Da diverse settimane i prezzi del Grano Duro registrano diminuzioni nelle principali piazze italiane. Dopo un rallentamento graduale tra Luglio e Gennaio, i primi mesi del 2023 stanno registrando crolli repentini dei prezzi che preoccupano i produttori. Anche all’estero il trend è ribassista. Probabilmente questo è il risultato di diversi fattori.
1- Il raccolto mondiale del 2022 è stato positivo ed ha portato sollievo alle tensioni del mercato originate dal limitato raccolto Canadese del 2021. Infatti, le produzioni del 2021 in Canada, primo produttore mondiale, erano state fortemente danneggiate dalla siccità risultando in un’offerta molto ridotta.
2- Le aspettative per le produzioni del 2023 sono positive a livello mondiale, clima favorevole permettendo. In Canada le produzioni sono attese in aumento nonostante i minori ettari destinati, grazie ad un miglioramento delle rese. Negli USA le aree coltivate a Grano duro sono stimate in crescita e, di conseguenza, anche la produzione totale. In Italia ci si aspetta un leggero incremento delle aree seminate e, quindi, delle produzioni.
3- L’Euro sta recuperando valore rispetto al Dollaro, amplificando il trend ribassista dei prezzi all’import.
4- Tutte le principali materie prime agricole hanno adottato un andamento ribassista da diversi mesi. La domanda, infatti, è rallentata in risposta agli aumenti dei prezzi e questo sta riportando i valori complessivi a livelli più vicini alla media storica, seppure ancora elevati. Inoltre, l’Ucraina immette prodotti nei mercati a prezzi molto competitivi. Queste dinamiche caratterizzano anche i cereali, tra cui Mais, Grano Tenero e Grano Duro.
Il mercato suinicolo Italiano è stato fortemente segnato dalla diffusione di PSA nel nostro territorio, di cui il primo caso è stato identificato a Gennaio 2022. Ad effetto immediato, alcuni Paesi, tra cui la Cina, hanno bloccato le importazioni di carne suina dall’Italia. L’export totale è diminuito in volume del -8,2% nel 2022 rispetto al 2021. La maggior riduzione ha riguardato l’export di “Altre Carni congelate (cod. HS 020329)” di cui la Cina è stata il principale acquirente fino al 2021.
Oltre alla domanda in rallentamento, il 2022 ha visto un’ulteriore crescita dei costi sia dell’alimentazione sia energetici che, insieme alla PRRS (Sindrome Riproduttiva e Respiratoria Suina), ha portato ad una riduzione del patrimonio suinicolo italiano. Di conseguenza le macellazioni di suini sono diminuite di 596 mila capi (-5.4% rispetto al 2021). Le macellazioni di suini destinati a DOP-IGP, in particolare, sono diminuite di 409 mila capi.
Nonostante la minor domanda estera, il calo dell’offerta domestica di suini ha portato ad una carenza di carni suine, sfociata in un aumento dei prezzi locali. L’aumento dei listini ha raggiunto anche il consumatore, che ha già iniziato a modificare le sue abitudini d’acquisto spostandosi dai prosciutti DOP verso prodotti meno costosi, quali prosciutti non DOP, Prosciutto Cotto, Mortadella e Salumi.
“L’impennata dei prezzi del grano duro registrata negli ultimi due mesi? È un insieme di fattori, che vanno dai cambiamenti climatici alla minore produzione, fino a qualche speculazione di troppo, che ha fatto aumentare le quotazioni”.
La pensa così Leonardo Moscaritolo, presidente nazionale del Gruppo di Interesse Economico (GIE) cerealicolo di Cia-Agricoltori Italiani, da alcuni anni componente del settore cereali del Copa-Cogeca e del gruppo di dialogo civile della Direzione Generale Agricoltura della Commissione Europea.
Moscaritolo conduce circa 100
ettari a Melfi (Potenza), coltivati prevalentemente a grano e orzo per la
produzione di birra.
Quali sono i fattori
principali del deficit produttivo di grano duro, elemento essenziale per la
produzione di pasta?
“In Italia la produzione attesa
era di circa 4 milioni di tonnellate, invece il raccolto sembra essere inferiore
di circa 200.000 tonnellate. Inoltre, a livello mondiale c’è molta attesa per
le produzioni canadesi, ma la siccità potrebbe portare un significativo calo
delle rese. La prospettiva di minori rese sta portando gli stoccatori ad
accaparrarsi la materia prima, gli agricoltori a non vendere in questa fase di
rialzo dei listini e la spirale si avvita sempre di più”.
Diminuisce l’autosufficienza dell’Italia nel frumento duro (perso il 18% in tre anni, secondo le elaborazioni di Teseo). Come mai? Come difendere il Made in Italy?
“Il problema è che è venuta a mancare la fiducia del cerealicoltore storico. Negli ultimi anni, i prezzi bassi, spesso sotto i costi di produzione, non hanno certo invogliato a seminare. Tra le alternative, c’è stata una buona richiesta di orzo distico, grazie al movimento dei birrifici artigianali, e questo ha fatto sì che qualche agricoltore ha cercato di diversificare le produzioni, orientandosi verso l’orzo da malteria”.
Il frumento duro coltivato in
Italia garantisce un valore aggiunto superiore?
“Tendenzialmente sì, anche se le pressioni dei commercianti verso prodotti ad elevato tenore proteico stanno mettendo in difficoltà la cerealicoltura del Sud. Con Agrinsieme, Union Food, Italmopa, Assosementi, l’Università della Tuscia abbiamo avviato un percorso molto interessante per innalzare la qualità e dare risposte concrete all’industria molitoria e della pasta, siamo fiduciosi. Potrebbero aiutare il rilancio anche i finanziamenti concessi alle filiere da parte del Ministero delle Politiche agricole, purché si ritrovi quella puntualità nei pagamenti da parte del sistema pubblico che per gli imprenditori agricoli è essenziale”.
Può fregiarsi del Made in Italy anche la pasta fatta in Italia con grano duro di importazione?
“Si è sempre fatta la pasta con le miscele di grano duro di diversa provenienza, dal Canada agli Stati Uniti, all’Australia. Credo che il tema non sia il mito di un’autosufficienza irraggiungibile per l’Italia, ma della trasparenza in etichetta. Se parliamo di pasta 100% italiana, allora serve il grano coltivato in Italia e giustamente retribuito agli agricoltori. L’etichettatura obbligatoria va nella giusta direzione”.
Il presidente di
Federalimentare, Ivano Vacondio, nelle scorse settimane ha lanciato l’allarme
sugli eccessivi passaggi commerciali delle materie prime, con l’effetto di una
speculazione che fa male alle imprese. Condivide?
La filiera dovrebbe avere un approccio più etico
“Sì. Più passaggi si fanno, meno è la trasparenza e più forti sono le speculazioni. Sicuramente serve un processo di modernizzazione dell’intera filiera. Ricordo che a presto, per l’indicazione dei prezzi, partirà la Commissione Unica Nazionale (CUN) con la partecipazione di tutti i protagonisti della filiera e di Borsa Merci Telematica, uno strumento che potrebbe essere molto utile in termini di trasparenza. Impossibile non analizzare come, ad oggi, il margine di guadagno resti sempre troppo sbilanciato verso gli anelli finali della filiera. Se all’agricoltore rimane non più del 13% del valore del prodotto, è inevitabile che vi siano squilibri, che le superfici coltivate diminuiscano, che quando i prezzi sono alti i produttori cerchino di non vendere per innescare ulteriore tensione. Se, al contrario, la filiera avesse un approccio più etico, con un’equa distribuzione della redditività potremmo ragionare su prospettive diverse”.
Sarebbe utile calcolare i
costi di produzione medi e fissarli come paletto sotto al quale non scendere?
“Indicare dei costi medi di produzione, da parte di ente terzo come Ismea, le Università o, perché no, TESEO potrebbe aiutare sicuramente per una maggiore trasparenza nella formazione dei prezzi”.
La resa del grano duro coltivato in Italia è di 3,33 tonnellate all’ettaro contro una media UE di 3,54 tonnellate e punte di 5,38 tonnellate per la Germania e di 5,05 tons/ha per la Francia. Come rendere competitivo il grano italiano?
Ricerca e innovazione al vertice dell’agenda della CIA
“Il dato che lei cita, 3,33
tonnellate per ettaro, è un dato nazionale medio: al Nord si produce di più, al
Sud la resa è inferiore. Detto questo, è innegabile che il divario rispetto
alle produzioni medie di Francia e Germania sia troppo ampio. Ritengo che si
debba operare su due livelli. Un primo aspetto contributivo, cercando di
uniformare i valori della Pac fra le diverse Regioni, e dall’altro facendo
ricerca e innovazione, che per noi della Cia è al vertice della nostra agenda
politica e sindacale. Stiamo puntando molto inoltre sull’agricoltura di
precisione, che non va utilizzata solo sulle colture ad alto reddito, ma anche
per una coltivazione più responsabile ed etica dei cereali, nel rispetto
dell’ambiente, del suolo, delle risorse idriche e di una sostenibilità anche di
natura economica”.
Le varietà di grano antico possono
rappresentare una soluzione per la redditività e la competitività oppure
dovranno rappresentare una nicchia?
“Sono una nicchia seppur con
dinamiche di mercato interessanti. La produttività dei grani antichi è molto
limitata e non si riesce a competere facilmente su larga scala. Sono soluzioni in
grado di dare soddisfazioni economiche quando l’agricoltore trasforma e
commercializza direttamente la farina o la pasta magari con l’ausilio di
laboratori locali”.
L’import dell’UE-27 nei primi sette mesi del 2021 è diminuito del 5,6%. È l’effetto del Covid? O quali sono le motivazioni?
“Ha influito sicuramente l’effetto
del Covid, con la crescita dei costi dei noli e dei trasporti, ma anche la nostra
azione sindacale a sostegno del grano italiano ha indubbiamente portato
risultati positivi e l’industria si è rivolta alla produzione italiana”.
Sorprendentemente, nel primo semestre del 2021 l’Italia ha registrato un boom dell’export extra-Ue di grano duro, avvicinandosi a 81.000 tonnellate vendute (la Francia ha visto un export vicino a 87.000 tonnellate). Come spiega questa nuova tendenza italiana?
Promuovere ed esportare prodotti ad alto valore aggiunto
“Non lo so. È sicuramente una sorpresa che un paese deficitario di grano duro esporti, ma è allo stesso tempo un segnale che dobbiamo cogliere. Ovvio però che un paese come l’Italia deve esportare e promuovere prodotti ad alto valore aggiunto come la pasta e non il grano come materia prima. Oggi ci sono grandi margini nell’export, il Made in Italy è un brand vincente e potentissimo, vanno intensificati tutti gli strumenti di potenziamento dell’export”.
I cambiamenti climatici impongono inevitabilmente degli adattamenti e c’è chi ha proposto di posticipare le semine dei cereali autunno-vernini a febbraio. Cosa ne pensa?
“Bisogna valutare caso per caso. Per l’orzo noi produttori già lo stiamo facendo avendo a disposizione più varietà di seme primaverile ottenendo buoni risultati. Sul grano duro anche volendo applicare la buona pratica agricola della “falsa semina” non possiamo posticipare troppo l’epoca di semina perché molto spesso i terreni di natura argillosi non essendo permeabili provocano ristagni di acqua rendendo impraticabili i terreni”.
La produzione italiana di Soia soddisfa solamenteil 32,7% del fabbisogno interno(annata 2019/2020): ne deriva che l’Italia è tra i principali Paesi importatori di Soia nell’Unione Europea.
Nel mese di Marzo 2021 l’import italiano di Soia è aumentato del +43,4% in volume e del +79% in valore. Nel primo trimestre 2021 i principali Paesi fornitori sono stati USA (+36,8%), Canada (+61%) e Brasile (+10%).
La Soia (esclusi i semi) nel mese di Marzo 2021 ha raggiunto il prezzo medio all’import di 437 €/Ton (+27,7% rispetto Marzo 2020), inferiore alla media delle quotazioni di Bologna nello stesso mese (558 €/ton).
Anche per il Mais, l’Italia si posiziona tra i principali importatori a livello Europeo. Nel mese di Marzo 2021 l’import di Mais è aumentato del +18% in volume e di +29% in valore.
Nel
primo trimestre 2021 l’Italia ha intensificato
le proprie importazioni dall’UE-27
(1,2 milioni di tonnellate in totale), ed in particolare dall’Ungheria
(+34,8%), principale fornitore. Di conseguenza, nonostante una minor importazione dall’Ucraina (-40,2%), l’import complessivo del trimestre è
aumentato rispetto all’anno precedente, superando il milione e mezzo di
tonnellate.
In Marzo il prezzo medio del Mais (esclusi i semi) importato dall’Ucraina è stato di 216 €/ton, mentre il prezzo medio del Mais importatodall’Ungheria si attestava a 170 €/ton.
Tali
valori sono inferiori alla media delle quotazioni di Marzo sulla piazza di
Bologna (Granoturco nazionale uso zootecnico 234 €/ton, Granoturco
comunitario uso zootecnico 237 €/ton).
Istituire protocolli incentrati sulla sostenibilità ambientale per la produzione cerealicola, e accompagnare gli agricoltori alla crescita professionale attraverso la formazione. Nessun timore, poi, nei confronti di tecnologie produttive rispettose dell’ambiente (purché non OGM e che non minaccino la biodiversità), incentivazione delle filiere idonee alla valorizzazione dei prodotti e sostegno legislativo da parte dell’Italia e dell’Europa per tutelare sistemi etici sul piano del lavoro, della sicurezza alimentare e dell’ambiente. Sono questi i cardini sui quali poggiare il futuro della cerealicoltura, secondo Valeria Villani, imprenditrice agricola che a Gualtieri (Reggio Emilia) coltiva 450 ettari di terreno, con una marcata propensione a ridurre l’impatto ambientale e i costi di produzione grazie a tecniche consolidate ormai da 20 anni. L’abbiamo intervistata per approfondire i temi.
Valeria Villani, da cosa è
dipesa, a suo parere, l’impennata dei prezzi di cereali e semi oleosi?
“La crescita è dovuta prevalentemente a due fattori: l’approvvigionamento della Cina sui mercati internazionali e le limitazioni in Argentina e Russia dell’export di cereali e semi oleosi. Credo che queste strategie commerciali siano nate dal timore degli effetti devastanti che il Covid sta portando all’economia internazionale, effetti che saranno ancora più pesanti quando l’emergenza terminerà e finiranno gli aiuti statali. Inoltre, penso che alcuni Paesi abbiano intrapreso questa politica per garantire almeno alle fasce più povere, che saranno quelle più colpite, il sostentamento alimentare”.
Come è possibile arginare la
volatilità?
Riconoscere il valore delle commodity sostenibili
“La volatilità può essere contrastata solo riconoscendo il valore aggiunto delle commodity coltivate con protocolli che rispettano la sostenibilità ambientale, i diritti dei lavoratori e non permettendo ai prodotti che escono da questi principi di essere commercializzati sugli stessi mercati. Questo porterebbe i soggetti a valle della filiera a stringere accordi produttivi con i soggetti a monte, e ad avere una redditività distribuita lungo la filiera: la conseguenza sarebbe il contenimento della volatilità dei prezzi. Inoltre, bisognerebbe tornare ai principi ispiratori della Pac, laddove l’autosufficienza sulle commodity risulti necessaria, fatto messo in evidenza durante la crisi dovuta alla pandemia”.
Nella sua azienda pratica
minima lavorazione, semina su sodo o altre soluzioni di agricoltura di
precisione?
“Nella nostra azienda pratichiamo
semina su sodo da almeno 20 anni, concimazione a rateo variabile e l’utilizzo
della guida satellitare per l’uso dei prodotti fitosanitari. Utilizziamo da tre
anni il sistema in Cloud di Climate Fieldview, abbiamo cinque sistemi
satellitari di cui due Rtk”.
Ha fatto investimenti di
recente? E quali interventi ha in programma per il futuro?
“Nell’ultimo anno abbiamo
acquistato un sistema satellitare, una trincia con sistema satellitare e Nir. Nel
futuro vorremmo dotarci della macchina per seminare il mais a rateo variabile”.
Uno degli aspetti da non
sottovalutare è legato ai cambiamenti climatici. Come fronteggiarli?
“Credo che l’unico modo per fronteggiarli,
oltre all’impegno nella sostenibilità ambientale per rallentarli, sia la
ricerca agronomica per individuare piante in grado di sopportare la grande
variabilità climatica”.
Come si potrebbe rilanciare un
piano proteico e cerealicolo in Italia?
Valorizzare le commodity italiane in un piano di rilancio
“Bisognerebbe innanzitutto valorizzare le commodity italiane, in quanto non OGM, coltivate con protocolli sostenibili dal punto di vista ambientale e nel rispetto dei lavoratori. Sarebbe necessario quindi creare filiere dove questi aspetti siano valorizzati. Per fare questo servirebbe però il sostegno legislativo nel vietare la circolazione di prodotti in Italia e in Europa che non rispettino tali principi”.
Teseo by Clal cosa potrebbe
sviluppare per aiutare gli agricoltori nel percorso di formazione?
“Gli agricoltori hanno bisogno di
informazioni capillari e dal vasto orizzonte, come proiezioni su ciò che accade
sui mercati internazionali, per decidere su quali settori investire. Servirebbe
anche una formazione orientata a capire quali tecnologie implementare nella
propria azienda e come ricavarne il massimo profitto”.
Come immagina l’agricoltura
fra 20 anni?
“La risposta non è facile, dal
punto di vista della previsione e del contenuto. Purtroppo se le politiche
agricole rimarranno le stesse, con un aumento di oneri e di protocolli
produttivi per gli agricoltori, senza estendere tali regole alla
commercializzazione, temo che i prodotti che stanno alla base
dell’alimentazione umana siano destinati a sparire dall’Italia”.
Di Marco Limonta, Business Insight Director di IRI
La Distribuzione Moderna, caratterizzata da stabilità negli ultimi anni, legata alla tendenziale maturità complessiva del settore, ha salutato il 2020 come un anno di eccezionale crescita. Il traino è dato dalla performance dei prodotti di Largo Consumo, che sono cresciuti ad un ritmo particolarmente elevato (+7,5%). A dire la verità, non tutti i reparti sono cresciuti: l’aumento dei fatturati dei punti vendita della Distribuzione Moderna si riduce se consideriamo gli andamenti dei prodotti di General Merchandise (elettrodomestici, elettronica di consumo, tessile, prodotti per la casa, etc), che calano di quasi il 9% e dei prodotti a Peso Variabile, a -0,5%.
Analizzando meglio i “banchi sfusi”, assistiti o non, vediamo come questa riduzione complessiva sia frutto di dinamiche del tutto eterogenee delle categorie che compongono il reparto. A fronte di mercati in forte difficoltà, come Gastronomia (-13,7% nel 2020, con riferimento al totale degli Ipermercati+Supemercati) e Panetteria (-12,1%), assieme ai Salumi (-2,3%), ce ne sono altri che si sono sviluppati, come, ad esempio, i Formaggi (+3,4%) e le Carni (+4,3%).
Le performance negative di alcuni “banchi” sono state compensate in parte da forti crescite dei prodotti a Libero Servizio: le restrizioni alla vendita messe in atto nel corso del primo Lockdown (ad esempio, la chiusura dei banchi assistiti a Marzo/Aprile), e una generale diffidenza del consumatore, che preferisce accedere a prodotti confezionati e non “manipolati”, ha permesso ad alcune categorie del Fresco confezionato di svilupparsi ampiamente: esempio è quello degli Affettati confezionati, che rappresenta la categoria con la maggiore crescita di fatturato dell’intero reparto.
Aumentano le vendite delle Carni Bianche, Rosse e Rosa
Considerando il mercato delle Carni, l’aumento delle vendite dei banchi sfusi si è sommato alla crescita dei prodotti confezionati calibrati. Nell’anno appena passato, i volumi di Carne Bianche in Iper+Super+Libero Servizio Piccolo+Discount* (più di 310.000 tons) sono aumentati del 5%, sia nella parte Naturale (+4,4%) sia nella parte Elaborata (+6,8%), con velocità superiore per quanto riguarda i prodotti calibrati (rispettivamente +13,3% e +7,6%).
Anche la crescita delle Carni Rosse e Rosa (più di 413.000 tons) è stata importante, similmente nella parte Naturale (+6,3%) e nella parte Elaborata (+6,6%), con – anche qui – uno sviluppo superiore per i prodotti calibrati (rispettivamente +32,8% e +18,6%).
Le stime per il 2021
Il 2021 probabilmente sarà segnato dalle controcifre rispetto alle crescite del 2020: IRI stima una riduzione del fatturato del Largo Consumo confezionato pari al -3,1%, con un primo semestre che sconta ancora positivamente la crescita delle prime settimane dell’anno, ed un secondo semestre maggiormente negativo. Tuttavia questa difficoltà nelle vendite si mitigherà, tanto più si protrarranno situazioni di Lockdown, che imporanno un maggiore ricorso agli acquisti per consumi in casa.
*Sono considerati i prodotti a peso variabile per Iper+Super, i prodotti a peso imposto per tutti i canali.
Produzioni di Soia previste in crescita
per la nuova stagione, guidate da Brasile e Stati Uniti, mentre la Cina si conferma
come principale destinazione per l’export di Soia.
Aumentano i prezzi di Novembre della Soia nelle principali piazze mondiali.
Michele del Team di CLAL.it e TESEO illustra l’andamento di mercato della Soia nel seguente video.
La produzione mondiale di Soia per la stagione Settembre 2020 – Agosto
2021 è stimata in leggera diminuzione rispetto alla previsione precedente, ma
comunque in aumento del +7,7% rispetto alla stagione 2019-20 (Forecast
USDA).
Produzione prevista in crescita per i due principali player mondiali, Brasile (+5,6%) e Stati Uniti (+17,4%). Positive anche le previsioni per Argentina e Unione Europea.
L’Export mondiale di Soia per la stagione 2020-21 è stimato in
leggero aumento, +1,9% rispetto alla stagione precedente, guidato dal trend
positivo delle esportazioni statunitensi (+31,2%).
È previsto invece in diminuzione
l’export di Soia di Brasile e Argentina. I dati di Ottobre mostrano infatti
una riduzione delle esportazioni, rispettivamente -50,9% e -91% rispetto a Ottobre
2019.
La principale destinazione per l’export di
Soia rimane la Cina, che rappresenta circa i ⅔ dell’Import mondiale.
Per l’annata 2020-21 si prevede che la Cina accresca il suo import dell’1,5%,
raggiungendo le 100 Milioni di Tonnellate. Nel solo mese di Ottobre la Cina ha
importato circa 8,7 Mio Tons di Soia, +2,5 Mio Tons rispetto ad Ottobre 2019.
L’Unione Europea per il periodo Gennaio – Settembre 2020 ha importato più di 12 Mio Tons di Soia, registrando un aumento del +7,7% rispetto allo stesso periodo del 2019. Per la stagione 2020-21 si prevede, invece, una diminuzione dell’import di Soia europeo del -1,3%.
Continua ad aumentare il prezzo della Soia
in diverse piazze mondiali. Il prezzo medio di Novembre in Argentina è di 341$ per Ton, +7% rispetto
al mese precedente e +36,4% rispetto a Novembre 2019. Anche per gli Stati
Uniti il trend è positivo, con l’USDA che prevede un prezzo medio
stagionale in crescita di oltre il 20% per la stagione 2020/21.
In Italia, il prezzo dei Semi di Soia
Nazionale è aumentato sensibilmente. Il prezzo medio di Novembre, quotato a Bologna, è di 416€ per Ton, +7,3%
rispetto al mese precedente e +22% rispetto a Novembre 2019.
Per maggiori dettagli sui mercati del latte, agricolo e suinicolo seguiteci sui nostri siti web CLAL.it e TESEO.clal.it.