Prosegue il dialogo di filiera verso la Sostenibilità [presentazioni]
26 Aprile 2017

Continua il percorso verso la Sostenibilità della filiera lattiero-casearia.

Il Consorzio Latterie Virgilio ha ospitato produttori latte, imprese di trasformazione, consorzi di tutela e grande distribuzione in occasione dell’incontro “Sostenibilità: la cooperazione deve prevalere sulla competizione”.

L’incontro, organizzato da TESEO mercoledì 19 Aprile, è iniziato con le case history di Consorzio Latterie Virgilio, Fattorie Osella, Latteria PLAC e Trentingrana CON.CA.S.T. che hanno presentato le buone pratiche di sostenibilità da loro applicate. Novamont ha poi illustrato le soluzioni offerte dai biochemicals.

Il dialogo di filiera è continuato attraverso il dibattito, nel quale gli operatori hanno messo in luce i diversi aspetti della Sostenibilità con esempi ed idee per un approccio da protagonisti ai temi trattati. I concetti di sostenibilità, organizzazione e filiera sono poi stati oggetto delle conclusioni dell’Assessore Regionale all’Agricoltura Gianni Fava.

Consulta le presentazioni della giornata:

Giuliana D’Imporzano – Project Manager Consorzio Virgilio
1 - Life Dop: sostenibilità nell’industria casearia di eccellenza
Giuliana D’Imporzano – Project Manager Consorzio Virgilio
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Paolo Amadori – Business Manager Fattorie Osella
2 - Il progetto Benessere Animale
Paolo Amadori – Business Manager Fattorie Osella
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Giovanni Guarneri – Consigliere Latteria PLAC
3 - Gestione ambientale ed energetica nella Latteria PLAC
Giovanni Guarneri – Consigliere Latteria PLAC
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Andrea Merz – Direttore Trentingrana Consorzio dei Caseifici Sociali Trentini s.c.a.
4 - Tradizione e sostenibilità nella filiera Trentingrana
Andrea Merz – Direttore Trentingrana Consorzio dei Caseifici Sociali Trentini s.c.a.
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Andrea Di Stefano – Responsabile Progetti Speciali Novamont Spa
5 - Il ruolo dei biochemicals nell’innovazione delle filiere agroalimentari
Andrea Di Stefano – Responsabile Progetti Speciali Novamont Spa
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Sopravvivenza delle stalle: il benessere animale sarà determinante
3 Aprile 2017

Floriano De Franceschi
Castelgomberto, Vicenza – ITALIA

L’allevatore Floriano De Franceschi

Azienda Agricola De Franceschi Floriano.
Capi allevati: 110 | 50 in mungitura.
Ettari coltivati 50.
Destinazione del latte: Asiago DOP d’Allevo
(caseificio cooperativo Villa).

“Vada su Youtube e digiti De Koeientuin, poi guardi il video: vedrà come saranno le stalle del futuro, con ampi spazi liberi, piante e verde in stalla, nessun tipo di cattura, niente cuccette, possibilità di movimento per gli animali. Piaccia o no, andremo in quella direzione e sarà una delle risposte per produrre latte di migliore qualità, aumentare il benessere animale e rispondere ai continui attacchi degli animalisti, che rivolgono accuse a noi allevatori molto spesso ingiuste”.

L’invito a collegarsi a Youtube è di Floriano De Franceschi, 53 anni, presidente dell’Associazione provinciale allevatori di Vicenza e di quella regionale del Veneto. Nella sua azienda a Castelgomberto, paese del quale è stato anche assessore, alleva 110 bovine di razza Frisona italiana, delle quali 50 in lattazione.

Nel 2016 ha prodotto 5.300 quintali, con una media annuale di 105 quintali per vacca (grasso 3,64%, proteine 3,26 per cento). La mungitura avviene tramite robot, che il presidente dell’Arav ha introdotto in stalla 10 anni fa.

Il latte prodotto è conferito al caseificio cooperativo Villa per la produzione di Asiago d’allevo, ottenuto con latte di bovine alimentate a secco. I soci del caseificio sono 15.

Appassionato di tecnologia (“è il mio hobby”, dichiara), De Franceschi accanto al benessere animale raccomanda come soluzioni la cooperazione, concetto astratto che ha molte declinazioni concrete e va ben oltre il conferimento del latte, ma coinvolge anche l’idea del cosiddetto sharing, la condivisione.

“Tra proprietà e affitto conduco 50 ettari a prato; ai miei foraggi aggiungo il miscelone che acquisto. Ho rinunciato interamente al mais”.

Perché?
“È poco remunerativo e c’è il rischio delle aflatossine. Se non facciamo i conti in stalla rischiamo di lavorare a vuoto. È inutile che l’allevatore paghi affitti anche da 400 euro per ettaro, se non riesce ad andare in pareggio”.

Quale soluzione propone?
“Bisogna che gli allevatori si mettano insieme, magari individuando un capannone per stivare la miscelata comune. Dovremmo come allevatori occuparci della stalla, ma condividere le informazioni e i sistemi di alimentazione, ridurre attraverso modalità di cooperazione i costi di gestione. L’informazione è uno strumento fondamentale per la gestione delle aziende”.

Esiste TESEO by Clal. Perché non usarlo?
“Lo usiamo ed è molto utile. Bisogna estendere il modello informativo alle fecondazioni, le zoppie, gli aborti. Serve trasparenza e condivisione dei dati. Come Associazione italiana allevatori possiamo contare sul sistema Si@lleva, che raccoglie dati su scala nazionale, relativi a un milione di capi, tanti quanti sono quelli controllati negli Stati Uniti. Dobbiamo fare in modo che i risultati elaborati tornino agli allevatori, magari anche attraverso TESEO”.

Quali sono le informazioni più utili?
“La genomica sta facendo notevoli passi avanti, ma non farei una classifica. Per avere un quadro d’insieme efficiente è imprescindibile poter avere informazioni legate alle fecondazioni, ai costi di alimentazione, all’efficienza energetica, alla fertilità. In Veneto sui controlli funzionali facciamo il Bhb, che rivela l’acidità ruminale e individua eventuali disguidi metabolici. I dati sono la chiave per valutare l’efficienza dell’azienda. Bisogna elencarli tutti, per eliminare i comportamenti superflui e dispendiosi, anche gli stipendi del titolare e dei familiari, elementi molto spesso non contemplati nei conteggi. Condividere i dati fa parte di questo processo”.

Se parliamo di sostenibilità nella produzione di latte, a cosa pensa?
“Penso innanzitutto a quella economica e, come dicevo, fare i conti e confrontarli fra gli allevatori è un passo importante. Poi penso al benessere animale, una richiesta che proviene compatta dai consumatori e che non possiamo assolutamente ignorare. Sarà una variabile determinante per la sopravvivenza, non deve essere sottovalutata”.

Come Arav come vi state organizzando?
“Abbiamo in programma corsi di formazione, per insegnare le buone pratiche di allevamento in chiave di animal welfare”.

Il prezzo dell’Asiago non è dei migliori, che suggerimenti può dare al Consorzio, che ha avviato un programma di promozione importante?
“Ci vorrebbe una rete di promozione e vendita più ramificata, che oggi manca. L’offerta di vendita dovrebbe essere centralizzata, per promuoverlo meglio ed esportare, senza dimenticare una rete regionale. Come Asiago dobbiamo fare i conti con una concorrenza marcata dei cosiddetti similari. Nel nostro caseificio produciamo 150 forme al giorno e abbiamo un’alimentazione a secco come nel Parmigiano-Reggiano, non facciamo uso di lisozima, eppure non riusciamo a essere incisivi, schiacciati anche da un numero elevato di prodotti similari, che deformano il prezzo al ribasso. Stiamo producendo forse troppe forme”.

Cosa fare, dunque?
“Esportare di più. È l’unica soluzione”.

L’etichettatura secondo lei può modificare qualcosa?
“Per l’Asiago no, perché le Dop dovrebbero già utilizzare il latte prodotto nel comprensorio. In generale invece sono convinto che servirà”.

Alimenti sani da aziende sane [Intervista a Paolo Fabiani]
24 Febbraio 2017

Paolo Fabiani, presidente della cooperativa Cooperlat Tre Valli

La sostenibilità è il futuro. Ma anche la diversificazione produttiva, la linea “vegetale” che i nuovi consumatori stanno mostrando di apprezzare, secondo la filosofia di prodotti in grado di nutrire e “promettere” benessere. Sono alcuni degli elementi che emergono dal dialogo con Paolo Fabiani, presidente della cooperativa Cooperlat Tre Valli, che Teseo ha intervistato.

Avete avuto danni dal terremoto come cooperativa o come associati?

“Sì, abbiamo avuto dei lievi danni nel nostro stabilimento di Amandola, situato proprio nel Parco dei Sibillini, dove produciamo mozzarella per tutto il gruppo, e da dove arriva il latte di allevatori marchigiani e abruzzesi. Alcune stalle sono state lesionate, ma il danno maggiore è nella distruzione di interi paesi. Questo ha cancellato, e non si sa per quanto tempo, l’economia di una vasta zona fatta di piccole attività, esercizi commerciali che rappresentavano punti di riferimento anche per noi”.

Quali sono gli aspetti cruciali che secondo lei sono emersi dal Dairy Forum 2016 di CLAL?

“Credo che il tema affrontato dal team di Angelo Rossi per questo Dairy Forum sia stato di estrema attualità; affrontare l’argomento del mercato assieme ad altri due temi, quali l’innovazione e la sostenibilità.
La relazione del professor Marco Frey su Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli obiettivi dello Sviluppo sostenibile ha offerto importanti suggerimenti sul tema della sostenibilità, che non è soltanto economico-ambientale, ma anche sociale. Ricordo che nella sua relazione venne citata una frase di Ban Ki-Moon:

I mercati possono prosperare solo in società che sono sane, e le società hanno bisogno di mercati sani per prosperare.

Su questa frase e sul concetto di sostenibilità credo che dovremo molto riflettere”.

La sua base sociale è composta da 15 cooperative e rappresenta circa 1.000 allevatori: quanti dei soci di Cooperlat hanno aderito al sostegno ministeriale di 14 centesimi?

“L’intervento messo in atto dalla Ue per diminuire l’offerta di latte in tutta Europa ha avuto poco seguito tra i nostri soci. D’altro canto la forte adesione a tale sostegno da parte dei produttori tedeschi, olandesi e francesi, per il primo periodo aveva già esaurito tutte le risorse messe a disposizione”.

Cooperlat Trevalli è famosa per la panna. Qual è la quota export (totale e per la panna)?

“Il 77,7% della nostra produzione totale è destinata al mercato domestico, il 22,3% all’estero. Per quanto riguarda la panna, invece, l’export sale al 29,6 per cento. Per i prodotti vegetali, invece, il 63,1% dei nostri volumi viene venduto fuori dai confini nazionali e solo il 36,9% in Italia”.

Quali sono i principali Paesi di destinazione?

“Per la panna i principali Paesi sono: Svizzera, Francia, Belgio, Grecia, Turchia, Libano, Filippine, Ungheria, Albania. Per i prodotti vegetali, invece, i più importanti mercati di destinazione sono rappresentati da Grecia, Turchia, Arabia Saudita, Algeria, Egitto, Libano, Repubblica Ceca, Emirati Arabi, Slovenia, Albania, Francia e Montenegro”.

Avete nuovi Paesi o aree nel mirino?

“Certamente: Stati Uniti, tutta l’area del Sud Est Asiatico, l’area dei Balcani e l’Est Europa”.

La demonizzazione dell’olio di palma è uno dei fattori che sembra aver influito positivamente sui prezzi delle panne. È così anche per Cooperlat?

“Non credo vi sia un nesso così diretto tra olio di palma e prezzo delle panne, anche perché entrambi i prodotti hanno raggiunto livelli di mercato molto alti. La demonizzazione dell’olio di palma e le continue notizie pro e contro rappresentano un fenomeno quasi tutto italiano e, nonostante il gran clamore, le quotazioni sono comunque alte. Per quanto riguarda il prezzo delle panne, personalmente ritengo che le forti e imprevedibili oscillazioni di mercato non siano positive né per i produttori né per gli utilizzatori. Al contrario, credo invece che il mercato necessiti di una maggiore stabilità”.

Siete produttori della Dop Casciotta di Urbino. Quali sono i numeri?

“La Casciotta di Urbino DOP è una delle eccellenze del territorio marchigiano, che fanno parte del portafoglio prodotti di Cooperlat. Le vendite del 2016 supereranno le 100 tonnellate di prodotto, concentrate soprattutto nel Centro Italia”.

Dal vostro sito si evince che avete anche prodotti a base di soia, caratterizzati dallo slogan “senza” (senza lattosio, senza glutine, senza grassi idrogenati). In chiave di prodotti e di mercato, sarà sempre più il cosiddetto “senza” l’aspetto cardine?

“Il consumatore del nuovo millennio è sempre più evoluto, alla ricerca di prodotti che siano buoni, ma che al contempo non danneggino la propria salute. Addirittura, che aiutino a prevenire malattie di vario tipo. Si è alla ricerca dei cosiddetti cibi senza o cibi della rinuncia, cioè senza grassi o zuccheri, senza sale, senza glutine, senza lattosio, senza conservanti. Questo non vuol dire però rinunciare al gusto. In sostanza, i prodotti vincenti di oggi e dell’immediato futuro sono quelli che promettono il benessere, ma senza rinunciare al gusto”.

Quale spazio ha la linea soia e qual è il futuro?

La soia è un mercato in continua crescita, perchè si inserisce in questo trend salutistico. Fino a pochi anni fa i prodotti a base soia si trovavano solo sugli scaffali delle insegne specializzate, ora affollanno gli scaffali di tutte le più importanti insegne della grande distribuzione. Cooperlat ha lanciato nell’ultimo anno una linea completa di prodotti a base soia, dalla bevanda alla crema vegetale da montare, al dessert. Una linea di prodotti che sta dando grandi soddisfazioni e su cui l’azienda intende investire negli anni a venire, sia in termini di comunicazione che di allargamento della gamma”.

Cosa significa sostenibilità per Cooperlat e come cercate di applicarla al vostro interno e nel rapporto con i soci?

“Come già abbiamo detto, per fortuna, oggi i consumatori sono sempre più attenti ed esigenti, non solo rispetto alla qualità delle materie prime che compongono i prodotti che acquistano, ma anche all’affermazione del principio etico del lavoro e del territorio, inteso come garanzia di rispetto dell’ambiente e di condizioni decenti di lavoro per tutti. I consumatori pretendono una qualità totale dei prodotti, alimenti sani e buoni, realizzati da aziende anch’esse sane, che tutelano l’ambiente, valorizzano il lavoro, rispettano i diritti delle persone e, soprattutto, innovano. Se non ci sono tutti questi elementi, nasce nel consumatore il ragionevole dubbio che possano mancare anche gli altri.
Il modello di cooperativa adottato dalla Cooperlat-TreValli applica nelle scelte operative azioni che contribuiscono a mantenere in vita piccoli e medi produttori locali, i quali altrimenti sarebbero usciti dal mercato, con conseguente incremento del fenomeno di abbandono dei terreni agricoli e negative ripercussioni sul territorio, come la perdita di biodiversità, il mancato mantenimento delle tradizioni e, non ultimo, le perdite occupazionali”.

Quali sono i vantaggi?

“I vantaggi riguardano la tutela del territorio derivante dalla difesa dei piccoli produttori locali. Se ne ottiene un beneficio in termini di riduzione del dissesto idrogeologico, di mantenimento della biodiversità, di contenimento dei processi di urbanizzazione. Poi ci sono gli aspetti relativi alla tutela dell’occupazione agricola. Questo comporta un vantaggio per la sostenibilità sociale del processo, con un conseguente aiuto al mantenimento della cultura e delle tradizioni locali. Bisogna ricordare, inoltre, che il rapporto con le aziende cooperative ed agricole tende ad essere di lungo periodo, filosofia gestionale che rafforza ulteriormente questo aspetto.
Allo stesso tempo i benefici si riversano in una minore pressione ambientale, derivante da un modello di fattoria più virtuoso che integra produzione agricola ed allevamento, permettendo la realizzazione di un ciclo operativo quasi chiuso. Ne consegue una migliore utilizzazione delle risorse e degli stessi output dei due processi e una riduzione delle immissioni in aria, in acqua o nei terreni”.

Paolo Fabiani

I vantaggi di un’agricoltura sostenibile
3 Gennaio 2017

La più grande opportunità di valorizzazione del settore agricolo neozelandese è quella di essere percepito come una fonte affidabile di prodotti rispettosi dell’ambiente e dei livelli sociali. Il valore della tutela ambientale attraverso l’adozione di pratiche colturali appropriate, può tradursi a breve termine in un beneficio monetario ed in un vantaggio strategico nel lungo periodo. Sempre più consumatori ritengono che l’acquisto responsabile di prodotti rispettosi dell’ambiente debba essere un prerequisito, così come lo sono le garanzie igienico sanitarie.

Però, un prezzo premium per l’adozione di pratiche sostenibili può essere tale solo se queste garantiscono parametri che vanno oltre i requisiti dettati dai livelli minimi previsti dalle norme. Occorre sempre più descrivere e dare prova di come e dove il prodotto è ottenuto; ma oltre a questo i consumatori, per pagare un prezzo maggiore, debbono poter contare su di una qualità intrinseca superiore. I prodotti, oltre a standard qualitativi più elevati, dovranno poi essere regolari, sicuri ed ottenuti nel rispetto dei principi etici.

Sono quattro i settori in cui il sustainable farming può diventare una scelta strategica per accrescere la profittabilità:

  • assicurazione nel tempo del livello qualitativo,
  • vicinanza al consumatore,
  • condivisione dei principi di sostenibilità lungo tutta la catena commerciale,
  • familiarità con gli aspetti sociali.

La Nuova Zelanda è già percepita come l’isola verde. Diventa pertanto imperativo che le prestazioni ambientali siano all’altezza delle attese e che le imprese investano concretamente per assicurare pratiche trasparenti e tracciabili nella garanzia che le materie prime che trasformano siano ottenute da una agricoltura veramente rispettosa e sostenibile. I consumatori, che in maggioranza abitano nelle città, non hanno più una conoscenza diretta delle pratiche agricole ed hanno dunque bisogno di sapere come e dove il bene acquistato viene ottenuto e quali valori veicola. Gli agricoltori, pertanto, debbono fare propri gli standard ambientali ed etici che la crescente sensibilità pubblica richiede.

Acqua&Energia: L’Agricoltura si presenta oggi come un “ecosistema governato”, in relazione con molti altri sistemi.

Fonte: Sharechat

L’agricoltura sostenibile
20 Dicembre 2016

Il complesso delle attività agricole, compresa la silvicoltura, la pesca e l’allevamento, è responsabile di circa il 20% delle emissioni totali di gas serra (greenhouse gas – GHG), che influenzano il cambiamento climatico proprio del nostro tempo. Gli effetti negativi del cambiamento climatico a livello mondiale si manifestano già in alcune produzioni cerealicole e porteranno ad una diminuzione dei contenuti di proteine, ma anche di minerali come ferro e zinco ed un incremento delle patologie. Secondo dati scientifici tali fenomeni, ora evidenti nelle aree del mondo più sfavorite, si manifesteranno ovunque nell’arco di una quindicina d’anni.

Pertanto l’attività agricola deve ridurre l’impatto ambientale, pur continuando ad evolvere per garantire la sicurezza alimentare e la FAO elenca delle pratiche sostenibili da adottare e diffondere. Fra queste risultano ad esempio:

  • le coltivazioni resistenti al calore ed in grado di utilizzare l’azoto in modo efficiente;
  • le minime lavorazioni del terreno;
  • l’agricoltura di precisione;
  • la gestione della fertilità del suolo;
  • il miglioramento genetico delle graminacee foraggere o leguminose;
  • l’irrigazione mirata;
  • il miglioramento della capacità del suolo e delle piante a sequestrare carbonio.

Saranno necessari maggiori investimenti per ottenere una agricoltura sostenibile, cioè per adottare sistemi di coltivazione ed allevamento intelligenti (smart), adeguati alle nuove realtà ambientali. Il cambiamento e l’adattamento diventano necessità, perché senza dei cambiamenti l’agricoltura continuerà ad impattare negativamente sull’ambiente e perderà in produttività.

I sistemi alimentari, a loro volta, possono contribuire a tale cambiamento riducendo lo spreco e promuovendo diete appropriate, comportamenti necessari per contribuire a ridurre l’impatto ambientale.

Occorre un impegno comune fra produttori e consumatori verso la sostenibilità.

Risultati di alcune ricerche sul mondo del latte

Fonte: reliefweb

Il fondamento etico della sostenibilità
22 Novembre 2016

Il concetto di sostenibilità come elemento che unisce economia, ambiente e società si è progressivamente fatto strada a partire dagli anni ’70, quando i critici di un modello di sviluppo agricolo basato sulla competizione maltusiana fra la crescita della produzione e quella della popolazione, iniziarono a studiarne gli effetti.

Alla fine degli anni ’80, un documento dell’ONU evidenziò le possibili tensioni fra lo sviluppo economico e la qualità ambientale, arrivando al concetto di “sviluppo sostenibile”: sviluppo che soddisfa le esigenze delle generazioni attuali senza compromettere le possibilità di quelle future. Di conseguenza, l’impatto delle attività produttive  deve essere visto come l’effetto che l’uso delle risorse naturali ha sulla società e sulla vita delle comunità che la compongono.

Nel nuovo millennio l’interesse scientifico si è spostato sui parametri per misurare la sostenibilità, fattore necessario per verificarne l’impatto su economia, ambiente e società. Detto in altri termini, dopo la rivoluzione industriale, il progresso tecnico e la crescita produttiva, il concetto di “sviluppo” è inserito nello spazio temporale, deve essere duraturo e per questo diventare più identificabile nella attività quotidiana.

Di conseguenza le aziende si sono poste l’obiettivo di ottimizzare le interazioni con l’ambiente ed hanno cominciato ad utilizzare il metodo LCA (valutazione del ciclo di vita – life cycle assessment) come fattore della produzione. Da qui i parametri delle “impronte” di acqua e carbonio (water footprint and carbon footprint) come indice di qualità e sostenibilità spazio-temporale delle imprese.

La necessità di uno sviluppo sostenibile o duraturo, porta ad un processo continuo di innovazione attraverso un approccio collaborativo e multidisciplinare.

Fonte: Nature.com

Sostenibilità su TESEO.clal.it
Sostenibilità su TESEO.clal.it

Sostenibilità e passione in stalla
8 Novembre 2016

Isalberto Badalotti
Borgo Virgilio, Mantova – ITALIA

L'allevatore Isalberto Badalotti
L’allevatore Isalberto Badalotti

Azienda Agricola Badalotti Isalberto, Ivano e Luciano.
Capi allevati: 600.
Ettari coltivati: 185.
Destinazione del latte: Grana Padano DOP (Latteria Sociale Mantova).

Sostenibilità in azienda: che cosa fate?

“La sostenibilità in azienda è un percorso complesso, ottenuto attraverso più elementi: il miglioramento della produttività e delle rese, l’abbattimento dei costi variabili, il rispetto dei suoli e la riduzione dell’impatto della chimica”.

Così Isalberto Badalotti, allevatore e veterinario di Borgo Virgilio (Mantova), uomo simbolo dell’Associazione mantovana allevatori, della quale è stato direttore per 34 anni, sintetizza il concetto di sostenibilità. Un obiettivo che, al di là del clamore che le tendenze neo-ambientaliste sollevano, le aziende agricole e zootecniche più all’avanguardia perseguono in silenzio, ma con ostinazione.

Lo sa bene Isalberto Badalotti, che insieme al fratello Ivano e al nipote Luciano conduce un’azienda di 185 ettari e con 600 capi, per una produzione totale di latte di circa 30mila quintali all’anno, conferiti alla Latteria Sociale Mantova per la produzione di Grana Padano.

Nell’azienda alle porte di Mantova è in costruzione una nuova struttura, finalizzata ad ospitare tutti gli animali giovani e a migliorare l’impatto della meccanizzazione, in modo da incrementare le produzioni e a gestire la stalla con lo stesso numero di addetti. “Puntiamo in questo modo a ridurre i costi aggiuntivi e a diminuire i costi fissi”.

Quali altri investimenti avete fatto, recentemente?

“Abbiamo costruito un separatore solido-liquido, per migliorare la qualità del prodotto destinato allo spandimento nei campi, in modo da utilizzare solamente la parte solida. I risultati di questa nuova formula di concimazione sono molto soddisfacenti”.

Qual è il risparmio?

“Non trasportando più la parte liquida abbiamo ridotto sensibilmente gli spostamenti, ma allo stesso tempo siamo riusciti a tagliare del 30% l’acquisto di urea e pensiamo di avere ancora margini di contenimento del concime chimico”.

Quali sono le nuove tecnologie che possono fare la differenza?

“Nell’ambito della mungitura sono i robot. Si stanno diffondendo anche nelle nostre zone. Noi per ora non pensiamo di adottarlo, in quanto impegnati con un investimento significativo, ma affronteremo la questione. Il robot di mungitura semplifica il lavoro e permette anche alle donne di poter seguire la mungitura, in quanto non richiede sforzi fisici. Anche i giovani, per le tecnologie coinvolte, sono avvantaggiati. Poi vi sono le innovazioni legate alla gestione dei campi”.

Quali ritiene siano prioritarie?

“Oggi c’è molta attenzione all’ottimizzazione delle risorse idriche e alle caratteristiche del suolo. Sta crescendo l’interesse verso quelle macchine combinate che riescono a ridurre le operazioni in campagna, eliminando magari l’aratura e preparando il terreno per la semina con meno passaggi. Così si preservano le caratteristiche del suolo e si ha un risparmio energetico. Sono macchine costose, per lo più in mano ai contoterzisti, che sono sempre più coinvolti nella crescita delle aziende agricole”.

Come vede il futuro dei formaggi?

“Oggi il settore guarda al futuro con maggiore ottimismo, grazie alla ripresa dei prezzi del latte, del burro, dei formaggi Dop, con il Parmigiano-Reggiano che sta rialzando la testa più velocemente del Grana Padano. Anche la campagna contro l’olio di palma ha favorito la ripresa delle quotazioni delle panne. È innegabile che i primi 6-7 mesi del 2016 sono stati molto pesanti e non so se riusciremo a compensare le perdite che le stalle hanno subito fra gennaio e luglio, per non parlare dei mesi precedenti. Bisogna anche dire che, con il prezzo del latte così basso, qualcuno ha pensato di produrre formaggio bianco, convinto di guadagnare qualcosa. Ma l’unico risultato è stato quello di intasare il mercato, influenzando negativamente anche i Dop”.

Sta aumentando l’interesse per il latte biologico. Cosa ne pensa?

“È un settore che senza dubbio sta crescendo. Per molto tempo è stato visto con scetticismo, eppure più di una stalla ha scelto di percorrere questa strada. Trovo che sia una scelta intelligente, alla luce anche della domanda in aumento. Va valutata tale opportunità caso per caso. Da veterinario mi lascia perplesso la parte relativa alle cure omeopatiche e la loro efficacia, ma prima di esprimere giudizi definitivi vorrei approfondire compiutamente anche questi aspetti”.

Che consiglio desidera dare ai giovani allevatori?

“Chi vuole allevare animali deve avere una forte passione. Se manca, è inutile cimentarsi nell’attività. Non è facile, richiede impegno costante. Una stalla non è un’azienda normale, che il venerdì chiude e riapre il lunedì. Non è possibile, poi, meccanizzare tutto: gli animali sono esseri viventi e non hanno comportamenti sempre uguali. Però l’allevatore è uno dei lavori più belli e con la passione si supera tutto. Si è visto comunque sul campo: chi aveva passione è riuscito a migliorare e ad ampliare le proprie aziende, gli altri no”.

Azienda Agricola Badalotti Isalberto, Ivano e Luciano.
Azienda Agricola Badalotti Isalberto, Ivano e Luciano.

Azienda Agricola Badalotti Isalberto, Ivano e Luciano

 

Certificare la sostenibilità della soia: necessità o marketing?
29 Settembre 2016

La Soia, con oltre 300 milioni di tonnellate prodotte ogni anno, è una delle principali commodity per l’alimentazione animale e per quella umana. L’Europa è particolarmente dipendente dall’importazione di questo legume originario della Cina, la cui coltivazione si è diffusa fuori dall’Asia a partire dall’Ottocento.

Oggi i massimi produttori di Soia sono Stati Uniti, Brasile ed Argentina, da cui proviene generalmente quella importata in Europa per l’alimentazione animale. La sua coltivazione si è sviluppata notevolmente nel secolo scorso, spesso utilizzando aree precedentemente occupate dalla foresta vergine. Emblematico è il caso dell’Amazzonia che nel corso degli ultimi 40 anni ha visto ridursi di circa il 20% la propria superficie per ricavarne terre arabili, un’area superiore a quella utilizzata nei precedenti 450 anni a partire dalla colonizzazione europea.

Dunque il tema della sostenibilità per la coltivazione della Soia è particolarmente evidente e per questo nel 2006 in Svizzera è stata fondata la Round Table on Responsible Soy Association (RTRS) che ha individuato una norma per certificare le coltivazioni ottenute nel rispetto dei parametri ambientali. I primi raccolti certificati sono stati ottenuti in Argentina, Brasile e Paraguay nel 2011, riscuotendo un grande successo nell’esportazione verso l’Europa.

Oggi circa un terzo della Soia che importiamo ha questa certificazione di sostenibilità, la cui quantità totale è cresciuta rapidamente negli ultimi anni e si prevede che nel 2017 possa ammontare a 4 milioni di tonnellate. L’obiettivo è che un terzo di tutta la Soia importata in Europa sia certificata.

Se i consumatori sono sempre più sensibili ai temi delle sostenibilità ambientale, di certo non hanno la conoscenza delle garanzie fornite dai vari prodotti circa la sostenibilità ambientale dei loro componenti. Dunque diventa importante evidenziare in etichetta il logo di eco sostenibilità, già presente in numerosi altri prodotti, a partire dal caffè e dall’olio di palma. Difficilmente però tale logo può risultare presente nei prodotti animali, dove la Soia è un ingrediente nella razione, mentre invece questa certificazione è un elemento importante per chi produce alimenti a base di Soia, come le bevande che sempre più numerose sono presenti sugli scaffali di vendita.

La sostenibilità diventa un elemento sempre più ampio, che riguarda i produttori ed i consumatori, in quanto un prodotto, oltre ad essere buono, deve anche garantire il rispetto delle condizioni ambientali, dunque pulito e giusto.

TESEO segue mensilmente l’andamento dei mercati internazionali di Mais e Soia nei report dedicati
TESEO segue mensilmente l’andamento dei mercati internazionali di Mais e Soia nei report dedicati

Fonte: National GeographicRTRS

Il tema della Sostenibilità sarà trattato al CLAL Dairy Forum 2016 il 12 Ottobre, segui l’evento in diretta streaming sulla homepage di TESEO!

CLAL Dairy Forum 2016

Sostenibilità: è aperto il dibattito (video)
20 Maggio 2016

Gli operatori della filiera lattiero-casearia hanno aperto il dibattito in materia di sostenibilità.

Un video di 12 minuti propone i momenti salienti del primo incontro “Sostenibilità: l’efficienza imprescindibile”, tenutosi all’APA di Mantova lo scorso 27 Aprile.

Il nuovo Presidente del Parmigiano Reggiano DOP dovrà fare squadra con il Consiglio
10 Maggio 2016

Matteo Salati
Olmo di Gattatico, Reggio Emilia – ITALIA

L'allevatore Matteo Salati
L’allevatore Matteo Salati

Azienda Agricola Fondo Albarossa Soc. Agr.
Capi allevati: 1.000 | 400 in lattazione.
Ettari coltivati 280.
Destinazione del latte: Parmigiano Reggiano DOP (Caseificio del Milanello Terre di Canossa).

Con 280 ettari coltivati interamente a mais e foraggere (medica, frumento da foraggio, prato stabile, loietto e panico) e una stalla con 1.000 capi (di cui 400 in mungitura), l’azienda in cui Matteo Salati di Olmo di Gattatico (Reggio Emilia) lavora è occupata da 8 lavoratori fissi e 2 part time. Un piccolo esercito.

“Io e mia moglie Ilaria ci occupiamo della gestione dell’allevamento, mio fratello Lorenzo campagna, mio papà Vincenzo dell’amministrazione e del caseificio Milanello di Campegine di cui è presidente e dove destiniamo il latte per la produzione di Parmigiano Reggiano”, spiega Matteo Salati.

Le dimensioni innescano inevitabilmente economie di scala e, allo stesso tempo, l’attenzione alla sostenibilità è elevata.

“Per ridurre il consumo energetico abbiamo cambiato l’impianto di ventilazione. Questo ha portato un beneficio di 5 kwh consumati in meno nei mesi estivi. Inoltre, abbiamo montato le piastre per raffreddare il latte, grazie alle quali risparmiamo i due terzi dell’energia, che prima era necessaria. Il tutto con una spesa sopportabilissima. Il calore recuperato serve per scaldare l’acqua destinata agli animali”.

E sul consumo idrico?

“Abbiamo livellato una quota importante dei nostri terreni, tanto che oggi sia i prati stabili che le superfici che irrighiamo a scorrimento richiedono meno acqua”.

Il Consorzio di tutela del Parmigiano-Reggiano nei giorni scorsi ha annunciato l’operazione di valorizzazione del prodotto di montagna. Pensa sia positiva?

“Per me è giusto che si valorizzi la montagna, perché l’agricoltura tutela il territorio e l’occupazione, con un indotto importante. In zona collinare e montana viene fatto circa un quarto del totale del Parmigiano-Reggiano. La mia è un’opinione disinteressata sul piano aziendale, essendo collocato nella Bassa reggiana. Tuttavia, ritengo che sia giusto, a patto che il prodotto sia davvero di montagna e non frutto di una lavorazione in montagna, ma con latte di pianura”.

E come si può garantire la tracciabilità del latte di montagna?

“Guardare innanzitutto dove è ubicata la stalla. E affidare la vigilanza sulla qualità agli organi preposti, potenziando con la condivisione del Consorzio dove è più necessaria”.

L’assemblea del Parmigiano-Reggiano ha votato la prosecuzione del piano produttivo per altri tre anni. È soddisfatto?

“Credo che l’impianto del piano produttivo sia migliorativo rispetto a quello del triennio precedente. La finalità è giusta: mantenere in equilibrio la produzione di forme, in modo da evitare impennate e depressioni di prezzo che hanno punito i nostri bilanci. Serve ora la ratifica da parte di tutti i produttori. Hanno votato almeno i due terzi dei caseifici, adesso almeno i due terzi dei produttori devono approvare”.

Dopo le dimissioni di Alai, chi vorrebbe come presidente?

“Non mi sbilancerò sul nome. Sicuramente al Consorzio serve una persona che abbia le idee ben chiare non su moltissime iniziative, ma sulle più importanti, che devono essere portate a termine. Il presidente dovrà fare squadra col consiglio e puntare su temi cardine: controlli sulla qualità, anche sugli impianti del grattugiato e sugli impianti di trasformazione, la pubblicità deve essere mirata e non generalista e i piani produttivi tenuti monitorati”.

L'Azienda Agricola Fondo Albarossa Soc. Agr.
L’Azienda Agricola Fondo Albarossa Soc. Agr.

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L'allevatore Matteo Salati