inflazione: quali prospettive per i mercati?
25 Novembre 2022

Nel Regno Unito ha fatto scalpore un rapporto della banca d’investimento Citigroup con la previsione che l’inflazione nel Paese raggiungerà il 18% nel primo trimestre del 2023, un livello toccato l’ultima volta nel lontano 1976. Queste previsioni non fanno altro che rafforzare le preoccupazioni dei consumatori ed indurre cambiamenti nelle modalità di acquisto, anche nel settore alimentare. Stesso scenario in Francia dove ad ottobre i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati su base annua di quasi il 12%, mentre in Germania a settembre la crescita è stata addirittura del 18,7%, il massimo da trent’anni.

I consumi si stanno spostando verso prodotti a basso prezzo per alcune categorie

Sebbene gli alimenti siano uno dei settori più resistenti, in quanto la natura essenziale di molti acquisti fa sì che la domanda sia relativamente anelastica, secondo una ricerca di McKinsey in mercati europei selezionati, i consumatori stanno già passando a prodotti a basso prezzo all’interno di alcune categorie, con spostamenti particolarmente evidenti in aree come gli snack, i dolciumi ed i surgelati. Una recente indagine condotta da GlobalData mostra che, a livello generale, l’84% dei consumatori è preoccupato per l’impatto dell’inflazione e quelli più giovani si dimostrano più propensi a cambiare i loro modelli di acquisto. Mentre circa il 23% dei Boomers nel Regno Unito dichiara che non passerà a negozi più economici, le loro controparti più giovani sono molto più propense a spostarsi altrove per gli acquisti. In questo contesto i distributori vincenti sono i discount.

L’inflazione è destinata poi a smorzare le prospettive del settore della ristorazione collettiva, già colpito duramente dalla pandemia e che sperava in una ripresa sostenuta. La spesa abituale e di basso valore in bar e caffetterie sembra essere attualmente la meno a rischio ed i ristoranti, pur avendo potenzialmente un prezzo più alto, sono comunque in grado di dimostrare un forte rapporto qualità-prezzo attraverso il servizio, che sarà ancora un elemento determinante.

In Cina le prospettive sono diverse da quelle dei mercati occidentali

Nel complesso, il rapporto sull’inflazione a livello macro di GlobalData prevede una recessione in molti mercati sviluppati prima della fine del 2022, che comporterà anche un calo della domanda per l’aumento della pressione sui consumatori. In Cina, invece, le prospettive sono nettamente diverse da quelle dei mercati occidentali. La fine delle restrizioni per il cosiddetto “zero Covid” prevista intorno al secondo trimestre dell’anno prossimo, libererà la domanda repressa, anche se su scala molto più ridotta rispetto a quanto visto nel 2021 nei mercati sviluppati.

Per il periodo successivo al 2023, si prevede una prospettiva inflazionistica persistentemente elevata e volatile ed una tendenza alla de-globalizzazione. I costi interni nella maggior parte dei mercati sviluppati saranno più reattivi alle condizioni del mercato del lavoro e la domanda è destinata a ricostituirsi. Ciò sarà particolarmente attendibile negli Stati Uniti, dove una maggiore tolleranza politica nei confronti della crescita dei salari e della conseguente inflazione si traduce in una ricostituzione della domanda delle famiglie a reddito medio.

CLAL.it – Variazione percentuale dei prezzi al consumo rispetto all’anno precedente

Fonte: Just Food

Suini: è giunto il momento di condividere un percorso [intervista]
29 Agosto 2022

Roberto Pini
Castelverde, Cremona

Roberto Pini – Amministratore Unico del Gruppo Pini

“Il futuro? Sta nella filiera”. Parola di Roberto Pini, amministratore unico del Gruppo Pini, un colosso che nel 2021 ha fatturato 1,5 miliardi di euro e che è partito non dai suini, ma dalle bresaole. “Bresaole Pini è stata la prima azienda di famiglia a Grosotto, in provincia di Sondrio, dove è nato tutto”, prosegue Roberto Pini.

Il percorso di crescita in Italia e all’estero li ha portati a gestire due strutture di macellazione di suini: Pini Italia a Castelverde (Cremona) e Ghinzelli a Viadana (Mantova). In totale, parliamo di 1,5 milioni di maiali macellati in Italia, tutti animali destinati al circuito Dop, “che ci porta a essere il primo player nella macellazione a livello nazionale”. Eppure, l’Italia, “vale poco più del 30% di un impero che occupa oltre tremila dipendenti e ha sedi in Ungheria e Spagna”.

Siete leader in Italia nel segmento della macellazione suina. Pensate di presiedere anche la produzione e stagionatura di prosciutti Dop?

“Per il momento non è nei nostri piani. Due anni fa abbiamo realizzato un importante investimento in Spagna, a Binefar, dove abbiamo costruito una delle strutture più all’avanguardia per la macellazione. Dopo due anni di attività il fatturato ha superato i 750 milioni di euro. Inoltre, sempre in Spagna, abbiamo costruito un’altra struttura destinata alla macellazione delle scrofe per un investimento pari a 20 milioni di euro. In totale, abbiamo investito in Spagna oltre 150 milioni”.

Qual è la vostra quota di export?

“Dalla Spagna siamo oltre l’80% e il nostro gruppo può contare su una rete commerciale molto presente all’estero e particolarmente attiva in Asia, dalla Cina al Giappone, al Sudamerica. Ma esportiamo in tutto il mondo”.

Il made in Italy è un valore aggiunto?

“Sicuramente. È un maiale diverso rispetto ad esempio alla Spagna, dove la produzione è finalizzata puramente per la produzione di carne, destinata al consumo fresco. L’Italia è orientata invece alla produzione di suini per le filiere Dop e Igp, alla salumeria e ha grandi potenzialità per l’export”.

Avete avuto ripercussioni con la peste suina africana?

“Sì. Nelle due strutture di macellazione in Italia avevamo una quota di export del 25% in Asia e avevamo creato un rapporto privilegiato con il Giappone, che cerca qualità e che aveva trovato nel suino Made in Italy la giusta risposta alla ricerca di carne con la giusta infiltrazione di grasso e una marezzatura in grado di soddisfare i canoni culinari giapponesi. Ora con la Psa siamo bloccati e, complessivamente, è stato sospeso l’85% dell’export extra Ue”.

In quale direzione investirete in futuro?

Puntiamo a sviluppare la nostra filiera a monte e a valle

“Nei prossimi anni pensiamo a sviluppare la nostra filiera con un’integrazione a monte e a valle, monitorando allo stesso tempo il discorso allevatoriale e della produzione. È in questa ottica l’interesse che abbiamo mostrato per il gruppo Ferrarini a Reggio Emilia”.

Dall’inizio dell’anno a oggi, che fase stanno attraversando i macelli?

“Diciamo che siamo alle prese con una fase abbastanza travagliata, a partire dalla peste suina africana, che si è manifestata in Italia all’inizio del 2022 e che ha immediatamente sovvertito tutti i piani di export, con restrizioni e ovviamente ripercussioni sui listini.

Anche l’aumento dei costi di produzione sta incidendo sui bilanci delle strutture di macellazione”.

Come cercate di riassorbire i maggiori costi di produzione?

“Abbiamo cercato di portare avanti un discorso di razionalizzazione del processo produttivo, cercando di limitare al minimo tutti gli sprechi”.

L’aumento dei costi produttivi ha cambiato le vostre strategie imprenditoriali?

“No, assolutamente”.

Che investimenti avete fatto nell’ultimo anno e quali investimenti avete in programma?

“Negli ultimi due anni abbiamo portato a termine un investimento significativo in Spagna con l’inaugurazione dello stabilimento Litera Meat, per oltre 150 milioni di euro. Questo ci ha portato a diventare la prima struttura di macellazione in Spagna. Inoltre, quest’anno siamo partiti con una struttura per la macellazione delle scrofe, dove abbiamo investito come le dicevo, 20 milioni di euro. E nel futuro concentreremo gli investimenti per lo sviluppo della filiera a monte e a valle”.

Come mai la scelta di chiudere la filiera?

“Quando lavori occupando solo un segmento della filiera sei inevitabilmente sottoposto a oscillazioni di mercato, che possono essere anche repentine, impreviste e violente, come abbiamo visto in diverse occasioni negli ultimi anni. Questi choc limitano, di fatto, la capacità di programmazione ed espongono l’impresa a forti stress, che in alcuni casi possono mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’azienda. Se invece l’approccio si sposta su un modello di filiera totalmente integrata, il rischio sulla redditività aziendale è minore e c’è maggiore facilità ad assorbire le anomalie di mercato”.

I consumatori sono sempre più attenti alla sostenibilità. Che scelte avete fatto per ridurre l’impatto ambientale?

Stiamo investendo nella sostenibilità ambientale

“Nello stabilimento di Bresaole Pini a Grosotto abbiamo già sviluppato un impianto di cogenerazione per la produzione di energia e calore con un investimento da un milione di euro. Andremo a installare soluzioni per la cogenerazione e la trigenerazione nei due impianti italiani.

Stiamo portando avanti progetti sul fotovoltaico in Spagna e di cogenerazione per la produzione di energia elettrica e calore e di trigenerazione per ottenere energia elettrica, calore e freddo. Investimenti che sono ormai necessari sia per ridurre i costi che in chiave di sostenibilità ambientale”.

Il minore potere di acquisto delle famiglie potrebbe modificare i consumi nel settore carni suine e salumi? In quale direzione?

“Da alcuni mesi la situazione delle famiglie è molto difficile, i nuclei familiari sono tartassati dagli aumenti. Ci sarà inevitabilmente una contrazione dei consumi e dobbiamo sperare che la situazione globale e la speculazione sulle materie prime si plachino un attimo. Tuttavia, oggi è difficile prevedere come si dipaneranno i consumi nei prossimi mesi, anche se presumibilmente assisteremo a qualche squilibrio e a una riduzione negli ultimi mesi dell’anno”.

Talvolta gli allevatori chiedono ai macelli indicazioni sul tipo di suino più idoneo a garantire maggiore redditività. Che cosa chiedete e cosa può essere utile alla filiera suinicola italiana?

Convocare tavoli tecnici di filiera per condividere linee di sviluppo comuni

“La cosa migliore da fare sarebbe convocare tavoli tecnici di filiera per condividere linee di sviluppo comuni. Non basta ritrovarsi fra macellatori o fra allevatori. È giunto il momento di condividere un percorso, supportato da argomentazioni scientifiche e oggettive. Va individuato un punto di equilibrio e specificare le linee per garantire redditività all’allevatore, privilegiando la qualità sul prodotto finito, necessaria per alimentare e dare prospettive alla filiera Dop. In Italia l’allevamento non può esimersi dalla produzione di suini specificatamente previsti per una valorizzazione delle Dop. Non ci sono alternative, perché i costi di produzione dell’allevatore e della macellazione sono molto più alti rispetto all’estero e sulla carne fresca non sarebbero competitivi”.

Come vede il futuro della suinicoltura?

“Sono ottimista, ma solamente se tutti i protagonisti della filiera saranno così maturi da poter dialogare per costruire un futuro insieme. Altrimenti sarà difficile per tutto il settore. Siamo tutti alle prese con l’aumento dei costi di produzione e gli incrementi delle spese mettono in difficoltà i singoli anelli della catena di approvvigionamento. Dobbiamo essere lungimiranti e coesi”.

Sulla genetica si sono levate un po’ di polemiche?

“Il prodotto finale parte dalla genetica, che è un aspetto essenziale dell’animale e di come viene allevato. Bisogna ragionare in termine di filiera anche in questo caso e sono convinto che ampliare la gamma delle genetiche approvate e dare spazio a nuove linee, senza abbassare lo standard qualitativo, possa rappresentare un’opportunità per un’offerta più ampia sul mercato”.

Prezzi alimentari: una nuova era?
9 Agosto 2022

Siamo tutti impegnati a riflettere su come frenare l’aumento del costo degli alimenti, dai responsabili degli approvvigionamenti che osservano con ansia i prezzi delle materie prime, fino ai consumatori che vedono lievitare il conto della spesa.

L’inflazione nei prezzi alimentari è uno dei temi più scottanti, che occupa le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Ma se invece di un fenomeno congiunturale derivante dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, fosse anche un presagio delle cose che verranno in modo strutturale? La crisi climatica fa sì che si discuta sempre più sul costo della produzione alimentare e sugli investimenti necessari per rendere il sistema più sostenibile.

La crisi climatica potrebbe dunque significare che dovremmo aspettarci di entrare in una nuova era di prezzi alimentari più alti?

Al centro del problema e della soluzione

I costi che le aziende alimentari dovranno sostenere per ridurre le emissioni, assicurarsi gli approvvigionamenti, favorire la biodiversità, rendono evidente che qualcosa deve cambiare se, come società, vogliamo affrontare seriamente la crisi climatica, dato che il settore nel suo complesso è al centro sia del problema che della soluzione. Siamo dunque di fronte alla necessità di fare dei cambiamenti che non saranno certo gratuiti. Eppure è molto importante per il pianeta, per i nostri figli e per le generazioni future, che si facciano, anche se saranno costosi. E tutti noi consumatori dovremo pagarli. Questo non è certo uno scenario che piacerà. Si potrebbe obiettare che si tratta di una posizione più facile da applicare per gli alimenti di alta gamma, ma il problema riguarda tutti, nessuno escluso.

Negli scorsi decenni abbiamo assistito (nei Paesi ad economia avanzata) alla continua riduzione della percentuale di spesa dedicata all’alimentazione.  Ma, ad un certo punto, di fronte alla crescente richiesta ad imprese e governi di fare di più per quanto riguarda il clima, dovremo  verosimilmente abituarci ad una nuova situazione per quanto riguarda il prezzo degli alimenti.

Quindi si verrebbe delineando quella che potrebbe essere definita come “inflazione verde”, una nuova era di prezzi alimentari più alti in conseguenza delle scarsità dovute alla crisi climatica ma anche della necessità di investire per contrastarla. Almeno ne beneficerà, sempre nei Paesi ricchi, il disgustoso fenomeno dello spreco alimentare.

TESEO.clal.it – Italia: Indice dei Prezzi al Consumo nel mese di Giugno 2022 rispetto al 2015.
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Fonte: Just Food